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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Vescovi del Burundi

Morire per la pace

"Il Regno" n. 1 del 1996

"Per noi è pane quotidiano. Si è sempre minacciati: basta fare qualcosa e si è minacciati, o da parte degli hutu o da parte dei tutsi... Non si vuole da parte degli estremisti che la chiesa sia un "partner" nella ricerca della pace". Con queste parole un religioso commentava l'uccisione dei tre missionari saveriani, avvenuta in Burundi il 30 settembre scorso (Radio Vaticana, 2.10.1995). La chiesa è fortemente impegnata a evitare un genocidio come avvenuto in Ruanda (Regno-att. 22,1995,667). Dall'ottobre 1993, molte vittime sono state sacerdoti e religiosi, catechisti, laici. Significativo il fatto che "nessuno ha voluto rileggere queste morti nella propria lotta ideologica" (doc. 3): è infatti riconosciuto il ruolo, ormai unico, di pacificazione della chiesa (doc. 1). Tuttavia non mancano le divisioni, specialmente a causa di alcuni sacerdoti "disertori... che si appoggiano spesso su teologie della liberazione mal comprese" (doc. 2).

(Doc. n. 1, 27.7.1995: L'OR, edizione settimanale in lingua francese, 36, 5.9.1995, 9-10. Doc. n. 2, 8.8.1995, e doc. n. 3, 1.10.1995: cf. ANB-BIA, Bruxelles, originali dattiloscritti. Nostre traduzioni dal francese).


1.Dichiarazione dei vescovi


Fratelli e sorelle in Cristo e cari compatrioti,

1. Il nostro paese attraversa l'epoca più triste della sua storia. Ogni giorno, quasi ogni ora, la nostra patria perde uno dei suoi figli. La causa di così numerose perdite di vite umane non è una catastrofe naturale: non è un'inondazione, né un sisma, né una qualsiasi epidemia. Ma, ahimè, è la cattiva fede di nostri concittadini accecati dalla sete di potere, da spirito di vendetta e dall'assuefazione alla violenza. Ciascuno vorrebbe pervenire a questo potere escludendo l'altro, o anche uccidendolo.

Noi vescovi cattolici testimoni di questo dramma che devasta il nostro paese, vogliamo nuovamente esprimere la nostra posizione su questo marasma e proporre delle vie d'uscita.

2. Il carattere sacro della vita umana non è più rispettato. In tutte le fasce d'età, in parecchie categorie sociali ci si sta preparando a uccidere. Ci si organizza per eliminare tutte le persone che hanno punti di vista diversi sui nostri problemi socio-politici e sulle soluzioni da apportarvi. Peggio ancora: per molti dei nostri cittadini, chi è dell'altra etnia è da eliminare. Così segretamente ciascun gruppo etnico si è progressivamente armato e ha velocemente innescato meccanismi clandestini d'autodifesa. In ciascun gruppo si sono costituite delle milizie che ora mettono a lutto quotidianamente il nostro paese. L'esistenza di milizie hutu giustifica infatti quella delle milizie tutsi e viceversa. Il riarmo degli uni provoca il riarmo degli altri. Siamo quasi tutti diventati ciechi, poiché pochissime persone vogliono vedere l'abisso in cui siamo caduti. La vita umana è in questo modo sacrificata sull'altare dell'etnia o del partito politico, a disprezzo delle nobili tradizioni dei nostri antenati che hanno sempre amato la vita, considerandola come il dono più prezioso del Creatore.

3. La vita umana è calpestata e la violenza s'è radicata. La violenza si è eretta a sistema ideologico, sin dagli inizi dell'indipendenza politica della nostra patria. Si brama il potere e lo si sente come il centro e la fonte delle ricchezze. I massacri ciclici sono stati ideati come mezzo per accedervi. Si è creduto che eliminando fisicamente l'altro ci si assicurasse la possibilità di godere di questo potere più a lungo e senza condividerlo. Malgrado l'esperienza di fallimenti evidenziati da tentativi precedenti, oggi molti dei nostri concittadini pretendono ancora di risolvere il problema dell'accesso al potere con la violenza. Ecco perché "signori della guerra" e falsi salvatori attirano i giovani dei propri gruppi etnici per prepararli nei loro progetti criminali, facendone degli attori dell'assurdo. Sappiano bene costoro che il cammino della guerra non porta altro che alla morte. Ne vediamo già le conseguenze: gli appelli ripetuti alla vendetta, la mobilitazione di giovani al richiamo dell'odio hanno portato alla selvaggia e primitiva purificazione etnica di colline, zone, quartieri o di città intere. Con questa spirale di violenza dove arriveremo?

4. La soppressione dei parametri morali e delle persone di riferimento. Per agire più liberamente, i promotori di questo clima di violenza pianificano la soppressione dei parametri morali e delle persone di riferimento, considerate come un ostacolo al loro funesto disegno. Rifiutano ogni autorità, morale, sociale, politica o religiosa con conseguenze visibili nelle famiglie, nell'amministrazione, nei partiti politici, nelle scuole, nelle chiese. Non essendo più rispettate le leggi fondamentali che regolano i rapporti tra i cittadini, s'instaura il regno dell'arbitrio e dell'anarchia, fonti d'insicurezza e di paura per tutti. I gruppi che si costituiscono attorno all'etnia o attorno ad altri interessi settari inconfessati si comportano come gang di terroristi. Vediamo molti dei nostri concittadini, compresi alcuni capi politici, ricorrere sempre più a soluzioni violente per la regolazione dei propri conflitti perché rifiutano l'autorità stabilita. Essi si perdono in calcoli di eliminazione etnica, partecipando così direttamente alla distruzione della nostra patria.

