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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Nandino Capovilla

Grandiosa è la pace

"Mosaico di pace" marzo 2006

Raggiungere un accordo. Di pace. Di convivenza pacifica. Tra Israeliani e Palestinesi. Due drammi che si intrecciano e da cui si può uscire solo insieme. L’intervista a Moni Ovadia in esclusiva per Mosaico di pace.


Non smette in battello di parlarmi di pace tra i popoli. Di pace auspicabile: basta farla accadere. Di pace dolorosa, perché bisogna scavare fino in fondo in se stessi per fare spazio all’altro. Di pace necessaria, perché l’alternativa è soccombere tutti. Di pace dignitosa, perché dall’umiliazione del più debole non può nascere una pace giusta e duratura. Tra le onde lagunari, in un battello urbano all’ora di punta, chiedo a Moni Ovadia di parlarmi di pace possibile tra Israele e Palestina. E di nuovo la sua voce si leva calda e appassionata, ora sopra quelle dei turisti con le valige e dei veneziani con le ‘sporte’ della spesa. Lui parla. E qualcuno attorno comincia ad ascoltare.

Moni Ovadia, qual è oggi il bene che possiamo desiderare per Israele?
Il bene di Israele oggi è contestuale al bene dei Palestinesi e viceversa. Israele non vivrà mai bene con se stesso, finché non si misurerà con l’infelicità e il dramma del popolo palestinese: altrimenti sarà come un verme che corrode la grande fibra etica della storia ebraica. D’altro canto, per paradosso, se Hamas con l’aiuto del presidente iraniano e degli hezbollah riuscisse a distruggere Israele, si iscriverebbe nella linea ereditaria di Hitler, e questo corromperebbe la gloria dell’islam, o di quella parte dell’islam. Non ha senso. I due popoli si assomigliano, sono fatti per capirsi. È la guerra che scompagina, distrugge e corrompe, che fa degenerare i rapporti. Nel Talmud è scritto ‘Grandiosa è la pace’.

Quale pace e con chi?
La pace la si fa con il nemico. La pace è la più difficile delle guerre, perché bisogna scavare dentro se stessi: bisogna che nel proprio cuore trovino spazio le ragioni dell’altro. Oggi Israele si trova in scacco con Hamas: ma ha largamente contribuito a creare questo risultato, perché ha sempre usato la logica della forza. Ora sarà difficile, ma bisogna fare in modo che la vocazione alla guerra di Hamas non trovi ragioni. Bisogna mettere Hamas nella condizione di tirare fuori la parte migliore di sé. Hamas non è solo un’organizzazione che ha usato il terrorismo: ha fatto anche un grande lavoro di welfare con i vecchi, i bambini, con tutto il popolo palestinese. Bisogna dire loro: “Questa è la vostra vera vocazione. Potete fare il bene di vecchi, donne e bambini, mentre uccidete altri vecchi, donne e bambini?”. È una contraddizione in termini! L’islam è la via della pace, custodisce in sé un grande pensiero di pace e fratellanza. Uno dei nomi di Allah è ‘Pacifico’. Non si possono costruire pace e fratellanza con l’odio e la violenza. Cerchiamo la reciproca dignità. Israele oggi deve avere il coraggio finalmente di dire: “Siamo pronti a vivere in pace sui confini del 1967. Siamo pronti a restituire alla fede dell’islam e alla dignità palestinese Gerusalemme est”. Bisogna fare una pace vera. È molto meglio che ci sia un Israele più piccolo ed eticamente alto, che un Israele-ghetto, militarizzato e blindato.

