Dio con noi
Votare in nome di dio. E dei valori morali. Nei quali non figurano la giustizia, la pace, la solidarietà. Ma la guerra preventiva, la difesa degli interessi nazionali. Come i neoconservatori americani sono riusciti a vincere le elezioni, secondo l’analisi di David Batstone, direttore di una delle più prestigiose riviste delle Chiese di base.
Rivista-movimento, che ha alla base una scelta totale di vita, Sojourners, anche attraverso la figura carismatica di Jim Wallis, è un punto di riferimento per tutti i credenti impegnati nell’attualità su posizioni critiche, fin dalle sue origini, nei primi anni Settanta, quando un gruppo di studenti di una Facoltà di teologia evangelica vicino Chicago cominciò a riunirsi per discutere del rapporto fede-politica in relazione soprattutto alla Guerra del Vietnam.
Riconducibile all’area del protestantesimo che si può definire “evangelico”,
Il nome rimanda alla metafora biblica dei pellegrini come popolo di Dio al tempo stesso presente nel mondo, ma proteso verso un ordine diverso. Dal 1975 ha sede a Washington.
In prima fila nella mobilitazione contro la guerra in Iraq, Sojourners ha lanciato nel periodo elettorale una campagna per contrastare la Destra Religiosa americana che aveva teorizzato che un cristiano potesse votare solo per Bush, denunciando questa posizione come “cattiva teologia” e uso pericoloso della religione.
L’appello elettorale ribadiva, invece, con puntuali riferimenti biblici, i valori in base ai quali un credente avrebbe dovuto operare la sua scelta: povertà, ambiente, pace, diritti umani, rispetto della verità, dimostrando l’incompatibilità tra il messaggio evangelico e la politica dei neo-conservatori.
Dopo i risultati, Sojourners ha promosso la stesura di un documento di denuncia della “teologia della guerra”, che sembra ormai dominante. Sojourners è anche, infatti, tra i promotori della campagna per chiudere la famigerata “School of Americas”, che oggi ha cambiato il nome ma non di molto la sostanza, nella quale per decenni sono stati addestrati alla repressione e a varie tecniche di tortura più di 60.000 soldati latinoamericani.
A David Batstone, direttore della rivista, abbiamo rivolto alcune domande.
Durante la guerra in Iraq in Europa sapevamo che le Chiese e le comunità religiose negli Stati Uniti erano prevalentemente contro la politica ufficiale e spesso molto legate al movimento pacifista. Come mai, invece, il sostegno religioso è stato poi visto come uno degli elementi determinanti nella rielezione di Bush? Ci sono stati errori di valutazione? Oppure è avvenuto qualcosa di inaspettato e imprevedibile nel mondo religioso prima delle elezioni?
David Batstone: Secondo un exit poll molto pubblicizzato effettuato il giorno delle elezioni il 22% dei votanti ha indicato i “valori morali” come fattore determinante nella scelta. L’80% di questo 22% ha dichiarato di aver votato per Bush.
L’exit poll, però, considerava separatamente temi importanti relativi all’economia e alla politica estera. Solo qualche settimana dopo un ulteriore rilevamento statistico su scala nazionale ha evidenziato che l’espressione “valori morali” racchiude una più complessa sintesi delle idee dei conservatori sull’aborto e sul matrimonio gay. Questa inchiesta ha dimostrato, infatti, che tra i “valori morali” figuravano in primo piano l’invasione e il proseguimento dell’occupazione dell’Iraq.
Ma la risposta a una cattiva religione non è ritirarsi nel secolarismo, bensì abbracciare una buona religione. La risposta a cattivi valori non è l’abbandono dei valori, ma l’affermazione di valori buoni.
Come è nato l’appello “Professare Cristo in un mondo di violenza”? Chi sono i firmatari? Quali sono le aree religiose che appaiono più sensibili di fronte alla tendenza all’affermazione di una “teologia della guerra”?
Molti teologi e professori di etica della rete internazionale di Sojurners ci hanno manifestato la loro preoccupazione per la tendenza dell’Amministrazione Bush a promuovere in modo subdolo una teologia della guerra, se non una teologia dell’impero. Allora, insieme, abbiamo cominciato a scrivere un documento di “Professione nel Cristo” che contrastasse l’idea che Dio è pro-America e pro-guerra.
Per certi aspetti, doveva essere una sorta di Dichiarazione di Barman (il documento della “Chiesa Proclamante” al momento dell’ascesa del nazismo in Germania) che ribadisce che la Chiesa cristiana deve essere fedele prima di tutto al Vangelo di Gesù e non a un impero politico, anche se questo pretende di essere benedetto da Dio. I firmatari di questa dichiarazione attraversano tutto lo spettro teologico, sia del mondo cattolico, che di quello “evangelico” e del corpo centrale del mondo protestante. Molti sono docenti di teologia ed etica in varie università e istituzioni religiose.
Secondo le vostre valutazioni, quali sono le prospettive del movimento di opposizione alla politica dei neo-conservatori e che ruolo possono avere le comunità religiose?
Il messaggio profetico delle comunità religiose è un elemento di importanza cruciale nell’opposizione ai progetti dei neoconservatori per l’impero americano. Ci sono due visioni distinte di quello che dovrebbe essere l’ordine mondiale. La nostra priorità assoluta in economia è la giustizia, per i neoconservatori è l’accumulazione capitalistica a beneficio di poche tasche dei potentati economici. La nostra priorità assoluta nel campo delle relazioni internazionali sono la pace, l’equità e l’opportunità per tutti. Quella dei neo-conservatori è il rafforzamento dell’impero. Se vogliamo riuscire a resistere a questo progetto che i neoconservatori hanno per il mondo, dobbiamo conquistare il cuore e la mente delle persone religiose in tutto il globo. Come il movimento per l’abolizione dei debiti internazionali per i Paesi poveri, la mobilitazione di una forza religiosa potrebbe fare la differenza.