Partecipare al futuro
Con gli americani sono arrivati in Iraq anche i predicatori cristiani legati alle nuove chiese evangelicali.
Secondo l’arcivescovo cattolico di rito latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, i predicatori delle sette religiose degli Stati Uniti stanno provocando la reazione del fondamentalismo musulmano. Arringhe alla folla nelle strade e denaro sono il metodo usato per convertire i musulmani (cf. The Tablet 30.8.2003, 23). «Tutto questo sta creando un’atmosfera impossibile che, offendendo la sensibilità della gente, nutre lo sviluppo dell’estremismo sciita», dice l’arcivescovo.
Instabilità e paura fanno crescere le forze fondamentaliste musulmane, in quanto la popolazione civile identifica i cristiani iracheni con gli occidentali e, quindi, con gli americani. «Non si vedono soluzioni politiche», aggiunge l’arcivescovo Sleiman, lamentando la mancanza di agenti di sicurezza, di polizia o di alcun segno di amministrazione pubblica nelle strade delle città irachene.
Non diversa è la posizione della Chiesa caldea. Nonostante i timori che gli sciiti radicali stiano esercitando pressioni per stabilire una teocrazia islamica in Iraq, e la crescente evidenza del deterioramento delle relazioni fra cristiani e musulmani nel paese, a partire dal 19 agosto si è tenuto a Baghdad un sinodo della Chiesa caldea, la maggiore Chiesa cristiana in Iraq. Convocati dopo la morte dell’ottantunenne patriarca Raphael I Bidawid, il 7 luglio, i rappresentanti di 20 diocesi caldee hanno sfidato l’insicurezza della capitale irachena e si sono riuniti per l’elezione di un nuovo leader. I vescovi caldei hanno chiesto esplicitamente a Paul Bremer, attuale governatore civile dell’Iraq, di poter avere un ruolo effettivo nel dopo Saddam in Iraq.
La richiesta è precisa: inserire un rappresentante caldeo nel Consiglio governativo iracheno. «Dopo anni d’emarginazione e assenza dalla vita sociale, la comunità cattolica caldea, sotto la guida del nuovo patriarca (la cui elezione è imminente, ndr), desidera contribuire al futuro dell’Iraq», sostengono i vescovi. Va tuttavia ricordato che i rapporti personali tra il vecchio patriarca Raphael I Bidawid e il dittatore Saddam Hussein sono stati per lungo tempo buoni e diretti e solo la lunga assenza del patriarca stesso per il suo grave stato di salute ha impedito agli avversari di Saddam di compiere una facile e ingiustificata equazione di collaborazione nelle relazioni tra Chiesa caldea e dittatura.
La Chiesa caldea, che è una Chiesa cattolica di rito orientale in comunione con Roma, ha circa 1.500.000 fedeli in tutto il mondo. L’80% degli 800.000 cristiani iracheni sono caldei, 350.000 vivono a Baghdad. La popolazione caldea rappresenta il terzo gruppo etnico del paese, una presenza importante anche in campo professionale e civile. Le ultime difficoltà sperimentate dai cristiani iracheni sono state descritte il 19 agosto dall’arcivescovo Fernando Filoni, nunzio a Baghdad. Assassinio e saccheggio sono eventi quotidiani, le bande imperversano indisturbate nella capitale irachena. «La maggior parte dei preti cristiani - ha detto - ha attualmente paura a lasciare la propria abitazione».
Il nunzio si è unito agli altri capi della Chiesa nella condanna dell’attentato al quartier generale delle Nazioni Unite a Baghdad il 19 agosto, che ha causato la morte di almeno 21 persone, compreso l’inviato delle Nazioni Unite, Sergio Vieira de Mello, e il ferimento di almeno altre 100 persone. «Questo non dovrebbe scoraggiare l’impegno internazionale a far tornare l’Iraq alla normalità», ha detto, ma pensa che la tragedia possa causare un ripensamento rispetto alla ricostruzione del paese, perché è chiaro che «ci sono persone che non vogliono la normalità». Ha aggiunto che la sicurezza e le prime necessità, specialmente le scarse attrezzature negli ospedali, necessitano di un’attenzione immediata. La questione della sicurezza riguarda anche gli esponenti delle organizzazioni internazionali umanitarie. A seguito dell’attacco al quartier generale delle Nazioni Unite, le organizzazioni umanitarie cristiane hanno detto di temere per la sicurezza dei propri operatori in Iraq. «Sono molto preoccupata per il deterioramento della situazione della sicurezza» ha detto Hanno Schaefer, rappresentante a Baghdad di Caritas Internationalis.