La sostanza del messaggio milaniano consiste nel richiamo alla gravità della guerra moderna, nell'appello alla sovranità del cittadino, nella centralità della coscienza responsabile.
1965: quarant'anni fa.
In febbraio la risposta ai cappellani militari toscani che hanno definito l'obiezione di coscienza al servizio militare “espressione di viltà”. In ottobre la lunga “Lettera ai giudici” confluita, con la prima, nello splendido libretto “L'obbedienza non è più una virtù”.
Meditando sui fatti contemporanei, sul ruolo educativo della scuola, sull'urgenza di testimoniare la sua fede cristiana e sull'importanza della Costituzione italiana, don Lorenzo Milani indica un orizzonte culturale, apre un cammino pedagogico, diventa maestro di pace.
La sostanza del messaggio milaniano consiste nel richiamo alla gravità della guerra moderna, nell'appello alla sovranità del cittadino, nella centralità della coscienza responsabile. Davanti all'accusa dei cappellani militari, don Milani si fa carico del turbamento dei suoi ragazzi e scrive ai giudici: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia.
Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande 'I care'. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. 'Me ne importa, mi sta a cuore'. È il contrario del motto fascista 'me ne frego'.
Richiamandosi a Socrate, a Gesù Cristo e a Gandhi, don Milani insegna la “tecnica dell'amore costruttivo per la legge” che può portare a “pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede”. Questo dovrebbero fare oggi i cittadini italiani, soprattutto i credenti davanti alla guerra basandosi su tre principi del diritto:
a) L'Italia ripudia la guerra secondo l'articolo 11 della Costituzione
b) Anche il soldato ha una coscienza
c) La responsabilità in solido
a)La parola ripudia, osserva don Lorenzo, è molto ricca di significato, è una parola globale, “è un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona” e, quindi, a ripensare la storia alla luce del verbo ripudia, a scoprire che quasi tutte le guerre sono da registrare sotto la voce offesa, aggressione, massacro.
b) Il soldato non deve obbedire quando l'atto comandato è manifestamente delittuoso. Non hanno un minimo di parvenza di legittimità le decimazioni, le rappresaglie, le deportazioni, le torture, le guerre coloniali, l'uso di armi vietate dal diritto internazionale. L'obbedienza cieca ha prodotto criminali di guerra. Per fortuna molti hanno disobbedito anche in passato. Tra essi “cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre”.
c) È per questo che va dichiarata la responsabilità in solido. Lo scoppio di una guerra è frutto di una lunga preparazione cui hanno collaborato in tanti. Ma ognuno è responsabile. Nessuno può tacitare la coscienza scaricando su altri il peso di un massacro, se vi ha partecipato (anche solo nella Croce Rossa). Occorre “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che
non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto”.
Oggi giunge a terribile maturazione lo scenario strategico militare previsto dalle ultime pagine di “L'obbedienza non è più una virtù” dove spiccano due questioni.
1. Ormai la guerra uccide prevalentemente i civili, “le armi attuali mirano direttamente ai civili” (“Si salveranno forse solo i militari”). Le statistiche ufficiali dell'ONU sulle guerre dell'ultimo mezzo secolo confermano il suo giudizio. Il 90% delle vittime è composto da civili.
2. La guerra “giusta” non esiste più. “La guerra futura” - cioè le guerre di oggi, le nostre guerre - sarà “o aggressione o vendetta”. Non solo. Il carattere delle armi moderne ci spinge a dichiarare che “è in gioco la sopravvivenza della specie umana”.
A tali guerre “il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere”. Insomma la guerra è uscita per sempre dai sempre discussi criteri di razionalità (ammesso che l'abbia mai avuta).
In questo don Milani è molto vicino alla “Pacem in terris” (1963), a quel passo dove Giovanni XXIII afferma che “nell'era attuale, che si gloria di possedere l'arma nucleare, è assurdo pensare che la guerra possa servire per ristabilire i diritti violati”. È assurdo. È impossibile.
L'alienum a ratione esprime proprio l'idea di assurdità totale, di patologia cerebrale, di alienazione mentale. Un educatore deve sempre rammentare che la guerra è sconfitta della cultura e dell'educazione. Se insegnanti e studenti accettano la normalità della guerra, la scuola fallisce. La civiltà decade. L'educatore che esalta o difende la guerra (o che si mostra indifferente ad essa) non sa educare. Dovrebbe cambiare mestiere.
Don Milani ci offre l'esempio di una scuola per la pace. È cosciente di quello che afferma la Carta dell' Unesco: “Poiché le guerre hanno inizio nella mente degli uomini, è nella mente che bisogna costruire le difese della pace”. La guerra oggi è come il terrorismo. La guerra-terrorismo colpisce gli inermi per disarmare gli armati. Trascina nel fango ogni bandiera perché assume il peggio della storia, delle ideologie e dei fanatismi e celebra le sue vittorie senza curarsi delle sofferenze umane.
È per questo che molti sono andati e vanno ancora in carcere in vari Paesi del mondo fedeli alle indicazioni della coscienza sovrana e responsabile! Che 800 veterani del Vietnam e della prima Guerra del Golfo hanno invitato i loro colleghi soldati a disobbedire agli ordini della guerra in Iraq per non macchiarsi di assassinio.
Che 14.000 intellettuali statunitensi hanno firmato un documento contro l'illegalità della guerra all'Iraq.
Che molti studenti e soldati israeliani si sono rifiutati di combattere nei territori occupati.
Che Rachel Corrie è stata uccisa...
Davanti alla spaventosa novità della guerra moderna ritorna il valore dell'articolo 11 della Costituzione italiana. Il verbo ripudiare è fortissimo. Vuol dire rifiutare la guerra come un fenomeno ripugnante, cioè refrattario, disdicevole, disgustoso, incompatibile, nauseabondo, nauseante, odioso, stomachevole, sconveniente.
Per ripudiare la guerra, specifica la Costituzione, è necessario mobilitare gli organismi internazionali. L'articolo 11 ha una valenza planetaria.
Nella Costituzione italiana e nella Carta dell'ONU s'avverte in profondità lo spirito della nonviolenza intesa come azione per la pace con mezzi di pace, nuovo diritto internazionale, impegno per la libertà, per la giustizia, per la democrazia, per la solidarietà.
Si è compreso che oggi ogni guerra è sempre una shoà, un gulag, una Hiroshima.
Ripensare don Milani vuol dire non rassegnarci. Alzarsi in piedi. Resistere e progettare. Formarsi e agire. Mettersi in rete.
Sviluppare un grande movimento per il disarmo. Boicottare l'economia di guerra. Organizzare l'obiezione di coscienza al sistema della guerra.
Promuovere forme ampie e articolate di disobbedienza civile.
Scegliere la forza creativa della nonviolenza.