Fermare la guerra, aprire alla democrazia
A quasi un anno dalla guerra che nell'ex-Zaire coinvolge una decina di paesi della regione, un bilancio sul governo di Kabila e sul futuro del conflitto.
I numerosi negoziati regionali.
Stile dittatoriale, dissennata gestione economica, violazione dei diritti umani da parte del governo a fronte dei tentativi di pace di una parte della società civile.
Una panoramica da Kinshasa sulla guerra e la situazione politica e sociale del paese.
Kinshasa, aprile 1999
La guerra che da quasi dieci mesi sta lacerando il Congo nasconde alcune grandi questioni ancora aperte nel paese, tra cui la mancata liberalizzazione delle attività dei partiti politici, l’insediamento dei Comitati di potere popolare (CPP), le flagranti violazioni dei diritti umani, la nuova dissennata regolamentazione del cambio valutario e la mancanza di un dibattito politico nazionale.
Il contesto generale della vita socio-politica è caratterizzato da una crisi grave e persistente, che coinvolge tutti gli strati della popolazione. La guerra ha esasperato la popolazione che si trova minacciata nella sua stessa sopravvivenza.
La guerra
La guerra ha sconvolto tutte le strutture politiche, economiche e socio-culturali, già precarie, presenti nel paese. Essa avrebbe potuto essere evitata, se il presidente Laurent Kabila avesse formato per tempo un fronte comune insieme a quelle forze politiche interne che avevano combattuto contro la dittatura di Mobutu con mezzi non violenti. Fin dal principio della crisi Etienne Tshisekedi, leader dell’opposizione interna, aveva fatto appello al negoziato per evitare lo spargimento di sangue, ma fu bollato dagli ambienti di governo come traditore.
Quattro province su undici sono oggi interamente in mano ai ribelli (Kivu del Nord, Kivu del Sud, Maniema e Alto Congo), mentre altre quattro sono state occupate solo parzialmente (Katanga, Kasai Orientale, Equatore e Basso Congo). Allo scontro partecipano, direttamente o indirettamente, dieci paesi africani, alcuni a fianco dei ribelli e altri a fianco delle forze governative. L’Angola, uno degli alleati del governo, ha ritirato più della metà delle sue truppe a causa della ripresa al proprio interno della guerra contro l’UNITA. Lo Zimbabwe, invece, alleato di Kabila, sta tentando di fermare la smobilitazione delle sue truppe raddoppiando la paga ai soldati.
In un recente messaggio alla nazione, il presidente Kabila ha affermato che le truppe governative stanno avendo la meglio, al contrario di quanto era accaduto al principio. E tuttavia, le truppe ribelli continuano a conquistare nuove località nella provincia del Kasai.
Sul piano socio-economico le conseguenze di questa guerra sono nefaste. Vi sono massacri, miseria, precarietà di vita; la svalutazione del franco congolese e il deterioramento del potere d’acquisto della popolazione proseguono; il sistema economico e sociale è nella più totale disorganizzazione; aumenta il numero dei disoccupati e dei lavoratori non pagati.
Sul piano politico, il paese è fortemente diviso; manca un consenso politico attorno a Kabila, a causa della sua visione monolitica del potere e del rifiuto dell’esperienza della CNS;1 numerose violazioni dei diritti umani, soprattutto dei territori occupati dagli aggressori; blocco del calendario politico ed elettorale; alterazione del funzionamento delle istituzioni ecc.
I negoziati
Sono stati formulati diversi appelli per porre fine a questa guerra. A cadenza regolare si sono succeduti almeno 16 incontri tra capi di stato e altri plenipotenziari africani. Tuttavia la cessazione delle ostilità, tanto auspicata, non si è concretizzata a causa delle pregiudiziali poste dal governo della Repubblica democratica del Congo, prima fra tutte il ritiro delle truppe straniere che assistono militarmente i ribelli. Un’altra pietra d’inciampo nel processo di pace è costituita dal rifiuto del presidente Kabila di sedersi allo stesso tavolo dei negoziati con i ribelli, considerati come "marionette" nelle mani dei veri promotori di questa guerra, Ruanda e Uganda.
Dopo vertici e incontri informali, il presidente Kabila ha finito per accettare la possibilità di un cessate il fuoco, che avrebbe dovuto essere preso in considerazione durante il summit di Ouagadougou (17-18.12.1998). Ma questo summit non ha dato gli esiti sperati, poiché tutte le parti belligeranti si sono ritratte davanti all’impegno assunto a Parigi (fine novembre 1998; cf. Regno-att. 4,1999,94). Dopo avere subito numerose pressioni, però, il presidente Kabila, durante un suo soggiorno a Ndjamena (Ciad, febbraio 1999), ha finito per dichiarare di essere disposto a incontrare i ribelli, a Kinshasa o su terreno neutrale. Per tutta risposta, i ribelli lo hanno invitato a Kisangani, la città più importante nei territori da essi occupati.
