La sfida dell’integralismo indù
L’integralismo indù è un problema in crescita in India, e dal 1998 è anche al governo della federazione, con la sconfitta storica inflitta al Partito del congresso dai movimenti della destra confessionale induista, che fanno capo alla cosiddetta "famiglia" (Sangh Parivar) che s’ispira all’ideologia nazionalista hindutva.
All’analisi dell’hindutva è dedicata la dichiarazione finale della XXIII Assemblea plenaria annuale dell’Associazione teologica indiana (Bangalore, 26-30.4.2000), dal titolo La sfida dell’hindutva: una risposta cristiana indiana. Il pericolo è individuato nel fatto che i suoi leader strumentalizzano aspetti della tradizione e della religione indù e il timore diffuso per l’avanzare del fondamentalismo islamico, al fine in realtà di mantenere la propria situazione di privilegio economico e di casta.
Di fronte a questa emergenza, i cristiani indiani dovrebbero sentirsi chiamati a prendere una posizione chiara, in difesa della "unità nella diversità", che è "il tratto distintivo del tessuto culturale indiano", e a favore dei gruppi subalterni: "la missione dialogica della Chiesa richiede che essa si faccia agente di riconciliazione e di pace".
Originale ciclostilato. Nostra traduzione dall’inglese.
Introduzione
1. Negli ultimi anni, i sostenitori dell’hindutva1 hanno intensificato i loro tentativi di traformare il nostro paese secondo un modello monolitico hindutva. Al fine di realizzare il proprio obiettivo, essi hanno perpetrato innumerevoli atrocità contro dalits, tribali, musulmani, cristiani e altre minoranze. Simili atti di violenza, e l’ideologia che li legittima, minacciano di distruggere il tessuto democratico, secolare e civile della nostra società, e di cancellare il pluralismo che puntella l’unità della nostra nazione. Diventa imperativo, per tutti coloro che hanno a cuore il futuro della nostra nazione, fronteggiare insieme questa sfida con un senso di urgenza. Nutriamo la convinzione che si tratti di una sfida incalzante che coinvolge la totalità della nazione. Anche per la Chiesa la questione è incandescente. È in questo quadro che noi, in qualità di membri dell’Associazione teologica indiana (ATI), coscienti di rendere un servizio di interpretazione cristiana, abbiamo concentrato la nostra attenzione sul fenomeno dell’hindutva in occasione della nostra XXIII Assemblea annuale, tenutasi al Dharmaram Vidya Khsetram, Bangalore, tra il 26 e il 30 aprile 2000.
2. Analizzeremo in un primo tempo l’origine e lo sviluppo dell’hindutva, al fine di comprenderne l’ideologia e le strategie. Questo ci stimola anche a compiere una sincera introspezione e a cercare la via di una risposta autenticamente cristiana. Solo congiungendo le nostre mani con quelle di tutte le persone di buona volontà, impegnate per l’unità e la diversità dell’India, e soprattutto per l’eliminazione della disuguaglianza e dell’ingiustizia, saremo in grado di contibuire in modo significativo a rispondere a questa sfida.
I. La sfida dell’hindutva
I. Origini e sviluppo dell’hindutva
3. Diversi fattori hanno concorso all’emergere di forze hindutva nel nostro paese. Il principale di questi fattori è il senso di insicurezza che andò maturando tra alcuni appartenenti alla casta e alla classe dominante indù sotto la dominazione musulmana e durante il periodo del colonialismo britannico. Questi indù si sentirono minacciati non solo sotto il profilo politico ed economico, ma anche dal punto di vista culturale e religioso, dal momento che gli occidentali criticavano la religione indù in quanto superstiziosa e guardavano dall’alto in basso le pratiche indù, quali il sistema delle caste, il suicidio della vedova sulla pira funebre del marito (sati), l’intoccabilità, il matrimonio in età infantile ecc. Anche le attività di proselitismo dei missionari cristiani e la cieca ammirazione della classe dominante per la cultura occidentale contribuirono a ferire la loro sensibilità. Questo spinse l’ortodossia indù da un lato a riformare e a ridefinire le dottrine e le tradizioni indù alla luce della cultura moderna, dall’altro a riscoprire nelle scritture indù elementi atti a fronteggiare la sfida avanzata dalle religioni semitiche. Vinayak Damodar Savarkar (1883-1966), un bramino del Maharashtra, codificò una dottrina politica e sociale conosciuta come "hindutva" e pubblicò i principi fondamentali della sua teoria nel libro Hindutva: who is an Hindu? (1923). Egli affermava che gli indù costituiscono una sola nazione e chiedeva loro di edificare uno stato (rashtra) indù con l’obiettivo di mantenere, preservare e promuovere gli interessi della razza indù.
4. La crescita del fondamentalismo islamico, già dai tempi della lotta per l’indipendenza nazionale, fu un altro fattore che contribuì alla nascita dell’ideologia hindutva. Il movimento Khilafat2 diede origine a una ribellione anti-indù, e in diversi luoghi gli indù vennero attaccati. Anche la disponibilità del Congresso Nazionale Indiano a negoziare con la Lega musulmana, e la leadership non violenta del mahatma Gandhi, preoccupavano le forze hindutva. Esse temevano che il mahatma Gandhi cedesse di fronte a tutte le richieste musulmane di ottenere l’indipendenza, e che gli indù non avrebbero più avuto il posto che a loro spettava nell’India del dopo indipendenza.
5. I precursori dell’hindutva erano consapevoli della triste situazione in cui versava la società indù, divisa in diverse caste, sotto-caste (jati) e sette. Essi compresero che se l’India, che aveva conosciuto epoche luminose di gloria spirituale, era nuovamente e ripetutamente invasa dagli stranieri, ciò era dovuto all’assenza, tra gli indù, di una coscienza collettiva. Keshav Baliram Hedgewar (1889-1940), scontento del funzionamento delle organizzazioni indù quali Arya Samai (nata nel 1887) e Hindu Mahasabha (nata nel 1907), fondò a Nagpur il Rashtriya Swayam Sevak Sang (RSS) nel settembre del 1925, nel Vijay Deshmi Day,3 al fine di consolidare l’unità indù contro le religioni semitiche presenti in India.
