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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Marcello Matté

Dove "figli di Dio" è un'offesa

"Il Regno" n. 6 del 1997

Mosaico di lingue e tradizioni, l'India è un continente attraversato da sovrapposte "linee di frattura".

Un viaggio in tre delle maggiori città (Bombay, Bangalore, Calcutta) offre l'occasione per alcuni "prelievi", con particolare attenzione al rapporto che la chiesa cattolica (fortemente minoritaria) stabilisce con la realtà sociale e culturale.

Povertà economica diffusa, instabilità politica, discriminazioni per ragioni sociali e religiose. Una chiesa vivace, gelosa della propria identità indiana, è tra i pochi agenti che operano per il cambiamento in un contesto culturale tendenzialmente rassegnato. Una conferenza episcopale consapevole delle sfide del "continente indiano". Le vie scelte: educazione e carità.

Arrivo a Bombay prima che la luce del sole abbia vinto la sua quotidiana battaglia contro la cortina di smog che avvolge la città. È un giorno di febbraio; inverno, per loro. La giornata comincia con la celebrazione eucaristica. "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona", assicura la lettura del libro della Genesi. "L'India ha una particolare capacità di mettere in evidenza il lato oscuro della creazione", commenta qualcuno.

Più che una nazione un continente, l'India è attraversata da linee di frattura sovrapposte. 25 stati, 7 territori amministrativi, 10 lingue, almeno 5 religioni significative: hindu (82%), musulmani (10% con una crescita annua del 3,5%), cristiani (3%), sikh (1,5%), e poi buddhisti, gianisti e sparute presenze di ebrei; senza contare gli animisti, stimati poco più numerosi dei cristiani. I cristiani, a loro volta, sono divisi fra cattolici e non; e i cattolici sono presenti con tre distinti riti: latino, siro-malabarese, siro-malankarese.1 Gli hindu sono divisi in caste, una discriminazione che ha plasmato la cultura e si trapianta come forma sociale anche tra i cristiani. Gandhi preferiva chiamare le persone di bassa casta "figli di Dio" (Harijan) anziché "intoccabili". In lui nasceva da un atteggiamento di rispetto; sulla bocca dei più è un'offesa. Il lato oscuro della creazione, che viene in evidenza.

A queste linee di frattura più specifiche si aggiungono le grandi faglie che tagliano l'intero continente asiatico: le discriminazioni di genere, le sperequazioni socio-economiche che affiancano grattacieli e slums, le antinomie di un universo geloso del suo patrimonio di cultura e insieme attratto da ogni luccichio che viene da occidente.

Instabilità politica

Nel "continente indiano", il profilo politico riproduce la frammentazione di fondo: l'instabilità è cronica; anche l'attuale governo, uscito dalle elezioni dell'aprile-maggio 1996, è sostenuto da una coalizione poco omogenea di 13 partiti.2 I cinque anni del governo di Narashima Rao hanno visto una serie di riforme economiche improntate alla liberalizzazione del mercato e all'accredito internazionale, attraverso un ridimensionamento del protezionismo di impronta socialista e della spesa pubblica, l'assottigliamento delle barriere doganali, la convertibilità della moneta.

Ma nel cinquantesimo anniversario dell'indipendenza sono ormai in netto declino, insieme al Partito del Congresso dei Gandhi, le aspirazioni verso un'India laica. Le elezioni dell'anno scorso hanno premiato il Bharatija Janata Party (BJP), che ha fatto leva sui sentimenti nazionalistici hindu espressi nella hinduttva (indianità per nascita, cultura, valori, norme sociali): in 10 anni è passato da 10 a 180 membri eletti nel Lok Sabha (il Parlamento indiano), divenendo il partito di maggioranza relativa. Anche le formazioni partitiche regionali stanno cavalcando rivendicazioni fondamentaliste e particolarismi locali. Così lo Shiv Sena (Armata di Shiva) nel Maharashtra, lo stato di Bombay. Così in Andhra Pradesh il voto delle donne, stanche di subire le sbornie di arrak dei mariti, ha paradossalmente portato a un'inaspettata vittoria, nel 1994, il partito fondamentalista musulmano Telugu Desam, il quale, come primo atto di governo, ha trasformato in legge dello stato la proibizione islamica per l'alcool.

