Il giubileo e l'embargo
In occasione della terza conferenza su "La chiesa a servizio della pace e dell'umanità", l'immagine dell'Iraq appare stretta tra la farsa in cui anche il regime recita una parte, la tragedia del popolo e la sostanziale indifferenza del mondo.
Baghdad, giugno 1998. Ritorno in Iraq dopo cinque mesi1 per partecipare alla III Conferenza su "La chiesa a servizio della pace e dell'umanità" organizzata dalla chiesa locale con il sostegno del Ministero per gli affari religiosi iracheno. L'embargo impedisce ancora di raggiungere Baghdad in poco tempo con l'aereo, quindi da Amman si deve prendere la strada del deserto e percorrerla per ore e ore: questa volta con un pullman che è poco più di una carretta. Si ha l'impressione di un certo miglioramento, dato che i rapporti con gli Stati Uniti sembrano volgere al meglio. Ma il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, il dinamico e onnipresente Emmanuel Karim Delly, incontrato per caso ad Amman, mi aveva messo in guardia: il popolo continua a soffrire, si muore di fame, mancano i medicinali, il regime chiama a raccolta il mondo intero per condannare l'embargo, che impedisce all'economia irachena, un tempo florida, di decollare.
La definizione più obiettiva della situazione mi giunge da un cristiano, molto impegnato sia nella chiesa sia nel volontariato: "La farsa continua, la tragedia s'ingigantisce, chiesa e mondo stanno a guardare". Anche la chiesa, a suo parere, non è coraggiosa abbastanza. I vescovi obiettano che non possono esporsi più di quanto già non facciano.
La commedia continua
Sul palcoscenico della farsa recitano insieme Saddam Hussein e il regime, il suo potente clan e il partito Baath che lo sostiene, e gli Stati Uniti che dettano legge al Consiglio di sicurezza dell'ONU appoggiati da qualche alleato occidentale. Saddam recita la sua parte; infastidisce e sgomenta con i suoi progetti espansionistici, frustranti e chimerici; si contorce in irrazionalità da uomo del deserto. È spietato e strumentalizza sadicamente la tragedia del suo paese. Continua a costruire palazzi, monumenti, statue, gigantografie; si dice tollerante, più ancora, amico delle chiese cristiane, che di fatto gli devono molto perché, bandito il fondamentalismo islamico, stato e regime praticano una certa laicità, che avvantaggia le minoranze cristiane.
Chi è Saddam? Continuano a chiederselo sia all'interno sia all'estero. Senza dubbio non è l'espressione dello Spirito Santo, come un uomo di chiesa l'ha definito intervenendo alla conferenza. Neppure il maligno, come altri si sono espressi. È un attore, che recita la sua parte, la quale a volte gli viene imposta. Una marionetta per molti, che fanno fatica a capire le sue invettive contro gli USA, quando in definitiva da questi riceve tutto. Saddam e il suo entourage hanno davvero tutto: dai palazzi alle auto, dai cibi più ricercati agli oggetti di lusso.
Pare che l'America gli abbia imposto di recitare una commedia, che finisce con l'acuire la tragedia. Saddam sta veramente con il popolo che soffre? O non piuttosto con se stesso, il beduino del deserto, l'affamato di potere, il cinico? Con se stesso e con il suo clan, al quale deve solidità e sicurezza, anche se a volte trapelano notizie di contrasti interni. I fedelissimi gli devono tutto e parlano il suo linguaggio. Il numero due del regime, Tareq Aziz, percorre il mondo perché parla l'inglese e giustifica ogni scelta del governo: dall'invasione del Kuwait al divieto di ricevere medicinali per i bambini che muoiono di fame.
