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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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M.E. G.

Le chiese e la guerra: il caso inglese

"Il Regno" n. 4 del 2003

I due più importanti leader religiosi d’Inghilterra, il neo arcivescovo di Canterbury Rowan Williams e l’arcivescovo di Westminster, card. Cormac Murphy O’Connor, hanno compiuto un gesto pubblico inconsueto, rendendo nota una dichiarazione congiunta sul tema della legittimazione morale della guerra. Dopo un incontro privato e uno scambio reciproco di ipotesi di dichiarazione, Murphy O’Connor e Rowan Williams – che prenderà ufficialmente possesso della cattedrale di Canterbury il prossimo 27 febbraio – hanno detto pubblicamente il 20 febbraio che «gli eventi dei giorni scorsi mostrano che persistono ancora dei dubbi sulla legittimità morale così come sulle imprevedibili conseguenze umanitarie di una guerra contro l’Iraq».

La guerra è una prospettiva che turba sempre profondamente; una prospettiva che non si può mai osservare senza un senso di fallimento e rimpianto per il fatto che altri mezzi non siano prevalsi, e con profonda inquietudine per tutte le sue conseguenze.

Siamo profondamente consapevoli del pesante onere della responsabilità portata da coloro che devono prendere le decisioni cruciali su queste materie. Essi sono quotidianamente nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere, come tutti coloro che sono coinvolti direttamente o indirettamente nella guerra.

Gli eventi dei giorni scorsi mostrano che persistono ancora dei dubbi sulla legittimità morale così come sulle imprevedibili conseguenze umanitarie di una guerra contro l’Iraq. Riconosciamo che un’alternativa morale all’azione militare non può voler dire non agire, essere passivi, arrendevoli o rassegnati.

È di estrema importanza perciò che tutte le parti coinvolte nella crisi s’impegnino pienamente e prontamente attraverso le Nazioni Unite in un processo che comprenda la continuazione delle ispezioni sulle armi, che potrebbe e dovrebbe evitare il trauma e la tragedia della guerra.

Esortiamo con forza il governo iracheno a dimostrare il suo immediato e inequivocabile adempimento delle risoluzioni dell’ONU sulle armi di distruzione di massa.

Si sta avvicinando il tempo della Quaresima, un tempo in cui tutte le tradizioni cristiane c’incoraggiano a un onesto esame di coscienza, per riconoscere le nostre manchevolezze e cercare la riconciliazione con Dio.

Dobbiamo sperare e pregare che, con l’aiuto di Dio, si possa trovare una via d’uscita che porti la pace nella giustizia in Iraq e nel Medio Oriente.

20 febbraio 2003

+ Rowan Williams

+ Cormac card. Murphy O’Connor
Un gesto fortemente simbolico, compiuto alla vigilia del viaggio del premier britannico Tony Blair in Varicano (22.2), che mira a recuperare uno spazio pubblico per le Chiese sulla questione morale della guerra e a dare voce ai numerosi credenti che hanno marciato per la pace sabato 15 febbraio.

E proprio sulla questione morale il primo ministro inglese Tony Blair aveva centrato un paio di discorsi alla vigilia della marcia pacifista: una conferenza ai laburisti tenuta a Glasgow e la risposta a un’interrogazione parlamentare. Blair aveva sostenuto che «liberare il mondo da Saddam costituisce un atto di umanità. Lasciarlo al suo posto sarebbe invece disumano». Pertanto, secondo Blair, affrontare con la forza il dittatore di Baghdad è «una questione morale».

I due vescovi, che si dicono «profondamente consapevoli della responsabilità portata da coloro che devono prendere le decisioni cruciali su queste materie», mettono però in guardia dal fatto che cercare un’«alternativa morale all’azione militare non può voler dire non agire, essere passivi, arrendevoli o rassegnati».

Occorre proseguire sulla strada delle «ispezioni sulle armi, che potrebbe evitare il trauma e la tragedia della guerra» e occorre che «il governo iracheno dimostri immediatamente la volontà di collaborazione rispetto alle soluzioni dell’ONU sulle armi di distruzione di massa».

La dichiarazione, che rappresenta l’opinione della vasta maggioranza dei leader religiosi di entrambe le Chiese,1 usa inoltre l’accortezza di non spingere entrambi i firmatari su posizioni assolutiste; infatti, mentre Williams ha dichiarato pubblicamente ogni sua contrarietà a qualsiasi guerra contro l’Iraq, così invece non ha fatto Murphy O’Connor. L’enfasi sul ruolo dell’ONU, i dubbi sulla moralità di una guerra preventiva e il silenzio sul tema della richiesta delle dimissioni di Saddam sono il segno che essi desiderano che il proprio «no» sia argomentato, compreso e possibilmente assunto.


1 Aggiorniamo i riferimenti alle principali dichiarazioni e agli incontri più significativi che a partire dal gennaio scorso hanno interessato sia la Chiesa cattolica, sia le relazioni ecumeniche (per una rassegna sul periodo precedente, cf. Regno-att. 16,2002,506; 20,2002,653). Il 20 gennaio 2003 la Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato la dichiarazione Una guerra preventiva viola i principi morali; contro la guerra preventiva si è espresso anche il card. Ruini nella prolusione del Consiglio permanente della CEI dello stesso giorno; il 18 gennaio l’editoriale de La Civiltà cattolica titolava «No a una guerra “preventiva”» contro l’Iraq; il 23 la Conferenza episcopale del Canada ha reso nota la dichiarazione La pace non porterà a un disarmo durevole; il 5 febbraio la Conferenza episcopale svizzera si è detta «profondamente turbata» dall’atteggiamento dei mass media che considerano ormai la guerra come scontata; il 10 il Consiglio permanente dei vescovi francesi intitolava il proprio comunicato La guerra sarà già una sconfitta; il 12 il presidente della Conferenza episcopale australiana dichiarava in un’intervista che la guerra è ammissibile solo a partire da una «giusta causa», condizione che non si dà nel caso di una «guerra preventiva». Molti gli interventi di vescovi spagnoli a fronte di una più cauta posizione del presidente della Conferenza episcopale, mons. Rouco Varela, che ha genericamente parlato di «creare un nuovo clima per la pace».

A livello ecumenico, tra le molte dichiarazioni e iniziative, segnaliamo le più rappresentative. Il 4 febbraio il Comitato congiunto del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) e della Conferenza delle Chiese europee (KEK) riunito a Bucarest chiede che la crisi irachena sia risolta «secondo il diritto internazionale»; Il 5 febbraio, a seguito di una riunione congiunta tenuta a Berlino, il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), il Consiglio delle Chiese di Cristo negli USA (NCCCUSA), il Consiglio delle Chiese in Medio Oriente e la Chiesa evangelica tedesca (EKD) hanno reso noto un comunicato comune intitolato Leader di Chiese insieme contro la guerra in Iraq; i delegati del NCCCUSA hanno incontrato il 18 febbraio il primo ministro inglese T. Blair, dopo aver incontrato G. Schröder e un rappresentante del Ministero degli affari esteri francese. A fine febbraio la delegazione incontrerà il primo ministro italiano e quello russo.


articolo tratto da Il Regno logo

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