Venite a vedere
Baghdad, gennaio 1998.A Baghdad incontro l'arcivescovo latino, mons. Paul Dahdah. È nato in Libano, 57 anni fa, appartiene all'ordine carmelitano ed è vescovo in questa sede dal 1983.
Eccellenza, come è stato accolto in Iraq l'accenno del papa alla situazione irachena nel discorso rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (10.1.1998; cf. Regno-doc. 3,1998,80)?
"In Iraq la condanna dell'embargo da parte del papa ha suscitato dapprima un forte entusiasmo, poi sia la televisione irachena sia i giornali hanno reagito molto negativamente. I giornali si sono limitati soltanto a riferire quanto aveva detto la televisione. Un portavoce ufficiale del Ministero della cultura e dell'informazione ha fatto alcune riflessioni sul discorso del papa a dir poco sorprendenti: il papa avrebbe incolpato i responsabili iracheni insistendo sulla natura interna, piuttosto che esterna, della causa dell'embargo; questa interpretazione ha suscitato un vespaio di critiche e attacchi sui giornali. Penso, senza aver ancora letto il testo ufficiale del papa, che lui abbia inteso dire che il benessere del popolo è al di sopra delle motivazioni politiche, economiche e strategiche e che, di conseguenza, i responsabili sia all'interno sia all'esterno devono accordarsi per metterlo in primo piano, senza anteporre altre motivazioni.
Dalla crisi del Golfo il papa è stato l'unico leader internazionale che abbia parlato continuamente contro l'embargo. Dapprima si era espresso contro la guerra, facendo appello a tutte le parti in conflitto perché trovassero una soluzione pacifica alla crisi. Sappiamo bene che tanti paesi occidentali, specialmente l'America, hanno cercato di censurare gli interventi del papa. Il papa è stato l'unico che ha difeso i diritti dei deboli e degli innocenti. Giovanni Paolo II non è a favore di una parte e contro un'altra: difende continuamente il popolo iracheno, non parla del regime, ma di un popolo che soffre, perché è il popolo che soffre, non tanto i responsabili politici. Il popolo non dovrebbe pagare il prezzo di sbagli o di colpe che non ha commesso".
– Come giudica l'embargo?
"È da rifiutare e da condannare perché fa soffrire il popolo. La gente è affamata e mancano le medicine e il lavoro. Molti se ne vanno perché non trovano più le motivazioni per restare. L'avvenire è del tutto incerto. Molti vendono persino gli oggetti personali per sopravvivere. Il popolo soffre comunque molto e tanti sono costretti ad andarsene".
– A suo parere, ci sono veramente le armi che gli ispettori ONU cercano?
"Non lo so. Il nunzio osservava giustamente che le armi o non ci sono e per questo non si trovano o il sistema finora usato non funziona, è sbagliato. Credo sia tutta una farsa. Adesso sappiamo che gli Stati Uniti hanno intenzione di mettere le mani su tutto il Golfo a motivo del petrolio. Le motivazioni sono prima di ordine economico e poi politico".
– Qualcuno dice che lo stesso Saddam sia entrato nel gioco degli americani.
"Questo non lo si può sapere con certezza. Ci vorranno anni di storia per giudicare tutta questa vicenda e scoprire fino in fondo che cosa veramente sia accaduto e accada".
– Lei che idea si è fatto a questo proposito? Si parla addirittura di una certa intesa tra Saddam e l'America.
"Se ne parla, perché non si sa più che spiegazioni dare. È del tutto normale che si avanzi ogni sorta di ipotesi.".
– Soprattutto cristiani.
"Certamente in numero maggiore rispetto ai musulmani. Vendono tutto e partono. Ma non è che aspettino semplicemente che si aggiusti la situazione: non tornano più".
– Lei giustifica questo esodo?
"Personalmente non lo giustifico, ma bisogna cercare di mettersi al loro posto. Qualche anno fa i vescovi hanno reso nota ai fedeli una dichiarazione relativa all'emigrazione, dicendosi contrari. Anch'io l'ho letta al popolo, ma alla fine ho aggiunto di capire che loro pensano anche alla moglie e ai figli. Non lo giustifico in quanto è una vera piaga".
– È possibile che il regime non riesca a far qualcosa?
"Bisognerebbe sapere che cosa ha in mente".
– I vescovi hanno intenzione di associarsi al papa nella condanna dell'embargo?
"Io lo farei con tutta la forza, perché l'embargo nuoce al popolo. Io non sono un grande esperto di politica, ma dico con fermezza che far soffrire il popolo non è il modo migliore per castigare il regime. Tuttavia gli interventi del papa, pur con tutta la loro autorevolezza, non sono serviti da un punto di vista pratico, perché gli americani non mollano".
– Perché non chiamare in causa la Conferenza episcopale statunitense e le conferenze episcopali europee?
"So che lo si sta facendo negli Stati Uniti. Di recente è venuto un prete con un gruppo di laici che fanno parte di un'associazione che si chiama: "Le voci nel deserto contro l'embargo". Stanno cercando di creare un'opinione pubblica favorevole negli USA. Ma l'America si lascerà convincere da questa associazione? Non lo so. I politici quando parlano non lo fanno mai realmente in nome dei diritti dell'uomo, ma piuttosto in nome degli interessi".
– Sono venuti in visita esponenti di episcopati stranieri, per rendersi conto di persona della reale situazione?
"Episcopati stranieri e folti gruppi no. Qualcuno è venuto. Per esempio, l'ausiliare di Detroit. Nei primi tempi, subito dopo la guerra del Golfo, si sono fatti vedere alcuni gruppi, ma nessuno in veste di rappresentante di una conferenza episcopale".
– Ne sentireste il bisogno?
"Credo proprio di sì, perché dovrebbero rendersi conto di persona che le cose non vanno. Quando parliamo noi, i governi possono pensare che siamo condizionati dal regime attuale".
– Dai mass media si ha l'impressione che l'episcopato iracheno sia fin troppo sottomesso al regime. È vero?
"Io non difendo un determinato regime: i diritti di Saddam o di altri. Quando vado in Europa, parlo di umanesimo, di morale, di religione e non di politica. Non sono mai uscito come rappresentante ufficiale o mandato dal governo. Parlo con chiarezza perché difendo il popolo".
– S'intravvede una via d'uscita?
"Finora no. Non si sa fino a quanto durerà questa tragica situazione".
– Che vorrebbe dire all'episcopato americano ed europeo?
"Di non guardare le cose dal punto di vista politico, ma dal punto di vista umano e religioso, perché non si può lasciare un popolo in questa situazione. Che vengano a rendersi conto di persona! Saranno i benvenuti".