La debolezza politica si traduce in debolezza istituzionale; la corruzione è sistemica, complice una burocrazia ossessiva che dalla lunga dominazione inglese ha ereditato solo la mole. I problemi sociali persistono.

Affollamento urbano: la Greater Bombay ha raggiunto i 14 milioni di abitanti, Calcutta (12 milioni e mezzo) continua a crescere per i flussi migratori dal Bangladesh, nonostante la politica del governo (socialista) del Bengala occidentale, che ha portato migliori condizioni di vita nei villaggi, prosciugando così in misura apprezzabile il flusso dalle campagne.

Povertà diffusa e visibile: è ancora tanta la gente che vive per strada, si lava agli idranti, dorme (e muore) sui marciapiedi; a Bombay stavo chiedendo quale strana usanza fosse quella di piantare una seconda ringhiera davanti ai muri di cinta delle abitazioni, in mezzo al marciapiede, ma la risposta mi veniva da sola, immediata, prima che l'interlocutore rispondesse.

Precarietà sanitaria: la speranza media di vita è inferiore ai 60 anni; non c'è sistema sanitario nazionale e una lunga malattia in famiglia può significare perdere la casa; i posti letto ospedalieri sono inferiori all'8/10.000 in rapporto alla popolazione (in Italia è circa 8/1.000) e la salute è un affare fra privati e ricchi. L'inquinamento fa delle grandi città scenari da ambientazione post-atomica. L'alcolismo conta numerose vittime (cf. riquadro a p. 000), anche perché, nelle condizioni di povertà, significa spesso uso non di whisky o di arrak, la popolare grappa locale, ma di distillati molto scadenti. L'analfabetismo è ancora alto (47%) e il sistema scolastico non tiene.

Nel contesto di instabilità politica, nessuno azzarda manovre impopolari, soprattutto, come si è visto, se urtano contro categorie culturali e meccanismi sociali sedimentati. Così le discriminazioni e le fratture resistono.

Discriminazioni di genere

Una prima discriminazione evidente si registra nei confronti delle donne (cf. riquadro a p. 000). Mentre gravano su di loro le incombenze domestiche e molte mansioni pesanti, sono caricate anche delle conseguenze della scarsità di lavoro. Numerosi i migranti, verso l'Europa e soprattutto verso i paesi arabi. Come esistono gli "orfani di Dubai", sono numerose, specialmente a Bombay, anche le "vedove di Kwait City". Qui le chiamano "grass widow", vedove del pascolo. In certe regioni dell'India i mariti si allontanavano per lungo tempo da casa, per seguire gli spostamenti delle greggi. Su queste donne grava, oltre che l'incognita del futuro, il peso del presente.

Qualcosa si muove, su fronti ben più concreti delle contestazioni (interessanti, anche se sospette per una certa ispirazione intransigente) registrate a Bangalore in occasione della passerella internazionale "Miss mondo". Su base civile, e con il contributo delle chiese cristiane, si stanno diffondendo gli "women's desk", gruppi organizzati di donne, anche musulmane, che rivendicano almeno i diritti che la legge già riconosce loro, oltre che una maturazione della legislazione stessa. E della mentalità. Ci sono problemi derivanti dalla gestione delle carte di razionamento, e altri derivati dalle campagne di denatalità. Si organizzano manifestazioni, si scrivono articoli, si opera per la sensibilizzazione nei quartieri e nelle comunità cristiane di base. Si tengono seminari di formazione, rivolti soprattutto alle classi medie, mentre per le classi più deboli si affrontano questioni basilari, legate alla sopravvivenza; si attivano centri di crisi e gruppi di intervento, col sostegno di medici e avvocati. È stato presentato un disegno di legge per correggere la "Christian Personnel Law",3 che attualmente non tiene conto dei problemi specifici delle donne.