6. L’ideologia hindutva fu rinforzata da Madhav Sadhasiv Golwalkar, il secondo Sarsaghchalak4 del RSS, attraverso due opere fondamentali: We or Our Nationhood Defined (1939), e Bunch of Thoughts (1966). È fuori di dubbio che i leader induisti – in particolare V.D. Savarkar, K.B. Hedgewar e M.S. Golwalkar – tenessero in grande considerazione i movimenti nazionalistici più radicali presenti in Europa (il nazismo in Germania e il fascismo in Italia) e che li abbiano assunti come modelli in base ai quali improntare la struttura, il funzionamento, le strategie del movimento hindutva.
7. Dopo l’assassinio del mahatma Gandhi da parte di Nathuram Vinayak Godse, il RSS venne messo al bando e divenne isolato all’interno del paese. Per superare questo periodo di crisi e per diffondere i principi dell’hindutva in tutti gli ambiti della vita, il RSS diede vita, nel corso del tempo, a più di cinquanta organizzazioni principali, e ad altre varie semi-associazioni, tra le quali vanno ricordate Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (1948), Jana Sangh (1951), poi trasformata nel Baratiya Janata Party (1980), Vanavasi Kalyan Ashram (1952), Bharatiya Mazdoor Sang (1955), Vishva Hindu Parishad (1964), e Bajrang Dal (1984).
8. I movimenti della Sangh Parivar5 proiettano nella dimensione pubblica gli aspetti culturali, politici, sociali e religiosi dell’ideologia hindutva, ma mascherano sottilmente gli interessi economici della casta superiore e della classe media indù. Gli sviluppi di tipo economico e politico che hanno avuto luogo nelle classi economicamente inferiori e nelle caste socialmente inferiori6 nell’India del dopo indipendenza come conseguenza del sistema della quota riservata, e tra le comunità musulmane e cristiane attraverso l’istruzione e l’aiuto straniero, hanno suscitato nella classe dominante indù il forte timore di perdere la propria posizione di predominio economico e di privilegio nel paese. Di conseguenza, venne avvertita intensamente la necessità di salvaguardare i propri interessi economici. Onde garantirsi, in questo tentativo, il sostegno dell’insieme della popolazione indù, è stata utilizzata la religione come strumento di manipolazione e di sfruttamento. Gli sforzi congiunti del BJP, del RSS e del VHP per la costruzione del tempio di Ram, e i disordini di gruppi provocati dalle forze filo-hindutva, celano la strategia di procurarsi i voti indù per mettere al potere quel centro che li avrebbe aiutati a controllare l’economia della nazione.
9. Queste motivazioni economiche implicite si rivelano nella resistenza opposta dal BJP nei confronti della realizzazione delle Raccomandazioni della Commissione Mandal, nella richiesta di soppressione, avanzata dal Sangh Parivar, del sistema della quota riservata e dei diritti delle minoranze, e nell’oppressione che le caste e le tribù inferiori sono costrette a sopportare negli stati in cui è al potere il BJP. Oggi un numero sempre crescente di imprenditori indù finanzia le campagne elettorali del BJP, che a sua volta assicura loro una serie di vantaggi economici. L’hindutva diventa così un movimento confessionalista di difesa degli interessi economici e politici della classe dominante indù contro le altre comunità.
10. Secondo i dati statistici attualmente disponibili, il RSS guida 30.888 shakhas ("unità") e 42.682 diramazioni. È diffuso in 1.880 città e cittadine dell’India e può contare sulla forza di circa due milioni di swayamsevaks ("volontari", membri del RSS) e 2.000 pracharakas ("comandanti"). Nel Sangh Parivar, il RSS gioca il ruolo di matrice e provvede a che i movimenti originati collaborino insieme alla costruzione di un’identità collettiva indù fondata sull’hindutva.
II. L’ideologia hindutva
11. Fu V.D. Savarkar a coniare la parola "hindutva", termine che racchiude un concetto e una filosofia di grande complessità. La parola fa riferimento a "una appartenenza indù di tipo nazionalistico", comprensiva di diverse componenti: la razza, la fede indù, fattori di ordine geografico e culturale. L’hindutva richiede quattro elementi: a) l’essere nati e cresciuti in territorio indiano; b) l’appartenenza alla razza indiana, vale a dire l’avere sangue indù; c) l’apprezzamento e la pratica di tutte le usanze e le tradizioni del sanskriti indù, e l’accettazione della sola India come propria patria (pitrubhu) e terra santa (punyabhu), e dei suoi eroi come persone degne di venerazione (virpurush), come pure del sanscrito come lingua comune; d) la fedeltà a una delle tradizioni religiose emerse dall’India, quali l’induismo o il buddhismo, il giainismo e il sikhismo, in quanto diramazioni dell’induismo (V.D. Savarkar, Hindutva: Who is a Hindu?, S.P. Gokhale, Pune 1947, 73, 92, 81-82).
12. Di conseguenza musulmani, cristiani e altri sono esclusi dall’ovile indù per diverse ragioni: a) non scorre nelle loro vene sangue indù; b) seguono una diversa fede o un diverso culto; c) considerano città sante luoghi come La Mecca e Gerusalemme; d) le loro pratiche linguistiche, come l’inglese e l’urdu, non appartengono al sanskriti indù.
13. Questa ideologia avrà numerose implicazioni a livello politico: gli indù che si riconoscono nell’ambito dell’hindutva devono unirsi e combattere i loro nemici, i non indù. I non indù devono essere convertiti all’induismo, abbandonando la propria fede e le proprie pratiche culturali. Devono inoltre glorificare la razza e la cultura indù. In caso contrario, "vivranno all’interno del paese in una condizione di subordinazione alla nazione indù, senza poter avanzare alcuna rivendicazione, senza godere di alcun privilegio o di alcun trattamento preferenziale, neppure dei diritti civili": queste le convinzioni espresse da Golwalker (M.S. Golwalker, We, or our Nationhood defined, Bharat Prakashan, Nagpur 1939, 62).
III. Le strategie dell’hindutva
14. Numerose organizzazioni fondamentaliste e confessionaliste indù cercano di dare realizzazione a questa ideologia nella pratica quotidiana attraverso diverse strategie. Al fine di conseguire i loro obiettivi, i sostenitori dell’hindutva scelgono la via di stigmatizzare quei gruppi religiosi nei confronti dei quali gli indù si sentono vulnerabili. Sono mossi dalla convinzione che questa vulnerabilità possa essere superata emulando i fattori o gli elementi più forti di quei gruppi, e facendoli propri. Nel contempo, non vogliono dare a vedere di averli mutuati da altri. Di conseguenza, essi vanno a ripercorrere la propria tradizione per vedere se riescono a trovare nel passato alcune analogie.
