Il conflitto degli intellettuali
Dietro le quinte delle relazioni diplomatiche e degli accordi politici circa la gestione militare della crisi irachena è in atto, da lungo tempo, un duro confronto tra gli intellettuali del mondo arabo rispetto alle posizioni culturali assunte nei confronti del regime di Baghdad. Esso merita di essere preso in considerazione poiché permette di inquadrare all’interno di una cornice più ampia una questione a prima vista apparentemente solo geo-politica, di interessi economici legati alla produzione petrolifera e di riconfigurazione delle strategie delle relazioni internazionali di potere.
In Iraq, in esilio o in Egitto
A un primo sguardo la dislocazione dei fronti sul piano culturale sembrerebbe disporsi su una duplice linea: il confronto tra gli intellettuali iracheni che hanno scelto o sono stati costretti alla via dell’esilio e coloro che sono rimasti in patria; e la linea di un forte appoggio offerto alla persona di Saddam Hussein da figure di spicco del mondo letterario e poetico egiziano. Probabilmente gli intrecci dello scontro, e della valutazione civile delle politiche interne e internazionali irachene, sono più variegati e trasversali in seno al mondo intellettuale arabo rispetto a tale percezione iniziale.
Indice significativo di questo più che decennale conflitto all’interno della cultura araba è il recente articolo di Hussain Al-Mozany «I sostenitori spirituali di Saddam», apparso sulle pagine culturali della Frankfurter Allgemeine Zeitung.1 Dall’articolo è possibile evincere due elementi che permettono di comprendere più a fondo la «solidità» interna e regionale di un regime la cui durata, nonostante la guerra del Golfo e le sanzioni internazionali, rimane per certi versi «sorprendente».
Riduttiva appare essere una visione basata unicamente sull’uso brutale e sistematico della soppressione di ogni forma di critica interna e opposizione politica. A questo indubitabile dato di fatto si deve aggiungere una «coltivazione» mirata, e di lunga data, di un consenso culturale all’interno del mondo arabo dell’ideologia che presiede all’operato di Saddam Hussein, venduto sul mercato dell’opinione pubblica medio-orientale come scontro frontale con l’Occidente: «La sinistra araba che venti, trent’anni fa proclamava toni fortemente anti-imperialistici stava allora quasi totalmente compatta alle spalle di Saddam. I precursori furono soprattutto i letterati egiziani. Gamal Al-Githani, per esempio, diede inizio alla campagna con uno scritto, in cui si schierava a favore delle azioni dell’armata irachena contro l’Iran, che portava il titolo nazionalistico “Sentinella della porta d’Oriente”» (Al-Mozany).
Il secondo elemento è la costruzione di un’aura profetica, quasi mistico-religiosa, intorno alla persona di Saddam Hussein: «L’euforia per Saddam tra i palestinesi giunse fino al punto che Johanatan Kattab, studioso dei diritti umani residente a Gerusalemme Ovest, ha potuto a scorgere in Saddam Hussein il fondatore di una teologia della liberazione. Egli non voleva necessariamente vivere nel suo regno, però nel Leitmotiv “Dio è grande” che Saddam aveva fatto apporre sulla bandiera nazionale irachena Kattab – un cristiano – percepiva una parentela della fede nel Dio onnipotente che è più maestoso di ogni tecnologia bellica».
Intellettuali corruttibili
Il regime di Baghdad si è nutrito, rinsaldando così le sue basi di legittimazione interne al paese e al mondo arabo, anche degli scontri interni fra gli intellettuali iracheni, giocati soprattutto sul perno dell’antiamericanismo (in particolare lo scontro tra il teorico della cultura Edward Said e lo studioso dei sistemi politici emigrato negli Stati Uniti Kanan Makiya, e quello tra i due poeti Nizar Gabbani e Abdul-Wahab Al-Bayyati, morto in esilio a Damasco nel 1999).
Il quadro offerto dall’articolo di Al-Mozany è quello di un ceto intellettuale arabo facilmente corruttibile, che ha finito col fornire a Saddam Hussein le «armi» culturali utili ad affermare una legittimazione del proprio operato in ampi circoli dell’opinione pubblica mediorientale. Dietro le molte ambiguità che hanno caratterizzato il rapporto dei governi occidentali nei confronti del regime di Baghdad, vi è anche tutta una serie di complicità «culturali» che, pur nella loro marginalità, hanno contribuito a rinsaldarne la posizione (ad esempio, le opere di alcuni letterati schierati a favore di Saddam Hussein «sono state stampate a Parigi, poiché in patria mancava una qualità di stampa comparabile a questa»).
Un regime vive anche della sua capacità di «acquistare» una giustificazione intellettuale e – addirittura – poetica, e la cultura non è mai senza colpa e responsabilità nel suo prodursi come fenomeno dell’intelligenza e genialità umana. «L’unica consolazione in questa storia tutt’altro che onorevole è il tentativo dello scrittore egiziano Mamduh ash-Sheikh di sporgere denuncia presso la procura egiziana contro il cosiddetto “coupon degli intellettuali” a causa della corruttibilità e dell’attività di propaganda a favore del despota iracheno – si tratta di quei letterati, artisti e parlamentari che, in cambio della loro collaborazione con l’apparato di potere di Saddam Hussein, hanno ricevuto dei coupon corrispondenti a determinate quantità di petrolio che possono essere scambiati, anche al di fuori dell’Iraq, in moneta contante».
1 H. Al-Mozany, «Saddams geistige Helfer. Die arabischen Intellektuellen und der Irak», in Frankfurter Allgemeine Zeitung 3.1.2003, 31. Hussain Al-Mozany è nato nel 1954 in Iraq, dal 1980 vive in Germania dove lavora come scrittore e traduttore di opere letterarie.