Chiesa in Iraq: la parola ai testimoni
Prendono la parola tre testimoni di rilievo della situazione del paese: il patriarca dei caldei, R. Bidawid, l'arcivescovo latino, P. Dahdah, il nunzio apostolico, G. Lazzarotto
Intervista a mons. Raphaël I Bidawid
Beatitudine, state aspettando veramente il papa?
"Di tutto cuore. Questo è il voto che tutti fanno: che il santo padre possa realizzare il desiderio, più volte espresso, di percorrere il cammino di fede del nostro padre Abramo da Ur dei caldei fino alla Palestina. Anche di recente, nel corso di udienze che abbiamo avuto durante il sinodo per l'Asia, il papa ha rinnovato questo suo desiderio e ha chiesto che gli siano garantite le reali possibilità di effettuarlo. Naturalmente ho incoraggiato il papa, ma credo che tutto dipenderà dalla sua salute. Se questa lo consentirà, penso che prima della fine del giubileo questo viaggio si farà".
Dipende soltanto dalla sua salute o dalla situazione internazionale e interna?
"La situazione internazionale non ha molta importanza; quella interna è la solita, che conosciamo. Non è tale da impedire l'effettuazione del viaggio".
Saddam per i suoi progetti politici ne sarebbe certamente contento. È vero che l'ha invitato?
"Certamente. Sarebbe senza dubbio contento, perché la venuta del papa in Iraq, in questo contesto, rappresenterebbe un segno. Per il popolo iracheno sarebbe un grandissimo incoraggiamento e nello stesso tempo un forte sollievo nella prova. La presenza del papa in questa terra sarebbe un segno della solidarietà della chiesa nei confronti del popolo iracheno".
Cinque mesi fa mi trovavo da queste parti e si aspettava da un momento all'altro che gli USA attaccassero di nuovo l'Iraq. Come si presenta la situazione del paese adesso?
"La situazione interna non è cambiata; quella internazionale, credo sia ora più a favore dell'Iraq, in quanto l'opinione pubblica mondiale si è molto sensibilizzata, specialmente nei paesi arabi, che ora sono quasi tutti alleati dell'Iraq contro gli USA".
Per la sicurezza di Israele
È ora più chiaro il motivo per cui gli americani continuano a recitare questa tragica farsa?
"Sì. È a causa del conflitto tra Israele e i paesi arabi. Finché lo Stato d'Israele non sarà tranquillo, l'unico paese che veramente fa paura è l'Iraq, che mette in pratica ciò che dice. I missili su Israele non sono stati lanciati per divertimento. Il paese è pronto a lanciarne ancora. Mentre gli altri paesi arabi si sono calmati o non osano agire per paura degli Stati Uniti, l'Iraq, qualora la sua dignità fosse offesa, è pronto a difendersi. Finché il rapporto Israele–Iraq non si sarà normalizzato, l'embargo continuerà".
Effettivamente in Israele il governo Netanyahu pone dei grossi ostacoli al processo di pace. Che cosa può fare l'opinione internazionale? Come spingere gli USA ad affrontare seriamente i problemi sul tappeto? Che cosa ha suggerito al segretario di stato americano Madeleine Albright?
"Non mi sono mai incontrato con la signora Albright, ma il nostro vescovo negli Stati Uniti con un gruppo di caldei le ha chiesto udienza a Detroit. La priorità che viene ribadita è sempre la stessa: la sicurezza di Israele. Perché gli USA non fanno niente contro la politica espansionistica di Israele? Perché prendono tanto di mira l'Iraq? Questo colpisce molto la fierezza degli arabi".
La gente della strada si chiede se Saddam abbia veramente le armi nei suoi siti presidenziali o non si tratti di una farsa. Lei che ne pensa?
"È ridicolo: che cosa può fare con queste armi? Non ne ha più bisogno, ha firmato un accordo, ha fatto un armistizio. Gli americani fingono".
Questo lo si sente dire dappertutto: agli americani interessa tenere in piedi e alla corda Saddam. È proprio così, beatitudine?
"Credo che prolungare questa situazione di non pace e di non guerra sia nell'interesse di Israele. Quali sono veramente i piani degli USA per quanto riguarda l'Iraq, il Kurdistan e altri paesi del Golfo? Quale motivo può giustificare questa situazione?".
Una persona ieri a Mossul mi ha dato questa definizione: "La farsa continua, la tragedia s'ingigantisce, il mondo sta a guardare". È proprio così?
"È una definizione esatta. È veramente quello che accade in Iraq: ogni giorno muoiono bambini; è un vero genocidio. Non so spiegarmi perché il mondo civile, specialmente gli europei, che si dicono i difensori della civiltà e dei diritti umani, facciano il gioco degli Stati Uniti: è vergognoso. Gli europei, pur dicendosi convinti della causa, non vogliono mettersi contro gli USA".
Il papa verrà. Lo speriamo. Se si pensa al discorso di gennaio alla Curia romana, è probabile che si esprimerà anche in riferimento alla situazione interna del paese, dove, sempre che non si sia ciechi, i problemi esistono. Sappiamo chi sia Saddam Hussein e il regime non è un esempio di democrazia.
