La guerra è ineluttabile?
Riportiamo la dichiarazione del Consiglio permanente della Conferenza dei vescovi francesi del 15 ottobre sul tema del possibile attacco all’Iraq. La sua argomentazione richiama quella della altre conferenze episcopali, anche se scritta un mese prima della risoluzione 1441 dell’ONU (www.cef.fr; nostra traduzione dal francese).
Il contesto di violenza in cui ci immergono gli attentati perpetrati in varie parti del mondo ci porta a riaffermare che il rispetto di ogni vita umana è la condizione della pace.
Di fronte all’eventualità di operazioni militari degli Stati Uniti contro l’Iraq abbiamo il dovere di ricordare che, per regolare i contenziosi fra stati, la guerra non può essere considerata un mezzo fra gli altri, al quale poter ricorrere in base a considerazioni d’interesse o di opportunità. Per la Carta dell’ONU, come per la tradizione etica cattolica, ogni ricorso alla violenza armata, anche in base a un obiettivo desiderabile dal punto di vista del bene comune, costituisce una scelta talmente grave che si può accettare solo come extrema ratio e solo in presenza di condizioni molto strette.
A tutt’oggi le informazioni disponibili non permettono di affermare l’esistenza di tutte le condizioni indicate nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2309). Noi condividiamo questa convinzione con le conferenze episcopali che si sono espresse su questo tema e con l’osservatore della Santa Sede presso l’ONU. Il regime iracheno, per quanto siano condannabili le sue violazioni dei diritti umani all’interno del paese e del diritto internazionale all’esterno è davvero una minaccia così urgente e immediata da farci ricadere chiaramente nel caso della legittima difesa? E se davvero costituisce una minaccia reale non si dovrebbero mettere in atto tutti i mezzi non militari per evitarla?
Le conseguenze di ogni guerra, un’«avventura senza ritorno», preoccupano l’opinione pubblica: uno scontro fra un paese arabo e gli Stati Uniti rafforzerebbe gli argomenti degli ideologi dell’islamismo radicale per attizzare l’ostilità delle folle smarrite e disinformate nei confronti dell’«Occidente» (erroneamente identificato con gli Stati Uniti) e i suoi valori di democrazia e tolleranza. Una guerra allargherebbe il fossato che si è già scavato fra i nostri popoli e i popoli di quella regione, dove abbiamo del resto molti fratelli in Cristo, un fossato che aggrava la sensazione che le grandi potenze usino «due pesi e due misure» riguardo all’applicazione delle risoluzioni dell’ONU nella regione. Ora più che mai, la giustizia è il fondamento e la condizione della pace.
15 ottobre 2002