Pax americana o pax christi?
Le proteste di Ft. Benning (cfr. Mosaico di pace del mese scorso) sono la dimostrazione che il movimento cattolico per la pace negli Stati Uniti non è limitato a un ristretto gruppo di “fanatici disadattati”, ma si è esteso alle scuole, alle parrocchie e agli ordini religiosi. Sebbene solo un numero limitato di vescovi cattolici abbia partecipato attivamente al movimento negli Stati Uniti, nessuno vi è rimasto insensibile. Nel 1998 cinquantaquattro vescovi statunitensi hanno fatto un appello pubblico al Congresso chiedendo la fine delle sanzioni contro il popolo iracheno.
Il più conosciuto tra i vescovi americani per la sua difesa della pace è il vescovo settantatreenne Thomas Gumbleton di Detroit. Come fondatore e primo presidente di Pax Christi negli USA, Gumbleton ha appoggiato per anni molte cause impopolari, difendendo i prigionieri cubani, gli afro-americani vittime della discriminazione, i cattolici gay e, più recentemente, gli americani musulmani perseguitati e arrestati senza processo. Si è opposto agli arsenali nucleari, alla Guerra del Golfo del 1991, alle sanzioni contro l’Iraq, al bombardamento dell’Afghanistan e alla guerra contro l’Iraq.
Una nazione pacifica?
Egli è, tra i vescovi cattolici, anche il più acuto analista della politica estera statunitense. Nel luglio del 2002 ha affermato che ai cristiani americani oggi si offre la possibilità di scegliere o di appoggiare la pax americana o la pax Christi. Il vescovo ricorda che George Bush, annunciando il bombardamento dell’Afghanistan, affermò: “Siamo una nazione pacifica! ... Questa è la vocazione degli Stati Uniti – la nazione più libera al mondo, una nazione costruita su valori fondamentali che rifiutano l’odio, rifiutano la violenza, rifiutano gli assassini e rifiutano il male”. Eppure, continua il vescovo, dal 1945, questa nazione “pacifica” è stata di fatto in guerra e ha bombardato la Cina (1945-1946, 1950 1953), la Corea (1950, 1953), il Guatemala (1954, sostenendo una guerra “a bassa intensità” in cui duecentomila persone hanno perso la vita), l’Indonesia (1958), Cuba (19591960), lo Zaire (1964), il Perù (1965), il Laos (1964-1973), il Vietnam (1961-1973), la Cambogia (1969-1970), Grenada (1983), la Libia (1986), El Salvador (in un conflitto “a bassa intensità” per tutti gli anni Ottanta), il Nicaragua (sempre negli anni Ottanta), Panama (1989), l’Iraq (1991-2004), la Bosnia (1995), il Sudan (1998), la Jugoslavia (1999) e, al tempo del suo intervento, l’Afghanistan.
Secondo il vescovo Gumbleton, la pax Americana inseguita oggi non è il risultato dell’11 settembre, ma è già stata proposta sin dal 1992 in documenti strategici da Cheney, Wolfowitz e altri individui influenti dell’attuale amministrazione statunitense. L’obiettivo della politica estera statunitense è, in breve, “mantenere la posizione degli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale e non permettere ad altre superpotenze di emergere”. Concretamente questo significa “preparazione militare”, “attacchi preventivi,” “controllo delle risorse primarie” come il petrolio, e rifiuto degli accordi internazionali come il trattato sui missili antibalistici, il trattato per la completa sospensione dei test nucleari, gli accordi di Kyoto, il trattato per l’eliminazione delle mine terrestri, e l’autorità del Tribunale Penale Internazionale nel giudicare i criminali di guerra. In breve, il militarismo è insito negli obiettivi politici dell’attuale amministrazione USA.
Il ruolo dei gesuiti
In quanto principale ordine religioso maschile degli Stati Uniti, che possiede alcune delle più prestigiose scuole e università cattoliche del Paese oltre a una rete di scuole per i poveri delle aree urbane, i gesuiti sono stati una delle comunità religiose maggiormente influenzate dall’esempio e dall’ispirazione dei fratelli Berrigan. L’attivista gesuita John Dear, arrestato più di settantacinque volte per proteste antibelliche, combina il pacifismo cristiano con l’impegno sociale e le attività accademiche. Ha scritto diciassette libri su pace e giustizia, ha lavorato in centri di accoglienza per i senzatetto, in mense per i poveri e centri sociali, e ha scontato diversi anni in carcere. Dopo il suo arresto per aver tentato di trasformare a martellate un caccia bombardiere in aratro in una base aerea, il giornale locale ha scritto: “Il sistema di giustizia penale ha moltissimi criminali autentici di cui preoccuparsi. Si concentri su coloro che danneggiano il mondo, non su quelli che cercano di salvarlo”.