In questo modo, hanno inventato il mito dell’età dell’oro vedica immettendovi questi ideali e valori come se fossero lì presenti in forma gloriosa. Ma non è abbastanza inventare un’età dell’oro vedica; tutto ciò va inculcato nella coscienza della gente comune come una verità vincolante. Per perseguire questo fine, essi mettono in atto diversi meccanismi miranti a formare le coscienze manipolando i simboli culturali dell’identità di gruppo. Anche la riscrittura della storia e dei libri di testo per i diversi istituti di istruzione, secondo la loro ottica particolare, è un’altra tattica di cui si avvalgono principalmente. Oltre a ciò, fanno parte della loro strategia d’azione anche l’artificiosa falsificazione dei dati di censimento, la falsa propaganda contro musulmani e cristiani e l’adozione di atteggiamenti aggressivi contro queste comunità. Essi sanno che i media costituiscono il mezzo più potente per conseguire questi fini e, conseguentemente, se ne sono impadroniti.
15. Soprattutto, essi sono coscienti del fatto che questi obiettivi non possono essere realizzati senza il sostegno del potere politico. Di conseguenza, hanno cercato di impadronirsene. Dal momento che il RSS asseriva di essere solo un movimento culturale, nacque nel 1951 il Bharatiya Jana Sangh, che divenne nel 1980 il Bharatiya Janata Party. Questa forza politica li ha messi in condizione di avere in mano il timone dell’India di oggi, dando loro l’opportunità di mettere in atto le proprie strategie e i propri progetti. Essi sanno che il modo migliore per ottenere una legittimazione e insediarsi stabilmente è una politica di coalizione, ed è proprio quella che oggi praticano con grande successo.
16. Una delle strategie adottate dai sostenitori dell’hindutva è stata quella di operare un’appropriazione selettiva di alcuni elementi del cristianesimo e dell’islam. Per questa ragione, hanno incorporato nelle loro pratiche ortodosse le forme di proselitismo missionario tipiche delle religioni semitiche. Hanno reinventato il rituale shuddi, utilizzandolo per attuare una riconversione dal cristianesimo e dall’islam all’induismo. Hanno adottato l’assistenzialismo sociale e le attività di servizio propri del cristianesimo. I nazionalisti indù hanno anche cercato di costruire una struttura centralizzata di tipo ecclesiale per dirigere e guidare le cerimonie religiose, morali ed etiche della società indù. Anche i loro templi si sono trasformati da luoghi destinati al culto individuale a centri comunitari in cui si svolgono tutte le funzioni religiose, culturali e sociali, così come avviene nelle parrocchie cristiane.
17. Gli eventi principali, organizzati per suscitare una mobilitazione di massa e per forgiare un’identità collettiva di indù appartenenti a un unico rashtra indù, sono stati i seguenti: la contesa di Ayodhya7 e la costruzione del tempio di Ram attaverso il movimento Ramjanboomi, l’Ekata Yatra ("pellegrinaggio per l’unità") del 1983, la rappresentazione di Ram come un eroe nazionale per il militante indù, il Shilanyas ("pietre del tempio") il 9 novembre 1989 e il Ram Shila Poja,8 il Rath Yatra ("pellegrinaggio del carro") del 1900, l’Ekata Yatra del 1991 e l’organizzazione di un Kar Seva ("servizio sociale"), la creazione di un culto del martirio.
IV. Per comprendere l’hindutva
18. Il comportamento umano individuale viene plasmato da timori inconsci, da bisogni e da pregiudizi, che sono a loro volta il sedimento di esperienze passate. Questo vale anche per le comunità. Questo tipo di considerazione ci aiuta, almeno in parte, a comprendere il fenomeno dell’hindutva.
19. Sono stati diversi gli invasori e i dominatori che hanno profanato i luoghi di culto indù, distruggendoli o depredandoli dell’oro o degli altri oggetti preziosi. Altri invece hanno esercitato la violenza fisica o altre forme di pressione nell’intento di convertire gli indù alla propria religione. Le credenze religiose e le pratiche degli indù o delle persone che essi veneravano furono apertamente messe in ridicolo. Due eventi occorsi durante il XX secolo hanno lasciato profonde cicatrici sui nostri amici indù e sulla nostra nazione: l’episodio di Jallianwala Bagh, nel 1919, e la ribellione di Mappila, nel 1921. I dominatori inglesi e i loro alleati dimostrarono mancanza di sensibilità nei confronti delle popolazioni locali.
20. La politica del "divide et impera" seguita dai britannici è ritenuta uno dei fattori che ha favorito i musulmani. Analogamente, già nel XIX secolo, il governo britannico reclutò nel Punjab sia dei bhramos,9 considerati non indù da molti abitanti del Punjab, sia dei cristiani, per ricoprire incarichi di governo. Anche Gandhiji fu considerato indulgente verso i musulmani. Il suo ruolo nel movimento Khilafat e la sua reazione alla ribellione di Mappila sollevarono diversi interrogativi negli animi di alcuni indù. È chiaro che fu facile per la Lega musulmana indiana premere sul Congresso nazionale indiano affinché cedesse di fronte alle loro ingiuste richieste.
21. Per più di mille anni i non indù hanno cercato di piegare gli indù sul loro modello. Invero, a livello internazionale gli indù costituiscono una minoranza. Essi sono coscienti dell’avanzata del fondamentalismo islamico a livello mondiale. La popolazione musulmana sembra avere un tasso di crescita molto superiore rispetto alla componente indù. Di conseguenza, gli indù temono di diventare una minoranza anche all’interno del paese.
22. Nel nostro paese la sfera religiosa era sotto il controllo dei bramini. I proprietari terrieri e gli usurai dominavano l’economia. La componente maschile dominava la società. Tutte queste élites ottenevano grandi quantità di lavoro, in cambio di un’esigua remunerazione, da parte dei settori più deboli della società: dalits, tribali e donne. L’attività dei missionari e di altre organizzazioni sociali, cui oggi si unisce l’azione dell’istruzione e della modernizzazione, pongono una seria minaccia a queste élites.
