Dietro la maschera dell'etnia
"Gli orrori di cui ci viene detto e quelli di cui noi stessi siamo testimoni hanno già superato ogni limite... Noi crediamo che la causa di questo male sia l'introduzione dell'etnia nel gioco degli interessi". In un nuovo appello Per la fine dei massacri e della guerra, i vescovi cattolici del Burundi condannano apertamente l'uso ideologico e strumentale dell'elemento etnico, operato da responsabili politici e militari per procacciarsi ricchezze o conquistare il potere politico. Il messaggio data al 12 giugno 1996, cioè un mese prima del colpo di stato che il 25 luglio ha destituito il presidente Sylvestre Ntibantuganya e portato al governo l'ex maggiore Pierre Buyoya (cf. Regno-att. 16,1996,488).
"È tempo di ritrovare la ragione e ritornare al buon senso, per poter chiamare il male con il suo nome": l'appello è alla coscienza di ciascuno (dirigenti, capi di ogni livello, comandanti militari, giudici, cristiani), perché si penta se ha commesso o commissionato crimini, e comunque riconosca la sua parte di responsabilità a vario titolo nei mali che affliggono il paese.
(L'Osservatore romano 28.7.1996, 5).
Cari fratelli e sorelle cristiani e cari compatrioti,
1. Permetteteci di indirizzarvi questo nuovo messaggio di fronte alla situazione di massacri e di guerra che si estende in tutte le regioni del Burundi e che, invece di placarsi, peggiora sempre di più. Gli orrori di cui ci viene detto e quelli di cui noi stessi siamo testimoni hanno già superato ogni limite. Molti dei nostri concittadini danno prova di un comportamento indegno dell'uomo: uccidono bambini, donne, anziani e malati. Non solo essi aggrediscono persone sane, ma arrivano al punto di uccidere i malati negli ospedali e nei centri sanitari. Essi uccidono sia i responsabili che la gente comune, gli abitanti del Burundi così come gli stranieri, gli innocenti al pari dei malfattori. Uccidono il bestiame, distruggono le case. Questi crimini vengono commessi costantemente, di giorno come di notte. Questo crea un clima di paura e di grande sofferenza.
2.Noi ci chiediamo: qual è la radice di questo male di cui soffre il Burundi? Noi crediamo che la causa di questo male sia l'introduzione dell'ideologia dell'etnia nel gioco degli interessi. Infatti, coloro che commettono i crimini nel Burundi da molti anni si servono dell'etnia come elemento determinante nella loro lotta per il potere e per l'acquisizione delle ricchezze. Questa mentalità incline al crimine ha progressivamente conquistato ampi strati di popolazione, al punto che molti hanno finito per abituarvisi e credere che il crimine sia persino autorizzato da Dio e dagli uomini.
Esaminando da vicino quello che si dice e che si fa, costatiamo che i responsabili della guerra hanno un pretesto per giustificare le loro azioni. Essi affermano di voler proteggere la propria etnia e restituire ai suoi membri i propri diritti. In sé non è un male il voler difendere la propria famiglia o proteggere la propria etnia. Il male consiste nella volontà di escludere gli altri, di perseguitarli e di sterminarli perché non appartengono alla stessa loro etnia o perché non hanno le loro stesse idee, in politica o in altri campi.
Coloro che, nei propri conflitti d'interesse, si avvalgono del discorso dell'etnia o seminano la divisione tra le persone a causa delle loro differenze etniche, in realtà perseguono un obiettivo preciso: procacciarsi le ricchezze o conquistare il potere politico.
Essi dunque non sono motivati dalla convinzione che sarebbe impossibile nel Burundi per persone di etnie diverse convivere pacificamente. La vera ragione è che coloro che vogliono il potere, invece di concepire dei buoni progetti per lo sviluppo dell'intero paese a beneficio di tutti i cittadini, sfruttano le divisioni. Per loro questa è la via più facile per insanguinare il paese, senza che nessuno possa opporvisi. Infatti, quando le persone sono impegnate in conflitti, perdono tempo in lotte intestine invece di promuovere la verità e la giustizia.
