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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Fabio Corazzina - Renato Sacco

Iraq, quelle domande scomode

"Mosaico di pace" dicembre 2003

Il sole sta tramontando sulla lunga strada nel deserto che da Baghdad va verso la Giordania. Stiamo cercando di condividere qualche riflessione, senza raccontare di padre Louis Sako, che a Mosul il 14 novembre è stato consacrato vescovo, a servizio (si è messo il grembiule durante la cerimonia…) della diocesi di Kirkuk. Ne parleremo in un altro momento. Veniamo a qualche considerazione al termine di questo viaggio in Iraq, il terzo in meno di un anno, una settimana vissuta a Mosul e a Baghdad, dal 12 al 19 novembre. Con noi c’è anche don Pietro, di Chiari. Improvvisamente l’autista si ferma, prende due viti e un cacciavite e scende. Nessun guasto, semplicemente mette la targa all’auto prima di arrivare in frontiera. A Baghdad non serve, e poi c’è anche il rischio che te la rubino. Riprendiamo la strada, sfogliando gli appunti di viaggio.

12 novembre 2003, attentato terroristico a Nassirya ai danni del contingente italiano: 19 morti italiani, 9 irakeni e 4 stranieri. Chester Egert, cappellano militare dell’esercito Usa: “Siamo venuti in Iraq perché Saddam doveva essere fermato in quanto troppo pericoloso; perché l’Iraq era collegato ad Al Qaeda e preparava attentati terroristici in Iraq e in tutto il mondo. Noi cappellani militari abbiamo il compito di sostenere lo spirito dei soldati. Siamo qui non per fare la guerra ma per portare pace, e in alcuni casi la pace va imposta, come stiamo facendo qui”.

Domenica 16 novembre, Giovanni Paolo II: “Non di muri ha bisogno la terra santa, ma di ponti”. Molte persone lo hanno ascoltato in tv e ci dicono: Papa very good!.
Chiediamo a Kais, giovane irakeno di Mosul tre parole che definiscano il vissuto dei giovani in Iraq. Risponde così: disperazione, speranza, paura.

In Iraq la situazione sembra peggiorare su tutto il territorio. C’è ancora guerra e si manifesta in tre modi: sabotaggio, guerriglia, attentati terroristici.
Mons. Warduni, amministratore Patriarcale della Chiesa Caldea ci dice: qui la situazione non può continuare così, cresce la paura, l’insicurezza, si rischia che cresca il rifiuto verso gli stranieri. Si rischia anche una guerra civile.
18 novembre, partecipiamo anche noi, a Baghdad, a una celebrazione presieduta dal nunzio mons. Filoni, per le vittime italiane di Nassirya. Citando le Beatitudini dice che “è santo chi opera per la giustizia e la pace. Creare le condizioni perché giustizia e pace siano stabilite esige lungimiranza, coraggio, perseveranza, di fronte ai conflitti multinazionali”. Non c’è spazio per le parole forti del Papa pronunciate nei mesi scorsi. Si ha un po’ la sensazione di essere a un ricevimento diplomatico… Poi alla sera, vediamo in tv alcune immagini e commenti dei funerali in Italia e ci guardiamo senza parole. Spegniamo la tv e usciamo nel cortile a far due tiri a pallone con Carlo, un ragazzino nostro amico.
Da lontano si sentono forti scoppi di bombardamenti aerei.

In conclusione, alcune domande mentre l’aereo sta atterrando a Malpensa.
È finita la guerra in Iraq? Cosa ci fanno lì i soldati italiani? Qual è il loro mandato specifico?
Chi sono gli italiani in Iraq oltre ai militari? Quante sono le vittime irachene di questa guerra?
Questa guerra era stata dichiarata illecita e immorale: lo è ancora?
La “guerra preventiva” che ha provocato tutto questo, come va valutata?
Cos’è una azione di peacekeeping?
I cristiani in Iraq cosa pensano e come vivono questo momento? Il popolo iracheno che prospettive ha? L’Onu è ancora in Iraq?
Quale è il rapporto degli americani con la popolazione? Cosa vuole fare l’America, visto che sono loro a guidare il gioco?
Quali sono le nostre fonti di informazione? Attraverso chi conosciamo l’Iraq?
Combattere il terrorismo giustifica comunque la guerra e le azioni violente? E il diritto internazionale?
Perché noi cristiani non scegliamo la nonviolenza e l’invio di corpi civili di interposizione più che di militari?
Il Papa ha detto all’inizio della guerra: “Chi ha deciso di fare questa guerra dovrà rispondere alla propria coscienza, a Dio e all’umanità”.

articolo tratto da Mosaico logo

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