"Certo, nessuno è infallibile. Nessuno ha mai affermato che il nostro presidente è infallibile. La politica vaticana si è dimostrata la più saggia finora e lavora con lungimiranza. Il problema è quanto la voce del papa venga ascoltata. Il papa sa che agli americani le sue parole non interessano".
Quando pensa che finirà questa tragica farsa?
"Sarà ancora lunga. Non credo che l'embargo sarà tolto presto. Purtroppo... Ma gli avvenimenti si succedono a ritmo incalzante e sfuggono alle previsioni".
Intervista a mons. Paul Dahdah
Mi riceve l'arcivescovo latino di Bagdad, mons. Paul Dahdah.
Eccellenza, si dice che il papa intenda visitare la terra di Abramo. Lei pensa che sarà possibile?
"Il papa lo desidera sinceramente. Tutto dipende dalle condizioni internazionali e locali. L'ho sentito dire dalla viva voce del card. Etchegaray, che il papa stesso ha incaricato della preparazione del viaggio".
Può confermare che lo stesso Saddam l'ha invitato?
"Non ho sentito da nessuna fonte sicura che l'abbia invitato ufficialmente, ma da più fonti ho appreso che c'è un grande desiderio che il papa venga in Iraq".
Il papa continua a insistere perché sia tolto l'embargo. Questo può dar fastidio alle potenze internazionali?
"Può certamente dar fastidio. Ma lui parla da una prospettiva religioso, spirituale, morale, mentre esse si pongono obiettivi economici, politici. Le potenze internazionali hanno interesse a impedire qualsiasi intervento che possa ostacolare i loro piani. La tragedia è che si continua a soffrire, a morire di fame. C'è un piccolo miglioramento per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica, ma povertà, miseria, mancanza di lavoro sono sotto gli occhi di tutti".
La gente è disperata. C'è qualche novità all'orizzonte?
"Dopo l'accordo tra Kofi Annan, segretario dell'ONU, e Saddam Hussein, la gente ha tirato un sospiro di sollievo e ha ripreso a sperare. Ma lo scoraggiamento è ancora assai diffuso".
Lei pensa che in Occidente si stia cambiando opinione su Saddam?
"Distinguerei l'Occidente dagli Stati Uniti. L'Occidente e l'Europa hanno modificato le loro posizioni, ma sono ancora lontani dal poter assumere un atteggiamento del tutto autonomo dagli USA".
Ritiene gli Stati Uniti colpevoli di quanto avviene in Iraq?
"Certamente. Tutti sanno che fino ad ora sono sempre stati gli USA a condurre il gioco".
Cosa s'aspetta la gente dalla visita del papa?
"Molto, perché attribuisce al pontefice una grande autorità morale. Non soltanto i cristiani, ma anche i credenti delle altre religioni".
È in corso il III Simposio delle chiese cristiane su "La chiesa a servizio della pace e dell'umanità", in questa terra che molti chiamano il regno del maligno a causa del regime dittatoriale di Saddam. Che significato ha questa iniziativa?
"Si cercherà di sensibilizzare ancora una volta l'opinione pubblica occidentale sull'obbligo morale di fare cessare l'embargo".
Mons. Giuseppe Lazzarotto: aiutare un popolo afflitto
Sono in Iraq da quasi quattro anni. La mia missione di nunzio apostolico mi ha messo a contatto diretto con la difficile, e per molti versi tragica, situazione in cui vive la popolazione in questo paese a causa delle sanzioni imposte e mantenute fino a oggi.
Ho provato spesso un profondo senso di disagio e sofferenza nel costatare come la reale situazione in cui è costretto a vivere questo popolo così ricco di storia, di cultura, di valori umani e di fede fosse praticamente sconosciuta ai più al di fuori dell'Iraq e pressoché ignorata dai mezzi di comunicazione sociale.
Negli ultimi mesi ho apprezzato un crescente interesse da parte dell'opinione pubblica internazionale e un maggiore desiderio di conoscere e capire quello che l'Iraq sta vivendo. Mi auguro che questo III Simposio delle chiese cristiane possa contribuire a suscitare un'ampia e intensa "corrente" di solidarietà che aiuti l'Iraq a uscire dall'isolamento per ritrovare il posto che a esso compete nella regione e in seno alla comunità internazionale.
Il santo padre ha spesso chiesto a tutti i responsabili di intensificare gli sforzi per far sì che il popolo iracheno ritrovi normali condizioni di vita.
Non credo che i problemi di carattere tecnico che rimangano eventualmente da risolvere, e di cui si stanno occupando i diversi organismi delle Nazioni Unite, giustifichino il permanere di un "embargo impietoso" come l'ha definito il papa e di un regime di sanzioni generalizzate che tante sofferenze stanno causando nel corpo, e ancor più nello spirito, dei nostri fratelli iracheni.
L'Iraq ha certamente l'obbligo di collaborare con le Nazioni Unite, e lo sta facendo. Ma anche le Nazioni Unite come ha affermato il segretario generale Kofi Annan al termine della sua visita in Iraq, alla fine di febbraio hanno degli obblighi e devono all'Iraq rispetto e comprensione. Penso che nelle parole del segretario Generale dell'ONU ci sia l'indicazione della strada giusta da seguire: operare tutti con reciproco rispetto e comprensione mettendo al primo posto, e prima di ogni altra considerazione, il benessere della popolazione.