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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Ambrogio Bongiovanni

La violenza anticristiana

"Il Regno" n. 2 del 1999

Intervista all’arcivescovo di Delhi mons. Alan Basil de Lastic

L’ampia intervista al vescovo di Delhi, presidente della Conferenza episcopale indiana, fornisce un quadro sulla situazione sociale e religiosa dell’India. Denuncia le drammatiche violenze contro i cristiani da parte di organismi e gruppi fanatici hindu. Un giorno di protesta nazionale il 4 dicembre 1998.


Eccellenza,* due anni fa, il 15 agosto 1997, l’India ha celebrato cinquant’anni di indipendenza. Tornando indietro al 1947, quale era lo stato d’animo d’allora? Con quale spirito si affrontò la nuova era del paese?

"Cinquant'anni fa cominciammo con speranza. Attendevamo lo sviluppo del popolo indiano. Fissammo la giustizia innanzitutto come nostro obiettivo e scegliemmo la pianificazione economica come lo strumento per raggiungerla".

– Quali obiettivi sono stati raggiunti?

"Abbiamo raggiunto molti obiettivi durante questi ultimi cinquant'anni. Siamo rimasti uno stato democratico per mezzo secolo, mentre molti paesi, inclusi alcuni nostri confinanti, sono passati attraverso periodi di intervento di forze armate. Il paese è restato unito nonostante il malcontento in molte regioni. Il paese ha molte religioni, e nonostante che il fondamentalismo abbia a volte minacciato la sua unità, ha tuttavia mantenuto il suo tessuto secolare e ha dato a tutti i gruppi religiosi la speranza di vivere in pace.

Le infrastrutture industriali sono migliorate enormemente. Da un paese totalmente privo di industrie al momento dell’indipendenza, ora siamo tra i dieci paesi più industrializzati del mondo in grado di usare le più sofisticate tecnologie. Abbiamo migliorato le infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie ecc.) e altre forme di comunicazione come TV e radio. Molti progressi sono stati fatti nel campo dell’istruzione. Dal 15% al momento dell’indipendenza, il grado di alfabetizzazione ha superato il 50%, nonostante l’enorme incremento della popolazione. Molti dei nostri college e università mantengono standard elevati e alcune attraggono anche studenti stranieri.

L’assistenza sanitaria e l’alimentazione sono migliorati considerevolmente. Abbiamo raggiunto l’autosufficienza alimentare e siamo nella condizione perfino di esportare riso. La mortalità infantile, benché ancora alta (120/1000), è stata dimezzata dal momento dell’indipendenza innalzando come risultato la vita media della popolazione. Come risultato di questo progresso, abbiamo oggi una classe media di circa 200 milioni, il 20% della nostra popolazione, il che rappresenta un’enorme crescita".

Contraddizioni sociali

– L’India continua a essere un paese dalle grandi contraddizioni. Restano irrisolti molti problemi sociali che sono aggravati dalla vastità della popolazione. Dagli ultimi dati statistici forniti dal governo, la percentuale di popolazione sotto la soglia della povertà è superiore al 40%, il che vuol dire che circa 400 milioni di indiani fanno fatica ad accedere perfino ai beni primari. Qual è il vero quadro sociale dell’India di oggi?
"I maggiori insuccessi sono stati ottenuti nel campo sociale.1 Abbiamo costruito un’infrastruttura industriale ma non abbiamo uno stato sociale. Durante la modernizzazione del paese abbiamo fatto poco per un cambiamento sociale. È vero che è aumentata la dimensione della classe media, ma è anche aumentato il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà. La maggior parte di loro sono dalit (oppresso, la più bassa delle categorie degli intoccabili; molti cristiani appartengono a questo gruppo) e tribali. Secondo alcuni studi il 90% delle famiglie dalit e tribali vivono sotto la soglia della povertà. Mentre ci proclamiamo uno stato sovrano, milioni di nostri concittadini, la maggior parte di loro dalit e tribali, vivono come schiavi, senza un regolare salario.

Il principale motivo di questa contraddizione è la fallita combinazione tra produttività e giustizia sociale. Abbiamo costruito scuole ma non siamo stati capaci di assicurare l’istruzione primaria per tutti i nostri bambini. Come risultato ai bambini dalit e tribali è stato negato ogni accesso all’istruzione. Il grado di alfabetizzazione è estremamente basso in questi gruppi di popolazione: quindi l’istruzione è un problema legato sia alla classe sia alla casta. Essa fornisce alle caste alte e medie la possibilità di migliorare, mentre nega una promozione umana anche futura ai tribali e dalit.

