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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Francesco Strazzari

Il nunzio: l'embargo uccide

"Il Regno" n. 4 del 1998

Baghdad, gennaio 1998. A Baghdad sono stato ricevuto da mons. Giuseppe Lazzarotto, 56 anni, della diocesi di Padova, nunzio apostolico in Iraq e Giordania dal 1994.

Come procede, eccellenza, l'ispezione ONU per la ricerca di armi in territorio iracheno?

"Dopo sei anni di ispezioni condotte in piena libertà – prima del novembre 1997 non avevano trovato ostruzionismo da parte delle autorità irachene –, gli ispettori delle Nazioni Unite non sono ancora riusciti ad arrivare a una conclusione: ciò significa che potrebbero andare avanti ancora per anni e anni, significa che il sistema adottato deve essere cambiato perché non è efficace. Quello che vogliono trovare non è più grande di una cabina telefonica: come si fa ad avere la certezza matematica di trovarla in un paese grande come l'Iraq?

Nel giugno 1997 due gruppi di ispettori si sono presentati in due case religiose e con una scusa qualsiasi hanno ispezionato ogni angolo alla ricerca di armi nascoste. Il presidente ha dunque qualche ragione nel non fidarsi di questi ispettori e a chiedere una contro-perizia".

L'alibi dei diritti umani

– Quali effetti sta avendo sul paese l'embargo, che è in vigore ormai da più di sette anni?

"Bisogna essere chiari: l'esistenza di armi, l'embargo delle armi e l'embargo totale sono cose distinte. Sono state vendute tonnellate di armi, armi di qualsiasi genere, al "demonio Saddam" e si sono fatti i miliardi. Le ditte fornitrici erano tutte occidentali. L'Iraq è stato poi accusato di avere fatto uso di quelle armi: non si sarebbero dovute mettere sotto embargo le ditte fornitrici? Siamo d'accordo sull'embargo delle armi, ma questo non ha niente a che fare con la punizione totale e collettiva di un'intera popolazione. È inaccettabile. È quello che ha detto il papa al corpo diplomatico (cf. Regno-doc. 3,1998,80): perché la popolazione deve pagare colpe che non ha commesso? Senza che con questo il papa intenda distribuire colpe: è invece sua intenzione fare appello alla coscienza di coloro che hanno in mano le chiavi per risolvere la situazione di questo paese. Giovanni Paolo II invita le autorità competenti dentro e fuori il paese e a interrogarsi seriamente e sinceramente per trovare la strada, altrimenti si corre il rischio di andare avanti all'infinito a forza di ispezioni.

Non dicano i responsabili che vengono qui per difendere i diritti umani. Non è accettabile l'equazione Iraq=Saddam Hussein. È ora che l'opinione pubblica mondiale, soprattutto americana ed europea, si renda conto che i sistemi adottati finora sono contro i diritti umani e nascondono in realtà enormi interessi economici, che risultano poi quelli decisivi. Ci si deve rendere conto che prima delle motivazioni economiche, politiche, strategiche c'è la situazione reale della gente: per i bambini, le donne, gli anziani, non si riesce a mettere insieme il minimo indispensabile per mangiare, al punto che l'unica alternatica rimasta è lasciare l'Iraq".

Povertà imposta

"Così il paese intero viene impoverito e privato degli elementi migliori. Se ne vanno i più preparati, perché non trovano uno sbocco. In Iraq muore la speranza, la fiducia nel futuro. Il tessuto sociale del paese si è sbriciolato. Quando mai negli anni passati si sono visti bambini andare in giro per le strade a chiedere l'elemosina fino a mezzanotte? L'Iraq riusciva a dare da vivere persino agli immigrati dei paesi circostanti. Gli egiziani, ad esempio, erano oltre tre milioni in Iraq. Questa è una povertà imposta. Se c'era una cosa che mancava all'Iraq era proprio la povertà.

È l'occidente cristiano che sta spingendo i cristiani a lasciare l'Iraq: è il risultato di questa situazione vergognosa. Il papa fa bene a insistere. L'embargo non dovrebbe essere legato alla persona del presidente Saddam e alla questione delle armi. Lo statuto dell'embargo deve essere rivisto perché la storia dimostra che diventa una punizione collettiva, che lascia peraltro intatta la situazione che dovrebbe risolvere. Saddam è più forte oggi di sette anni fa. L'embargo non risolve i problemi dei regimi politici".

– Come vivono i cristiani?