23. I sostenitori dell’hindutva avvertono l’esistenza di una sorta di minaccia all’unità e all’integrità della nostra nazione: la loro risposta è l’ideologia. Sebbene siano passati più di cinquant’anni dal conseguimento dell’indipendenza, non siamo ancora sufficientemente uniti. Prima dell’indipendenza, i musulmani chiedevano che il Pakistan e il Dravida Munneta Kazhagam costituissero uno stato autonomo. In epoca recente, alcuni sikhs protestavano per ottenere la separazione del Khalistan. Anche numerosi tribali rivendicavano la costituzione di stati separati nel Nordest, che è a prevalenza cristiana. Tutti questi eventi, queste percezioni e interpretazioni sono almeno in parte responsabili della nascita e della crescita dell’hindutva e del suo appello a una parte delle masse indù.
V. Una valutazione critica
24. L’hindutva ha prodotto volumi sulla propria ideologia. Sulla scorta del nostro studio analitico, solleviamo le seguenti questioni e obiezioni critiche: l’interpretazione della cultura indiana fornita dall’hindutva può essere definita riduzionismo culturale. L’uso che Savarkar fa di termini quali indù, stato, nazione e cultura è assolutamente personale, e ignora il pluralismo culturale, linguistico e religioso che è peculiare del contesto indiano. La diversità, anziché costituire un tratto positivo e una ricchezza dell’India, viene ridotta, dall’ideologia hindutva, a una "monocultura". Fino a che punto questo approccio può ritenersi scientifico e giustificabile?
25. Non è giusto lasciarsi coinvolgere in recuperi selettivi del passato. Distorcere il passato è operazione ancora peggiore. Affermare che gli ariani sono stati da tempi immemorabili gli abitanti di questa terra e che non provenivano da fuori è una questione storica su cui ferve il dibattito. Per quanto tollerante si sia dimostrato nel complesso, l’induismo non può affermare che nella storia indù non vi sia stata alcuna forma di persecuzione nei confronti di altri. Questo significa o ignorare la storia o travisare la verità. Qualsiasi studente di storia sa bene come il buddhismo, benché nato nel nostro paese, non sia mai potuto fiorire in questo contesto, e sia stato anzi sradicato con la violenza.
26. Stigmatizzare gli altri per calunniarli come se incarnassero il male, senza un fondamento oggettivo, e falsificare fatti e informazioni su cristiani e musulmani presentandoli come verità sono comportamenti disonesti. Riusciranno ancora a lungo i sostenitori dell’hindutva a imporre la strategia dell’odio per gli altri e la tecnica della falsificazione dei fatti? La storia dimostra che il fascismo italiano e il nazismo tedesco hanno vissuto una vicenda molto breve. Coloro che non imparano dalla storia sono costretti a ripetere lo stesso errore.
27. L’hindutva non ha proposto una buona teoria dell’appartenenza nazionale sulla quale poter costruire insieme la nostra nazione. Al contrario, si rivela come una prospettiva angusta, razziale, escludente, che semina divisione tra le persone (per ulteriori considerazioni su questo punto, si veda la seconda parte). Come può l’India trovare l’unità attraverso l’hindutva?
28. Al giorno d’oggi sono parecchie migliaia gli indù che si sono stabiliti all’estero con le loro famiglie, forniti di un’occupazione stabile o legati da interessi economici. Essi assumono anche una nazionalità straniera, abbandonando quella indiana, e parlano una lingua che non è quella indiana. Raramente praticano i rituali o celebrano le festività indù, a differenza dei loro omologhi indiani. Attualmente numerosi familiari dei leader del VHP, del Shiva Sena e del RSS appartengono a questa categoria. Attenendosi ai criteri messi a punto dai sostenitori dell’hindutva, essi non appartengono al gregge indù; ciò nondimeno, il VHP sostiene di essere un’organizzazione internazionale che cerca di unificare gli indù nella diaspora. Siamo di fronte a un’evidente contraddizione.
29. Una religione, nella sua essenza più autentica, offre valori che hanno una funzione di liberazione e contribuisce a mettere in discussione la realtà nel caso in cui questa si discosti da tali valori. Una religione autentica si fa coscienza e voce degli oppressi. L’hindutva, nelle sue categorie fondamentali, funziona come una forza oppressiva nei confronti di diversi settori della società indiana, in particolare dei gruppi subalterni. Inoltre i sostenitori dell’hindutva, come il VHP e il BJP, coinvolgono i sadhus10 nell’arena politica allo scopo di favorire i propri interessi acquisiti e le proprie ambizioni politiche, come ad esempio la demolizione del Babri Masjid, Ramshila Puja, ecc. Questo è stato causa di molti disordini pubblici. Dove è andato a finire, in tutto ciò, l’aspetto autenticamente religioso (la dimensione liberatoria) della religione indù?
II. Una risposta cristiana indiana
30. Prima di spiegare in dettaglio la nostra risposta all’ideologia hindutva, vogliamo chiarire che non assimiliamo l’hindutva all’induismo. Mentre quest’ultimo è una tra le altre religioni mondiali, conosciuta per la profondità delle sue Scritture, le sue tradizioni di alta contemplazione e spiritualità, il suo spirito di tolleranza, i suoi valori eterni e le sue intuizioni filosofiche, l’hindutva è un’ideologia chiusa ed eccessiva. Noi, in quanto cristiani indiani, siamo orgogliosi dell’antica eredità propria dell’India, delle sue tradizioni religiose, etiche e filosofiche, dalle quali traiamo nutrimento spirituale ed energia vitale per le nostre vite, per la nostra esperienza spirituale e per le nostre riflessioni teologiche. Noi invitiamo tutti i cristiani a costruire una relazione positiva con i nostri fratelli e sorelle indù, e con le persone di tutte le altre religioni, attraverso un sano dialogo e nella collaborazione. Inoltre intendiamo dissociarci con forza da tutti quei gruppi cristiani fondamentalisti che non mostrano alcuna sensibilità verso i valori positivi propri dell’induismo e delle altre religioni e culture del nostro paese, per seguire invece una politica missionaria aggressiva che ricalca il modello coloniale.