Già da allora si è parlato di incontri informali e segreti tra rappresentanti dei ribelli e delegati governativi. Nelle loro richieste e rivendicazioni, i ribelli hanno chiesto di entrare a far parte del governo e che venissero loro riconosciute le posizioni acquisite. Nel frattempo, gli alleati di Kinshasa e quelli dei ribelli (ossia Ruanda, Uganda, Zimbabwe, Namibia e Angola), stanchi di una guerra che per la sua durata sta costando cara a tutti, si sono incontrati a Windhoek, in Namibia (18.1.1999), senza le due parti in lotta, e hanno deciso di firmare un cessate il fuoco, le cui modalità sarebbero state fissate durante il vertice di Lusaka. Ma questo vertice non ha mai avuto luogo.
Il terzo passaggio decisivo nella ricerca della pace e della cessazione delle ostilità è stata la dichiarazione del presidente Kabila di voler convocare il Forum nazionale, che viene considerato un luogo di dibattito nazionale sulle questioni che riguardano il paese, al momento non ancora convocato.
Un’ulteriore mediazione è stata quella attuata dalla Libia, grazie alla quale Kabila ha sottoscritto un cessate il fuoco assieme al presidente ugandese Museveni, non riconosciuto però dai ribelli non invitati al negoziato. I ribelli intanto stanno avanzando verso Mbuji-Mayi e Lubumbashi.
Probabile evoluzione della situazione
Nel caso in cui si escluda una soluzione negoziata e i belligeranti restino accampati sulle rispettive posizioni, e soprattutto nel caso in cui il dibattito politico nazionale non giunga ad alcuna soluzione accettabile, sarà inevitabile che la guerra si cronicizzi.
Se invece i ribelli e i loro alleati dovessero vincere, ne seguirebbe una nuova guerra ancora più sanguinosa, e con conseguenze catastrofiche. Vari gruppi di resistenza potrebbero installarsi in tutto il paese, e si avrebbe la secessione di intere regioni, come il Katanga. Se poi la vittoria andasse alle forze governative e ai loro alleati, ci sarebbe il rischio reale del rafforzamento di un potere monolitico, che già ora presenta tratti dittatoriali, e la pace rimarrebbe aleatoria.
Negoziati condotti sia a livello nazionale sia regionale e internazionale sono quindi necessari. Durante la fase di negoziato e anche successivamente, la pace potrà essere garantita da una forza veramente neutrale, almeno fino a quando non sarà stato riorganizzato un esercito congolese vero e proprio.
Liberalizzare i partiti
Tra le grandi questioni nazionali c’è la decisione del governo di liberalizzare le attività dei partiti politici. All’arrivo dell’AFDL (Alleance des forces democratiques pour la liberté, il partito di Kabila), le attività dei partiti politici sono state sospese dal nuovo regime. Ma alla fine del novembre 1998, durante il suo viaggio in Europa, il presidente Kabila ha annunciato la liberalizzazione delle attività dei partiti politici. In seguito, egli ha reso pubblica questa misura, firmando il decreto legge n. 195 del 29.1.1999, relativo alla liberalizzazione delle attività dei partiti.
Ciononostante, tale legge è stato contestata dai leader dei partiti che preesistevano all’arrivo dell’AFDL. Alcuni, come l’UDPS, il PALU e il PDSC, hanno affermato che questa legge non li riguarda. Le principali critiche mosse a questa misura presidenziale sono le seguenti: innanzitutto, nessuna disposizione menziona i partiti politici già esistenti. Se ne deduce che essa ha nei fatti sciolto le formazioni politiche fin qui riconosciute. Inoltre, è impossibile che prima della fine della guerra sorgano nuove formazioni politiche, dato che, quando si fa domanda per la costituzione di un partito, occorre allegare un impegno scritto, firmato e legalizzato dai fondatori, che hanno l'obbligo d'essere residenti e domiciliati in tutte le province del paese. E ciò è impossibile finché il potere centrale non ha il controllo di tutte le province occupate dai ribelli.