L'atteggiamento delle comunità cristiane è ambivalente. Vi sono iniziative come il gruppo Setshodak (Ricercatrici della verità) a Bombay, composto di laiche e religiose; la rivista Magnificat; i gruppi Mahila Mandel, che, animati soprattutto da suore, operano su scala nazionale. Le Sorelle del Buon Pastore sono impegnate a fondo nel settore. All'assemblea della CBCI (Conferenza episcopale cattolica indiana) del 1992 è stato presentato il testo Breaking the silence (Per rompere il silenzio). Far uscire dal silenzio le vittime è l'unico modo per combattere la logica perversa sulla quale fa leva lo stupratore: egli sa che la vittima tacerà.

"Nella chiesa ci sentiamo ancora trascurate – dice Muriel Rego, attiva rappresentate del Gruppo di coordinamento del women's desk a Bombay –. Spesso i parroci non considerano seri i nostri problemi. Dalla gente non abbiamo molto appoggio. Nemmeno ostilità, ma spesso indifferenza. Alcune donne, soprattutto tra le classi più povere, vengono maltrattate dal marito che non vuol vedere la moglie coinvolta in gruppi femminili".

Discriminazioni religiose

La discriminazione basata sulla casta è fuorilegge. Ma il sistema delle caste è una forma mentis che continua ad avere effetti, soprattutto nelle campagne (il 65% della popolazione è contadina).4 E puoi vedere ancora qualcuno che entra in luoghi pubblici con le ciabatte sulla testa...

Per favorire il superamento della discriminazione, il governo ha disposto, fin dai primi anni dell'indipendenza, alcune garanzie a tutela delle caste inferiori: quote riservate di accesso alle scuole superiori, al pubblico impiego e alla rappresentanza politica.

"Negli anni cinquanta e poi maggiormente negli anni sessanta e settanta, la "rivoluzione verde" favorì i piccoli proprietari terrieri e i lavoratori della casta dei sudra, i quali grazie alle riforme terriere ottennero una maggiore influenza economica e più benefici sociali. I più poveri della casta dei sudra si unirono nel tempo agli "intoccabili" e iniziarono a chiamarsi dalits, che in hindi significa "gli oppressi"".5

I dalits cristiani sono circa 16 milioni e costituiscono più del 60% della popolazione cristiana, se si considerano le stime non ufficiali.6 Essi sono oggetto di una lunga storia di tensione e rivendicazione fra cristiani (chiese e organizzazioni sociali) e governo.7 Un contenzioso che conferma il paradosso evidenziato dal sociologo R. Kothari: "Coloro che sono più discriminati dal sistema delle caste non fanno altro che invocare il riconoscimento della loro identità di casta". I dalits cristiani sono "gli appartenenti a caste protette convertiti al cristianesimo, ma esclusi dalla lista ufficiale delle caste protette, elaborata dal governo".8 Persistono numerose forme di discriminazione nei confronti dei dalits, e altre se ne aggiungono nel caso dei dalits cristiani. "In Tamil Nadu sono residenzialmente segregati dalle caste superiori. In Kerala sono in gran parte braccianti e lavorano per i siro-cristiani e altri proprietari terrieri di alta casta. Non si parla nemmeno di pasti in comune o di matrimoni fra dalits e siro-cristiani".9

Uno dei maggiori oppositori all'estensione dei benefici ai dalits cristiani è il BJP, che invece è molto attivo nel rivendicare protezioni per i dalits hindu. Esplicito l'"invito" rivolto ai cristiani perché tornino alla religione nazionale. In questi primi mesi dell'anno si sta registrando una recrudescenza di forme punitive nei confronti dei cristiani convertiti. "È possibile che questo sussulto di ostilità contro cristiani, provenienti generalmente da caste inferiori, abbia lo scopo di agevolare l'adozione di una legge anti-conversione da parte del Parlamento regionale [del Maharashtra, ndr], dominato da BJP e Shiv Sena".