31. È possibile controbattere all’hindutva da diversi punti di vista: da sociologi, da storici, da economisti o da politici. Vogliamo qui articolare una risposta cristiana indiana: una risposta, cioè, alla luce della nostra tradizione cristiana e della nostra eredità indiana. In altre parole noi, in quanto credenti cristiani indiani, cerchiamo di rispondere all’hindutva secondo una via autenticamente indiana e autenticamente cristiana.
I. Per promuovere una cultura dell’armonia
32. L’unità nella diversità è il tratto distintivo del tessuto culturale indiano. Ekam sat vipra bahudha vadanti (La verità è una sola, ma vi sono diverse percezioni di tale verità). Questo assioma vedico è il cuore pulsante della cultura indiana. Un’incessante ricerca della Verità (sadhana dharma), del Fondamento, del Divino permea ogni forma della nostra vita e del nostro pensiero. Nello stesso tempo, noi rispettiamo i diversi percorsi attraverso i quali si snoda questa ricerca (samaj dharma). Di conseguenza, nel corso dei secoli l’India ha sviluppato una cultura dell’armonia, che riconosce l’unità e promuove la diversità nella ricerca religiosa e nelle espressioni culturali. È questa la nobile eredità che fa della nostra terra una terra punyabhumi, sacra, per i credenti di tutte le religioni. Questa eredità garantisce il nostro futuro e assicura una coesistenza pacifica tra le diverse religioni.
33. L’hindutva sostiene, in modo più o meno esplicito, l’ideologia di una cultura monolitica fondata su una singola tradizione religiosa. Questo ha effetti disastrosi per il futuro della nazione. Occorre il massimo impegno per controbilanciare questa linea di tendenza, promuovendo al contrario i valori universali dell’onestà (satyam), della giustizia (dharma), dell’equità (samabhavana), dell’uguaglianza (samatva), della non violenza (ahimsa), dell’amore (maitri), e della compassione (karuna). Bisogna che in tutte le scuole, in tutti i colleges e in qualsiasi altro centro di formazione siano insegnati a tutti gli studenti questi principi fondamentali, così che le giovani generazioni possano crescere in una vibrante cultura dell’armonia. Le principali feste religiose e le festività locali potrebbero essere celebrate in modo tale da promuovere l’armonia collettiva. Tutte le religioni devono collaborare insieme al rispetto della natura e dei suoi ritmi, e alla protezione dell’ambiente per uno sviluppo sostenibile di tutti. La teologia cristiana deve sviluppare prospettive che aiutino le persone a comprendere che i credenti delle diverse religioni sono compagni di pellegrinaggio che si guidano reciprocamente verso l’unica meta trascendente (cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, 27.10.1986; Regno-doc. 21,1986,643).
34. È proprio in questo pellegrinaggio comune che condividiamo gli uni con gli altri la nostra esperienza spirituale, collaboriamo all’edificazione della nostra nazione nella promozione della pace, della giustizia e dei diritti umani, e siamo perciò pienamente impegnati per l’integrazione nazionale. In questo modo, i credenti di diverse religioni sono coinvolti in un ininterrotto processo di dialogo grazie al quale ciascuna religione è costantemente aiutata a esprimere il suo potenziale liberatorio per il benessere integrale di tutta l’umanità (Regno di Dio/Yogakshemann/Lokasamgraha/Vasudhaiva kutumbakam).
35. Noi comprendiamo che la critica che l’hindutva muove al cristianesimo è in larga misura una critica al volto coloniale delle comunità cristiane. Noi siamo orgogliosi di essere cristiani indiani, e ben sappiamo quanto ci sia necessario inserirci più profondamente e più autenticamente nel tessuto della nostra cultura indiana. La nostra fede nell’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo è un invito a percepire la rivelazione della parola di Dio e la presenza trasformatrice dello Spirito di Dio nelle realtà religiose e culturali dell’India. Di conseguenza, in quanto cristiani, dobbiamo rivendicare l’"indianità" dell’esperienza e dell’espressione nella ricerca religiosa. Traiamo ispirazione dalle Scritture e dai simboli, dai saggi e dalle tradizioni dell’India. Comprendiamo ed esprimiamo la nostra fede cristiana nelle forme molteplici delle culture locali. Le istituzioni cristiane e le strutture amministrative della Chiesa devono essere rimodellate in armonia con la saggezza e i valori indiani. Questo processo di inculturazione verrebbe a significare che il Vangelo illumina la cultura, e che la cultura interpreta il Vangelo nella specificità del contesto indiano. Dobbiamo reinterpretare il messaggio di Gesù dialogando con le religioni dell’India: questo compito ci chiama a inserirci più profondamente nella vita e nelle lotte del nostro popolo.
II. L’impegno verso la nazione
36. Il nazionalismo propugnato dall’hindutva è distorto, antidemocratico e falso. È un nazionalismo fondato su una sola cultura e su una sola religione centrata sul brahmanesimo. Rifiuta l’identità di altri popoli diversi da quello indù. Secondo l’hindutva, gli altri non hanno un posto in questa nazione e sono addirittura stigmatizzati come anti-nazionali. L’antica civiltà dell’India è pluralistica, e l’India ha sempre tratto forza e nutrimento dalla diversità dei suoi popoli, delle sue razze e culture, religioni, tradizioni e lingue: tutte queste componenti sono state parte integrante della nostra nazione.
Lo spirito pluralistico della civiltà indiana non può essere sacrificato sull’altare di un nazionalismo religioso monolitico. Un nazionalismo angusto, monoculturale e monoreligioso può diventare fascista e quindi estremamente pericoloso fino al punto di sterminare popoli, razze e differenze culturali, come abbiamo potuto costatare nell’esperienza recente delle due guerre mondiali. Tagore aveva previsto a quali esiti poteva condurci un nazionalismo sfrenato, esprimendo il suo pensiero sull’India nei seguenti termini: "Anche se sin dall’infanzia mi è stato insegnato che idolatrare la nazione è quasi meglio che venerare Dio e rispettare l’umanità, io credo di avere superato quell’insegnamento e ho maturato la convinzione che i miei contadini possano davvero guadagnarsi la loro India solo combattendo contro un’educazione che insegna loro che un paese è più grande degli ideali di umanità... Qui in India dobbiamo metterci ben in mente che non possiamo mutuare la storia da altri popoli, e, se soffochiamo la nostra, commettiamo un suicidio" (Nationalism, Macmillan, London 1917, 1992, 82-83). Un nazionalismo privo di uno spirito di universalismo e di umanesimo integrale dovrebbe essere rifiutato. Un nazionalismo che non rispetti, non riconosca e non nutra le identità dei diversi popoli, delle diverse culture e religioni dell’India, specialmente quelle dei gruppi subalterni e delle minoranze, deve essere assolutamente smascherato, denunciato e rifiutato.