5.Un cattivo inizio per la nostra democrazia. La nostra democrazia ha fatto naufragio sin dal suo sorgere. Il servizio al popolo come criterio fondamentale di ogni regime di governo non è stata la base reale dei nostri tentativi di democratizzazione. Il partito politico, anziché essere l'espressione di una competizione e di un dinamismo in vista del progresso, si è rattrappito in raggruppamento etnico. Il bene comune è stato scartato a vantaggio degli interessi individuali o etnici. La patria non è più una "cosa comune e condivisa da tutti". Essa non è più la "res publica", la "repubblica". È triste ritrovare questo inganno, e con la complicità delle autorità civili e militari, non solamente nel nostro paese ma anche in quelli vicini.

6. Non accettiamo il suicidio del nostro paese. Noi, vescovi cattolici, dichiariamo pubblicamente il nostro rifiuto delle vie che portano la nostra società burundese al suicidio. La nostra missione spirituale presso ciascun uomo e tutto l'uomo ci impegnano a lavorare anche per il suo "progresso sociale e civile" (Christus dominus n. 19; EV 1/620).

Siamo chiamati a servire la vita di ciascun cittadino. Abbiamo l'unica missione "di assumere e realizzare in pienezza la responsabilità d'amare e servire, di difendere e promuovere la vita umana" (Evangelium vitae n. 29; Regno-doc. 7,1995,202).

La vita dell'uomo è oggetto di un amore tenero e forte da parte di Dio. L'esperienza del popolo d'Israele in Egitto è esemplare: "quando sembra ormai votato allo sterminio, perché su tutti i suoi neonati maschi incombe la minaccia di morte (cf. Es 1,15-22), il Signore gli si rivela come salvatore, capace di assicurare un futuro a chi è senza speranza... la sua vita non si trova alla mercé di un faraone che può usarne con dispotico arbitrio" (Evangelium vitae n. 31; Regno-doc. 7,1995,203). Diciamo con chiarezza: non si può attentare per nessun motivo alla vita umana. Ogni violenza è assolutamente ingiustificabile e anche la legittima autodifesa non può mai pianificare coscientemente l'annientamento dell'altro.

In nome dell'autore della vita, che ha inviato il suo Figlio "perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10) condanniamo e disapproviamo tutte le iniziative finalizzate a eliminare delle persone. Gridiamo a voce alta contro queste pratiche che hanno fatto già troppe vittime; la loro agonia ci riguarda più che mai. Domandiamo a tutti i responsabili politici, sia nazionali che internazionali, di dissuadere e scoraggiare ogni ricorso alla violenza per risolvere il conflitto burundese; sia che si tratti della violenza delle armi, che di quella della stampa, della violenza di volantini o delle radio che predicano la divisione e l'odio etnico.

In effetti l'altro è il mio partner; è uguale a me, perché vuole vivere come io voglio vivere. Ora, molti pensano oggi che quello dell'altra etnia non è più un uomo, che la sua presenza non permette più al suo vicino di svilupparsi. Vogliamo ripeterlo: la vita viene da Dio; nessun uomo può disporne. Il Cristo, fondamento della nostra fede, ci propone la fraternità come dato ineludibile della vita comunitaria. Accettando di far parte della chiesa con il battesimo, ciascun cristiano riconosce che ogni uomo è suo fratello, ogni donna sua sorella. Se vuoi la tua sicurezza, cerca e proteggi la sicurezza del tuo vicino.

7.È necessario ristabilire l'autorità nel nostro paese. Crediamo che la vita di una nazione dipenda molto dall'autorità stabilita. Essa è l'elemento unificatore per le persone che vivono nello stesso paese (cf. Gaudium et spes n. 74; EV 1/1567ss). Sappiamo che la corsa egoista al potere ha nascosto la preoccupazione per il bene comune. Abbiamo assistito allo scivolamento della nostra società verso il disordine e l'anarchia, senza poter agire efficacemente contro questa deriva.

Per ristabilire l'ordine sociale, è necessario tornare ai fondamenti. Dio, padre di tutti gli uomini, è l'origine di ogni autorità. Chiunque eserciti la missione di servire la nazione, anche in un regime democratico, deve sapere che la sua autorità ha come fondamento ultimo il Creatore e che deve esercitarla nell'interesse di tutti senza nessuna esclusione (cf. GS 74; EV 1/1572). È anche per questa ragione che il cittadino deve accogliere e rispettare l'autorità, anche quando essa è esercitata da qualcuno di cui non condivide le opinioni politiche. Il bene comune esige questo consenso fondamentale tra i cittadini. È per questo che vi supplichiamo di rifiutare tutte le pratiche d'insubordinazione e di non sottomissione che si registrano in questi ultimi anni in tutti i settori della vita pubblica e privata, dalla famiglia allo stato, passando per la scuola, senza risparmiare neppure istanze delicate come l'esercito. Se tali atteggiamenti persisteranno ci ritroveremo di fronte a uno stato e a una nazione distrutti. È ancora possibile rialzarci; è necessario ordine perché il nostro paese ritrovi la pace.