3. Nel Burundi, la lotta per il potere non rappresenta un fenomeno nuovo. Essa esisteva già al tempo della monarchia, in cui fratelli, membri della medesima famiglia reale, si facevano la guerra. I batare e i bezi, per esempio, appartenevano alla stessa discendenza, ma questo non impedì loro di lottare tra loro per accaparrarsi il potere. Con l'indipendenza del Burundi, e dopo l'abolizione della monarchia, le divisioni etniche tra hutu e tutsi si sono ampliate, al punto che si è cominciato a commettere degli assassini per motivi semplicemente etnici. Le persone che osservano questo fenomeno oggi e che arrivano alla conclusione che l'odio tra gli hutu e i tutsi sia sempre stato irriducibile, o che affermano che è impossibile che i due gruppi possano coabitare pacificamente, vogliono ingannare il popolo, specialmente le giovani generazioni, che non conoscono la storia del paese. Essi dimenticano che il Burundi ha, in questo campo, una lunga esperienza. Si è già costatato, infatti, che nelle lotte per il potere o per altre fortune anche dei fratelli possono farsi la guerra fino a uccidersi. Possono nascere divisioni anche tra persone della stessa etnia, sia a causa della loro diversa provenienza regionale sia per altri motivi. Può anche accadere che dei tutsi uccidano altri tutsi, che degli hutu uccidano altri hutu.
4. A nostro parere, quello che caratterizza l'attuale guerra nel Burundi, rispetto ad altri conflitti per la conquista del potere, è che si tratta di una guerra di sterminio etnico. Coloro che sono impegnati in questo conflitto rivaleggiano per reclutare le milizie che stiano ai loro ordini seguendo dei criteri etnici. Gli hutu formano delle milizie composte di hutu, i tutsi formano delle milizie composte di tutsi. E se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, faremo osservare che queste diverse milizie, qualunque sia la loro appartenenza etnica, hutu o tutsi, rivaleggiano più per massacrare la gente che per farsi davvero la guerra tra loro. Questi massacri generano il clima di odio implacabile presente tra le persone di etnie differenti. Attualmente, queste aggressioni omicide vengono perpetrate persino nelle regioni nelle quali gli hutu e i tutsi vivono ancora insieme, per spingerli a infrangere la loro solidarietà.
I gruppi che lottano per la conquista del potere a favore degli hutu eliminano i membri dell'etnia tutsi e anche gli stessi hutu che non condividono questa ideologia dell'esclusione. È così che i tutsi, quando non vengono uccisi, vengono scacciati dalle loro zone di residenza affinché gli hutu restino soli. In questo modo, se in tali luoghi viene preparato un qualche progetto criminale, nessun altro verrà a saperlo. È per questa ragione che anche gli altri hutu, che non approvano questo tipo di comportamento, vengono aggrediti, sequestrati o uccisi.
I gruppi che lottano per la conquista del potere a favore dei tutsi commettono anch'essi simili prevaricazioni. Con il pretesto della vendetta, essi cercano di uccidere e sterminare i membri dell'etnia hutu. Essi uccidono non solo gli hutu, ma anche i tutsi che rifiutano di sostenere il loro progetto criminale. Dovunque questi gruppi, gli hutu come i tutsi, sono riusciti a imporre la propria legge, le popolazioni vivono nell'insicurezza e non possono più disporre liberamente dei loro beni, che si tratti di denaro o di altri prodotti di cui le famiglie hanno bisogno per vivere. Le persone vengono obbligate a versare loro dei contributi; se non lo fanno, vengono taglieggiate o semplicemente derubate dei loro beni.
5. Questa criminalità è favorita da un fenomeno nuovo: la disobbedienza civile e il rifiuto di ogni autorità. Molte persone agiscono di testa propria, senza tenere conto dell'interesse altrui e di bene della nazione. Questa disobbedienza si è manifestata chiaramente quando alcuni, che non avevano accettato la divisione del potere emersa dalle elezioni a suffragio universale, hanno assassinato il capo dello stato, scelto dalla maggioranza degli abitanti del Burundi.
Questo fenomeno si osserva ancora oggi a livello del governo attuale. Si può vedere che l'accordo che i membi dei partiti politici avevano concluso per la formazione di questo governo, sulla base di una divisione del potere, non è stato accettato da tutti. E questo proprio quando il suo obiettivo era quello di liberare gli abitanti del Burundi dalla guerra e dall'insicurezza, divenuta permanente, e per permettere loro di preparare, con maggiore serenità, le istituzioni che meglio convengono al Burundi.