37. Non va dimenticato che il conseguimento dell’indipendenza da parte dell’India è stato il risultato di innumerevoli battaglie e lotte sostenute dai diversi gruppi presenti in India: contadini, tribali, lavoratori e vari altri gruppi subalterni; esse culminarono infine nei movimenti di liberazione nazionale. Qualsiasi nazionalismo che ignori l’identità di questi gruppi e le loro lotte non può essere accettato come un nazionalismo autentico.
38. La nostra lotta per la libertà non è finita con l’indipendenza politica. Sebbene il ruolo della comunità cristiana nella lotta per la libertà fosse condizionato da diversi fattori storici, non si possono ignorare i servizi efficaci ed utili nell’edificazione della nazione svolti dalle loro istituzioni educative, i servizi d’assistenza sanitaria, le attività di promozione dello sviluppo, l’impegno verso i poveri e gli emarginati. Se da un lato i cristiani sono impegnati verso la nazione, non possono però dall’altro sottoscrivere una qualità di nazionalismo che va nella direzione diametralmente opposta rispetto alla causa dei poveri, degli emarginati e della loro identità. Bisogna difendere gli interessi di questi gruppi. Impegnarsi in questo senso non significa essere antinazionali, bensì promuovere un nazionalismo autentico.
39. Il Dio della Bibbia e il cuore del messaggio biblico invitano i cristiani a difendere le identità degli oppressi e degli emarginati. L’immagine e il messaggio di Gesù sono di difesa di quanti non hanno voce, degli oppressi, degli emarginati: i cristiani non hanno altra scelta se non quella di seguire la missione di Gesù. Proprio tra gli oppressi e gli emarginati essi devono scoprire la presenza e la potenza di Dio. La vocazione dei cristiani è di essere sempre al fianco di Dio e degli oppressi. Perciò, i cristiani non possono rifuggire dalla spinosa questione delle diverse identità e del nazionalismo; al contrario, dovrebbero sostenere senza ambiguità qualsiasi misura, a livello politico, giuridico o sociale, a favore degli oppressi, degli emarginati e degli altri gruppi subalterni, comprese tutte quelle minoranze religiose la cui libertà deve essere difesa.
III. L’impegno nei confronti dei diritti umani
40. I sostenitori dell’hindutva ritengono che l’India sia la terra degli indù. Di conseguenza, guardano ai non indù (musulmani e cristiani in particolare) come non-persone, alle quali dovrebbero essere negati persino i diritti civili. Persone che non fanno realmente parte della nazione, dal momento che non accettano l’India come loro pitrubhumi e punyabhumi. Questa è un’evidente negazione dei diritti umani.
41. Secondo la nostra fede cristiana, ogni persona umana, creata a immagine di Dio, è dotata di una dignità inviolabile e di diritti inalienabili. È un dovere sacro per i cristiani indiani tutelare la dignità di ciascun uomo, donna o bambino e difendere i loro diritti umani. Essi sono vincolati ad agire in questo senso non solo in quanto credenti cristiani, ma anche in quanto cittadini di questo paese. La Costituzione dell’India ha solennemente affermato i diritti fondamentali di tutti i cittadini, compresi coloro che appartengono a minoranze.
42. Per i cristiani indiani uno dei modi per promuovere efficacemente sul piano pratico i diritti umani è quello di intrecciare le mani con tutte le persone, i movimenti e le associazioni che operano per la difesa dei diritti umani e delle libertà civili. Senza questo tipo di collaborazione, non possiamo ottenere grandi risultati, in quanto costituiamo una piccola minoranza. È bene ricordare che un serio coinvolgimento nella promozione dei diritti umani è rischioso. I ricchi e i potenti che violano i diritti degli altri e li sfruttano per trarne profitto non guarderanno di buon occhio coloro che si erigono in difesa degli oppressi e degli sfruttati. Si opporranno a questi tentativi talora anche con la violenza. Sono pronti i cristiani indiani a pagare il prezzo del loro impegno in difesa dei diritti umani?
IV. La solidarietà verso i gruppi subalterni
43. Quello che i sostenitori dell’hindutva difendono come induismo è in realtà brahmanesimo. È questa la ragione per cui essi difendono con forza il sistema castale, giustificando su questa base l’oppressione e lo sfruttamento di daliti e tribali. I sostenitori dell’hindutva sono anche contro i poveri, sebbene siano capaci di manipolarli. In realtà, essi rappresentano gli interessi di una piccola minoranza: l’esigua classe dominante e la casta superiore. Per questa ragione perseguono entusiasticamente la politica di liberalizzazione e di globalizzazione economica, una politica che favorisce un piccolo gruppo e peggiora invece le condizioni di vita della maggioranza. Studi recenti sembrano evidenziare un aumento della povertà nel nostro paese negli ultimi dieci anni.
44. D’altro canto, negli ultimi anni abbiamo assistito al risveglio e all’insorgere dei gruppi subalterni. I movimenti dei poveri, dalits, tribali e di altre caste inferiori sono indice di questo risveglio. Essi cercano di usare la politica come strumento di liberazione.
45. In questo contesto, la scelta di fronte alla quale si trovano i cristiani indiani è chiara. Essi devono schierarsi a fianco dei gruppi subalterni. La fede cristiana esige da essi una collaborazione con i poveri e con gli emarginati nella lotta per la liberazione e l’acquisizione di potere. Seguendo le orme di Gesù, dovrebbero vivere e agire in spirito di solidarietà con i gruppi subalterni. Questo renderà la Chiesa capace di essere realmente una Chiesa dei poveri e degli emarginati.
