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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

La chiesa è straniera

"Il Regno" n. 8 del 1995

La pubblicazione della nuova legge ha scioccato e umiliato i cristiani, poiché si riferisce alle chiese come a "organismi non governativi", "agenzie di volontariato" composte da una struttura puramente umana, ignorando pertanto la vera natura della chiesa cristiana come una delle religioni divine. Essa costringe i cristiani alla deplorevole posizione di dover rigettare una legge che porta l'approvazione e la firma del presidente della repubblica.

La linea di condotta dei vescovi, rispetto ai provvedimenti governativi, o alle iniziative politiche, è sempre quella di rispondere sullo stesso piano, mantenendo un tono alto, senza cadere nella lamentela o nella condanna senza appello (cf. Regno-att. 4,1994,91), nonostante il clima persecutorio nei loro confronti. I problemi giuridici, di diritti umani, di dialogo interreligioso, richiedono risposte di tipo giuridico, sui diritti umani e di riferimento religioso. Tre recenti documenti ne sono una conferma.

Come una ONG
Il primo. Si tratta di una "presa di posizione" della chiesa cattolica (1 febbraio 1995) originata dal clima sempre più ostile verso la chiesa. Un provvedimento governativo provvisorio, approvato il 4.10.1994, The Miscellaneous Amendment (Organization of voluntary work) Act 1994 considera le chiese come agenzie di volontariato, come associazioni filantropiche che, pertanto, devono iscriversi presso un registro nazionale, come prevede il Societies registration Act del 1957. "I governi che si sono succeduti, sia durante che dopo il periodo coloniale, hanno voluto interferire con e regolare le attività della chiesa in Sudan, dividendo il paese in zone d'influenza esclusiva e assegnando ciascuna di esse a una diversa religione o denominazione (Regulations and Conditions under which the Missionary Work is permitted in Sudan, 1905), limitando le attività della chiesa (Missionary Societis Act, 1962), e persino espellendo tutto il personale straniero della chiesa dalle regioni del sud (1964) e infine promulgando l'attuale legge che è la più completa, attraverso l'esteso tentativo di controllare (e potenzialmente di mettere fine a) la vita e l'attività della chiesa. Consapevoli che lo stato del Sudan sponsorizza e promuove l'islam come religione del paese, noi cristiani, come cittadini del Sudan, domandiamo una posizione di eguaglianza per il cristianesimo e ci aspettiamo di venire trattati alla stessa maniera dei musulmani. L'attuale politica che identifica il paese e lo stato solo con una religione, l'islam, non permette la promozione di uno spirito di dialogo, comprensione e pacifica coesistenza tra i cittadini del paese".

Rifiutando una tale definizione di chiesa, i vescovi affermano di non sentirsi "soggetti a questa legge". Infatti, "la chiesa non è "un'organizzazione straniera di volontariato il cui scopo è quello di promuovere un lavoro la cui natura è...religiosa"... Essa ha un origine divina, e la sua natura e organizzazione non può essere determinata da un atto giuridico e da un registro che ha il potere di accettare o rifiutare la richiesta di registrazione e d'imporre cambiamenti nella costituzione e nelle leggi che la governano. La chiesa non è un'istituzione basata su numeri ("trenta o più"): dove sono due o tre cristiani, lì è la chiesa. La mancata consultazione nel processo d'introduzione della nuova legge rivela che il governo del Sudan non ha compreso la profonda ostilità e il risentimento dei cristiani verso la discriminazione provocata dal Missionary Societies Act".

La chiesa cattolica comprende che "il suo lavoro ha punti in comune con lo stato e che a volte possono sorgere conflitti d'interesse tra i due enti. Per evitare sovrapposizioni, incomprensioni e tensioni, e per favorire l'armonia e la collaborazione in favore del bene comune del popolo sudanese, la chiesa cattolica fa la proposta di una dichiarazione di intenti che dovrà essere stilata tra la chiesa cattolica e lo stato del Sudan".

