Diplomazia a parole
Qualche barlume di speranza è sembrato brillare nel difficile corso del Sudan lungo il 1993. La visita del papa se non ha portatO a un’immediata pacificazione nel paese, ha però allentato molte tensioni, ha aperto molte speranze e qualche promessa. A quasi un anno di distanza e a mo’ di bilancio dell’attuale situazione, sono usciti in Sudan due documenti: una lettera pastorale in occasione dell’Avvento da parte della conferenza episcopale, riunita in assemblea plenaria annuale dall’8 al 19 novembre scorsi, intitolata «Questa è la pace che non delude»; e una lettera del pro-nunzio apostolico a Khartoum, mons. Erwin Joseph Ender, al presidente del Sudan, gen. Omar Assan El Bechir, in occasione del primo anniversario della proposta della visita di Giovanni Paolo II in Sudan.
La visita del papa in Sudan, realizzata il 10 febbraio 1993 (cf. Regno-doc. 5,1993,129ss). Momento di rafforzamento della fede e della fiducia dei sudanesi di non essere abbandonati al proprio destino, momento di consolazione per le sofferenze subite... «ma oggi, nove mesi dopo tale memorabile visita, la realtà della nostra vita continua a essere quasi uguale a prima. Abbiamo ancora molto per cui gridare e lamentarci», dicono i vescovi. Essi ricordano: «In occasione della visita ascoltammo anche dichiarazioni del presidente e del governo sudanese che annunciavano una “nuova era”». Il nunzio fa eco affermando che El Bechir stesso aveva espresso il desiderio di «voltare pagina» nelle relazioni con i rappresentanti della chiesa: in effetti alcune iniziative furono concordate tra il governo e la nunziatura. Fu possibile visitare un prete incarcerato, isolato da contatti con la chiesa e liberato prima della partenza del papa; venne concesso il permesso a tre missionari di ritornare nelle proprie parrocchie di Malakal; al nunzio stesso fu offerto uno spazio televisivo di un quarto d’ora «per spiegare l’importanza e il significato della visita del papa». Infine, altre due promesse: la concessione ai cristiani di un’ora di preghiera settimanale in televisione; l’abolizione del Missionary Societies Act del 1962, che, considerando la chiesa come una società, una corporazione missionaria straniera, impedisce l’attività della chiesa se non strettamente regolamentata e limita il soggiorno in Sudan dei missionari stranieri.
La conferenza internazionale per le religioni. Tenuta a Khartoum dal 26 al 30 aprile, vi parteciparono poco più di 60 delegati e osservatori internazionali (cf. Regno-att. 12,1993,369). Il governo assunse alcuni impegni: tutela degli edifici di culto; la revisione del Missionary Societies Act; la costituzione di una commissione mista cristiani e musulmani. «Pensavamo che questa conferenza aprisse la strada all’armonia, alla cooperazione, al rispetto e alla comprensione reciproci e alla solidarietà... Sfortunatamente questa era una di quelle speranze che delude. Gli organizzatori della conferenza evidentemente hanno occultato i temi all’ordine del giorno. Passerà alla storia il fatto che in Sudan un giorno si tenne una conferenza delle religioni per il dialogo, ma anche la realtà di un dialogo fallito passerà alla storia».
Colloqui di pace ad Abuja, Nigeria. Dal 26 di aprile e per un mese circa, il governo e le due fazioni guerrigliere del sud Sudan si sono incontrate. «Tutte le speranze sono state cancellate... Nessuna delle parti che partecipavano ai colloqui era preparata a immaginare un Sudan diverso da ciò che aveva immaginato. Fu chiaro che ciascuna parte considerava la pace come un perdere la faccia. Così la guerra continua inesorabile, mietendo sempre maggiori frutti di crudeltà e disumanità e lacerando irreparabilmente il paese». Poiché né il governo né i ribelli sono in grado di considerare il bene del paese, i vescovi propongono che «chiunque sia coinvolto nelle violenze di questo conflitto prenda una decisione determinata e incondizionata di smettere di uccidere. Questo deve significare un immediato cessate il fuoco», sotto il controllo di una commissione di controllo internazionale. Durante il cessate il fuoco si dovrà attuare una reale consultazione della popolazione, «in modo tale che tutti i cittadini, in particolar modo i più colpiti dalla guerra e dall’attuale sistema socio-politico, possano avere l’occasione di esprimere il proprio punto di vista sul presente e sul futuro del paese senza manipolazioni o paure».
