Strumenti di animazione

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Forse non ci sarà genocidio

"Il Regno" n. 22 del 1995

Aspettandosi da qui un secondo genocidio, dopo quello del Ruanda vicino, la comunità internazionale ha commesso un errore e ha spinto i burundesi al crimine: alla vigilia della sua partenza, le parole amare del rappresentante speciale ONU, il mauritano Ould Abdallah, riassumono sinteticamente la situazione del paese. Strenuo promotore della diplomazia preventiva, con pochi mezzi a disposizione (la missione ONU in Ruanda prima del genocidio costava 2 milioni di dollari al giorno; quella di Abdallah 1.000 dollari), in due anni di missione diplomatica egli ha spento molti degli incendi divampati nel piccolo stato, mediando, componendo, negoziando con tutte le parti in causa. Il genocidio non c'è stato, ma la situazione è in stallo. Il governo d'unità nazionale non riesce a regolare le questioni d'ordine interno, specialmente nell'esercito (roccaforte tutsi), che ha funzioni anche di polizia, e tra i miliziani hutu; manca credibilità al sistema giudiziario.

Si capisce tra l'altro quanto sia stato scarso l'interesse internazionale verso il Burundi. Senza aiuti la situazione economico-sociale acuisce la polarizzazione etnica, dando ragione a chi, tra gli estremisti pensa che solo con la forza si potrà ottenere qualcosa. Prima conseguenza: le organizzazioni non governative si sono ritirate dal Burundi per questioni di sicurezza.

Le continue minacce da parte delle fazioni hutu o tutsi ha poi costretto al ritiro anche molti missionari. Dall'assassinio di Melchior Ndadaye il primo presidente democraticamente eletto nell'ottobre 1993, 12 sono stati i sacerdoti uccisi, 3 i religiosi, 2 preti feriti, 6 vescovi hanno subito attentati. Il 30 settembre, poi, venivano uccisi a sangue freddo due missionari saveriani e una volontaria laica, colpevoli di avere condannato la violenza e di aver prestato aiuto a chiunque, senza riguardi per l'etnia. Non si contano poi i numerosi laici, catechisti e membri della popolazione civile trucidati dall'una o l'altra parte: secondo i dati più recenti pubblicati da Amnesty International sono 100.000 le vittime di due anni di guerriglia. In particolare, il 14 novembre scorso i militari dell'esercito hanno circondato le colline di Gasarara e hanno massacrato le 200 persone che si erano rifugiate nella chiesa. L'"operazione" è durata otto ore: uccisione di eventuali superstiti, distruzione e incendio delle case, furti e saccheggi. Anche nel marzo 1995 si era avuta una strage delle medesime dimensioni, a cui si devono aggiungere quelle, numericamente più esigue ma più frequenti, che avvengono nei quartieri "ghettizzati" di Bujumbura e in altri centri.

Anche l'Unione europea si è interessata al Burundi con l'invio di delegazioni di osservatori: ma i diplomatici presenti nel paese hanno criticato l'esiguità della missione che ha portato in Burundi nel febbraio scorso una delegazione dell'UE. La proposta dell'invio di osservatori per i diritti umani è stata bocciata; oltre alle dichiarazioni e a una presa di posizione comune (tra marzo e giugno) nella quale si dichiara la disponibilità d'inviare aiuti che mirino a creare condizioni stabili di pace, non vi sono state iniziative che ponessero vincoli all'azione governo burundese.

Se vi sono dubbi sul livello dell'attenzione internazionale riservata al Burundi, è emblematico, denuncia la Caritas italiana, che il 17 agosto il Consiglio di sicurezza dell'ONU abbia tolto l'embargo sulla vendita di armi a Ruanda e Burundi.

L'inferno è la paura
"La violenza è ovunque... tutti, tutti temono il peggio", ha affermato il card. Etchegaray rientrato dal Burundi (17-21 novembre) per una missione umanitaria affidatagli dal papa. "Il vostro paese sta sprofondando in una sorta d'interminabile discesa agli inferi in cui tutti hanno paura di tutti... Non c'è niente di più terribile che la paura: essa rende l'uomo un animale... Non v'è niente di più infernale che vivere insieme quando il sospetto è diventato una moneta di scambio, quando la stampa e la radio si nutrono di dicerie e rancori" (omelia pronunciata a Bujumbura il 19.11; OR 20-21.11.1995,10). In queste parole vi è tutta l'idea del clima irrespirabile: "sento parlare di estremismo... sento parlare d'impunità e insicurezza... sento parlare del flusso crescente di armi date a individui o a gruppi... sento parlare della sorte dei rifugiati... sento parlare di difficoltà del dispiegamento dell'aiuto umanitario".

Una delle vie d'uscita è data dalla "figura originale della chiesa cattolica e dalle diverse confessioni cristiane" presenti nel paese. I vescovi cattolici sono in particolare impegnati in una campagna di riconciliazione nazionale che comprende anche la denuncia della violenza, perpetrata contro la chiesa stessa. Nella dichiarazione dei vescovi cattolici del 26 luglio scorso, Marciamo insieme verso la pace, essi affermano che "il paese attraversa l'epoca più triste della sua storia... la vita umana è calpestata e la violenza s'è radicata... Si è creduto che eliminando fisicamente l'altro ci si assicurasse la possibilità di godere (del) potere". Due le vie principali di un possibile rinnovamento: occorre far "cessare l'impunità nel paese" e far desistere dal male "i molti cristiani (che) hanno tradito il proprio battesimo, dandosi all'"abominio"".