8. Il popolo deve essere rispettato. Qualsiasi potere, anche monarchico, non può più essere esercitato al di fuori del popolo. Oggi la scoperta della dignità di ogni persona obbliga ogni forma di governo di riferirsi al popolo e al bene comune. Ciascun cittadino deve poter partecipare alla gestione del proprio paese a tutti i livelli e godere delle sue ricchezze (cf. GS 73; EV 1/1562ss). È scandaloso voler mangiare da soli il pasto che è stato preparato tutti insieme; ed è altrettanto scandaloso voler mangiare il pasto insieme, quando non si è obbedito alla solidarietà della preparazione comunitaria. L'attuale coalizione di governo non dev'essere semplicemente una spartizione del potere, ma anche un accordo per servire il popolo. Se viene a mancare questo, siamo in un regime oligarchico.

È indispensabile rispettare le competenze sia politiche che tecniche delle persone. Questo si può fare con la pazienza che prevede la legge, attualmente in vigore nel nostro paese, attraverso la Costituzione, la coalizione di governo e tutte le misure amministrative che ne conseguono.

9. Deve cessare l'impunità nel paese. Vogliamo di nuovo scagliarci contro lo scandalo dell'impunità. La sanzione e la riprovazione del male sono il parapetto dell'ordine sociale. Il disordine persiste e si generalizza perché non si sa più distinguere il bene dal male. E ingiustamente assassini inveterati, noti ladri che hanno operato misfatti sotto gli occhi di tutti sono in libertà e continuano a commettere, nell'impunità totale, i loro abituali crimini. Coloro che hanno distrutto le case occupano illegalmente le proprietà di coloro che hanno cacciato.

Sanzionate il male, voi guardiani della legge. Che tutti quelli che occupano arbitrariamente i beni degli sfollati o dei dispersi ne vengano privati. Che le estorsioni dell'esercito siano perseguite secondo la legge militare. I militari che si sottraggono alla disciplina devono esservi severamente riportati.

10.Lavoriamo insieme per riportare la pace. Di fronte a tante forze distruttrici, esortiamo tutti i cittadini a unire i propri sforzi di pace e a soffocare il dramma della guerra attraverso vie e mezzi che possano restaurare un clima di sicurezza e di ordine sociale. Dobbiamo avere orrore della guerra poiché essa porta inevitabilmente alla morte. Tutti i cittadini devono unirsi per proteggere la vita e attraverso mezzi non violenti, nei quartieri dei villaggi e sulle colline.

11. Occorre far cessare la guerra. In nome del popolo burundese che ha diritto alla pace e che tanto la desidera, domandiamo ai belligeranti di deporre immediatamente le armi. Sì, per pietà verso una popolazione braccata e massacrata. Occorre tornare alla ragione che dimostra che la guerra non risolve alcun problema, mentre il dialogo ricostruisce i ponti anche tra i nemici del passato. Tale auspicato dialogo non può aver luogo se il sangue continua a scorrere e i cannoni eccitano gli animi. Perché il dialogo sia possibile, occorre innanzitutto estinguere le fiamme divampate.

12. Tutti i cittadini devono partecipare al dialogo. Osate un dialogo costruttivo, totale, che veda, attorno allo stesso tavolo, tutti i burundesi senza eccezione alcuna. Certamente vi sono ferite profonde in molti animi. Il rimedio a queste piaghe non è né la vendetta né la guerra. Ma piuttosto il compromesso costruttivo, gli accordi e i patti firmati e rispettati. L'elenco delle questioni da regolare è in corso d'elaborazione da parte della Commissione nazionale ad hoc; ciascuno potrà allungarla a proprio piacimento, ammesso che questo dialogo cominci, innanzitutto tra i belligeranti, e in seguito tra tutti i cittadini sotto la forma di dibattito nazionale costituente.

13. Far memoria insieme dei nostri defunti. Dobbiamo fare memoria dei nostri defunti, vivendo insieme il lutto. Dobbiamo ugualmente saper superare tutte le distruzioni e tutte le sofferenze di cui la popolazione è stata vittima. Dobbiamo anche decidere insieme che questa tragedia, che ci ha strappato crudelmente delle persone care di cui onoriamo la memoria, non abbia più luogo. Il rancore e la vendetta non possono essere vinti se non con una reale presa di coscienza dei delitti commessi, cui segue lo sforzo di perdono reciproco e del rifiuto radicale di ogni violenza.

