Dichiarazione sull'Iraq
Il 16 novembre scorso, durante l'Assemblea dell'episcopato statunitense, il presidente della Conferenza episcopale (NCCB), mons. Fiorenza, ha rilasciato una Dichiarazione sull'Iraq che ribadisce in termini netti le riserve dei vescovi riguardo alla politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Iraq. La presentiamo qui in una nostra traduzione dall'inglese (originale: stampa [2.12.1999] da sito Internet: www.nccbuscc.org).
"Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d’essere consolata perché non sono più" (Ger 31,15).
Fin dalla conclusione della guerra del Golfo, i vescovi cattolici degli Stati Uniti e il papa Giovanni Paolo II hanno più volte richiesto la riduzione, la revisione e una rapida fine delle sanzioni economiche contro l'Iraq che tante sofferenze hanno causato al popolo iracheno. Insieme ad altri capi religiosi ho recentemente lanciato un appello a elaborare "riflessioni e proposte nuove" per far cessare questa intollerabile situazione.
Dopo più di nove anni di sofferenza sproporzionata e immeritata, è tempo di porre fine all'embargo economico contro l'Iraq. Troppi hanno sofferto, per troppo tempo. Gli sforzi per mitigare le sofferenze inflitte dalle sanzioni, cioè il programma petrolio-per-cibo, sono importanti ma insufficienti. Le sanzioni totali contro l'Iraq hanno da tempo cessato di essere uno strumento di diplomazia moralmente accettabile, perché hanno inflitto sofferenze indiscriminate e inaccettabili alla popolazione irachena. Esse violano un principio fondamentale delle convenzioni di guerra: gli stati non possono mirare a distruggere un governo o un esercito colpendo gli innocenti. Sta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come proponente principale delle sanzioni, porre fine al più presto all'embargo economico contro l'Iraq.
Una vigorosa azione internazionale ha avuto e ha fondamenti giustificabili: contenimento e deterrenza dell'aggressione contro gli stati vicini, protezione delle minoranze interne, prevenzione dello sviluppo di armi di distruzione di massa. Ma nemmeno le cause onorevoli possono essere difese con mezzi immorali. Tale è il caso degli embarghi, che contribuiscono a provocare morti premature, malattie croniche, e a ridurre l'attesa di vita fra civili innocenti. L'embargo prolungato ha come effetto complessivo che molti dei più vulnerabili, come i figli di Rachele, non sono più.
È inequivocabile che la responsabilità prima per la soluzione del conflitto fra l'Iraq e la comunità internazionale appartiene al governo iracheno. Tale governo ha pure la responsabilità prima per il fallimento degli sforzi umanitari a causa della sua deliberata diversione e scorretta ripartizione delle risorse all'interno dell'Iraq. Ma la comunità internazionale ha una grande parte di responsabilità per le condizioni in cui versa il popolo iracheno. Come ha dichiarato una rappresentanza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite all'inizio di quest'anno: "Anche se non tutte le sofferenze in Iraq possono essere imputate a fattori esterni, specialmente alle sanzioni, il popolo iracheno tuttavia non sarebbe costretto a sopportare tali privazioni se non fossero ancora in vigore le misure imposte dal Consiglio di sicurezza e se non si risentisse più degli effetti della guerra".
Considerando gli effetti dell'embargo, l'inadeguatezza del programma petrolio-per-cibo e delle relative esenzioni umanitarie per mitigare le sofferenze del popolo iracheno, e la pervicace resistenza delle autorità politiche a rivedere le sanzioni nei termini richiesti dalla morale, le attuali sanzioni complessive sono moralmente inaccettabili e devono essere sostituite da soluzioni più umane. Le sanzioni politiche e militari restano accettabili; le sanzioni economiche complessive no.
La nostra preoccupazione per la politica USA nei confronti dell'Iraq non si limita all'embargo. Ci preoccupano gravemente i continui attacchi aerei contro l'Iraq. La giustificazione morale di tali attacchi è, nella migliore delle ipotesi, poco chiara, ma i rischi per i civili iracheni sono reali. Richiediamo con urgenza di fermare questa forma di guerra di basso livello.
È tempo di affrontare il problema dell'Iraq in modo nuovo. Non possiamo essere sordi alle sofferenze del popolo iracheno o ciechi di fronte alle conseguenze morali dell'attuale politica USA. È tempo di porre fine alle sanzioni complessive contro l'Iraq e agli attacchi aerei, e di trovare alternative moralmente accettabili per contenere le azioni aggressive del governo iracheno.
Eleviamo le nostre preghiere per il popolo dell'Iraq che è vittima del suo governo e della politica internazionale. Preghiamo anche per i capi degli USA e del resto del mondo, affinché lottino per far convergere mezzi morali e fini morali.