Affinché gli abitanti di questo paese possano riacquistare fiducia nei confronti dei loro dirigenti, occorrerà che ci sia un vero potere, e che sia forte. Occorreranno dei responsabili politici che condividano la stessa sollecitudine per il bene comune e che accettino di collaborare all'elaborazione e all'esecuzione dei progetti destinati a salvare il Burundi. Sono i conflitti tra i nostri dirigenti e le loro continue divergenze a far perdurare la guerra in questo paese.
6. Esaminando da vicino questa guerra vediamo chiaramente che ci sono delle persone che hanno una grande parte di responsabilità. Alcune si sono già dichiarate. Altre si nascondono ancora, sia nell'amministrazione, sia nel mondo degli affari. Sono queste persone che comandano ai gruppi di assassini di cui abbiamo parlato, hutu così come tutsi. Per loro, questi gruppi rappresentano uno strumento per giungere al potere. Sono queste persone che indicano alle loro milizie i luoghi da attaccare e che segnalano loro le persone da sequestrare o da uccidere, così come gli obiettivi da distruggere. Sono sempre loro che forniscono i mezzi necessari per l'esecuzione di queste prevaricazioni: armi di ogni genere, mezzi di sussistenza, di trasporto e di comunicazione.
7. Per noi, tutti questi mali che abbiamo appena descritto non possono essere qualificati diversamente che come "veleni" di cui bisogna sbarazzarsi. Non dobbiamo essere degli "stregoni-avvelenatori", ossia quelle persone che, secondo la nostra tradizione, godono della triste fama di essere i custodi del veleno! È tempo di ritrovare la ragione e ritornare al buon senso, per poter chiamare il male con il suo nome. Cessiamo di nascondere il crimine dietro la maschera dell'etnia, perché allora rischieremmo di esaltarlo come un valore, mentre non è che un male. Numerosi oggi sono persuasi dell'idea che, nella lotta per il potere, sia consentito uccidere o commettere altre violenze. Coloro che sostengono una simile idea sono in errore, e vogliono trascinare gli altri su una falsa strada. Non è mai moralmente permesso utilizzare mezzi disonesti per perseguire il bene, sia in politica sia in altri campi dove le persone entrano in competizione.
Voi, uomini e donne del Burundi che organizzate le bande di assassini su basi etniche e che li spingete a decimare i figli e le figlie del nostro paese, sappiate che dovrete rispondere dei vostri crimini. Anche coloro che, oggi, non sono ancora conosciuti, verranno presto o tardi scoperti. Quando il paese uscirà da questo periodo di tenebre, il popolo li condannerà. Vogliamo ricordarvi che l'omicidio è un crimine e che viene sempre punito. Si tratta di un peccato molto grave che Dio ha sempre vietato e punito, da quando Caino ha assassinato suo fratello Abele, fino ai nostri giorni. Gesù, nel suo insegnamento, aggiunge un elemento nuovo a questo divieto: anche colui che monta in collera contro suo fratello e che lo chiama pazzo è già degno di condanna; davanti alla giustizia di Dio egli sarà condannato alle peggiori pene (cf. Mt 5,21-22).
Sappiate anche che la patria è come una madre; sarebbe per voi una maledizione terribile, se essa vi maledicesse. Ritornate piuttosto ai buoni sentimenti; invece di distruggere il vostro paese natale, sterminandone gli abitanti, seminando l'odio e la divisione tra i fratelli, cercate piuttosto di promuovere ciò che gli fa onore e che lo aiuta a progredire.
8. Voi, dirigenti del Burundi, dal capo dello stato fino al capo-villaggio, non dimenticate la grandissima responsabilità di cui siete investiti. Un vero capo non nutre dell'odio nei confronti di coloro che dirige e non può farli perire. Se questo accade, costituisce una prova del fatto che quest'uomo non svolge bene il suo incarico di responsabilità. È dunque tempo che facciate un esame di coscienza.
Ricordatevi del nostro proverbio: "Colui sul quale si fissano gli sguardi con molta insistenza, dovrà controllare se i suoi abiti sono a posto!". Prendete esempio dai nostri antenati, che ci hanno lasciato in eredità il Burundi: essi dicevano che colui che diviene re cessa di appartenere alla propria famiglia; infatti, il re non aveva più un suo clan. Con questo la nostra tradizione intendeva esprimere che ogni dirigente deve porsi al servizio di tutti, senza discriminazioni. Colui che non si conformava a questo principio veniva rinnegato dal popolo. Non si diceva forse che "il re che si oppone ai consigli dei saggi non può regnare"? Non siate dunque voi stessi dei dirigenti per un'etnia o una regione, siate dei dirigenti per la nazione e per i cittadini del Burundi. Voi deputati, che siete stati eletti per rappresentare i vostri cittadini nell'Assemblea nazionale, siate i nostri veri rappresentanti: aiutateci a progredire in un clima di pace. Voi diplomatici, che rappresentate il Burundi nelle altre nazioni, siate sempre i difensori della dignità e del progresso della vostra patria.