14.Dobbiamo ricorrere a mezzi spirituali. Non dobbiamo dimenticare le vie e i mezzi spirituali di cui dispongono molti burundesi attraverso la loro fede in Dio. Il Salvatore vede la miseria che conosce attualmente il nostro popolo e vuole sanarla. Questa è la nostra ferma speranza. Ma occorre anche che noi ci apriamo a questa bontà e a questa compassione attraverso la conversione profonda di ciascun cuore. Egli c'insegnerà ad allontanarci dal male e a ben guardarci "da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso" (Rm 16, 17-20). Anche se molti cristiani hanno tradito il proprio battesimo, dandosi all'"abominio", la misericordia di Dio li attende, come il figlio prodigo (cf. Lc 15).

La forza vivificante della preghiera deve essere offerta a tutte le comunità. Chiediamo alle parrocchie di celebrare una messa per la pace e per le vittime della violenza, almeno ogni primo venerdì del mese e di organizzare un'adorazione una volta alla settimana. Le famiglie prolunghino quest'azione con la preghiera del rosario. Raccomandiamo alle parrocchie di organizzare una volta al mese una colletta per gli sfollati, i dispersi, gli orfani e le vedove. Raccomandiamo inoltre a tutti i nostri compatrioti di impegnarsi insieme alla ricostruzione.

Le famiglie che possono, accolgano con loro gli orfani o i bambini abbandonati.

Rinunciare alla malvagità di cuore, deve significare per ciascuno accogliere nuovamente colui che non si voleva più vedere, in modo che la condivisione di un boccale di birra o di un altro bene tra queste persone produca la guarigione dei cuori e delle relazioni.

Il nostro atteggiamento è unico: dobbiamo porre termine a questa guerra attraverso un impegno irriducibile di conversione alla fraternità che ci è insegnata dal Vangelo.

"Tu che sei la luce, tu che sei l'amore, metti nelle nostre tenebre il tuo spirito d'amore".

Bujumbura, 26 luglio 1995.

I vescovi del Burundi

(seguono le firme)


2.Ai preti


Cari fratelli in Cristo,

Noi, vostri vescovi, vogliamo inviare un messaggio di pace e d’incoraggiamento, nelle circostanze difficili che vive il nostro paese, a voi, i nostri collaboratori più vicini nella vigna della chiesa del Burundi. Voi condividete le gioie e le speranze, come pure le sofferenze e le aspirazioni, del popolo di Dio che è in Burundi. Vogliamo con questo scritto sostenere i vostri sforzi al servizio delle comunità di cui vi assumete il carico pastorale.

La situazione di guerra che il nostro paese soffre da quasi due anni non può che generare stanchezza, inquietudine, dubbio e anche scoraggiamento, non solo nei ranghi dei fedeli, ma pure fra i preti, che hanno invece il compito di sostenere e rinsaldare i loro fratelli nella fede.

I. Cosa costatiamo?
Cosa vediamo?
1. La situazione attuale del paese non può essere più drammatica. Un clima di violenza generalizzata paralizza le attività e le iniziative. Ogni giorno degli innocenti sono uccisi, unicamente a causa della loro appartenenza etnica. Si va alla deriva. Il paese è trascinato in un ingranaggio di distruzione, e le dichiarazioni di volontà di pace non sembrano riuscire a cambiare granché.

La violenza colpisce ciecamente sulle strade, dove le imboscate mortali non si contano più, in piena città, nelle campagne, nei mercati, nelle chiese, che non sono più rispettate, ecc. I morti non si contano più e i criminali restano impuniti. L'anarchia è quasi totale. Questa violenza onnipresente non ha risparmiato i preti, fin dall'inizio della crisi. Tre di essi si sono appena aggiunti ai cinque uccisi durante la prima ondata di massacri. Altri tre sono stati gravemente feriti. Altri si sentono minacciati senza saperne il motivo; non hanno più la libertà di movimento necessaria per esercitare come si conviene il loro ministero pastorale.

2. Inoltre, come per accentuare ancor più questa situazione di violenza, da qualche tempo circolano volantini diretti contro dei preti. Questi volantini causano molti torti nella comunità sacerdotale, nell'insieme della comunità cristiana e anche in tutto il paese.

3. Aggiungiamo a ciò le fughe e i progetti di fuga di certi preti e questo all'insaputa, il più delle volte, dei loro vescovi e dei loro confratelli. Bisogna anche parlare dei casi, fortunatamente poco numerosi, d'insubordinazione o di sfiducia... (originale lacunoso, ndr) verso l'autorità diocesana, per esempio di chi diserta il posto di lavoro senza ragione sufficiente e senza informare chi di dovere.

4. Costatiamo inoltre che certi preti vengono recuperati e persino accaparrati dalle proprie famiglie o, peggio, dai propri gruppi etnici, che poi li coinvolgono in una solidarietà negativa, a grande danno del loro ministero pastorale. Che dire della tendenza, che si manifesta sempre più, a creare o a entrare in associazioni con finalità politiche, socio-economiche o culturali, senza consultazione e senza previa autorizzazione del vescovo competente, mentre si tratta di obiettivi spesso incompatibili con la cura pastorale, sia perché questi gruppi hanno carattere politico, e non sono aperti a tutti, sia perché richiedono un impegno a tempo pieno, che implica o la negligenza o l'abbandono puro e semplice del ministero sacerdotale?

II. Che pensarne?
5. Ecco alcuni aspetti della situazione, come essa ci appare, soprattutto in relazione alla vita sacerdotale. Come valutare questi diversi aspetti?