La proporzione di stanziamenti per l’educazione è diminuita in occasione di ogni legge finanziaria del governo, senza parlare del declino che hanno subito gli stanziamenti per l’istruzione primaria. Tutto ciò è ancora più vero per le donne. In ogni gruppo le donne hanno meno accesso degli uomini all’istruzione. Il paese ha milioni di bambini che lavorano. Sono bambini privati della loro infanzia per lavorare a tempo pieno e guadagnare da vivere per le loro famiglie. Le stime (molto variabili) parlano di 18-45 milioni di bambini. Di questi l’85% si stima siano dalit e tribali. Il 60% sono ragazze. A questi bambini è stato negato l’accesso all’istruzione ed è stata rubata l’infanzia a causa della disoccupazione cronica che affligge i membri adulti delle famiglie.

Anche l’assistenza sanitaria dipende da classe, casta e sesso. Mentre la mortalità infantile è circa 15/1000 tra la classe media urbana, è più del doppio della media nazionale tra i poveri che vivono nelle aree rurali. È ancora più alta tra le femmine che tra i maschi. La principale ragione è che ci siamo concentrati sul controllo delle malattie e sull’aumento della produzione alimentare, senza migliorare la situazione alimentare dei poveri e in particolar modo delle donne. Mentre abbiamo scorte alimentari pari a 22 milioni di tonnellate di cereali, più di un terzo della popolazione va a dormire affamata a causa dell’assenza di potere d’acquisto.

Il nostro sistema giudiziario è rimasto bloccato. Risultato? I poveri non possono accedervi. Più di 300.000 carcerati in attesa di giudizio sono abbandonati nelle prigioni solo perché sono poveri e non possono pagare la cauzione o a causa di ritardi procedurali.

Gli slums urbani continuano a crescere a causa dell’impoverimento delle campagne. Le industrie, che sono state costruite per favorire le infrastrutture, sono rimaste isole di prosperità in un mare di povertà. Durante gli ultimi quarantacinque anni sono stati spostati da una regione all’altra più di 30 milioni di persone in nome dello sviluppo nazionale. Più del 60% sono dalit e tribali. Meno di un quarto di loro è stato risistemato. Non esiste una politica nazionale di riabilitazione. Abbiamo impoverito le nostre foreste per fornire di materia prima l’industria. Come risultato la superficie arborea è scesa dal 22% al 13%. I milioni di indiani, ai quali la foresta forniva tutto il necessario, si sono impoveriti senza nessuna alternativa. Abbiamo fallito nello sviluppare un sistema di gestione delle risorse forestali capace di combinare lo sfruttamento con la rigenerazione ambientale.

Una conseguenza è stata l’enorme aumento della popolazione, soprattutto tra i poveri. Negata ogni speranza di miglioramento della propria condizione, i poveri non hanno nessuna motivazione per limitare le nascite. Alta fertilità e alta mortalità infantile, basso livello di istruzione e alto livello di malnutrizione, particolarmente tra le donne, sono frutti della povertà. È stato fatto veramente poco nell’ambito sovrappopolazione, limitandosi ai mezzi di controllo delle nascite, a volte anche con l’uso della forza.

Mentre ci dichiariamo uno stato laico discriminiamo i cittadini sulla base di un’appartenenza religiosa. Le statistiche ufficiali da stati come il Gujarat mostrano che circa il 90% degli arrestati in base al TADA (una legislazione antiterrorista) sono musulmani. Ai dalit cristiani sono negati gli aiuti previsti per le caste basse (scheduled caste) solo perché sono cristiani. Tale discriminazione basata sulla religione è totalmente inaccettabile.

La nostra economia è sempre più orientata verso il neoliberismo. In questo processo abbiamo abbandonato il sistema dei valori di equità, sviluppo sostenibile e giustizia per i poveri. La corruzione è stata una diretta conseguenza della società dualista e dell’economia selvaggia.

India e Pakistan sono nati sotto il trauma della secessione e del trasferimento delle popolazioni e dei massacri che li hanno accompagnati. Dopo mezzo secolo abbiamo rifiutato di liberarci da questo trauma. Continuiamo a vivere nel passato, come i peggiori nemici. Entrambi i paesi, perciò, sprecano enormi risorse in militarizzazione e armamenti. Questi soldi si sarebbero potuti spendere per alleviare la povertà. Inoltre permettiamo a potenze straniere di interferire nei nostri affari interni perché incapaci di risolvere i nostri problemi bilateralmente".