V. Collegarsi con i movimenti delle donne
46. Il nazionalismo religioso tipico dell’hindutva, fondato sulla gerarchia braminica, non lascia spazio all’uguaglianza e alla giustizia verso gli emarginati. In aggiunta, sta costituendo un elemento di divisione fra le donne con lo sviluppo di una destra molto forte. Riattivando le strategie utilizzate in India dall’élite patriarcale, durante il periodo coloniale, al fine di costruire l’unità nazionale contro i dominatori stranieri, l’hindutva sta cercando di creare un’identità nazionale indù fondata sul recupero degli antichi ruoli di mogli caste e buone madri, caratteristici delle donne. In questo processo, che le rende oggetto del possesso maschile, le donne si vedono negare non solo la loro autonomia, ma anche la loro stessa identità umana e il conseguente diritto alla dignità umana.
47. In quanto cristiani indiani, siamo chiamati a rafforzare i vincoli di solidarietà con tutte le donne. Stabilire una rete di relazioni con i gruppi femminili laici e con le ONG che lavorano con le donne per il miglioramento della loro condizione deve costituire una parte essenziale dei nostri programmi in campo sociale. Questo sostegno deve peraltro andare oltre i limiti di una tensione empatica al riconoscimento della nostra comune appartenenza umana, che trascende ogni divisione di genere. La subordinazione anche di una sola donna, e il mancato rispetto della sua appartenenza religiosa, viola la nostra comune dignità umana, e rende impraticabile la visione evangelica della vita in tutta la sua pienezza, dal momento che siamo tutti uniti nel peccato sociale così come nella "grazia sociale".
48. Perché la nostra risposta alla sfida posta alle donne dall’hindutva sia autentica, è di importanza vitale che noi affrontiamo ed eliminiamo l’oppressione che incombe sulle donne nelle strutture patriarcali e androcentriche della Chiesa. Nella sua capacità profetica, che la spinge alla trasformazione delle strutture ingiuste, la Chiesa è spinta ad agire attivamente per l’eliminazione di tutto ciò che è discriminatorio nei confronti delle donne, sia nei diritti della persona che traggono ispirazione dal cristianesimo, sia nel diritto canonico. Poiché i diritti delle donne sono al centro della maggior parte delle controversie che investono i diritti della persona, qualsiasi tentativo volto a modificarli o abolirli a favore di un codice civile comune deve tener conto degli orientamenti dei gruppi femminili più rappresentativi. Bisogna inoltre stare attenti a evitare l’"induizzazione" del diritto come estensione di una "cultura nazionale", che mira a riportare le donne nel chiuso della casa, lontano dall’istruzione e dagli altri benefici che derivano dalla partecipazione alla sfera pubblica.
49. Al fine di destabilizzare l’aristocrazia patriarcale dell’hindutva, la Chiesa deve promuovere, nell’ambito del discorso educativo portato avanti nelle nostre scuole e nei nostri colleges, il senso della dignità delle donne. Questa comprensione deve includere anche una critica di tutte le formulazioni religiose lesive nei confronti delle donne.
50. Bisogna fare di tutto per incoraggiare la partecipazione politica delle donne. Le donne devono acquisire un’identità politica che non solo si elevi al di sopra dell’ottica di una minoranza, ma sappia anche tener testa alla voce della leadership femminile dell’hindutva.
51. E infine, dal momento che cerchiamo di rafforzare le nostre radici indiane e di dare un’identità alla nostra cultura nazionale, dobbiamo essere coscienti di tutti i fattori disumanizzanti presenti nella religione, soprattutto rispetto agli emarginati. Occorre mettere a fuoco e rimuovere dalla mentalità indiana le usanze tradizionali più arretrate. L’eguaglianza nel discepolato, che costituisce l’eredità che Cristo ci ha lasciato, non deve essere per nessuna ragione compromessa.
VI. La missione della Chiesa nell’India di oggi
52. La Chiesa è la comunità dei discepoli di Gesù, chiamati insieme dalla sua Parola e animati dal suo Spirito a continuare la sua missione e a diffondere la sua Parola in tutte le nazioni e tra tutte le genti del mondo. La missione della Chiesa non è altro che quella dello stesso Gesù. Egli passò facendo del bene e proclamando la buona notizia che Dio è presente nel pieno della sua potenza e trasforma il mondo, donando a tutti la sua legge, e in particolare ai poveri, agli oppressi, ai deboli, agli emarginati, ai fuoricasta. La sua legge significa pienezza di umanità e di grazia per tutti. È la nuova comunità umana, radicata in Dio, che è caratterizzata da amore, libertà, uguaglianza, giustizia e pace, e vive in un’armonia critica e creativa fra tutte le religioni e le culture, e in comunione con la natura.
53. La Chiesa riuscirà ad adempiere la propria missione non solo con la predicazione della buona notizia del regno di Dio, ma anche, e più efficacemente, essendone simbolo autentico e testimonianza vivente. Da parte della Chiesa, qualsiasi preoccupazione di espansione in senso numerico è in contrasto con la sua missione più autentica: quella di testimoniare il regno di Dio, trascendendo i confini di qualsiasi religione. La conversione autentica implica un cambiamento del cuore, che diviene un distrarre l’attenzione da se stessi per rivolgerla a Dio e al prossimo, e in particolare a coloro che sono nel bisogno. Predicare e testimoniare il Vangelo è il compito della Chiesa; operare la conversione spetta invece a Dio. Nella sua azione la Chiesa deve condividere l’atteggiamento di San Paolo che dice "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1Cor 3,6). Dobbiamo anche accettare l’eventualità che la Chiesa possa essere destinata da un disegno provvidenziale a rimanere nel nostro paese "un piccolo gregge", e che l’adempimento della sua missione non risieda nella forza dei suoi membri, ma nella potenza dell’amore e della verità di Dio che agiscono attraverso di essa.
54. Dobbiamo anche riconoscere il dato che l’India è un paese di pluralismo religioso e culturale. Tale diversità è la sua grazia e la sua benedizione, donate da Dio. La missione della Chiesa in questo contesto diventa la chiama a essere una comunità autenticamente dialogica. Essa deve in primo luogo accettare e sostenere al proprio interno la diversità, le cui radici risiedono naturalmente nell’unica fede in Cristo; inoltre, deve evitare a ogni livello qualsiasi tendenza a divenire un’istituzione monolitica e monoculturale. Essa deve anche intensificare il dialogo con altre religioni, ideologie, movimenti, avendo caro, salvaguardando, incrementando e assimilando quel tesoro di verità e di grazia che vi è racchiuso.