Illegali dal punto di vista civile, inaccettabili dal punto di vista cristiano, le differenze di casta hanno tuttavia effetti anche nella vita ecclesiale. Si possono riconoscere forme indirette di distinzione e privilegio. Anche tra il clero si formano spontaneamente dei sottogruppi, dei club distinti per casta. Nelle comunità religiose può accadere che alcuni esigano menu differenziati. Gli incarichi gerarchici a persone di bassa casta restano problematici – vuoi tra il clero secolare, vuoi tra i religiosi – per una sorta di delegittimazione non detta. Non risultano vescovi di provenienza dalit. Perfino nei cimiteri cristiani si riproducono distinzioni.

Una chiesa vivace...

All'interno della chiesa, tuttavia, le tensioni, laddove ci sono, hanno radice soprattutto nelle etnie e nelle lingue. Mentre la questione dei riti resta una battaglia di curie e sacrestie (i laici ne restano sostanzialmente indifferenti, talvolta perfino ignorando il rito cui appartengono), alle questioni di etnia e lingua sono sensibili anche i fedeli. Nel Karnataka, dove la maggioranza dei cristiani è di provenienza tamil, per dirimere la questione è stata privilegiata, negli orari delle messe, la lingua locale, il kannada. Ma la cosa non va senza problemi. "La decisione deve essere presa dalla gente, a livello di consiglio pastorale", dice l'arcivescovo di Bangalore, mons. Alphonsus Mathias. "Né il vescovo né il parroco possono imporre, dal momento che la chiesa è aperta a tutte le lingue". Per parte sua, come tanti altri, si attiene a criteri rigorosi nei confronti del clero – ad esempio per quanto riguarda la turnazione ogni 6 anni di ministero – per non dare appiglio ad accuse di privilegio.10

Le comunità cristiane sono fortemente minoritarie, e tuttavia costituiscono una presenza vivace. Nel contesto di una cultura della rassegnazione, dell'accettazione del proprio kharma, le comunità cristiane sono tra i pochi agenti di cambiamento. La forza del Vangelo spinge a cambiare la società, a convertire le condizioni e le "strutture di peccato", a rimuovere quanto, millantando autorità divina, opprime l'uomo. Verbiti e gesuiti hanno investito nella ricerca sociologica.11 La chiesa ha credito in quanto opera per la giustizia, per il valore di ogni uomo, per la comunione. Certo, quando anch'essa si lascia attraversare dalle "linee di frattura" la sua testimonianza perde sapore.

I tre vescovi con i quali ho parlato insistono concordemente sulla priorità della formazione: un'evangelizzazione che miri al cambiamento delle persone, all'acquisizione dei valori evangelici. Verso questo obiettivo si vuol far convergere un certo fermento che qui sta suscitando la preparazione del giubileo del 2000.

Le comunità di base (cf. riquadro a p. 000) sono una delle vie percorse per questa formazione. Un'altra strada, già più collaudata e strutturata, ma non per questo meno critica, è la scuola. Basti pensare che in Kerala uno dei modi per dire scuola è pallikuram, che letteralmente significa "vicino alla chiesa". "La comunità cattolica gestisce 4.000 asili, 10.000 scuole elementari, 5.000 scuole secondarie, 300 "college" universitari, un centinaio di scuole magistrali e quasi un centinaio di istituti tecnici superiori".12 I salesiani e i gesuiti vi investono un impegno consistente. L'85% circa degli allievi di queste scuole non è cristiano. Nelle scuole, l'unico momento che consente una proposta religiosa esplicita è la prevista "ora di morale"; un istituto introdotto dagli inglesi.

Nel contesto di corruzione diffusa, la gestione delle scuole denuncia una serie di sofferenze nei rapporti con la pubblica amministrazione. È sempre più frequente il caso di istituti scolastici che si vedono approvati gli insegnanti, ma poi non riescono a ottenere il contratto dall'amministrazione locale.13 Talvolta si è riusciti a portare il caso in tribunale. La magistratura ha dato ragione alle scuole, ma la sentenza resta senza conseguenze.