Vi è sempre l’impressione, confermata ora anche dalle decisioni di Olmert, che Israele cerchi di attivare il processo di pace solo attraverso gesti unilaterali. Ma tu dicevi che la pace si fa con il nemico…
Israele vive nel consenso dei popoli con molta difficoltà, bisogna riconoscerlo. Ha vissuto l’angoscia di avere vicino un’organizzazione palestinese che per troppo tempo ha affermato: “Vi vogliamo cancellare. Non vogliamo la pace con voi a certe condizioni”. Tutto si può capire. Ma Israele è anche un Paese molto potente e armato, ben protetto da alleati. Si può permettere il primo passo, che è quello di restituire ai Palestinesi la dignità come popolo e come nazione. Quando Hamas guiderà uno Stato vero, nel consesso internazionale, dovrà abbandonare un certo linguaggio. E abbandonato il linguaggio, abbandonerà anche la pratica. Bisogna tendere una mano ad Hamas e al popolo palestinese. Quando i Palestinesi avranno un vero Stato; quando la questione dei profughi del 1948 verrà analizzata in un quadro etico, di risarcimento simbolico e concreto; quando incominceranno a intravedere la prospettiva di una buona vita, avranno voglia di vivere e non di distruggere il loro vicino. Bisogna instaurare un circuito virtuoso.

Ma c’è una realistica speranza che qualcosa cambi?
Se io nel 1947 fossi andato a Parigi, e in Place de la Concorde avessi tenuto un comizio proclamando: “Non ci saranno più confini tra Francia e Germania”, sarei stato prima preso a botte e poi rinchiuso in manicomio! Oggi non ci sono più confini tra Francia e Germania. Il mondo è difficile, a tratti terribile: ma i cambiamenti sono possibili. Se nel 1960 avessi detto in Sudafrica che

Mandela avrebbe fatto ciò che ha fatto, tutti avrebbero riso, così come tutti risero quando Gesù, sotto l’impero romano, disse: “Beati gli ultimi perché saranno i primi”. Vedeva molto più lontano di quanto noi siamo in grado di vedere oggi. Lui come Abramo, perché erano grandi uomini. Noi siamo fragili e riusciamo solo ad arrancare. E nonostante questo, le cose possono cambiare: solo che il processo è lungo, ci vuole pazienza e ognuno deve fare la propria parte.

Molti credono che una soluzione nonviolenta al conflitto israelo-palestinese sia possibile.
È l’unica soluzione possibile. Una soluzione violenta metterà solo il coperchio ad altra violenza. Così è successo nella ex Yugoslavia: Tito era un grande statista: ha vinto contro i nazifascisti. Ma non ha fatto i conti con il risentimento, non ha giudicato i colpevoli, non ha avviato un dialogo profondo e doloroso. E questo ha provocato 300.000 morti. Un giorno – e te lo dice l’ebreo Moni Ovadia – gli Israeliani dovranno dire ai Palestinesi: “Ci scusiamo per le vessazioni che vi abbiamo fatto subire. Non volevamo questo, ma abbiamo avuto grandi responsabilità. Siamo stati miopi”. I Palestinesi dovranno dire una sola cosa: “Ci scusiamo per aver detto che vi volevamo cancellare”.

La comunità internazionale, l’Europa in particolare e l’Italia ancor più scandalosamente, hanno delle responsabilità nella mancata risoluzione della questione israelo-palestinese…
Per Gerusalemme si dovrebbe trovare uno statuto particolare: la sovranità politica della città dovrebbe essere condivisa da Palestinesi e da Israeliani: la parte araba ai Palestinesi, quella ebraica agli Israeliani. Per i luoghi santi, dentro questa comune sovranità, si dovrebbero stilare degli accordi internazionali. Per la cristianità infatti non è importante la sovranità politica, ma l’accesso spirituale ai luoghi santi. Bisognerebbe poi cercare in Gerusalemme un luogo dove ospitare tutte le discussioni per la pace universale. Ma attenzione: secondo me è un grandissimo errore, che irrigidisce molti Israeliani, affermare che il problema della violenza del mondo si risolverà risolvendo il conflitto israelo-palestinese. Non crediamo che se ci sarà la pace in Medio Oriente, tutti gli altri popoli faranno la pace. Ed è un po’ ideologico e tipico della protervia occidentale credere di essere l’ombelico dell’universo. È importante che ci sia pace a Gerusalemme perché è la culla delle tre religioni monoteiste, certo. La Chiesa cattolica può svolgere in questo un ruolo cruciale, ma deve ricordarsi di essere cristiana. Dico questo con immenso affetto. Per Cristiani ed Ebrei i Vangeli e la Bibbia sono rivelati. Ma noi che viviamo oggi abbiamo solo la storia di questa rivelazione: non possiamo a nessun titolo imporla agli altri.

articolo tratto da Mosaico logo

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