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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

La nonviolenza nelle religioni

Giovanni Cereti
Fonte: "Mosaico di pace" marzo 2004

Le persone e le tradizioni religiose, fonte di conflitti o di riconciliazione?


Il sentimento comune di molti nostri contemporanei è che le religioni e le persone religiose sono spesso sorgente di contrasto, di conflitto, e anche di violenza fra gli uomini, e questo non solo nel passato, ma anche sino ai giorni nostri. Una tale convinzione si è formata a partire da certe esperienze, che sono legate alle tante infedeltà che i credenti delle diverse religioni hanno compiuto nei confronti del messaggio più profondo contenuto nelle loro stesse Scritture. Al contrario, gli uomini e le donne religiosi/e di tutte le fedi sono convinti che la fede religiosa, in quanto sorgente di amore e di armonia non solo con il divino, ma anche con gli altri e anzi con tutto il cosmo, non può essere sorgente di conflitto e di violenza, e che in ultima analisi i credenti autentici, per essere fedeli al messaggio più profondo delle loro Scritture, devono anche essere operatori di pace e di convivenza pacifica e cultori della nonviolenza.
In realtà, le religioni custodiscono tesori di insegnamenti spirituali anche in ordine alla nonviolenza che cominciano appena a essere esplorati e che possono influenzare il comportamento di innumerevoli credenti che ad esse si ispirano e ad esse fanno riferimento. Limitandoci a brevissimi indicazioni su quelle che vengono considerate le cinque maggiori famiglie religiose dell’umanità oggi esistenti, e più alle enunciazioni di principio che alla realtà concreta che non sempre corrisponde alla teoria, possiamo osservare che molte delle indicazioni che seguono potrebbero valere anche per altre religioni. Un insegnamento come quello dell’amore contenuto nella cosiddetta ‘regola aurea’ lo troviamo infatti presente in un modo o nell’altro in tutte le religioni, a partire dal Confucianesimo, mentre in molte tradizioni religiose si parla della piena armonia fra il cielo e la terra, e fra tutti gli esseri viventi. Le religioni tradizionali africane, forse ancora insufficientemente conosciute, parlano di una pace che discende dall’armonia dell’uomo con il cosmo, dalla piena integrazione nella propria comunità e dalla fedeltà alla propria tradizione.

Induismo
L’Induismo costituisce uno dei fenomeni religiosi più complessi, per la sua origine storica antichissima e per la varietà di forme in cui esso si manifesta, per cui si parla volentieri di religioni indù. Queste differenti tradizioni religiose si rifanno insieme ad alcuni testi sacri e riconoscono alcuni principi comuni (retribuzione immanente dell’agire, la trasmigrazione degli esseri, la priorità dello spirituale sul materiale).
L’invocazione della pace (shanti) ha un posto centrale nella prassi e nella preghiera indù. La pace è riconosciuta come dono di Dio, invocato nella preghiera, e insieme frutto della disposizione interiore e dello sforzo di ciascuno. In molte tradizioni la ragione ultima dell’amore e della pace è data dall’essere uno di tutti gli esseri viventi. Lo sforzo primario è volto a raggiungere la pace interiore, attraverso la pratica della disciplina e dell’autocontrollo, soprattutto grazie allo yoga. La pace interiore è legata all’equanimità, per cui non ci si lascia turbare da persone, oggetti, esperienze.
L’equanimità porta a riconoscere la presenza divina in ogni persona e ad accettare l’azione di Dio in ogni evento. Nelle relazioni interpersonali la pace è realizzata mediante l’ahimsa, la nonviolenza, la cura di non causare danno ad altri esseri viventi. Essa vuole condurre alla conversione interiore dell’avversario, e deve essere applicata a tutti gli aspetti della vita. L’insegnamento della nonviolenza è stato valorizzato soprattutto da Gandhi, il quale l’ha riscoperta sotto l’influenza della lettura del discorso della Montagna fatta alla luce dell’interpretazione che ne davano Tolstoj e altri pensatori cristiani, e l’ha applicata ispirandosi largamente alla tradizione giainista della madre.

Buddhismo
Per quanto si può dire in poche parole, per il Buddhismo fondamentale è l’atteggiamento di compassione verso ogni essere vivente, che conduce a insistere sul precetto del non uccidere, vivendo nell’ahimsa, e realizzando una benevolenza compassionevole verso tutti gli esseri senzienti. La tradizione buddhista ha sviluppato metodi di meditazione che portano a coltivare la pace interiore, e da essa dovrebbe discendere anche la pace esteriore e quindi la pace fra gli uomini. La nonviolenza deve essere praticata anche nei rapporti fra le religioni, per cui ciascuno è invitato a restare fedele alla propria tradizione, in grande tolleranza e rispetto nei confronti delle altre. Anche in questo caso occorre distinguere l’insegnamento autentico del Buddhismo e la sua pratica. La persecuzione della minoranza tamil da parte del buddismo dominante in Sri Lanka così come altre esperienze anche recenti smentiscono l’illusione che la prassi corrisponda realmente a quelli che sono gli
insegnamenti dottrinali.

