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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Adel Misk

Uguale il sangue uguale il futuro

"Mosaico di pace" dicembre 2003

The Parents’ Circle, 500 famiglie palestinesi e israeliane colpite dalla morte di un congiunto. Insieme per cercare la pace.


The Parents’Circle è una associazione che comprende famiglie e persone – sia palestinesi che israeliane – che hanno perso parenti nel lungo e sanguinoso conflitto tra Israele e Palestina tuttora in corso. Abbiamo deciso di costituire questa associazione per tentare nuove vie di soluzione pacifica al conflitto. Vogliamo contribuire alla ricerca di un dialogo a partire dall’esperienza di un lutto personale. 500 famiglie (250 palestinesi e 250 israeliane) sono membri di questa associazione, fondata nel 1994 da un amico israeliano che ha perso un figlio. La

sua idea di cercare un dialogo tra famiglie israeliane e palestinesi sembrava inizialmente una follia. In realtà non solo non è una cosa assurda, ma è un’idea ottima e a noi sembra ora essere persino l’unica via possibile, dopo anni di guerra e di lutti: parlare e cercare un dialogo. La guerra prosegue, il numero dei morti nel conflitto cresce ogni giorno e l’odio nella gente si propaga.

Il lutto e il dialogo
Abbiamo cominciato a incontrarci vincendo le reciproche diffidenze e pregiudizi e abbiamo scoperto con sorpresa che avevamo molte cose in comune: un lutto e un grande dolore, innanzitutto, da entrambe le parti. Io ho perso un figlio, una mia amica sua figlia, chi il padre, chi la madre o la sorella… Stiamo patendo lo stesso dolore, pur non parlando la stessa lingua perché il lutto non ha razza né lingua, ma è uguale per ognuno. Così come è uguale il nostro sangue e il nostro futuro: vogliamo vivere in pace, senza più guerre. Desideriamo vivere in pace, insieme, Palestinesi e Israeliani.
In questo modo è nata l’associazione: da un lato un dolore che ci accomuna e che desideriamo condividere, dall’altro la ricerca di un futuro per tutti e di una vita serena, senza guerre. Nonostante l’idea era bella e condivisa, non è stato facile iniziare questa esperienza, perché non è cosa semplice elaborare un lutto e una storia personale e parlarne serenamente per poter contribuire a impedire che il conflitto provochi altri lutti.
Un rischio molto concreto che abbiamo imparato a conoscere subito era che l’associazione rimanesse chiusa tra noi, 500 famiglie. In questo modo il nostro scopo sarebbe stato esclusivamente quello di promuovere la conoscenza reciproca tra i parenti delle vittime e di sostenerci gli uni gli altri nel nostro dolore. Abbiamo capito che una tale impostazione avrebbe portato a un ripiegamento dell’iniziativa su se stessa. Ci siamo imposti quindi di aprirci scendendo per strada. La prima iniziativa è stata la donazione reciproca di sangue: un gruppo di Palestinesi ha donato il sangue a persone israeliane e viceversa. Con questo abbiamo voluto dimostrare a tutti, che il nostro sangue è uguale e che ci costa caro.
A tutti, Palestinesi e Israeliani. E questo vale ovunque, per qualunque conflitto. Accanto a questa testimonianza eloquente del sangue ci proponiamo un ruolo educativo e culturale. La guerra ha radici anche nella consapevolezza sbagliata della storia e degli avvenimenti. Per questo motivo abbiamo deciso di impegnarci nella formazione soprattutto di coloro che hanno il potere di “contagiare” con la propria voglia di pace altre persone. Spesso ci rechiamo nelle scuole, incontriamo i giovani delle classi superiori – Israeliane e Palestinesi – consapevoli che essi sono il nostro futuro. Coloro che sono molto giovani oggi, presto saranno chiamati al servizio militare ad affrontare quella realtà molto dura che noi ben conosciamo. Si tratta di una situazione di guerra in cui sono chiamati a imbracciare un’arma o a

partecipare all’Intifada se sono Palestinesi. Il nostro scopo è di spiegare loro non solo le conseguenze della guerra di cui portiamo i segni, ma anche quali sono le cause di questo conflitto, quale è la storia…

Gli obiettori israeliani
L’appello che noi lanciamo si fonda comunque sull’auspicio del termine dell’occupazione dei territori palestinesi. Noi diciamo “no all’occupazione” e lavoriamo perché termini questa situazione di ingiustizia. Stiamo collaborando con Nevè Shalom per installare una linea telefonica diretta tra i diversi territori affinché Palestinesi e Israeliani possano parlarsi tra di loro. Non tutti sanno che attualmente questa possibilità viene loro impedita. La nostra azione non si esaurisce qui e diamo vita ad altre iniziative che partono dalla sofferenza che ciascuno di noi ha vissuto.
Sempre più diffusa tra i giovani israeliani, l’obiezione di coscienza è un fenomeno ristretto alla parte israeliana. A nostro avviso il problema sta nell’occupazione dei territori. L ’obiezione di coscienza è un segnale importante che però non deve distrarci dalle cause della guerra. È necessario porre fine alla occupazione dei territori palestinesi! Perché vengono uccisi? Se non ci fosse l’occupazione non vi sarebbero morti. Soprattutto ora che l’occupazione dei territori è giunta anche in Cisgiordania, molti giovani vengo uccisi. Non riusciamo a comprendere che senso abbia ammazzare un ragazzo di 22 anni, che personalmente non ha alcuna colpa. Ha suscitato viva impressione la recente uccisione proprio di uno di quei giovani che avevano dichiarato di non essere d’accordo, per motivi di coscienza, con l’uso delle armi per la soluzione del conflitto. L’obiezione quindi serve, è un gesto significativo e importante, ma la soluzione vera del conflitto è nella cessazione dell’occupazione.
L ’associazione, pur riconoscendosi in un ruolo di formazione e di ricerca di dialogo, ha lanciato un appello al governo israeliano, la cui politica non è da noi affatto condivisa. I leader palestinesi condividono il nostro lavoro e gli obiettivi che ci poniamo e ci sono accanto. Il nostro vero interlocutore è il governo israeliano, a cui rivolgiamo il nostro accorato appello: cessate l’occupazione.

articolo tratto da Mosaico logo

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