Una cultura per la giustizia

– Quali suggerimenti darebbe al governo, ai leader politici e alle istituzioni per alleviare e risolvere tali differenze sociali?

"Durante questi primi cinquant’anni ci siamo concentrati nel migliorare il nostro PIL (prodotto interno lordo) e la produzione industriale. Ma abbiamo fallito severamente sul fronte sociale. Io suggerirei di cominciare la seconda metà del secolo di indipendenza concentrandoci sugli aspetti sociali, sui segmenti di popolazione che abbiamo ignorato finora.

L’istruzione per tutti deve diventare la priorità assoluta. Ogni bambino dovrebbe ricevere l’istruzione gratuita fino all’età di 14 anni e si dovrebbe dichiarare con urgenza che il lavoro minorile non è più tollerato in questo paese. Deve essere sviluppato un piano con delle scadenze.

L’assistenza sanitaria e l’alimentazione devono essere i prossimi punti da focalizzare. Dovremmo fissare una data entro la quale nessun indiano sia più affamato. Allo stesso modo dovremmo fissare una data entro la quale nessun bambino della più remota area rurale risulti non vaccinato o non abbia accesso a una buona assistenza sanitaria.

Queste saranno importanti premesse per risolvere il problema della sovrappopolazione. Le esperienze dello Sri Lanka, tra i paesi confinanti, e nella stessa India degli stati di Kerala e Goa hanno mostrato che la popolazione può essere controllata attraverso la crescita economica, concentrandosi su istruzione e assistenza sanitaria.

Bisogna dare prospettiva all’utilizzo delle risorse naturali e minerali. La priorità deve essere data agli investimenti per lo sviluppo di energia non convenzionale e di tecnologie alternative al fine di ridurre lo spostamento e la distruzione delle nostre foreste. Nei prossimi dieci anni l'attenzione dovrà essere posta sulla riforestazione operata dalle comunità locali indigene. Ciò comporterebbe un aumento dell’occupazione e del reddito dei poveri delle aree rurali con conseguente crescita del patrimonio naturale. Tecnologie per la desalinizzazione dell’acqua marina, energia solare e riciclaggio possono essere le più importanti alternative al trasferimento di risorse naturali dalle aree rurali alle aree urbane. Anche questo può ridurre l’impoverimento delle aree rurali, che ormai da tempo è la causa principale della migrazione dei poveri verso gli slums urbani. Va posta come priorità, inoltre, una nuova politica di riabilitazione e di sviluppo delle popolazioni che migrano.

Tutte le discriminazioni basate su motivi religiosi devono cessare. Le facilitazioni date alle caste più basse non devono essere erogate con la discriminazione dell’appartenenza a un particolare gruppo religioso, ma dall’imperativo di coscienza a cancellare secoli di ingiustizia a prescindere dall’appartenenza religiosa.

Nonostante i problemi, bisogna fare ogni sforzo per risolvere il contenzioso con i paesi confinanti, a livello bilaterale.

Tutto ciò sarà possibile se rivitalizziamo nel paese la cultura dell’equità della giustizia verso i poveri, lo sviluppo sostenibile e il rispetto per le donne. Questi valori sono comuni a tutte le religioni e filosofie praticate nel paese. Il rivitalizzare questi valori può essere il migliore strumento per l’integrazione nazionale".

Programmata aggressione contro i cristiani

– La comunità cristiana, pur essendo una piccola minoranza, ha dato un notevole contributo alla crescita e allo sviluppo del paese. Eppure negli ultimi anni stiamo assistendo a numerosi attacchi ai cristiani (sia cattolici, sia protestanti). Da cosa nasce questa violenza?

"Da quando il governo di coalizione, guidato dal partito nazionalista hindu BJP (Bharatiya Janata Party), è al potere sono aumentati gli attacchi ai cristiani. La struttura della potente organizzazione al lavoro è così composta: il BJP guida il governo centrale e quello in alcuni stati. Questo è l’ala politica dell’organizzazione; il VHP (Vishwa Hindu Parishad, dove Vishwa significa universale e Parishad associazione) è l’ala religiosa; il RSS (Rashtriya Seva Sangh, gruppo di servizio nazionale) è l’ala culturale con una particolare ideologia fondamentalista.