Prima di tutto, ripetiamo la nostra condanna senza appello di qualunque violenza, da qualsiasi parte essa provenga, e quali che siano le motivazioni che essa adduce o gli obiettivi che si propone. La nostra missione pastorale, voluta dal Cristo come un "ministero di riconciliazione", non ci autorizza assolutamente a venire a patti con la violenza, i suoi mezzi o le sue finalità. Non è perché la violenza è esercitata dalla gente della mia etnia che essa diventa innocente o legittima.

6. Che dire poi quando questa violenza colpisce anche i preti? Condanniamo queste aggressioni selvagge e criminali contro i nostri preti. I loro assassini e i loro aggressori li hanno sorpresi sulla strada o li hanno trovati a casa loro. Questi preti stavano compiendo normalmente il loro abituale lavoro pastorale. Non hanno fatto torto a nessuno. Non possedevano armi. Non minacciavano nessuno. Accoglievano tutti coloro che ne avevano bisogno. Tuttavia, essi sono stati attaccati e uccisi come se fossero stati accusati di un crimine. Ci sentiamo personalmente e comunitariamente colpiti da tali attacchi. Li consideriamo come diretti, se non contro le nostre stesse persone, almeno contro l'azione di pace e di riconciliazione che noi, vescovi e preti, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, cerchiamo di portare dovunque ci troviamo.

7. Cosa vogliono gli individui che hanno preparato e perpetrato questi crimini? Cosa avevano fatto loro i nostri preti per essere segnati come bersagli da abbattere? Crediamo, da parte nostra, che si tratti di un'azione di terrorismo e d'intimidazione che rasenta il rifiuto di qualsiasi riferimento a valori. Quali che siano le motivazioni che si danno questi criminali, crediamo che essi vogliano, colpendo alcuni di noi, impedirci di parlare e d'agire in favore della pace e della riappacificazione degli uomini. Ma sappiano che noi non cederemo al loro ricatto. Niente ci impedirà di continuare la nostra missione sacerdotale e la nostra azione in favore della pace e della riconciliazione.

8. Veniamo ora ai volantini. Il nostro giudizio su questi scritti anonimi è chiaro. Li condanniamo senza appello. Sono dannosi. Mostrano la mancanza di spirito cristiano dei loro autori. Creano e mantengono un clima malsano di sospetto nei ranghi del clero e nella nostra chiesa. Seminano la divisione, distruggono la fiducia e la collaborazione fra i membri della famiglia sacerdotale e danno il cattivo esempio alla comunità cristiana. Sono ispirati da cattiva fede, da odio e desiderio di distruggere. Rivelano un modo di agire vile, segno della meschinità dei loro autori. Spargono menzogna e calunnia. Ciò che ci dà molta pena è che anche se gli autori non sono preti, essi agiscono visibilmente sotto istigazione di preti, o da questi si lasciano sfruttare o manipolare.

9. Abbiamo parlato prima di fuga di preti. Per noi, queste fughe sono fonte di grandissima sofferenza. Non ignoriamo che la situazione che viviamo è molto grave e che molti fra voi si sentono minacciati, vivendo continuamente in un clima d'inquietudine, perché la propria vita è in pericolo. Comprendiamo quindi che qualcuno sia tentato di fuggire. Ma ciò che non comprendiamo, è che un prete, incaricato di una comunità cristiana o di un altro servizio nella chiesa, se ne vada senza dire nulla al suo vescovo, del quale egli è il più stretto collaboratore. Quando ciò accade, i fedeli si sentono abbandonati, e certuni fra di essi non esitano a parlare di egoismo e anche di vigliaccheria.

10. A questo proposito, non possiamo non pensare alla parabola di Gesù sul buon pastore: il buon pastore dona la vita per le sue pecore. Il mercenario, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. Se qualcuno in mezzo a voi si sente minacciato, perché non ne parla in tutta fiducia con il suo vescovo, perché si possa cercare una soluzione? Non riuscite a immaginare l'impressione demoralizzante di una comunità parrocchiale davanti alla fuga del suo pastore? Non è nei momenti più duri che essa avrebbe bisogno della sua presenza confortante?

Intendiamoci: non vi domandiamo di esporvi al pericolo, e non rifiutiamo l'idea che qualcuno si nasconda di fronte a una minaccia imminente; ma condanniamo l'abbandono puro e semplice del gregge che vi è affidato.

11. Quanto al recupero da parte della famiglia, o peggio, di un gruppo politico o etnico, vi dobbiamo ricordare che il prete è consacrato a Cristo e alla chiesa. Certo, egli fa parte di una famiglia naturale, e si riconosce pure in una etnia; ma la sua consacrazione lo impegna in una famiglia universale, per metterlo al servizio di tutte le famiglie, di tutti i clan e di tutte le etnie. "Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me" – dice il Cristo (Mt 10,37). Di Cristo il prete deve essere un imitatore: egli è per tutti, non per la propria famiglia, il proprio gruppo o la propria etnia. Non ha dunque il diritto di lasciarsi recuperare, strumentalizzare o accaparrare da nessuno di questi gruppi. D'altra parte, nessuna persona, nessun potere, nessuna necessità materiale o altro, nessun interesse può separarci dalla nostra missione di servire tutti gli uomini se noi siamo determinati a essere preti di Cristo.