Joseph Mulligan, uno dei quattro gesuiti arrestati nella protesta contro la SOA (la Scuola di guerra) a Ft. Benning, iniziò uno sciopero della fame durante il primo giorno di reclusione. Annunciò in una dichiarazione pubblica le sue richieste e obiettivi: che il Congresso statunitense chiuda la SOA e rinunci alla sua politica di addestramento di dittatori, assassini e torturatori latino-americani; che il governo statunitense interrompa l’addestramento e l’equipaggiamento di forze armate in America latina; che le truppe statunitensi si ritirino dall’Iraq in modo che la popolazione irachena possa governare autonomamente il Paese; che il governo statunitense e quello dell’Honduras rendano pubbliche tutte le informazioni su Fr. James Carney, un gesuita americano scomparso in Honduras nel 1983 dopo aver operato come cappellano per un gruppo di ribelli.
Alcuni diplomati presso la SOA dell’esercito delle Honduras sono stati coinvolti nella scomparsa di Carney e sospettati della sua tortura e del suo assassinio. Il coinvolgimento di gesuiti in proteste nonviolente va al di là del ristretto numero di singoli profeti. La rete di scuole e università gesuite ha forse avuto un’importanza più significativa per l’ampliamento del movimento pacifista. La fondazione della Family Teach-In nelle università gesuite e nella maggior parte delle scuole superiori è stata una base istituzionale per la formazione di una nuova generazione di attivisti. La manifestazione dello scorso novembre a Ft. Benning annoverava duemilacinquecento studenti e professori di istituzioni gesuite con un programma che andava ben oltre la chiusura della SOA ma si estendeva alla pena di morte, alle guerre in Irak e in Afghanistan, al conflitto in Colombia finanziato dagli Stati Uniti, al problema della fame e al conflitto israelo-palestinese.
Nell'America di Bush
L’importanza del movimento pacifista cattolico risiede nel rifiuto delle convinzioni di comodo di molti americani che gli Stati Uniti siano la più perfetta incarnazione del mondo di virtù civili, con una missione divina di guidare il mondo verso una pax americana di pace, giustizia e prosperità. Questa visione, propagandata da molti politici, comprese figure chiave dell’amministrazione attuale di Washington, adotta un immaginario biblico per ritrarre gli americani come “eletti” da Dio, destinati a diffondere la pax americana. Per esempio, nel suo messaggio sullo Stato dell’Unione nel 2003, il presidente Bush ha dichiarato: “C’è potere, un potere miracoloso, nella bontà, nell’idealismo e nella fede del popolo americano”. La frase è tratta da un noto inno evangelico che recita: “C’è potere, un potere miracoloso nel sangue dell’Agnello”. Nel discorso del presidente, il “sangue dell’Agnello”, riferito a Gesù Cristo, è stato sostituito da “la bontà, l’idealismo e la fede del popolo americano”.
I cattolici, come gli ebrei, gli afro-americani, gli ispanici e poi i gruppi immigrati quali i musulmani, tutti coloro che hanno spesso patito la discriminazione e a volte la persecuzione negli Stati Uniti, tendono a essere scettici e sospettosi delle dichiarazioni di “religione civile”. L’artificiosa costruzione mentale di una “eredità giudaico-cristiana” è stata ideata per estendere il dominio della religione nazionale, per coinvolgere cattolici ed ebrei, oltre alla tradizione protestante, numerosamente maggiore. Tuttavia questi gruppi non possono dimenticare che il patriottismo americano ha spesso nascosto atteggiamenti tendenti alla xenofobia, all’odio e al razzismo. Il Ku Klux Klan era solito tenere i suoi raduni sotto una bandiera americana ben spiegata.
Il movimento pacifista cattolico, dal tempo di Dorothy Day in poi, ha cercato vigorosamente di distinguere tra il messaggio cristiano, che è universale e non è legato ad alcuna nazionalità, e la “fede nazionale” che, come tutte le forme di religione fondamentalista, è suscettibile di manipolazione per fini politici e geopolitici. Questo spiega la prontezza di molti membri del movimento a impegnarsi in atti di disobbedienza civile e di resistenza nonviolenta alla pubblica autorità legalmente costituita.
La consistenza numerica dell’attivismo cattolico per la pace non è mai stata molto ampia, anche quando si è inserito nel più vasto movimento di protesta nonviolenta, come nel caso della Campagna per l’uguaglianza razziale e per l’opposizione alla guerra in Vietnam, sia riuscito a influenzare la politica governativa e anche ad abolire leggi ingiuste. Originatosi da quei settori della Chiesa cattolica che non rivestono posizioni di potere, il movimento pacifista ha sostenuto una critica implicita di quelle persone (vescovi e politici) che ritiene abbiano compromesso i veri valori cristiani in favore delle ambigue pietà della religione civile. I vescovi e i politici, trovatisi in mezzo, hanno oscillato da una parte e dall’altra. Nei mesi antecedenti la guerra in Iraq i vescovi hanno fatto delle dichiarazioni secondo le quali la guerra proposta non corrispondeva alle condizioni di guerra giusta secondo l’insegnamento cattolico. Eppure, quando si è intrapresa la guerra e tutti gli americani sono stati chiamati ad appoggiarla, i vescovi sono rimasti in silenzio. Si prevede che questa ambiguità, che ha caratterizzato la risposta della Chiesa cattolica alle autorità civili e alla religione nazionale, continui negli anni futuri.
Thomas Michel, S.J.
Traduzione di Annalisa Bellofiore – Traduttori per la Pace