Il 1998 ha visto tanta violenza contro la comunità cristiana in India, quanta forse non si era mai avuta in tutti i cinquant’anni d’indipendenza. Gli aspetti di violenza che hanno disturbato e messo sotto pressione l’intera comunità cristiana sono preoccupanti per i seguenti motivi:

a) la severità dell’attacco;

b) la diffusione geografica degli attacchi;

c) la connivenza di elementi politici e l’appoggio di gruppi politici al potere;

d) la complicità della macchina stato, in particolar modo di quella della polizia;

e) il comportamento della magistratura.

Accanto a questi attacchi diretti alla comunità cristiana, ve ne sono altri indiretti: scarso sostegno al lavoro caritativo attraverso leggi fiscali improprie; ritardi nelle decisioni sulla questione dalit; ritardi nella formazione di un ufficio della magistratura della Corte suprema per difendere le minoranze; abuso dei media ufficiali nel manipolare le notizie e negazione di pari opportunità alle minoranze; mancanza di decisione nell’ampliamento dei fondi di sviluppo per le minoranze; indifferenza alle indicazioni della Commissione nazionale delle minoranze; inerzia della Commissione nazionale sui diritti umani, anche dopo le proteste dei cristiani; continui ritardi delle autorità centrali, municipali e statali, su questioni come il terreno per chiese, scuole, cimiteri; abusi e alienazioni di proprietà; tentativi di hinduizzazione e brahmanizzazione del sistema scolastico nazionale, che minacciano il processo educativo ed erodono l’edificio democratico e pluralistico del paese".

– Come si è sviluppato questa violenza? Esiste una strategia di attacco secondo lei?

"La violenza è crescente, di livello e severità inumani: l’umiliazione di essere denudato, provata da padre Christudas, lo stupro delle suore, omicidi... Corpi sepolti riesumati e Bibbie bruciate. Cappelle nelle missioni cristiane nelle aree rurali del Gujarat e Rajasthan rase al suolo. L’attacco è sui simboli fisici della chiesa, specie sul personale impegnato nel settore della giustizia sociale. Cercano si spaventarci, di fermarci e limitarci.

Su molti di questi crimini si sta investigando con l’apporto della Commissione nazionale per i diritti umani delle minoranze. Molti altri sono stati provati da imparziali gruppi per i diritti umani, che hanno confermato concordemente la severità della violenza. Sono stati identificato gli assalitori e i killer come appartenenti a un gruppo, che crede in un’ideologia di supremazia hindu. Il presidente della Commissione nazionale per le minoranze si è più volte rivolto ai governi nazionali e degli stati per una rapida azione al fine di punire i colpevoli e porre termine alla violenza contro le comunità cristiane. Queste richieste non hanno avuto risposta.

Si sta preparando in proposito un libro bianco. Obiettivo delle programmate aggressioni pare essere quello di marchiare la comunità cristiana. Presentando la tesi "Un popolo, una nazione, una cultura", lo sforzo del gruppo fanatico è di attaccare le tradizioni pluralistiche della cultura indiana, la ricchezza della sua diversità e il contributo spirituale delle varie fedi religiose. Chiunque è diverso viene bollato come nemico e quindi attaccato, intimidito, assalito. L’intolleranza e la violenza furono acutamente indicate dal giudice Venugopal nel 1982, nel Rapporto della Commissione d'inchiesta sui disordini di Kanyakumari contro i cristiani. Il giudice Sri Krishna, che quest’anno ha presentato un suo rapporto sui disordini di Mumbai, ha descritto in termini chiari la genesi dell’odio fondamentalista e la strategia usata da questi gruppi fanatici per soggiogare le comunità minoritarie.

Esiste una strategia dell’aggressione. In primo luogo l’attacco è sui simboli fisici della chiesa, sul personale impegnato nella promozione umana nella base, inclusi preti e suore; in secondo luogo diventa pressione sulle istituzioni con l’obiettivo di assicurare che l’impatto sociale dei cristiani sia ridotto, il loro contributo allo sviluppo della nazione sia minimizzato e che essi diventino socialmente irrilevanti. Le istituzioni educative sono prese di mira perché hanno il potere di influenzare milioni di persone".

Le autorità non reagiscono

– Qualche mese fa lei ha presieduto una delegazione di leader cristiani che ha incontrato il ministro degli interni (che è anche leader storico del BJP) per sensibilizzare il governo sugli ultimi tristi avvenimenti. Com’è stata la risposta delle istituzioni?

"Diversi memorandum sono giunti al presidente dell’India e al primo ministro. I nostri leader hanno incontrato il ministro degli interni dell’India. Il governo deve ancora chiedere scusa per questi avvenimenti. I governi (quello centrale e quelli dei singoli stati) devono ancora condannare il fondamentalismo.