"Non ho mai incontrato nella mia vita una comunità cristiana come quella irachena. La gente deve conoscere il vero volto di questo paese. In Italia ci sogniamo il patrimonio di fede e i martiri che ha avuto l'Iraq. Fino agli anni sessanta sono stati molti quelli che hanno dato la vita per la fede a seguito delle persecuzioni.

Saddam – va detto con forza – non ha mai perseguitato i cristiani. Qui la presenza cristiana non è vista come un elemento esteriore, come una presenza occidentale imposta: i cristiani sono ritenuti parte integrante della società. I musulmani iracheni riconoscono che il cristianesimo è arrivato prima dell'islam. Questo è uno dei pochi paesi del Medio Oriente dove la comunità cristiana può organizzarsi e operare in tutta libertà.

L'arcivescovo di Bagdad dei latini, Paul Dahdah, ha aperto una scuola di teologia per laici che conta ogni anno 700-800 iscritti. Mille bambini frequentano il catechismo. Questo per dirle il desiderio, l'interesse, la sete di conoscere e approfondire. Vi sono laici che danno la vita per la chiesa, per la loro comunità, gratuitamente".

Un regime rafforzato
–Qual è a suo avviso il ruolo giocato dagli Stati Uniti nella vicenda irachena?

"Gli USA sono riusciti a coalizzare trenta nazioni per liberare un fazzoletto di terra, il Kuwait, e rimettervi al potere un regime corrotto fino alle radici: il tutto con una tempestività incredibile. In tre-quattro mesi è stato allestito un esercito che non si era più visto dai tempi dell'ultima guerra mondiale. Nel settembre 1996, quando Saddam mosse le sue truppe di terra nel Kurdistan iracheno, territorio di proprietà dell'Iraq, gli americani hanno fatto cadere sul paese quaranta missili.

Le scelte degli Stati Uniti hanno una spiegazione piuttosto evidente: il prezzo del petrolio è sceso a 17 dollari al barile; di conseguenza qualsiasi compagnia perde milioni di dollari al giorno. Si aumentano quindi i barili da vendere, ma contestualmente è necessario impedire ad altri di immettere sul mercato il proprio petrolio. È questa la ragione per cui l'Iraq viene estromesso dal gioco. In Iraq c'è petrolio per i prossimi duecento anni. Gli americani lo sanno bene e verranno a prenderselo quando vorranno.

Saddam non è uno stupido: ha i suoi vantaggi in questa situazione perché rafforza sempre di più all'interno la propria posizione politica, presentandosi come l'unico in grado di difendere i diritti e la dignità del paese. I cristiani hanno paura del dopo-Saddam, perché chiunque verrà dopo di lui sarà peggiore e per i cristiani sarà la fine. Non dobbiamo dimenticare che a due passi da qui c'è l'Iran e il Kurdistan è inquieto. Poi ci sono gli oppositori del regime: fuoriusciti da lunga data che hanno interesse a parlarne male. È sbagliato prendere come unica fonte d'informazione l'opposizione, che persegue i suoi interessi".

– Quali sono i problemi più urgenti da affrontare?
"Quello che mi fa più soffrire e mi intristisce è costatare quanto sia difficile dare un po' di speranza a questa gente: non si sa più che cosa dire per infondere coraggio. Coloro che hanno lasciato il paese hanno ormai la testa altrove, non investono più niente e non si curano della drammatica situazione dell'Iraq. Sa l'occidente, ad esempio, che uno dei problemi che dobbiamo affrontare è la situazione delle nostre ragazze cristiane che non riescono a sposarsi? Questo perché un ragazzo cristiano, finiti gli studi, non ha avvenire e non può impegnarsi con una ragazza e insieme pensare di costruire un futuro. Le ragazze sposano musulmani, che sono la maggioranza della popolazione, e il matrimonio spesso finisce male.

Altro problema a cui nessuno pensa: i prigionieri. La Croce rossa internazionale ha una lista di 20.000 prigionieri iracheni in Iran. In Iraq ci sono famiglie che da dieci-quindici anni non hanno più notizie dei loro congiunti. Questi sono i veri drammi. Prima bisogna aiutare questa gente a uscire dalla sua situazione drammatica, e poi si potrà discutere delle armi. Va fatta una pressione fortissima sul Consiglio di sicurezza dell'ONU perché si renda conto che le risoluzioni adottate distruggono l'Iraq. Qui si stanno commettendo dei crimini".

articolo tratto da Il Regno logo


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