Rimpasto nel governo. Dal 4 al 6 ottobre in alcune città del sud si sono avute violente manifestazioni contro il caro-vita. Il 16 ottobre si scioglie la giunta militare, affidando il potere al gen. El Bechir, nominato presidente della repubblica. Il 25 El Bechir, rivolgendosi all’assemblea nazionale di transizione dichiarò: «I sette decreti costituzionali hanno confermato che il paese sarà governato attraverso la sharia». E ancora: «Il governo è basato sulla sharia, che è controllata dai valori religiosi - eredità della nazione e moralità della società - dalla libertà che cerca lo sviluppo di questa terra». Tuttavia, osservano i vescovi, «un punto cruciale riguardante la sharia è la credibilità. È a beneficio di tutti che le dichiarazioni pubbliche siano onorate e attuate, o che ogni dichiarazione che non possa essere onorata o attuata non venga fatta. Diversamente, molto tempo è dedicato a discutere di argomenti inutili, mentre passano sotto silenzio, o sono ritirati dalle tavole rotonde, argomenti che contraddicono le dichiarazioni politiche e che di conseguenza riguardano la vita e il benessere reali della gente. Per illustrare quello che intendiamo, diamo qui alcuni esempi di tali argomenti, la cui importanza per il normale cittadino non può essere ignorata».
Innanzitutto lo spostamento continuo dei rifugiati all’interno del paese. Poi le prevaricazioni compiute dalla Forza di polizia popolare. Infine, il tema dell’uguaglianza in campo religioso. Il papa nella sua visita ha insistito su questo argomento, cui ha fatto eco il presidente, affermando categoricamente che in Sudan non c’è posto per la discriminazione religiosa. Il nunzio afferma che «attualmente c’è meno tensione tra le autorità e la chiesa». Tuttavia la trasmissione settimanale di preghiera promessa «è stata amministrata quasi esclusivamente dal prete copto, rev. Filothaus Faraj. Soltanto due settimane fa la chiesa cattolica ha potuto prendervi parte per la prima volta». Per quanto riguarda il Missionary Societies Act, «quasi niente sembra essere stato fatto per il suo adempimento», nonostante le dichiarazioni ufficiali. Inoltre i missionari espulsi ai primi del 1990 dal sud del Kordofan e nel settembre 1992 da Juba non hanno ancora potuto raggiungere le proprie parrocchie; il Catholic Club di Khartoum è chiuso da anni; a Malakal la chiesa è vessata dalla polizia e ostacolata nelle sue attività; i sacerdoti, i missionari e addirittura i vescovi stessi faticano a ottenere i permessi di soggiorno o di viaggio.
Molti altri fatti vengono a conferma. Il 17 agosto è stata chiusa la Sisters’ School di Khartoum perché non obbligava tutte le proprie studentesse a indossare l’uniforme islamica. A fine ottobre il governo ha introdotto nel curriculum degli studi un programma di «cristianesimo», redatto secondo la politica educativa del governo, anche se in collaborazione tra ministero dell’educazione e Consiglio delle chiese. In novembre 300 studenti che manifestavano contro la vittoria truccata degli islamici alle elezioni universitarie sono stati arrestati. A Natale il primate della chiesa anglicana, George Carey ha visitato le diocesi del sud Sudan, rifiutando l’ospitalità del governo per la tappa a Khartoum: ciò ha provocato la cancellazione delle tappe previste al nord, l’espulsione dell’ambasciatore inglese a Khartoum e quella del proprio omologo sudanese in Inghilterra.
Infine, il 13 ottobre El Tourabi, l’ideologo del regime islamico, è stato ricevuto dal papa, nel corso di una visita in Italia, organizzata dalla comunità di Sant’Egidio. È da notare che né la lettera del nunzio, né il testo dei vescovi ne fanno menzione. Pur essendo stati compiuti miglioramenti nelle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e governo sudanese, con scambio di rappresentanti, afferma mons. Ender, occorre che tali passi si riflettano in «un uguale miglioramento tra le autorità e la chiesa cattolica, tra musulmani e cristiani in questo paese».