Nessuna azione concreta ha seguito gli incidenti di Jabua, che hanno visto lo stupro di alcune suore. Alcune persone sono state arrestate. Inoltre c’è già nell’aria la paura e la percezione che ci sia una manovra ufficiale deliberata per coinvolgere cristiani, per scoraggiare la nostra protesta.

Nello stato del Gujarat, il ministro presidente ha assunto un impegno di pace verso la comunità cristiana. Questo impegno fu richiesto dalla commissione nazionale per le minoranze. Nonostante queste garanzie, gli attacchi ai cristiani continuano nelle città più grandi del Gujarat. Nello stato dell’Orissa, nessuno è punito. In Rajasthan nessuno dell’Hindutuva Parivar è stato portato in tribunale per aver affermato che il territorio di Banswara sarà ripulito della presenza di tutti i cristiani entro il 2000".

– In conclusione, la comunità cristiana sta rispondendo a questo attacco con opportune azioni, dopo momenti di sgomento e paura. Come intende guidare la risposta della comunità? Quali sono i prossimi passi da compiere?

"Anzitutto con la preghiera: i cristiani non sono mai stati sconfitti dalla persecuzione. Questo è un fatto storico. Poi con l’impegno nella testimonianza: continuare l’impegno nella testimonianza, servendo i poveri, i fuoricasta, gli sfruttati, le donne e i bambini. In terzo luogo con la sensibilizzazione: sensibilizzare la parte non fondamentalista della comunità hindu a lavorare con i movimenti per le libertà civili e con coloro i quali cercano di proteggere la Costituzione. Questo deve essere fatto innanzitutto mostrando che siamo coscienti del nostro trauma e che ci stiamo rafforzando nella nostra fede, così che non soccomberemo a questa insidiosa pressione e coercizione.

Abbiamo formato un Forum per i diritti umani per tutti i cristiani: il comitato organizzatore di questo forum, che si è riunito per la prima volta nei mesi scorsi, ha una presidenza composta dai vescovi residenti in Delhi e un esecutivo formato da rappresentanti delle chiese membri del Consiglio nazionale delle chiese in India, l’Esercito della salvezza, la Chiesa metodista indiana, la Chiesa battista e l’Associazione delle chiese evangeliche, CRI, All India Catholic Union, YMCA, YWCA e altre ONG. Il vescovo della Chiesa del nord dell’India in Delhi, Karam Massih, il vescovo cattolico Vincent Concessao (vescovo ausiliario di Delhi) sono i coordinatori. Questo comitato registrerà tutti i casi in cui i diritti umani sono violati.

Un'ulteriore iniziativa, infine, è stata la celebrazione di una giornata di protesta nazionale. Per la comunità cristiana il 4 dicembre 1998 è stato un giorno di protesta nazionale per richiamare l’attenzione del governo e del popolo indiano sull’ondata di violenza contro i cristiani nel 1998 e sui tentativi fatti da alcuni elementi fanatici di demolire il carattere secolare dello stato. In tutta l’India il 4 dicembre 1998 è stato giorno di sit-in e di digiuno. Tutte le scuole, colleges e istituzioni che fanno capo alla chiesa cattolica e altre denominazioni cristiane sono rimaste chiuse. Gli ospedali e i servizi essenziali hanno funzionato, ma gli impiegati hanno indossato una fascia nera in segno di protesta. Tutti i lavoratori si sono assentati dal lavoro per unirsi al corteo. Si è digiunato e pregato. Dei volontari hanno digiunato dalle 8 alle 16 a Rajghat dove sono conservate le ceneri del mahatma Gandhi. Una delegazione ecumenica ha presentato un memorandum alle rispettive autorità degli stati, chiedendo loro protezione per i diritti delle minoranze e il rispetto della Costituzione. A Delhi un grande corteo si è snodato nei pressi del Parlamento e un memorandum è stato presentato al primo ministro. Si è scelto quel giorno perché in esso si è inaugurata la sessione invernale dell’assemblea parlamentare".

1 Per il confronto con la situazione nel 1996, cf. alcuni dati su Regno-att. 6,1997,174ss.

* Mons. Alan Basil de Lastic è arcivescovo di Delhi e presidente della Conferenza episcopale inter-rituale dell’India, membro del National Integration Council. L’autore dell’intervista è un ingegnere, membro del movimento missionario S. Francesco Saverio, che conduce a New Delhi alcuni studi su religione e società.


articolo tratto da Il Regno logo

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