Iraq: una possibilità, per ora!
Dal 22 al 30 maggio scorso, Fabio Corazzina e Renato Sacco, delegati della sezione italiana di Pax Christi, hanno visitato il nord dell’Iraq, Mussul, Bagdad e parte del Kurdistan iracheno. La visita compiuta aveva i seguenti obiettivi: esprimere solidarietà spirituale e concreta alla popolazione irachena, ritrovare le comunità incontrate prima della guerra e riallacciare tutti i contatti forzatamente interrotti, raccogliere e ascoltare la lettura della realtà da parte delle comunità irachene, al fine di valutare e preparare future esperienze di scambio con le medesime comunità.
Rientriamo in Iraq dopo alcuni mesi e soprattutto dopo la guerra che in pochi giorni lo ha travolto. Alla frontiera, totalmente desolata e in stato di abbandono, non vedo irakeni, solo soldati americani che ci domandano se portiamo materiale esplosivo; si proprio sì, lo chiedono a noi, loro che di esplosivo in Iraq ne hanno scaricato a tonnellate, e di ogni tipo. Così l’Iraq ci accoglie. Poi l’incontro con Padre Luis Sako, sacerdote cristiano caldeo, un amico che ci ha ospitato a Mosul (l’antica Ninive). Dialogando con lui ci accorgiamo che uno dopo l’altro emergono, con una discreta chiarezza, alcune annotazioni interessanti:
L’Iraq per ora è una possibilità, dipende soprattutto da noi quel che sarà, da noi e dagli americani, perché nulla accadrà senza il loro consenso. Saddam Hussein è ormai una leggenda (come Alì Baba), nessuno ne vuole parlare, pochi riescono a spiegarsi, dopo la visita ai suoi palazzi completamente devastati, come abbia potuto rubare tanto al popolo e trascinarlo in una ulteriore e inutile guerra. Le Mafie, curde, iraniane, kuweitiane, irakene, hanno fatto proprio bene la loro parte saccheggiando case, palazzi, musei, uffici, scuole, università … ora stanno trasportando il bottino oltre frontiera, ormai priva di controllo, e presto godranno i benefici delle vendite.
Il ruolo del papa e delle sue affermazioni per la pace e la soluzione nonviolenta del conflitto accanto alla risonanza delle manifestazioni, per le strade delle città di tutto il mondo, contro la guerra hanno convinto il popolo irakeno che non si trattava di una crociata contro l’Islam e tanto meno di una guerra di religione, ma di ben altra cosa.
Anche per i cristiani, piccola minoranza in Iraq, l’impegno resta quello di dare il meglio sul piano sociale, educativo e politico e di collaborare alla ricostruzione del Paese nonchè alla definizione della nuova Costituzione di un Iraq pluralista, democratico e capace di incarnare il nuovo diritto internazionale della persona e dei popoli. Ci lasciamo con una domanda: questo dopoguerra darà dignità alle persone, a un popolo, alla sua cultura e all’educazione oppure sarà la rincorsa ad accaparrarsi l’appoggio e il silenzio di un popolo umiliato? Le tante promesse si faranno storia?
Continua il nostro breve viaggio che ci fa incontrare sempre più spesso i soldati americani. Il 5% di loro ha origini irakene, … mi ricorda tanto l’uso che venne fatto dagli invasori europei delle guide indiane per stanare i popoli nativi di america. Queste guide e traduttori non vogliono mai farsi fotografare con i soldati, preferiscono l’anonimato; pare chiaro il motivo. Il 100% dei soldati è armato con armi italiane, in particolare la Beretta calibro 9, di 15 colpi: “extraordinary” ci dicono commentando l’arma; grazie Brescia!
Per due giorni siamo in Kurdistan, la “Svizzera” dell’Iraq, verde, coltivato, pulito, senza alcun segno di guerra: Dohoc, Erbil, Accra, Al Amadijah, Shaklawa, … la protezione internazionale ha funzionato. Molti cartelli indicano i progetti finanziati dalle agenzie Onu: Unesco, Unicef, Undp, Fao… Ogni tanto compaiono le tende degli sminatori che ricordano un non lontano passato di violenza.
Man Mano che ci si avvicina a Baghdad, i segni della guerra sono evidenti, più che al nord. Ho la sensazione che Baghdad sia ora una città carica di grande negatività, Più mi avvicinavo, più sentivo le forze diminuire. La rabbia, la violenza, l’odio, la distruzione, la vendetta che hanno posto la loro tenda qui, in questo periodo, travolgono le persone che vi giungono. Ho la certezza che qui più che camminare ora ci si trascina, più che sperare ci si accontenta, più che convivere ci si sospetta, più che sentirsi liberi si è solo cambiata gabbia.
Incontriamo mons Slamon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e amico, ci accoglie con queste parole: “Come prevedevo, e come vi avevo detto in Italia, la guerra non risolve niente. Ci sono altri strumenti più efficaci. Si è parlato di Iraq liberato; ma cosa si è liberato? Guardate la mia città! La libertà è frutto di educazione e partecipazione, non di violenza. Dove è la libertà se uno non è sicuro a casa sua? Se non c’è sicurezza come andare a scuola, coma ricominciare a lavorare, come ricostruire? Siamo sospesi fra cielo e terra qui a Baghdad, non sappiamo cosa c’è e cosa ci sarà? Gli americani, la promessa di liberazione, il sogno sporcato della libertà, o meglio il caos e la legge del più forte, questo è l’Iraq per molti irakeni: è questo il nuovo ordine mondiale?” “A Baghdad i giorni sono pesanti, a volte pesano settimane, a volte addirittura mesi” ci dice Simona, volontaria di Un ponte per.
“Ricordate: Dio non ha creato la morte e non vuole la morte degli uomini. Ha creato le cose perché esistano. Le forze presenti nel mondo sono per la vita e non hanno in sé nessun germe di distruzione”. (Sapienza 1, 13-14).
Questo mi fa sperare.