12. Quando il prete è ordinato, egli promette obbedienza al suo vescovo e ai suoi successori. Qui non si tratta evidentemente di un atteggiamento servile o contro la libertà. "Voi non avete che un solo Maestro, e siete tutti fratelli" (Mt 23,8). Ma l'incardinazione stabilisce "il rapporto con il vescovo nell'unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del popolo di Dio, le concrete condizioni storiche e ambientali (Pastores dabo vobis, n. 31; EV 13/1306).

13. Gli atteggiamenti di mancanza di disponibilità, di rifiuto di collaborazione o d'insubordinazione, spesso in nome di uno spirito democratico sviato e mal compreso, s'oppongono direttamente alla comunione spirituale richiesta, al legame giuridico tra un prete e il suo vescovo e allo spirito di corresponsabilità che deve esistere fra loro. Opporsi al vescovo, evitarlo, allontanarsi da lui e dal presbiterio non può che isolare il prete e portare pregiudizio al ministero sacerdotale. Il prete deve potere, per amore di Cristo, nell'umiltà e semplicità di cuore, sacrificare anche la propria propria volontà o i propri capricci per rinforzare la comunione ecclesiale.

III. Che fare?
Quali azioni intraprendere?
14. Occorre prima di tutto, insieme a noi, condannare e rifiutare qualunque forma di violenza, da qualsiasi parte provenga, in pensieri, parole o azioni. Qualunque atteggiamento o parola che giustifichi la violenza è indegna di un prete di Gesù Cristo. Ai suoi discepoli che gli domandavano di fare scendere un fuoco dal cielo sui samaritani che avevano rifiutato di accoglierlo, Gesù replicò: "Voi non sapete di che spirito voi siete" (Lc 9,55) (La versione della CEI non riporta questo passo, come, invece, il testo francese cui si rifanno i vescovi. Tale lezione, dopo la citazione riportata, prosegue: "Poiché il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini ma a salvarle", ndr).

15. La violenza è al servizio dell'odio, della distruzione e della morte; essa non può costruire niente, anzi. Bisogna mettersi risolutamente al servizio della vita, apprezzare e fare rispettare la grandezza e il prezzo della vita umana, difenderne il valore e l'inviolabilità. "Ogni minaccia alla dignità e alla vita dell'uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della chiesa, non può non toccarla al centro della propria fede nell'incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e a ogni creatura" (Evangelium vitae, n. 3; Regno-doc. 7,1995,195).

16. Vogliamo attirare la vostra attenzione su certe ideologie, che si appoggiano spesso su teologie della liberazione mal comprese e che si mostrano compiacenti verso la violenza. È dai loro frutti che li riconoscerete. La vera liberazione rivendica gli stessi diritti per tutti, promuove l'uguaglianza e la fraternità fra tutti gli uomini, senza distinzione d'appartenenza politica, sociale, tribale o etnica, e senza esclusione alcuna. Il terrorismo e la guerriglia non servono la liberazione: al contrario, aumentano la violenza, l'ingiustizia e le sofferenze. Causano la morte di molti innocenti, rovinano l'economia del nostro paese e seminano desolazione dovunque. Tendono a sostituire un'oppressione all'altra. Esse sono contro lo stato di diritto, sola garanzia di un ordine giuridico unanimemente riconosciuto e di rapporti armoniosi all'interno della nostra comunità nazionale.

17. Coloro che predicano il confronto fra i blocchi politici o i gruppi etnici non cercano il bene del nostro paese, essi concorrono piuttosto alla sua distruzione. È per questo che vi mettiamo in guardia contro tali ideologie, e condanniamo con energia l'impegno politico ed etnico dei preti, la solidarietà negativa, l'obbedienza cieca a un gruppo politico o etnico. Vi esortiamo piuttosto a mettervi a servizio della giustizia e della pace. "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia... Beati gli operatori di pace" (Mt 5,6-9).

18. L'adesione ad associazioni civili non può farsi senza discernimento né senza sapere bene di che si tratta e quali sono i loro obiettivi. Certe associazioni non nascondono il loro orientamento politico o anche etnico. Il fatto di aderirvi non può mancare di avere ripercussioni negative sul ministero pastorale. Esse chiudono il prete in gruppuscoli monopartitici o monoetnici, con obiettivi piuttosto ambigui. È per questo che ripetiamo le nostre direttive riguardo all'appartenenza ad associazioni di qualsiasi genere: è fatto divieto al prete di aderire o di contribuire a qualunque associazione politica, socio-economica o culturale senza autorizzazione espressa del suo vescovo.

19. Vi abbiamo già detto ciò che pensiamo dei volantini. Ripetiamo la nostra condanna risoluta di tali pratiche. A coloro che sono attaccati e calunniati da questi volantini, chiediamo di restare sereni e saper perdonare, "come il Signore vi ha perdonati" (Col 3,13). Non nutrite sospetti ingiusti riguardo ad alcuni vostri confratelli, senza prove certe della loro complicità nella redazione di questi volantini. Non cercate di ribattere, ciò non farebbe che aumentare il clima di diffidenza e di sospetto. Piuttosto, "vogliate vincere il male con il bene" (Rm 12,21).