La scuola, come luogo di formazione, non può limitarsi all'informazione. In discussione sono i modelli di vita. La gioventù delle città è affascinata dai modelli occidentali. Il cinema costituisce una forma diffusa di evasione e mette in coda molta gente.14

L'azione formativa della chiesa si gioca nel rapporto con la realtà: diventare capaci di fermentarla e trasformarla. Dal punto di vista dell'indole religiosa non è affare scontato. La ricerca dell'effervescenza è un tratto diffuso. L'India è la patria di una grande tradizione religiosa, ma anche la culla di numerose scuole spirituali più o meno controllabili. Le comunità cristiane devono continuamente, e sempre più, confrontarsi con le derive spiritualiste. Il movimento carismatico è molto forte. Quello cattolico, ma anche quello eterodosso.

Sono famosi i Potta Retreats, corsi di esercizi spirituali di provenienza siro-malabarese, gestiti secondo modelli carismatici. Sono una realtà ecclesiale, propagandata anche nelle parrocchie. Sono capaci di radunare anche 20.000 persone per un corso, accogliendo appartenenti a religioni diverse, accomunati dal desiderio di un'esperienza religiosa dai forti toni emotivi.

I neo-pentecostali stanno diffondendosi in misura preoccupante. Il NBCLC (Centro biblico catechistico liturgico nazionale; cf. riquadro a p. 000) ha pubblicato in questi giorni i risultati di una ricerca (di prossima pubblicazione su Regno-doc.) sul come e sui perché del fenomeno dei passaggi dal cattolicesimo ai neo-pentecostali. Risultano più forti i motivi per i quali si prova attrazione verso i neo-pentecostali, di quelli che procurano insoddisfazione verso i cattolici: si tratta dunque di motivazioni in positivo. Tra le più citate, quelle legate all'esperienza di Dio e al clima di fraternità.

...con qualche riserva

La chiesa d'India si è fatta apprezzare per la sua vocazione sociale, la volontà di venire incontro ai più deboli. Madre Teresa di Calcutta ne è un frutto coerente. Negli aspetti positivi e in quelli critici, nella dedizione profusa ai poveri e nel mancato affondo dentro i meccanismi sociali, politici, economici che quella povertà generano. "Cambiare la mentalità della gente è il terzo dei miei interessi", mi diceva mons. Mathias; "vengono prima la catechesi e l'educazione". "La chiesa può e deve essere più profetica", sostiene mons. Penha, vescovo ausiliare di Bombay.

"Le chiesa d'India deve essere rievangelizzata, per rievangelizzare, con l'annuncio e la denuncia. Di fronte a un sistema economico e sociale che contrasta la vita cristiana, c'è bisogno di spiritualità: saldare Vangelo, vita e chiesa". Lo sostiene p. Alex Carvalho, responsabile della Commissione diocesana Giustizia e pace per la diocesi di Bombay. A suo giudizio sono ancora troppi i silenzi compiacenti, se non addirittura i compromessi, fra esponenti del clero e centri di potere. "Ciò che blocca i nostri preti e fedeli è un'errata spiritualità, che considera le ingiustizie sociali come fatti estranei alla religione, la quale deve occuparsi della preghiera. Quando accetto di predicare corsi di esercizi, chiedo prima agli iscritti di trascorrere dieci giorni con la gente povera".

P. Alex è tra gli ispiratori della CPCI (Conferenza dei preti cattolici d'India), un'associazione privata, non riconosciuta, ma alla quale aderisce anche qualche vescovo. Raccoglie circa 300 membri su scala nazionale, collegati dal bollettino Sharing e organizzati in unità regionali. La prospettiva è radicale, sociale, interculturale. I suoi membri sperimentano anche forme di persecuzione da parte dei potentati locali. P. John Britto lavorava con le lavandaie (bassa casta), solidarizzando con le loro rivendicazioni. La sua uccisione non è estranea al suo ambito di impegno.

La CPCI costituisce un pungolo critico anche verso la CBCI e verso ogni tentazione autoritaria. Tutto ciò fa parte della vivacità di una chiesa, che lascia crescere al suo interno istanze critiche. Perché a questo è senz'altro chiamata la chiesa d'India: a mettere in evidenza il lato luminoso della creazione.