Gli americani mi hanno assicurato i personaggi che ho intervistato (cf. qui a p. 000) sono i responsabili dell'embargo, contro il quale si sono schierati tutti: dal papa ai vescovi riuniti nel sinodo per l'Asia, dal card. Etchegaray, presente alla conferenza, al patriarca dei caldei, Raphaël I Bidawid, oltre ad arcivescovi, vescovi, movimenti, associazioni, gruppi. Non v'è dubbio che l'embargo come è stato chiesto nel corso della conferenza debba essere tolto e presto, perché il popolo iracheno è prostrato, il tessuto sociale si è sbriciolato. Se si voleva distruggere un paese ricco di storia, cultura, arte, con un'intellighenzia vivace e creativa, con il senso dell'ospitalità, si è raggiunto l'obiettivo. Gli americani volevano questo. Chiari i loro obiettivi: il dominio sull'abbondanza di petrolio del sottosuolo, il controllo della posizione strategica, la difesa di Israele. Anche l'emigrazione rientra in questo programma: è un piano per impoverire il paese, che deve rimanere in posizione di inferiorità rispetto a Israele.
La gente è disperata
A prima vista non sembrerebbe, perché ai mercati si trova di tutto; la merce valica le frontiere della Giordania, della Siria, della Turchia, ma costa. I commercianti la mafia del mercato nero si sono arricchiti. Per comperare, la gente continua a vendere quello che ha in casa: dai mobili fino alla fede nuziale.
Scarseggia il lavoro e vivere costa molto. L'inflazione raggiunge il 1.000%. In passato un dinaro iracheno valeva tre dollari, ora con un dollaro ti danno 1.150 dinari. Un kilogrammo di carne costa un dollaro e lo stipendio medio è di 2–3 dollari al mese. Per sfuggire alla miseria e non morire di fame la gente tenta d'emigrare, ma poiché per ottenere il visto occorrono molti dollari, non resta che l'emigrazione clandestina, soprattutto attraverso il Kurdistan turco e di là in Europa. La gente vende tutto per uscire, mi è stato confermato nella zona di Mossul, l'antica Ninive.
Il patriarca Bidawid ha scritto una bella lettera sull'emigrazione, invitando i cristiani a restare nel paese, perché il paradiso non è altrove. Certo è che, se si aprissero le porte, l'80% degli iracheni se ne andrebbe e sono per lo più cristiani. Ne va della presenza cristiana in Iraq e questo è un problema gravissimo.
La gente è spinta alla disperazione anche perché ricorda che prima della guerra uno stipendio normale era di circa 100 dollari. I giovani non si sposano, tentano di emidrare clandestinamente, molte giovani si buttano nella prostituzione. La tessera annonaria del governo consente ai più di non morire di fame, ma l'Iraq è prostrato.
Moltissimi ragazzi non vanno più a scuola per aiutare la famiglia a tirare avanti. Prima della guerra la scuola era gratuita fino alla laurea. Ora si deve pagare tutto e il materiale scolastico è raro. Anche la sanità era gratuita: dal ricovero ospedaliero ai medicinali. "Voi occidentali non ne avete idea", mi dicono due preti di Mossul. "Una semplice operazione costa 1.200 dollari e quasi nessuno se lo può permettere". Arrivano di nascosto pochissimi medicinali che vanno a ruba. Prospera il mercato nero dei medicinali, che provengono soprattutto dalla Siria. Non è raro il caso che ti fermino alla dogana per un pacco di medicinali, subito sequestrato e poi venduto a prezzo d'oro. Tareq Aziz si fa forte della mancanza di medicinali per attaccare l'embargo e svela che medicinali iracheni vengono inviati in Sudan.
Una chiesa ricca di tradizioni, ma afona
L'intervento di p. Youssif Habbi su Il Regno a proposito della chiesa continua a far discutere.2 Da una parte la gerarchia, presa di mira, ha reagito contestando al rettore del Collegio di Baghdad mancanza di obiettività; dall'altra, molti vi hanno visto il punto di partenza per una riflessione seria, matura e coinvolgente. Di fatto, il testo di Habbi è stato commentato e ha avuto un seguito in occasione del Sinodo dei vescovi caldei (25.5.1998). Una ventina di preti di Baghdad ha inviato una lettera aperta, che qui riproduciamo integralmente.