20. Vi invitiamo a dare, dovunque siate, una testimonianza di autentico amore per Cristo e la sua chiesa. Comportatevi da apostoli di Gesù Cristo nelle circostanze drammatiche che vive il nostro paese. Siate testimoni e promotori di unità fra i vostri concittadini. Per rinforzarvi nella vostra vita sacerdotale e nella vostra azione pastorale, siate fedeli alla preghiera e ai sacramenti dell'eucaristia e della riconciliazione. Non lasciatevi prendere dall'attivismo esteriore, che vi disperde e v'impedisce di giungere all'essenziale.

21. Non lasciatevi prendere da altri compiti. Ecco la vostra principale missione: "I predicatori della parola divina propongano in primo luogo ai fedeli ciò che è necessario credere e fare per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini. Impartiscano ai fedeli anche la dottrina che il magistero della chiesa propone sulla dignità e libertà della persona umana, sull'unità e stabilità della famiglia e sui suoi compiti, sugli obblighi che riguardano gli uomini uniti nella società, come pure sul modo di disporre le cose temporali secondo l'ordine stabilito da Dio" (Can. 768; EV 8/III). Edificateli con la testimonianza della vostra vita; è questa che rende persuasiva la parola che annunciate loro.

22. Attaccatevi al compimento fedele e senza cedimenti del vostro ministero pastorale. Siate realmente dei segni d'unione in mezzo al popolo dei fedeli che Cristo vi ha affidato. Sappiate imporvi la disciplina necessaria per non trascurare o curare con superficialità i vostri doveri pastorali. Questa stessa disciplina deve segnare la vostra vita personale, con la pratica dell'ascesi e della mortificazione, necessarie alla conversione del cuore di ciascuno.

23. V'invitiamo a compiere atti concreti di comunione fraterna fra di voi con gesti di reciproco incoraggiamento, d'aiuto e di sostegno. Dovete avere una attenzione particolarissima a tutto ciò che favorisce la vita comunitaria, coltivare la reciproca assistenza tanto spirituale che materiale fra i preti che vivono insieme. Nella vostra diocesi o anche al di fuori, prendetevi il tempo di stringere fra di voi non soltanto contatti, ma vere amicizie sacerdotali; fatevi visita gli uni gli altri, scambiate tra voi le idee, in particolare, sulle vostre esperienze pastorali. Partecipate alle gioie e ai dolori gli uni degli altri senza nessuna discriminazione.

Questi comportamenti possono offrire a ciascun prete un aiuto prezioso nelle difficoltà della vita, specialmente nella situazione attuale del nostro paese. Essi sono inoltre capaci di contribuire all'edificazione della comunità cristiana. Non è nelle associazioni politiche o etniche che potrete trovare la piena realizzazione del vostro essere sacerdoti.

24. Non possiamo concludere questo messaggio senza invitarvi a pregare insistentemente per i nostri preti che sono stati di recente vilmente assassinati, per coloro che sono stati feriti in imboscate e per il ritorno della pace nella nostra cara patria comune.

"Il Dio della pace, che ha fatto risorgere dai morti il pastore delle pecore, Pastore per eccellenza, grazie al sangue dell'eterna alleanza, nostro Signore Gesù, vi dia tutto ciò che serve per compiere la sua volontà: che egli realizzi in noi ciò che è gradito ai suoi occhi".

Bujumbura, 8 agosto 1995.

I vostri vescovi

(seguono le firme)


3.Ai fedeli di Bujumbura


Cari parrocchiani,

i preti della diocesi di Bujumbura si sono riuniti attorno al proprio vescovo mercoledì 30 agosto scorso. Essi erano ancora scossi per la morte brutale di uno di loro, avvenuta dieci giorni prima, morte che si aggiunge a molte altre. Essi hanno espresso in un breve comunicato, trasmesso per radio il 31 agosto, la propria comunione con ogni sofferenza delle popolazioni burundesi e il proprio impegno totale al servizio della vita, secondo la legge di Dio. Essi hanno voluto inoltre porgere a voi, fratelli e sorelle più vicini, una parola di compassione, in nome del Signore Gesù, il Cristo.

Da due anni, tutte le nostre parrocchie secondo gradi diversi sono state toccate da uno sconvolgimento senza precedenti; lutti si aggiungono a lutti; la miseria di gruppi di persone sempre più numerosi s'aggiunge alla miseria di altri gruppi di persone, nei quartieri e nelle colline, e alla miseria dei rifugiati che vivono al di là delle nostre frontiere. Siete smarriti; anche i vostri preti sono scossi. E dai cuori emergono domande sul valore della vita e della dignità della persona umana, sulla fecondità dell'evangelizzazione, sul ruolo della chiesa, sul ministero dei preti, sull'educazione dei giovani, sulla vita battesimale. La fede s'indebolisce; a volte sembra assente nelle nostre parole e nella nostra esistenza.