Ebraismo
La pace, pienezza di benessere, di armonia, di giustizia, è dono di Dio ma anche frutto della collaborazione che l’uomo offre a Dio. Essa suppone pertanto uno sforzo costante per il superamento degli antagonismi, dei conflitti e delle contraddizioni della società. Il compito di realizzare la pace è affidato ai singoli, mediante l’osservanza dei comandamenti, e il riconoscimento dell’alterità dell’altro. La pace perfetta sarà realizzata solo nella prospettiva dell’epoca messianica. Alcuni passi profetici, come per esempio Isaia 2 o Michea 4, che anticipano un futuro nel quale le armi saranno convertite in falci e le spade in aratri, delineano la prospettiva dei tempi messianici.

Islam
Più difficile trovare nell’Islam un insegnamento che, oltre che alla pace, conduca anche alla nonviolenza. La ricerca dovrebbe essere orientata soprattutto in direzione del sufismo. In ogni caso anche nell’Islam esiste un insegnamento sulla pace, pace è uno dei bei nomi di Dio, il progetto di realizzare la pace sulla terra corrisponde all’obbedienza alla volontà di Dio. La pace perfetta sarà realizzata nel Paradiso o Giardino, ma inizia già con la discesa o la rivelazione del Corano sui profeti, sui messaggeri, sui giusti. La pace viene realizzata sia a livello personale, con la osservanza della morale coranica e delle virtù, sia a livello sociale. La perfetta pace si ha dove la società è regolata dai principi dell’Islam. In ogni caso, nell’ambito musulmano è in atto tutto un ripensamento di questi insegnamenti tradizionali, ivi compreso l’insegnamento relativo alla gihad, reinterpretata come lotta alle passioni e al male presente in ognuno di noi.

Cristianesimo
Una parola infine è necessario dire a proposito della grande famiglia cristiana. In essa la nonviolenza, che era forse praticata dalle prime generazioni di convertiti, è stata riscoperta relativamente di recente, prima nell’ambito di comunità piuttosto emarginate (fra cui la ‘Società degli Amici’ o quaccheri) e poi anche all’interno delle grandi Chiese. In questa sede, mi limiterò ad accennare ad alcuni temi evangelici, nella convinzione che esistono passi evangelici che sono stati piuttosto trascurati nella riflessione e nella predicazione delle Chiese cristiane. In tal modo alcuni insegnamenti, come quelli relativi alla pace e alla nonviolenza, sono restati piuttosto in ombra nel corso dei secoli, per cui soltanto oggi vengono valorizzati in tutta la loro portata rivoluzionaria e vincolante per i cristiani. Fra questi passi ne vorrei ricordare almeno tre. Il primo è quello contenuto nel discorso sulla montagna, con il suo insegnamento di nonviolenza e di amore ai nemici (Mt 5, 39-48). Questo passo conserva larga traccia dell’insegnamento originale di Gesù.
A differenza dei contemporanei zeloti, per i quali l’uccisione di un nemico era quasi un dovere, Gesù richiede ai suoi discepoli il rifiuto della violenza e l’amore ai nemici. Si tratta di un insegnamento proprio di Gesù e che non sembra si possa trovare altrove, che traduce in circostanze concrete e in dettami di vita il comandamento generale dell’amore che è al cuore di tutto il suo insegnamento. Un amore che esige un perdono senza limiti: al canto guerriero di Lamech, che esprime la sete di vendetta che si accompagna al dilagare del peccato nel mondo (Gn 4, 24), si contrappone l’invito a perdonare il fratello non sette volte ma settanta volte sette (Mt 18, 21-22). La nonviolenza comporta dei gesti positivi di amore (fare il doppio di quanto gli altri ci vogliono costringere a fare senza averne alcun diritto, Mt 5, 39-41) che mostra il desiderio di incontrare l’altro e di instaurare con lui un rapporto di profonda umanità. Il secondo esempio è emblematico di tutta la vita e il comportamento di Gesù.
L’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme a dorso di un’asina (Mt 21, 1-5) costituisce un gesto messianico carico di significato simbolico: Gesù entra a Gerusalemme facendosi riconoscere come il messia, ma non un messia terreno e guerriero, pronto a chiamare a raccolta per scuotere il giogo dei colonialisti romani (e di questo sarebbe stato simbolo un suo ingresso a cavallo); egli entra a dorso di un’asina, l’animale umile e paziente, che il popolo povero utilizzava nella sua vita quotidiana di lavoro. Un tale ingresso è ricordato dagli evangelisti come rivendicazione messianica, ma non sfugge ad essi il fatto che è segno di umiltà e di pace, affermazione di un messia umile e pacifico. Gesù realizza così l’ideale del messia disarmato (cfr. Is 2, 2-5, 9, 11), e soprattutto realizza la visione del re che viene a stabilire un regno di pace e di giustizia, annunziato da Zaccaria (9, 9-10).
Una tale presentazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme riassume l’atteggiamento di mitezza, di umiltà, di dolcezza, di attenzione agli ultimi, che ha caratterizzato tutta la vita di Gesù: attenzione alle folle, di cui “sentiva compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9, 36); attenzione e delicatezza con i discepoli (“Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco” Mc 6, 31); rifiuto di condannare chi non aveva accolto i discepoli (Lc 5, 51); primato dato alla persona umana al di sopra di ogni altro valore (Mc 2, 27). Tutto questo comportamento viene poi riassunto da Matteo