"Carissimi padri,
noi preti, vostri figli e collaboratori nella missione e nel servizio della chiesa, apprezziamo molto i vostri sforzi per il bene della comunità caldea e vi esprimiamo la nostra riconoscenza e amore. Tuttavia, vi esprimiamo anche la nostra inquietudine per quanto riguarda l'avvenire. Auspichiamo che la nostra chiesa si rinnovi e sia allo stesso livello delle altre chiese, questa chiesa che era un tempo la più grande del mondo per numero e qualità.
Spinti dall'amore per la nostra chiesa, permetteteci, eccellenze, di proporvi alcuni suggerimenti pratici, che potrebbero essere presi in considerazione e studiati durante il vostro sinodo, affinché siano adottate decisioni adeguate per l'aggiornamento della nostra chiesa.
1. La riorganizzazione delle diocesi. In questi ultimi anni il nostro paese e la nostra chiesa hanno conosciuto grandi cambiamenti a tutti i livelli: sociale, culturale, politico, economico. Ma, soprattutto, il dramma dell'emigrazione, che ha ridotto il numero dei fedeli in certe diocesi, cosa che esige attualmente la loro riorganizzazione. Ecco uno schema pratico che segue la divisione civile e politica dell'Iraq, come aveva fatto il concilio di Nicea.
a. La diocesi patriarcale di Baghdad. La maggior parte dei caldei si trova oggi a Baghdad. Per questa ragione, è necessario dividere la diocesi in due suffraganee, Alkarek e Alressafa, con due vescovi coadiutori, restando il patriarca l'ordinario, come è oggi.
b. La diocesi di Mossul. Comprende la provincia di Ninive con la diocesi di Alquoch, che si può raggiungere in auto in 45 minuti da quella di Aqra.
c. La diocesi di Dehok. Comprende la provincia di Dehok con Amadiyah e Zaku, la cui sede è la città di Dehok.
d. La diocesi di Arbil. Comprende le due province, Arbil e Sulaimaniya, la cui sede è la città di Arbil.
e. La diocesi di Kerkuk resta com'è.
f. La diocesi di Bassorah comprende la provincia di Bassorah e le province del sud.
Proponiamo che i vescovi attuali siano ripartiti secondo questa nuova struttura, sperando che si adeguino alla legge canonica rassegnando le dimissioni.
2. I preti. Auspichiamo che i padri del sinodo si occupino di più dei loro preti, della loro vita spirituale e pastorale e si sforzino di creare un'atmosfera di dignità e libertà, perché possano vivere meglio la loro vocazione.
Ecco alcune idee per migliorare la loro situazione: procurare loro un'abitazione conveniente, perché possano vivere in condizioni umane degne; creare delle comunità che raggruppino più preti dello stesso settore; dividere le diocesi in decanati per facilitare la vita comune e il lavoro pastorale.
Per quanto riguarda la vita culturale e spirituale del prete: organizzare corsi di studio in materia di teologia, di sacra Scrittura e pastorale, perché siano al corrente di quanto avviene nella chiesa; organizzare ritiri e incontri di preghiera.
Auspichiamo che la nomina dei preti delle parrocchie si faccia in funzione delle capacità e delle attitudini e non secondo considerazioni umane ristrette; lo stesso, per la scelta dei rappresentanti della nostra chiesa nelle diverse conferenze e incontri internazionali...
3. Il consiglio diocesano e parrocchiale. Il consiglio diocesano e parrocchiale aiuteranno molto il vescovo e il parroco nell'amministrazione e animazione della diocesi e delle parrocchie. Il contributo dei laici con i loro carismi arricchirà molto la chiesa, libererà il vescovo e il prete da parecchie preoccupazioni economiche ed eviterà le critiche della gente.
Auspichiamo pure che i registri della chiesa siano tenuti in maniera più scientifica e che vi sia copia dei registri del battesimo e del matrimonio in curia e in patriarcato.
