Tutto perché la guerra passi
La guerra in Iraq, secondo la dottrina Bush, è stata fatta per esportare in quel Paese la democrazia e combattere il terrorismo. Dopo più di un anno, il terrorismo internazionale è più che mai minaccioso e l’Iraq è in fiamme. Le vittime sono state tantissime, e tra queste bisogna comprendere anche l’informazione. Nonostante l’attenzione spasmodica e la costante copertura di immagini, i grandi media non ci hanno dato la percezione esatta della realtà, perché non ci hanno quasi mai raccontato la guerra dal punto di vista degli Iracheni.
Nella storia è sempre successo. Le guerre sono state narrate più dai vincitori che dai vinti, e più dagli aggressori che dagli aggrediti. E questa guerra non ha fatto differenza. Chi ha voluto il conflitto ha cercato in tutti i modi di legittimarlo utilizzando gli organi di informazione. Caso emblematico, quello dei giornalisti “embedded”, che avrebbero dovuto darci un’informazione “dal basso” ma hanno potuto darci, inevitabilmente, il solo punto di vista dei presunti “liberatori”.
Altro caso emblematico, l’uso delle immagini di Saddam ridotto a un barbone cencioso. Nell’era della tv e della comunicazione globale, un fotogramma può valere più di una bomba. In questo caso immagini e bombe sono state utilizzate con la stessa disinvoltura. L’importante era legittimare la guerra.
Nell’era dell’informazione globale, però, notizie e immagini hanno la tendenza, sgradevolissima per i potenti, a vivere di vita propria, a trovare propri canali di trasmissione e diffusione, al di là della volontà imposta dai padroni del vapore. Così, squarci di verità vengono comunque alla luce. È successo con i diari dei soldati americani diffusi on line, sta succedendo di nuovo con le foto dei prigionieri iracheni torturati dai soldati dei Paesi andati lì per esportare la democrazia, e succede con il video, mandato in onda in Francia da Canal Plus, che mostra tre iracheni inermi uccisi da un tiratore scelto a bordo di un elicottero Usa e fa sentire anche la voce del superiore che, via radio, ordina al tiratore di finire l’uomo ferito: “Bene, spara, colpiscilo!”.
In una democrazia, in ogni vera democrazia, questa tendenza insopprimibile dell’informazione, questa forza che le permette, nonostante tutto, di produrre verità dovrebbe essere incoraggiata e valorizzata. Da noi vediamo invece che non è così. Il bene deve stare tutto da una parte e il male tutto dall’altra. Non sono ammessi dubbi. Soprattutto, si deve evitare a ogni costo che le cose possano essere considerate dal punto di vista degli “altri”.
Provincialismo e cinismo si mescolano producendo nefandezze. Quattro italiani vengono rapiti in Iraq? Ecco quello che succede. Un ministro degli esteri gestisce la prima emergenza dalla poltrona di uno studio televisivo anziché dal suo ufficio e lascia che i parenti dell’ostaggio ucciso ricevano la notizia dalla tv. Gli stessi media che guardano distrattamente alle vittime irachene dedicano ore di trasmissione e fiumi di inchiostro ai quattro nostri connazionali rapiti, con un disgustoso assedio ai parenti, per ripetere continuamente le medesime banalità.
Lo stesso governo che, per celebrare le proprie capacità, in un primo tempo fa filtrare un certo tipo di notizie (“Abbiamo stabilito il contatto, la liberazione avverrà presto”) quando capisce che non è più in grado di gestire la vicenda a proprio vantaggio fa spegnere microfoni e telecamere. Non sono solo fatti nostri. Gli “altri”, quelli che noi pensiamo lontani e di cui non ci curiamo, in realtà ci guardano. E giudicano. Qualche giorno fa il vescovo caldeo di Baghdad, Slamon Warduni, mi ha detto: “Voi occidentali dovete fare attenzione. Qui da noi la gente si irrita quando vede che dedicate tanta attenzione ai vostri rapiti e non vi occupate delle sofferenze degli Iracheni”.
Aldo Maria Valli, giornalista Tg3