Infine, non si fa alcun accenno all’accesso dei partiti ai media ufficiali, che restano a tutt’oggi strumenti di propaganda al servizio del potere costituito. È per queste e per molte altre ragioni che i partiti politici dell’opposizione interna hanno respinto in blocco le disposizioni del decreto legge n. 195, provocando l’attuale tensione nella scena politica congolese.
I Comitati di potere popolare
In linea con un'ideologia di tipo populista, Kabila ha istituito i Comitati di potere popolare (CPP), che dovrebbero rimettere il potere al popolo. Questa nuova istituzione ha contorni molto incerti: non si riesce a spiegare con chiarezza il ruolo di questi comitati e i loro compiti precisi. Essi hanno appena tenuto il loro 1o Congresso ordinario, che aveva lo scopo di legittimare il potere del presidente Kabila. Fino al Congresso, essi si erano insediati soprattutto nei comuni della città di Kinshasa e nel territorio delle vicine province del Basso Congo e di Bandundu. Prima del Congresso, il segretario generale dei comitati, Tashiamala, non ha fornito alcuna precisazione in merito al loro funzionamento.
Si constata, d’altra parte, che la creazione di questi CPP arriva dopo la liquidazione dell’AFDL, confermata dal presidente Kabila nel suo discorso di apertura del Congresso. Evidentemente, dopo la morte di Ngandu Kisase, l’arresto di Masasu e la fuga di Deo Gratias Bugera e di Bizima Karaha (due ministri di Kabila, passati nelle file dei ribelli), l'AFDL è da considerare sciolta, poiché la maggior parte dei fondatori sono scomparsi dalla scena politica.
Inoltre i presidenti dei Comitati popolari non sono altro che i vecchi presidenti di sezione dell’AFDL. Così l’opinione pubblica è convinta che i CPP non siano affatto diversi dalle vecchie istituzioni di propaganda che esistevano durante il regime dittatoriale di Mobutu (come il CVR, Corpo dei volontari della repubblica, o il CADER, Corpo degli attivisti per lo sviluppo della repubblica).
Sembra che alcune persone siano state mandate in Libia a imparare come sono organizzati i CPP in quel paese e per essere istruiti in seno a quelle strutture. I CPP altro non sono che un ulteriore mezzo per rafforzare il potere di Kabila.
Le violazioni dei diritti umani
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo, Roberto Garreton, ha soggiornato a Kinshasa dal 16 al 24 febbraio per indagare su tutti i casi di violazione dei diritti umani verificatisi nel paese tra il 1998 e il febbraio 1999. Egli ha incontrato diversi settori della popolazione e si è intrattenuto con politici, esponenti della chiesa, responsabili di organizzazioni non governative (ONG) e con alcune vittime delle violazioni dei diritti umani. Il soggiorno di Garreton a Kinshasa ha coinciso con il rilascio di parecchi prigionieri d’opinione, i cui fascicoli processuali erano vuoti, anche se qualche giorno prima del suo arrivo sono stati arrestati alcuni dirigenti dell’UDPS, il partito di Tshisekedi.
In una dichiarazione resa alla stampa prima di lasciare il Congo, Garreton ha dichiarato di avere incontrato tutti leader dell’opposizione interna, tra cui Tshisekedi e Antoine Gizenga, che hanno parlato degli arresti arbitrari e dei processi sommari di cui sono stati vittime diversi dirigenti dei partiti politici.
Nello stesso periodo, cinque giornalisti del giornale Le Potentiel sono stati arrestati e tenuti in cella di rigore dall’Agenzia nazionale d’informazione (ANR, i servizi segreti). A loro volta, gli editori dei giornali La Référence Plus e Le Potentiel, di ritorno a Kinshasa da Durban (Sudafrica) da una conferenza sulla crisi congolese, sono stati arrestati e trattenuti per due settimane dai servizi della polizia politica. A Kinshasa gli interessati deplorano il fatto che Garreton non sia riuscito a ottenere garanzie sufficienti da parte del governo per l'incolumità di tutti coloro che hanno testimoniato contro il regime.
La svalutazione
Sono ormai passati 11 mesi da quando il franco congolese ha rimpiazzato lo zaire come valuta del paese. All’inizio, la riforma monetaria aveva suscitato molte speranze. Ma già nell’ottobre del 1998, ossia cinque mesi dopo la riforma, il franco congolese versava in pessime condizioni. Partiti da un cambio di 120 franchi per 100 dollari, si è arrivati a 450 franchi per 100 dollari. La parità tra franco congolese e dollaro era ormai un sistema del tutto sregolato e non sincronizzato, che mutava da un mercato all’altro e da una merce a un’altra.