in quello splendido invito, in cui Gesù ci è presentato come il modello dell’uomo mite e nonviolento: “Prendete il mio giogo sopra di me e imparate da me, perché io sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29).
Il terzo passo è un passaggio di cui è difficile trovare un’interpretazione soddisfacente: l’invito di Gesù a vendere il mantello per comprare delle spade e la traccia lasciata negli evangeli da un abbozzo di difesa tentata dai discepoli nell’orto degli ulivi (Lc 22, 35-38; 47-51). L’interpretazione che a me pare preferibile vede in questo racconto il vestigio di un avvenimento occorso in occasione della Passione: una fuggevole tentazione da parte di Gesù, quella di difendersi con i propri discepoli nei confronti dell’autorità che voleva metterlo a morte ingiustamente a causa dei suoi insegnamenti. Gesù è ancora circondato da tutti i suoi discepoli, che si disperderanno solo dopo la rinuncia di Gesù a sottrarsi al destino che gli era riservato (cfr. Gv 11, 16) e ad ogni resistenza armata (cfr. Mc 14, 50). Gesù aveva mandato i discepoli inermi e privi di ogni cosa in una prima missione; ora la situazione è però cambiata, e in questa nuova circostanza egli invita a procurarsi dei mezzi di difesa e di sopravvivenza.
L’invito a comperare una spada può cioè significare un momento di esitazione in Gesù, tentato forse di ricorrere alla violenza per difendersi. La tentazione viene superata con il ‘basta così’ di Lc 22, 38, che dovrebbe essere interpretato come “superiamo questo modo di pensare”. Il riferimento alla tentazione è fra l’altro continuo in questo contesto: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle prove” (v. 28), “pregate per non cadere nella tentazione” (v. 40), e la tentazione può essere benissimo quella della violenza e della resistenza violenta al male. Traccia di una nuova esitazione si potrebbe trovare nel momento in cui vengono ad arrestare Gesù, ed egli non si pronuncia subito sul ricorso alla spada (v. 49). La tentazione è però definitivamente superata con l’intervento finale di Gesù, che ordina di cessare ogni resistenza e guarisce al servo l’orecchio ferito.

Cristo, nostra pace
Interpretato in questo modo, il passo ci insegna a evitare persino la resistenza violenta: Gesù ha accettato di compiere la sua missione sino in fondo e di andare sulla croce, piuttosto che di resistere all’ingiustizia con la violenza e con la forza e di porre mano alla spada. Egli ha trasformato la violenza che gli veniva fatta in un atto di amore, accettando la croce e trasformandola in sorgente di vita per noi. Alla luce di questi passi, possiamo comprendere meglio il senso stesso delle Beatitudini: “Beati i miti perché possederanno la terra” (Mt 5, 5), “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9).
I miti che vengono chiamati ‘felici’ sono coloro che realizzano con gli altri rapporti ispirati alla benevolenza e alla mansuetudine, i nonviolenti.
I ‘pacifici’ sono coloro che edificano, che costruiscono la pace, che compiono gesti di riconciliazione. Nello stesso tempo comprendiamo meglio anche la promessa di lasciare la pace (Gv 20, 19-27), sintesi di tutti i beni promessi da Dio per i tempi messianici.
Di fatto la comunità cristiana primitiva ha visto in Gesù “un annunziatore di pace” (At 10, 36), ed essa ha inteso il Vangelo di Gesù come un Vangelo di pace e di nonviolenza, un Vangelo di riconciliazione universale: Cristo è morto per dare la sua vita “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52); egli ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, facendo di tutti i popoli un popolo solo: egli è la nostra pace (Ef 2, 14).

Giovanni Cereti, teologo, corresponsabile della sezione italiana della World Conference on Religion and Peace

articolo tratto da Mosaico logo

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