E nonostante noi credenti, noi e voi tutti, Dio è con noi; Dio è con tutti quelli che accolgono l'uomo come immagine del Creatore, che si aprono alle forze di vita e d'amore dei sacramenti, che restano in contatto con il loro Signore nella preghiera, che cercano di servirlo nell'ordinarietà della vita. Come diceva già san Paolo ai cristiani della chiesa primitiva: niente può separarci dall'amore che Dio ha per noi. Anche se viviamo ore di tenebre, la nostra fede è una roccia solida. Insieme dobbiamo tenerci saldamente aggrappati a essa. Siamo chiamati ad attraversare il nostro tempo della prova come un "tempo di Passione"; la vergine Maria e san Giovanni ai piedi della croce si trovavano disorientati dalle tenebre, come noi, più di noi. Essi hanno creduto nell'amore di Dio; e hanno potuto vivere, tre giorni dopo, la novità della risurrezione. Gesù stesso il giorno di Pasqua ha messo nel cuore dei discepoli di Emmaus una luce ardente; occorreva che il Messia amasse sino all'estrema sofferenza perché apparisse lo splendore dell'amore di Dio.

Fratelli e sorelle, permetteteci di comunicarvi un po' di quella luce che dimora in noi, domandando di farci partecipi, a vostra volta, quando l'occasione si presenta, della luce che dimora in voi.

Innanzitutto siamo tutti dei battezzati, voi e noi. Il battesimo è stato la grazia delle grazie, cioè in quel giorno siamo nati alla vita di figli di Dio, fratelli e sorelle di Gesù Cristo. Non è l'adesione a un gruppo di persone. È la nascita a una vita che viene dall'alto. E questa vita è messa nelle nostre mani perché la facciamo crescere.

Da ciò deriva il fatto che siamo tutti parte della grande fraternità della famiglia di Dio. Qualsiasi sia il nostro nome, la nostra famiglia, il nostro paese, la nostra regione, la nostra etnia, il nostro clan, la nostra collina, il nostro quartiere, le nostre relazioni o le nostre inclinazioni naturali, siamo tutti uniti in Gesù Cristo, investiti dal Padre da una stessa missione d'amore, di misericordia e di fraternità. Formiamo un solo corpo. Nessuna questione terrena può dividerci. Ogni attentato a uno di noi, sia attraverso la violenza fisica o morale, è una ferita che colpisce tutti noi. Cerchiamo di vivere questa fraternità derivante dal battesimo perché il progetto di Dio di una civiltà dell'amore si realizzi qui da noi in Burundi, in particolare nella nostra diocesi. Non si può dimenticare di ricordare l'esempio di figli e figlie di questa chiesa del Burundi che continuano a dare testimonianza della fedeltà a Gesù Cristo e ai valori altamente umani del nostro popolo.

Se Dio ci ha scelto, noi preti, per ricoprire un ruolo nelle nostre comunità parrocchiali, è unicamente affinché noi siamo i servitori della vita divina, della fraternità e dunque dell'amore e del perdono. La morte di nostri preti ci ha fatto riflettere: nessuno ha voluto rileggere queste morti nella propria lotta ideologica.

Fratelli e sorelle, tutti noi sappiamo bene che questo ministero supera le nostre forze. Aiutateci a diventare ancor più servitori in mezzo a voi della vita divina, coloro che Cristo vuole donarvi per continuare la sua opera in mezzo a voi. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere, del vostro sostegno, e spesso anche della vostra indulgenza. Siate certi che tutti noi vogliamo vivere con voi questo "tempo di Passione", avere con voi uno sguardo di fede che percepisca la presenza e l'amore di Dio e anche l'aurora della Pasqua.

Il 26 luglio, in occasione di una dichiarazione più ufficiale, i vescovi del Burundi hanno invitato tutti i cristiani del paese a lavorare con più impegno in favore della pace attraverso le vie e i mezzi spirituali: la preghiera, il servizio, il dialogo. Ogni parrocchia, ogni comunità di base, ogni movimento d'apostolato cattolico, ogni scuola, a seconda delle circostanze, può mettere a punto un programma d'azione. Vogliamo vivere questo rinnovamento cristiano con voi, diretto da voi, senza l'angoscia febbrile che a volte suscita la malvagità di spirito, ma nella serenità che caratterizzò la Vergine addolorata: l'eucaristia, la condivisione del Vangelo, la preghiera d'adorazione del santissimo Sacramento, la preghiera del rosario, le raccolte per tutte le persone ridotte in miseria, la cura degli orfani, l'accoglienza che guarisce le relazioni, la conversione del cuore alla bontà.

Fratelli e sorelle, accogliete questa modesta condivisione della nostra fede e della nostra speranza. Crediamo che le forze dell'amore siano i soli fondamenti della pace; possiamo tutti insieme essere i costruttori di un nuovo avvenire per tutti i nostri concittadini. Infine, citiamo un passo di una lettera scritta da san Paolo ai cristiani di Roma; possa essa stimolarci ancora, voi e noi insieme:

"La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera" (Rm 12, 9-12).

Bujumbura, 1 ottobre 1995, festa di santa Teresa del Bambin Gesù.

I rappresentanti
del presbiterio diocesano

(seguono le firme)

articolo tratto da Il Regno logo

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