Preti disertori
Tuttavia manca compattezza nell'atteggiamento dei cristiani; ciò ha spinto gli stessi vescovi a proporre una seconda riflessione a pochi giorni di distanza (8 agosto) indirizzata "ai più vicini collaboratori". In essa si parla di sacerdoti "disertori" che fuggono e "se ne vanno senza dire nulla al proprio vescovo". Essi scoraggiano i propri fedeli che si sentono ancor più abbandonati, ma soprattutto costituiscono una contro-testimonianza in quanto spesso sono "recuperati e anche accaparrati dalle proprie famiglie o gruppi etnici che li coinvolgono in una solidarietà negativa". Spesso tali sacerdoti s'appoggiano a teologie della liberazione "mal comprese" per giustificare il proprio fattivo appoggio a un gruppo etnico. Essi, ricordano i vescovi, sono invece consacrati "nel servizio di tutte le famiglie, di tutti i clan e di tutte le etnie".

Un'eco del distorto senso d'appartenenza alla chiesa come a un gruppo si ha anche nella lettera che il presbiterio della diocesi della capitale, Bujumbura, ha indirizzato ai propri fedeli il 15 ottobre. Il battesimo "non è l'adesione a un gruppo di persone. È la nascita a una vita che viene dall'alto. Da ciò deriva che siamo tutti parte della grande fraternità della famiglia di Dio. Qualsiasi sia il nostro nome, la nostra famiglia, il nostro paese... siamo tutti uniti in Gesù Cristo... Nessuna questione terrena può dividerci".

Segni di speranza
Accanto alla tentazione di "etnicizzare" anche la chiesa, esistono però segni concreti in senso contrario. Il periodico burundese Vivons en Église (cf. ANB-BIA 288, 15.10.1995, 12) ne riporta alcuni. In due parrocchie della capitale, per l'intervento diretto del vescovo. mons. Ntamwana, si è avviato un processo di riconciliazione tra hutu e tutsi, dopo che le uccisioni dell'ottobre 1993 avevano diviso fortemente le comunità. Nella diocesi di Gitega si sono allacciate relazioni tra gli sfollati e i cristiani che sono rimasti sul posto. In altre comunità sono state aperte delle collette per i rifugiati. Sono stati organizzati incontri sportivi e campi di lavoro per i giovani. Il 6 agosto scorso è stato lanciato da mons. Ntamwana il Congresso dei giovani che si concluderà a Natale con la presentazione delle iniziative realizzate. Sempre a partire da agosto, il governo è in stretto contatto con i vescovi cattolici, le altre confessioni religiose, gli anziani, e tutti coloro che ricoprono ruoli di responsabilità per favorire la pacificazione.

Ma per dare una base stabile alla pace, occorre ricostruire le strutture sociali, economiche e politiche, e per farlo è indispensabile una collaborazione con organismi internazionali. Un'azione mirata sul livello locale, promossa d'accordo con le autorità ecclesiastiche locali, è quella condotta dalla Caritas italiana, i cui interventi sono coordinati da una segreteria con sede presso la Caritas di Piacenza. Lì funziona un Osservatorio che contiene un archivio di documentazione aggiornata sulla situazione in Burundi; esso ha anche funzioni di sollecitazione della stampa e di promozione di iniziative pubbliche di sensibilizzazione sull'emergenza nella regione dei Grandi Laghi.

Sul versante burundese si sta rafforzando un programma sanitario, già avviato nel 1986; viene inoltre fornito un aiuto alimentare: infatti, a causa della guerriglia non si semina più nulla da tempo. Questo aiuto si configura come "food for work" (cibo in cambio di lavoro) o come sostegno a orfani e vedove individuati da gruppi di volontariato locale. Secondo l'esplicita volontà di mons. Ntamwana, è stato avviato il progetto "Un tetto per la pace", con lo scopo di aiutare alcune comunità a ricostruire le abitazioni distrutte dagli scontri. Infine, in campo giovanile, si sta puntando al sostegno della formazione professionale, alla costituzione di centri socio-comunitari, alla costituzione di progetti educativi sia per giovani che per formatori di giovani in collaborazione con la Caritas ambrosiana.

Rimasta ormai unico riferimento per la pacificazione del paese, la chiesa aspetta i risultati della Conferenza sulla regione dei Grandi Laghi, che si terrà a Il Cairo nei prossimi giorni, patrocinata dall'ex presidente statunitense Jimmy Carter (con cui il card. Etchegaray ha preso contatto in Burundi). A essa parteciperanno i capi di stato di Ruanda, Burundi, Zaire, Uganda e Tanzania e, come moderatori, J. Carter, J. Nyerere (ex presidente della Tanzania) e mons. D. Tutu (arcivescovo anglicano di Città del Capo, Sudafrica).

articolo tratto da Il Regno logo

Footer

A cura di Caritas Italiana (tel. +39 06 66177001 - fax +39 06 66177602 - e-mail comunicazione@caritasitaliana.it) e Pax Christi (tel. +39 055 2020375 - fax +39 055 2020608 - e-mail info@paxchristi.it)