55. Questa diversità è stata anche causa, nel nostro paese, di numerosi conflitti, spesso con tragiche conseguenze. La missione dialogica della Chiesa richiede che essa si faccia agente di riconciliazione e di pace tra i diversi gruppi. Anche nei casi in cui diventa essa stessa vittima della violenza collettiva, deve evitare accuratamente di cedere a un timore paralizzante che diventa psicosi, o di indulgere ad atteggiamenti autodifensivi, aggressivi e spesso controproducenti. Al contrario, la Chiesa deve tenere ben presente la sua vocazione a essere "luce del mondo" e "sale della terra", e lottare per prendere parte, in modo sempre più consistente, al processo della vita della nazione, infondendovi il volto sempre nuovo dell’amore di Cristo. Deve intrecciare le mani con quelle della maggioranza dei cittadini del paese, che sono, nel complesso, uomini di buona volontà e amanti della pace. Dobbiamo dare vita a un comune foro di dialogo e di azione di liberazione, attraverso il quale il fraintendimento, l’odio, la discordia e la discriminazione possano cessare di esistere, e noi possiamo costruire insieme una nazione in giustizia, pace e armonia.
56. La Chiesa dovrebbe inoltre profondere tutte le sue energie allo scopo di rimuovere ogni traccia di trionfalismo, esclusivismo, o atteggiamento di superiorità dai suoi insegnamenti, dalle sue strutture e attività di evangelizzazione, e dallo stile di funzionamento delle sue istituzioni. In particolare, deve assicurarsi che le sue agenzie educative, le sue attività caritative e il suo impegno nel sociale siano volti a promuovere il benessere e il progresso delle persone, e non la conversione dalle religioni di appartenenza. Comunque, si dovrebbe porre l’accento sul fatto che la Chiesa difende sempre il diritto dei singoli individui a professare la religione che hanno scelto. Nello stesso tempo, essa denuncia il proselitismo che si avvalga di mezzi discutibili, quali ad esempio l’inganno, la forza, la lusinga. "Nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri aver sapore di coercizione o di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente quando si tratta di persone incolte o bisognose. Un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui" (Dignitatis humanae, n. 4; EV 1/1055). È solo quando la Chiesa, con tutte le sue strutture e istituzioni, cessa di ricercare per se stessa potere, prestigio, ricchezza, espansione, e si fa invece serva, seguendo le orme di Cristo, impegnandosi per la vita e la liberazione di tutti i popoli di questa terra – soprattutto degli ultimi e dei più umili – e per l’armonia di tutte le comunità, sulla base dell’amore autentico e della giustizia, è solo allora che essa cresce davvero in quanto Chiesa di Cristo.
Conclusione
57. Noi, in quanto teologi cattolici indiani, qui riuniti, in occasione della XXIII Assemblea annuale dell’Associazione teologica indiana, per studiare il fenomeno dell’ideologia dell’hindutva, siamo convinti che l’hindutva sia un’ideologia pericolosa. È una distorsione e una falsificazione dell’induismo che dovrebbe essere contrastata e rifiutata da tutti i veri indù del nostro paese. Noi invitiamo tutti i popoli dell’India a unirsi e a far fronte a questa sfida, denunciandone i rischi, le distorsioni e gli errori. Ci impegniamo inoltre a intrecciare le nostre mani con quelle di tutti coloro che si oppongono alle forze hindutva. Non temiamo le loro minacce, perché crediamo nella saggezza del popolo indiano e nel nostro motto, secondo il quale la verità avrà il sopravvento: satyameva jayate.
Siamo ben consapevoli che a sostenere e propagandare l’hindutva è solo una piccola minoranza, il cui fine è anche quello di impadronirsi del potere politico per tutelare i propri interessi particolari. Esprimiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che sono stati perseguitati, torturati, uccisi o bruciati vivi dai militanti e dalle forze fondamentaliste hindutva. Ciò nondimeno, in quanto discepoli di Cristo, offriamo il perdono e la riconciliazione, e invitiamo i sostenitori dell’hindutva a un dialogo serio e aperto. La nostra forza è il perdono, il nostro impegno è per la verità, la dignità umana e la libertà di tutti. Facciamo nostro il "manifesto" annunciato da Gesù a Nazaret: "Per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione (...) per rimettere in libertà gli oppressi" (Lc 4,18).
1 Il termine "hindutva" è un neologismo coniato da Vinayak Damodar Savarkar (cf. più oltre, n. 3), con cui si designa una dottrina sociale e politica fondata su un nazionalismo a base religiosa. Non trovando un corrispettivo italiano, è stata lasciata nel testo l’espressione originale, laddove "induismo" traduce il termine inglese "hinduism" (ndt).
2 Il movimento Khilafat ("per il califfato") fu un movimento dell’inizio del XX secolo, mirante a elevare il califfo (khalif) di Baghdad a capo supremo dell’islam (ndt).
3 Deshmi è il "decimo" giorno di un mese del calendario indù. Determinati giorni di buon auspicio sono chiamati vijay ("vittoriosi, gloriosi"), e celebrati con speciali cerimonie (ndt).
4 Leader supremo (ndt).
5 Sangh Parivar significa letteralmente "associazione, famiglia". Il termine è applicato alla "famiglia" dei gruppi fondamentalisti indù come Rashtrya Sewa Sangh, Bharatya Janata Parishad, Vishwa Hindu Parishad, Bajrang Dal (ndt).
6 In India le ragioni di inferiorità possono essere economiche, e riguardare anche membri di casta elevata, o sociali (le cosiddette scheduled castes sono le caste inferiori, come sono classificate nella Costituzione indiana; ndt).
7 Ayodhya è una città nel Nodr dell’India, considerata il luogo di nascita del dio Krishna. Qualche anno fa alcuni indù della Sang Parivar vi hanno distrutto un’antica e semideserta moschea, in luogo della quale ora vogliono costruire un tempio indù, sostenendo che essa a sua volta sorgesse sui resti di un tempio (ndt).
8 Cerimonia di culto (puja) della pietra (shila) che rappresenta Ram, l’eroe divinizzato protagonista dell’epopea Ramayana (ndt).
9 Non esiste un equivalente inglese, né tantomeno italiano, per denotare questo gruppo di persone (ndt).
10 Sadhus è qualcosa di simile al monaco o asceta cristiano.