Voi tutti che avete un ruolo direttivo, aiutate gli abitanti del Burundi a sradicare il male delle divisioni etniche, affinché la vera democrazia possa impiantarsi solidamente nel nostro paese. Combattete la menzogna e la mediocrità, siate i difensori del diritto e della giustizia; è così che il Burundi potrà risollevarsi.
Voi, dirigenti dei partiti politici, cessate di trattare con leggerezza questioni di grave importanza. Ci troviamo a un passaggio doloroso; quando si attraversa il fiume e ci si trova nel mezzo delle correnti, non ci si ferma per trastullarsi! Nelle vostre riunioni e nei vostri colloqui, se ognuno vorrà tirare l'acqua solo al suo mulino, senza assumere un impegno nei confronti degli altri partner, rischierete di perdere tutti i vantaggi che avete raggiunto e non arriveremo alla pace.
Guerre come quella che vediamo nel Burundi sono esistite d'altronde anche in altri paesi. Per arrestarle, sono state necessarie delle personalità in grado di neutralizzare i conflitti interni e porre fine alle divisioni fra i loro concittadini. Tali personalità godono di una grande reputazione e di molta stima, nel loro paese così come all'estero. Ci auguriamo di poter trovare delle persone simili fra i dirigenti del Burundi.
9. Capi dell'esercito, insegnate ai militari ai vostri ordini che è vietato uccidere, salvo in caso di legittima difesa. Il rispetto della vita delle persone è un comandamento di Dio e una legge per tutti. Voi conoscete l'opinione che si è formata su di voi nel mondo intero: ovunque si dice che voi uccidete degli innocenti. È vero che questa accusa è falsa nel caso di molti di voi. Tuttavia, voi lo sapete, anche se ci fosse soltanto un unico caso e il colpevole non venisse punito perché voi lo proteggete, la colpa verrebbe imputata all'intero esercito.
Condannate coloro che rubano o coloro che accompagnano le persone che si apprestano a saccheggiare. Se agite così sarete rispettati e vi guadagnerete la fiducia di tutti; verrete stimati. È soltanto a questa condizione che potrete difendere il paese contro i suoi nemici.
Comandanti di distretto, di brigata e voi, membri della polizia, dovreste essere in prima fila fra coloro che debbono riportare la pace e la giustizia nel Burundi. Affinché la popolazione abbia fiducia in voi e ricorra ai vostri servizi, è necessario che ogni colpevole venga arrestato e processato, indipendentemente dalla persona o dall'etnia.
Punite ogni reato, chiunque ne sia l'autore e scoraggiate il crimine. La legge vi concede l'autorità di arrestare ogni presunto colpevole: non esitate a esercitarla. State attenti tuttavia a fare in modo che ogni individuo arrestato venga consegnato alla giustizia e che nessuno lo faccia sparire.
Non considerate come dei criminali tutte le persone che fuggono; nelle regioni dove c'è poca sicurezza molti fuggono per paura. Invece di perseguirli occorrerebbe piuttosto proteggerli e aiutarli.
Procuratori inquirenti e giudici dei tribunali, siamo consapevoli che voi condividete con le forze dell'ordine la responsabilità di far rispettare la giustizia. È a voi che vengono consegnati i colpevoli, siete voi che conducete le indagini e che vegliate al rispetto del diritto punendo i reati. Il nostro paese ripone le sue speranze in voi: non sarà in grado di risollevarsi e uscire da questo circolo di violenza e di massacri, se voi non ristabilirete il diritto e non farete in modo che la giustizia ritrovi agli occhi di tutti la grande stima di cui essa ha sempre goduto nel Burundi. Il diritto non ha etnia. Non permettete che la vostra funzione di magistrati, che avete assunto pubblicamente, venga svalutata dalla corruzione e dall'accettazione di tangenti.
