La morte di John Garang
Per un paese come il Sudan, dove quasi 2,5 milioni di persone sono periti a causa di una guerra durata due decenni, è difficile immaginare che una morte in più possa avere conseguenze così drammatiche. Tuttavia la morte del leader dei ribelli poi divenuto pacificatore John Garang in un incidente di elicottero ha provocato un’onda d’urto che si sentirà in Sudan per decenni: il giudizio di John Prendergast, già consigliere di Clinton, rende bene la portata della morte di Garang, avvenuta il 30 luglio scorso mentre era di ritorno dall’Uganda e definita da mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, uno «strano incidente». Sopravvissuto a 21 anni di combattimenti, e appena nominato vicepresidente, è alla sua abilità politico-diplomatica che si deve la firma dell’Accordo di pace complessivo del gennaio scorso.
Sia a Khartoum sia a Juba nel Sud. sono scoppiati disordini il 1° agosto. Essi dicono la fragilità di una situazione che è ancora da definire in molti aspetti, quanto ad autonomia del Sud, durante l’interim dei sei anni previsto dagli accordi e quanto alla spartizione dei profitti petroliferi. Il successore, Salva Kiir Mayardit, è un buon militare ma ha poca familiarità con la diplomazia e la politica ed è su posizioni più intransigenti riguardo all’autonomia del Sud. Garang, cattolico, avrebbe frenato la presenza islamica nel Sud, che secondo Mazzolari si sta diffondendo offrendo stipendi d’oro, in cambio della conversione all’islam, a insegnanti e a infermieri. Un altro banco di prova sarà il Darfur: di fronte a una comunità internazionale che grida al genocidio e all’emergenza umanitaria ma non interviene, o agli USA che collaborano con il regime che è proprio l’ostacolo principale alla soluzione della crisi, di fronte all’esiguo numero di truppe inviate dall’Unione Africana, la situazione peggiorerà, scivolando verso una violenta anarchia: quello che vuole Khartoum e che solo Garang avrebbe potuto fermare.