4. Il seminario e il Collegio Babel. Il seminario è il cuore della chiesa, il cui avvenire dipende dalla qualità dei preti che forma. Il seminario non è affare di un sola persona: è necessario cercare una soluzione radicale per assicurare il suo rinnovamento e la sua continuità. Sarebbe molto meglio affidare questo compito a un ordine religioso o a un'équipe di preti competenti, sia spiritualmente sia culturalmente, capaci di formare preti per il terzo millennio, secondo lo spirito del Vangelo e le esigenze della nostra società. Così pure il Collegio Babel ha bisogno di un'équipe competente di preti o di religiosi per elevare il livello accademico della facoltà di teologia e per la buona amministrazione dell'insieme.
5. La liturgia. Le nostre liturgie sono vecchie, non corrispondono più alla mentalità dell'uomo contemporaneo e non rispondono più ai bisogni spirituali. Sono ricche e per essere più eloquenti avrebbero bisogno di essere aggiornate; basterebbe mettere in rilievo le loro ricchezze e i loro simboli e togliere le ripetizioni. È tempo di fare questo aggiornamento per la messa, il battesimo, il matrimonio e le esequie.
6. Gli studi. Per quanto riguarda le persone inviate in Occidente per gli studi, è importante sceglierle secondo criteri precisi, tenendo conto dei bisogni di tutte le diocesi e anche i campi scientifici e le specializzazioni richieste per la formazione dei seminaristi e dei giovani... E soprattutto assicurarsi del loro ritorno.
Auspichiamo che il patriarcato apra un dialogo serio ed efficace con i preti caldei che si trovano all'estero e cerchi con loro le soluzioni adeguate, per esempio, nominandone uno in città come Amman, Atene... È urgente occuparsi del problema degli emigrati.
7. La Caritas. La Caritas ha senza dubbio offerto grandi servizi al popolo iracheno. Ha aiutato e sostenuto molte persone in condizioni difficili. Apprezziamo tutti gli sforzi fatti in questo campo, ma ci auguriamo che i suoi responsabili siano più comprensibili, più flessibili e più disinteressati. È tempo di pensare a una commissione più larga che assicuri meglio il lavoro. È necessario anche trovare una persona più adatta dell'attuale coordinatore che risiede ad Amman.
Cari padri, ecco dunque alcuni punti e suggestioni che proponiamo al sinodo; abbiamo piena fiducia nella vostra buona volontà e nel vostro desiderio di cercare il bene della nostra chiesa che si aspetta molto da voi, soprattutto in questo tempo di crisi. Da parte nostra, siamo pronti a rispondere a ogni domanda di aiuto da voi posta.
Che Dio ci doni la sua saggezza e la sua grazia per il bene del suo popolo. I vostri figli sacerdoti".
Una lettera senza dubbio sincera, affettuosa e obiettiva, che, però, da quanto si sa, non è stata presa in considerazione dal Sinodo. I punti toccati meritano una riflessione tempestiva e puntuale, perché sia i preti sia i fedeli chiedono un rinnovamento da avviare subito. Se la gerarchia sono espressioni colte sul posto è vecchia e fuori del tempo, i fedeli non sono più disposti ad aspettare. C'è di mezzo l'età dei vescovi: sono quasi tutti al di là dei 75 anni e non intendono lasciare il campo. C'è una sorta di animosità latente e sotterranea tra le chiese dei diversi riti. C'è purtroppo l'attaccamento allo statu quo, che impedisce il rinnovamento. Eppure, paradossalmente, la situazione attuale è favorevole a un'azione significativa della chiesa, perché la gente vuole solidarietà, cerca speranza, si affida alla sensibilità delle comunità cristiane. Gli stessi islamici guardano al Vangelo, alla figura di Gesù Cristo con occhi diversi e non sono rari i casi di richiesta di battesimo. Forse non sono del tutto obiettivi i rimproveri rivolti alla gerarchia dalla base, ma non devono essere lasciati cadere nel vuoto.