10. Dove possiamo trovare il rimedio che salverà il Burundi? Noi riteniamo che il rimedio non vada cercato che in Dio e in tutte le persone animate dalla volontà di compiere il bene, le persone che osservano i comandamenti di Dio, in particolare quello del rispetto della vita di ogni uomo. Dio ci salverà dalla violenza omicida e dalla guerra, se noi vorremo camminare fedelmente nelle sue vie. Infatti, Dio, per il quale nulla è impossibile, può far tornare la rettitudine nei cuori delle persone, persino di quelle che sono state conquistate dallo spirito del crimine. È nel nome di questo Dio che noi parliamo; la sua parola è la nostra forza. È lui la nostra luce in questo tempo di tenebre e di oscurità in cui molti abitanti del Burundi sono immersi al punto di non osare più percorrere le vie della verità e del diritto.
Vogliamo ricordare questa potenza rigeneratrice di Dio, anche a coloro che sono caduti e che si sono macchiati del crimine dell'omicidio o si sono resi colpevoli di altri delitti. Che essi non perseverino nel male per disperazione, pensando di essersi perduti per sempre. Che essi sappiano che ogni persona, che nel profondo del suo cuore esprime il suo pentimento e decide di abbandonare il crimine impegnandosi in una nuova vita, Dio la purifica e la reintegra nella comunità dei giusti.
11. Fratelli e sorelle cristiani, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, prendete coscienza, anche voi, della nostra grande parte di responsabilità per quanto riguarda il ritorno della pace e della fraternità nel Burundi. La parola di Dio, che Gesù Cristo ci ha portato, ci insegna che Dio è Padre di tutti gli uomini. Gli hutu, i tutsi e i twa sono tutti stati creati da lui; è lui che ha dato loro questo paese da condividere. Il comandamento del Signore è che ci amiamo tutti come Gesù Cristo ci ha amati. Egli ha donato se stesso per tutti noi affinché ritrovassimo la nostra identità di figli di Dio quando eravamo diventati peccatori.
In quanto abitanti del Burundi abbiamo molte cose in comune che ci permettono di costruire il nostro paese; tuttavia noi, grazie al battesimo, abbiamo ricevuto una ricchezza molto più grande. Infatti, con questo dono, Dio ha instaurato in noi dei nuovi vincoli di fraternità e di unità che non sono paragonabili agli altri vincoli che esistevano in precedenza.
Per quale ragione trattiamo con tanta negligenza tutti questi doni ricevuti da Dio? Perché ci sono tanti cristiani che sostengono progetti di divisione e che arrivano al punto di uccidere i loro fratelli? Dio ci ha concesso molti doni, ce ne chiederà conto! Di fronte al tribunale di Dio, i tutsi non prenderanno le difese dei tutsi, né gli hutu le difese degli hutu.
Rivolgiamo un pressante appello a voi tutti che avete già preso coscienza delle vostre devianze: convertitevi, ritornate sulla via dei figli di Dio.
E voi che avete optato per l'odio nei confronti di coloro che non sono della vostra etnia o che non appartengono al vostro partito politico, come anche voi che seminate divisioni e incitate gli altri all'omicidio, sappiate di costituire un ostacolo all'azione di Dio. Voi infatti gli impedite di realizzare il suo progetto di riunire tutti gli uomini in un'unica famiglia composta di persone di tutte le etnie di tutti i paesi.
Voi cristiani, consapevoli di aver ricevuto da Dio tutti i doni della vita, ascoltate il nostro appello: manifestatevi! Uniamoci per cercare insieme la pace per il nostro paese. Invece di scacciare gli altri dalle loro case e dalle loro proprietà, invece di farli massacrare, contribuite piuttosto al progresso e alla felicità di ogni abitante del Burundi. È a questa condizione che voi stessi potrete progredire. Infatti, quello che voi volete che gli altri facciano a voi, anche voi fatelo a loro (cf. Mt 7,12). Se invece fate il male, ne riceverete altrettanto in cambio.
12. Tu, Signore, il Dio vivente, riporta la speranza nel Burundi! Benedici questo paese affinché venga liberato per sempre dalla violenza omicida e dalle divisioni.
Che esso ritorni a essere un paese a te consacrato, un paese dove regnino l'amore, il rispetto e la solidarietà per il migliore progresso di tutti i suoi abitanti.
Bujumbura, 12 giugno 1996.
I vescovi del Burundi