1 I latini sono 10 milioni in 103 diocesi, 19 arcidiocesi; i siro malabaresi sono 3 milioni in 21 diocesi, 2 arcidiocesi; i siro-malankaresi sono 300.000 in 3 diocesi, una arcidiocesi. Tensioni si ripropongono anche all'interno delle chiese di rito orientale, come quelle manifestatesi in occasione del sinodo della chiesa siro-malabarese; cf. Asia news (1996) 10, 25-26.

2 Per uno studio più approfondito, cf. W. Fernandes, "Le elezioni politiche in India", in Aggiornamenti sociali 47(1996) 11, 765-772. "Per la prima volta nella storia dell'India il governo non conta tra i suoi ministri alcun brahmano" (ivi).

3 Ogni religione ha un codice giuridico di riferimento.

4 Le caste principali sono quattro; in ordine discendente: brahmana (i sacerdoti), ksatriya (nobili e guerrieri), vaisya (mercanti e artigiani) e sudra (contadini e manovali). I "fuori casta", gli "intoccabili", sono considerati impuri: non possono avere contatti con gli altri, non sono ammessi nei templi, non possono vantare alcun diritto; a loro vengono destinati i lavori servili, che, a loro volta, determinano una lunga sequenza di sottocaste. Le caste superiori (brahmana, ksatriya e vaisya) raccolgono il 15% della popolazione indiana; i sudra comprendono il 47% circa e gli "intoccabili" il 20%. Le popolazioni tribali, così come i sikh, non contemplano il sistema delle caste.

5 Cf. M.R. Mauro, "I bambini di Dio", in Segnosette (1996) 22, 17.

6 Proprio a causa dei benefici garantiti ai dalits induisti, molti convertiti al cristianesimo non denunciano la loro appartenenza ad altra religione. È per questo che le cifre del governo parlano ufficialmente di 13 milioni di cristiani, mentre è più realistica la stima di 25-30 milioni.

7 Molto attiva in proposito è la All India Catholic Union (AICU), una delle non molte forme di laicato organizzato operanti a livello nazionale. "Alla vigilia del censimento 1991, il presidente della AICU, George Menezes, aveva invitato i cattolici e i cristiani a dichiarare la propria fede religiosa" (Asia, EMI, Bologna 1994, 151).

8 Cf. S.M. Michael, "Why Reservations!", in The Examiner 7.12.1996, 10-11. Un decreto presidenziale del 1950 stabilisce che "Nessuna persona che professi una religione diversa dall'induismo verrà iscritta alle caste protette". Nel 1956 la religione sikh venne affiancata all'induismo. Nel 1990 i benefici delle caste protette vennero estesi anche ai convertiti al buddhismo.

9 Michael, "Why Reservations!", 10. Tamil Nadu e Kerala sono i due stati a maggior concentrazione di cristiani.

10 La questione delle etnie e delle lingue ha un certo peso in ambito cattolico anche perché il 68% del clero e delle religiose proviene da Kerala e Tamil Nadu. La chiesa siro-malabarese è fra le più "missionarie": su 3.000 sacerdoti diocesani, quasi 900 lavorano in missioni indiane fuori dal Kerala, molti a servizio di diocesi latine. La diocesi di Palai ha più sacerdoti fuori dai suoi confini che all'interno (cf. Asia, 153).

11 Ne sono espressione, ad esempio, l'Institute of Indian Culture di Bombay (verbiti) e l'Indian Social Institute di Bangalore (gesuiti).

12 Asia, 152.

13 Nelle scuole gestite dai cattolici, la struttura è pagata dai conduttori, generalmente attraverso i proventi delle rette. Gli insegnanti, invece, una volta approvati, vengono pagati dall'amministrazione pubblica.

14 L'industria cinematografica è un settore florido. Dal punto di vista quantitativo è prima nel mondo. A Bombay – soprannominata Bolliwood – risulta dal censimento 1991 una produzione annua di 910 film. Anche Calcutta è un centro di produzione, ma, come per la musica e l'intrattenimento in genere, Calcutta vanta un gusto più elitario.

articolo tratto da Il Regno logo

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