Per salvaguardare il valore della moneta, il 9 gennaio 1999 il presidente Kabila ha promulgato un decreto legge (n. 177) che vietava in Congo tutte le transazioni tramite valute straniere. In questo modo, qualunque operazione di cambio viene ormai effettuata dalla Banca centrale del Congo, oppure da banche commerciali o presso agenzie di cambio autorizzate. Allo stesso modo, le remunerazioni per le prestazioni di servizi devono essere effettuate in franchi congolesi. Per i contravventori sono previste pene detentive da un mese a cinque anni, oppure un’ammenda tra i 1.000 e i 5.000 franchi congolesi. L’obiettivo di queste misure è senza dubbio quello di fermare la discesa costante della valuta congolese, il cui tasso di cambio ha raggiunto livelli preoccupanti. Il tasso del dollaro, infatti, dipendeva più dalla speculazione che dall’equilibrio imposto dalla legge della domanda e dell’offerta.
Tuttavia, questa nuova regolamentazione del franco ha suscitato molte inquietudini in ambito finanziario e presso i dirigenti delle piccole e medie imprese e industrie. Parecchi operatori economici non smettono di interrogarsi sul futuro dei loro interessi e delle loro imprese, dato che le banche commerciali non sono in grado di fornire loro le valute (che prima si ottenevano sul mercato parallelo del cambio) per il pagamento dei prodotti d’importazione. Il mondo degli affari ha sempre il timore di ritrovarsi davanti il fenomeno dell’economia sommersa, in cui le fatture vengono stilate in franchi congolesi e i pagamenti effettuati, sottobanco, in valuta straniera.
Tre mesi dopo la promulgazione del decreto legge n. 177, il tasso di cambio è passato da 2,50 franchi per dollaro a 4,50. Ma il tasso di cambio parallelo tocca già i 7 franchi per dollaro. Una simile svalutazione ha comportato una crescita di tutti i prezzi e l’aumento della miseria tra la popolazione. Oggi questa discesa è costante, e costituisce un vero problema per il futuro del franco.
Alla ricerca della pace
La popolazione congolese aspira con forza alla pace, dato che con la guerra la vita sociale ed economica è bloccata. Una delle conseguenze più gravi della guerra è l’esacerbazione dell’odio e la crescita della violenza. Ecco perché il lavoro di educazione del popolo alla pace, intrapreso da diverse organizzazioni della società civile, può essere la via per costruire una pace duratura mediante il dialogo, la riconciliazione e la non violenza. Questo lavoro consente anche di promuovere tra la popolazione un atteggiamento democratico e il rispetto dei diritti dell’uomo, lottando contemporaneamente contro i fenomeni che minano pericolosamente la pace, e in particolare l’odio, il terrorismo, il tribalismo, la droga, il traffico d’armi. È con questo spirito che la società civile, e in particolare la Rete di educazione civica nel Congo (RECIC) e il Centro di informazione e di animazione missionaria (CIAM) organizzano campagne per la pace.
Il CIAM ha già organizzato alcune celebrazioni religiose sul tema "La pace secondo Gesù Cristo". A sua volta, la Commissione diocesana Giustizia e pace dell’arcidiocesi di Kinshasa ha organizzato la settimana dei diritti dell’uomo, sul tema "La pace è il nome di Dio". Anche il RECIC sta moltiplicando gli sforzi per promuovere una cultura della pace tra la popolazione. Questo collettivo, che raggruppa 23 ONG per lo sviluppo e la difesa dei diritti umani, organizza regolarmente delle campagne sulla pace, a cui prendono parte diverse ONG.
Sono piccoli tentativi che testimoniano la possibilità di reazione espressa dalla società civile alla logica della guerra, che in questa martoriata regione sembra non avere alternative.
* Louis Kalonji, giornalista, è stato incarcerato da Mobutu per la sua richiesta di giustizia sociale; già vicepresidente dell'Unione internazionale giornalisti cattolici (UIGC), attualmente collabora con la rivista Afrique Espoir.
1 La CNS (Conferenza nazionale sovrana) fu istituita nell’agosto 1991 dopo l’apertura dello Zaire al multipartitismo, ma i suoi lavori furono presto interrotti (settembre) per sollevazioni nella capitale Kinshasa. Alla ripresa dei lavori (marzo 1992) la CNS diede vita a un Alto consiglio della Repubblica (HCR), composto da 453 membri, la cui presidenza fu affidata all'arcivescovo di Kisangani mons. L. Monsengwo; l’Alto consiglio però venne sciolto nel 1993 dall’allora presidente Mobutu Sese Seko (ndt).