Una delegazione della Conferenza delle chiese cattoliche dell'Africa australe (SACBC) ha presentato una protesta formale presso l'ambasciatore del Sudan in Sudafrica nel mese di marzo. Contemporaneamente la SACBC ha pubblicato una dichiarazione nella quale si afferma il carattere discriminatorio e vessatorio del provvedimento, addirittura "più perverso e umiliante" dei precedenti. "La SACBC sostiene i vescovi sudanesi che rifiutano categoricamente di registrare la chiesa, conformemente al nuovo decreto". L'ambasciatore avrebbe precisato che si tratta di un provvedimento provvisorio e che si terrà conto della protesta.

I doveri del governo
Il secondo. In data 2 febbraio, i vescovi, conformemente al suggerimento contenuto nel precedente documento, pubblicano le Proposte dei vescovi cattolici del Sudan per la richiesta di qualche forma di accordo tra il governo sudanese e la chiesa per una migliore collaborazione e comprensione. Si tratta di un articolato documento in cui si prendono in considerazione cinque principali campi d'azione della chiesa (educazione, servizi umanitari, personale ecclesiastico, l'uso dei mezzi di comunicazione sociale, le proprietà della chiesa); per ciasucno viene analizzata la sua funzione rispetto al compito della chiesa, le responsabilità, i diritti e i doveri del governo; vengono fatte della proposte sui cui il governo dovrebbe concordare; infine, delle richieste rispetto all'attuale situazione (riconoscimento della libertà di scelta dei mezzi d'insegnamento, come lingua e testi; rispetto delle diverse culture e religioni nei libri di testo; riconoscimento della possibilità per la chiesa di aiutare poveri, orfani, anziani, malati; possibilità di spostamento nelle zone di maggiore degrado umano; libertà di movimento del personale ecclesiastico; facilità nell'ottenimento dei visti in entrata e in uscita, ecc.).

I cristiani e le elezioni
Il terzo. È una Lettera pastorale congiunta dei vescovi cattolici del Sudan La nostra responsabilità nelle prossime elezioni, 2 febbraio. Dopo una sorta di prova generale di democrazia che il governo ha attuato con alcune elezioni organizzate a livello locale nel dicembre 1994, si dovranno tenere nei prossimi mesi le prime elezioni dei parlamenti nazionali e federale, da quando nel 1989 ci fu il colpo di stato che portò al governo l'attuale giunta militare. Vi è qualche dubbio sulla loro effettiva realizzazione, visto il fallimento nella zona di Atbara del National Islamic Front nonostante gli ampi brogli elettorali.

"Dobbiamo... esprimere alcune riserve sul fatto che non vi sono partiti politici e sul fatto che qualsiasi candidato deve seguire programmi politici predefiniti e gli orientamenti del governo e non può fare di testa propria". "Gli elettori potrebbero sviluppare una sorta di apatia credendo a torto o a ragione che un parlamento eletto non faccia molta differenza". La reale libertà nell'esercizio del voto e dei candidati nell'esercizio delle funzioni politiche, l'onestà e l'interesse verso il bene comune dei futuri parlamentari (ma, "poiché non vi sono partiti politici cui aderire, i parlamentari potrebbero essere tentati di lavorare per la propria sopravvivenza") sono discriminanti per decidere innanzitutto se votare o meno.

In secondo luogo, occorre valutare programmi politici, promesse elettorali e onestà dei candidati. "Dove fluiscono troppi soldi o regali per gli eventuali elettori... vi sono serie ragioni per dubitare... dell'onestà del candidato... (Inoltre) chiunque afferma che tutte le religioni sono uguali e che non c'è ragione di preoccuparsi delle questioni religiose, è un mentitore senza ritegno".

Infine, sulla questione se sia giusto come cristiani candidarsi, i vescovi affermano che "essere in parlamento non significa approvare ed essere d'accordo con tutto quello che il parlamento ratifica. La maggioranza in parlamento potrebbe non essere sempre a favore della verità o della giustizia. Pertanto crediamo che un cristiano autenticamente cristiano e che non cerca compromessi nelle proprie prese di posizione per la verità, la giustizia e il bene comune di tutti, può candidarsi alle elezioni. Infatti, questi valori sono condivisi sia dai cristiani che dai musulmani. La presenza di cristiani così impegnati potrà essere di grande aiuto per musulmani ugualmente autentici. Essere presenti e sostenere con onestà il diritto è una pubblica testimonianza cristiana che spesso raccoglie l'ammirazione di molte persone di buona volontà".

articolo tratto da Il Regno logo

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