La visita del papa
Della prossima visita di Giovanni Paolo II se ne parla e la si attende con ansia. Ne parlano anche i mass media iracheni. Il card. Etchegaray ha avuto dal papa l'incarico di prepararla e ha lasciato capire che non sarà risparmiato sforzo alcuno per realizzarla. Il nunzio non ha dubbi: se il papa intende visitare la terra di Abramo, non lo fermerà nessuno. Invitato o meno da Saddam, il papa il desiderio l'ha manifestato più volte e il regime non può non tenerne conto. Non pare che vi siano ostacoli da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU e degli americani e neppure da parte del regime, che ci guadagnerebbe non poco: è presumibile infatti che il papa pronuncerà parole di fuoco contro l'embargo. Ma il papa potrebbe non essere tenero nei confronti del regime stesso, dato che nel discorso alla curia dello scorso gennaio accennò alla situazione interna del paese, dove non si lascia spazio alla democrazia e i diritti umani, come informa Amnesty International, non sono rispettati. Le carceri sono gremite di prigionieri politici e le condizioni sono al limite della sopravvivenza.
Il card. Etchegaray nel suo intervento alla conferenza è stato brillante e accattivante. Non v'è dubbio che saprebbe preparare insieme con il nunzio Lazzarotto, di cui si parla in termini elogiativi, un ottimo testo. C'è da augurarsi che la visita si realizzi nel clima di un giubileo che farebbe riflettere anche il mondo islamico, attento in Iraq, più che altrove, all'azione della chiesa.
La terza conferenza
Un centinaio gli invitati, scelti non si sa bene con quale criterio, forse in base a conoscenze personali, con lo scopo di far toccare con mano la tragica realtà del paese. Di fatto è stata una passerella di arcivescovi, vescovi, prelati, membri di movimenti e associazioni. Si sono messi in evidenza e non sempre con buon gusto i fondamentalisti americani, gli avventisti del settimo giorno, per niente diversi da qualche acceso fondamentalista islamico. Una conferenza che ha toccato quasi esclusivamente il tema embargo, lasciando da parte discorsi seri sulla politica internazionale e interna. Spesso si è trattato di discorsi noiosi, talora intessuti di arditezze teologiche spericolate (come il rapporto tra lo Spirito Santo e Saddam), di autocelebrazioni. Si è arrivati persino a brandire la Bibbia per evangelizzare la terra d'Iraq, dimenticandone storia e cultura. Cattolici e ortodossi non sono andati oltre la presentazione di uno statu quo, che fa acqua dappertutto. Ha fatto eccezione l'intervento dell'arcivescovo latino, mons. Paul Dahdah, che si è sforzato di aprire orizzonti più ampi sulla scorta di una serie di documenti conciliari.
Saddam ha delegato a rappresentarlo il ministro per gli affari del culto e quello della sanità, che hanno tenuto relazioni di grande interesse: con una visione aperta della religione, il primo, ben documentato il secondo. Ha concluso Tareq Aziz, che, in un lungo discorso, ha ripercorso le tappe della guerra del Golfo, ovviamente lanciando invettive contro l'Occidente, ma riservando alla chiesa cattolica, al papa in particolare, non pochi elogi.
Bisogna augurarsi che si arrivi alla IV conferenza con un piano meglio strutturato, controllando spazi e tempi d'intervento per non assistere a proclami d'indebita e asfissiante propaganda religiosa, che nuoce non poco. Ci è dispiaciuto che all'apertura della conferenza una massa festosa e simpatica di iracheni sia stata fatta uscire dall'aula. Aveva semplicemente accolto l'invito dei rispettivi parroci. Commovente, anche se di maniera, la coreografia d'apertura con canti, danze di bambini, l'offerta della colomba della pace. Tanto più struggente perché ognuno aveva ricevuto il fascicolo Le vittime dell'embargo, con le foto di bambini emaciati. Canti e danze e la preghiera di martedì sera, 9 giugno, nella chiesa di san Giuseppe in Kharbanda hanno per fortuna dato una mano all'esito della Conferenza.
1 Cf. Regno–att. 4,1998,132–144.
2 Regno–att. 4,1998,137.