Bruno Hussar: uomo di sogni e di visioni
Al di là di ogni tappa particolare, vivevo e vivo sempre per Israele e per la sua pienezza, per la chiesa e per la sua pienezza, per la riconciliazione, la pace e la comunicazione fraterna tra i figli di Abramo, perchè la buona novella dia vita al mondo...".1 Ora che la lunga e patriarcale esistenza terrena di Bruno Hussar è giunta alla conclusione, questa confessione tratta dalla sua autobiografia spirituale assume il valore non solo di una testimonianza personale, ma anche di un progetto sul futuro ecumenico delle chiese. Andrea Hussar (il nome Bruno, impostogli all'entrata nell'ordine domenicano, era legato alla sua antica spiritualità certosina, del resto mai rinnegata) è scomparso l'8 febbraio in seguito a un male che consapevolmente aveva deciso di affrontare senza abbandonarsi ad alcun accanimento terapeutico, sulla soglia di 85 anni "pieni" e "sazi di giorni" e trascorsi quotidianamente in ricerca.
Marcel Dubois, suo confratello che ha condiviso con lui la nascita della Maison S. Isaïe (punto focale a Gerusalemme di riflessione sulla teologia delle relazioni ebraico-cristiane ma anche luogo di connessione fra la chiesa cattolica, l'ebraismo e lo stato israeliano), ripassandone la vicenda umana nell'omelia dell'eucarestia funebre, ha fatto memoria di padre Bruno sulla scorta delle Beatitudini del Vangelo di Matteo e celebrandolo innanzitutto come un uomo biblicamente "buono".
André Chouraqui, che pure gli fu amico, sottolineava spesso che la sua persona e la sua vita appaiono, di per se stesse, delle "utopie realizzate", dato che non si era mai visto, nella storia della chiesa né in quella di Israele, un ebreo e un israeliano che fosse anche sacerdote e domenicano; e per di più, si potrebbe aggiungere, attento conoscitore dall'interno (nato in Egitto, vi aveva vissuto 18 anni) dell'universo mentale arabo. Per questo, l'autodefinizione che amava di più era proprio quella di "uomo dalle quattro identità", costruttore di ponti fra le persone dopo l'accantonamento della laurea parigina in ingegneria, capace fra l'altro di esprimersi correntemente in francese, inglese, italiano, ebraico e arabo.
La stagione del concilio
Mi è difficile, però, non ritenere che la definizione che oggi apprezzerebbe maggiormente è quella biblica di ba' al chazon, uomo di sogni e di visioni, attribuita proprio da lui stesso a un amico italiano pioniere del dialogo cristiano-ebraico, Renzo Fabris: il che permetteva a entrambi – sono ancora sue parole) – di discernere, attraverso gli atteggiamenti e le parole prudenti della gerarchia ecclesiastica, i barlumi di speranza in un'apertura che troverà la sua espressione esplicita più tardi, "quando il tempo sarà maturo".2
Fra i sogni realizzati, oltre all'edificazione della già citata Maison S. Isaïe, germe dell'Opera di San Giacomo e della rinata chiesa cristiana ebraica in Israele, si deve ricordare il contributo appassionato e decisivo alla stesura della Nostra Aetate, avendo padre Bruno preso parte attivamente, in qualità di esperto, su invito del card. Bea, ai lavori della Commissione conciliare del Segretariato per l'unità dei cristiani, l'organismo competente per tutto ciò che concerneva la redazione e la presentazione del "testo ebraico". "La mia partecipazione alla lotta perché la chiesa, superando le inaudite pressioni delle forze di questo mondo e scrutando il proprio mistero, compisse il passo considerevole di adottare la dichiarazione sugli ebrei – scriveva, ricordando quei giorni – mi ha reso ancor più profondamente consapevole della mia appartenenza all'olivo buono, le cui radici sono i patriarchi, Mosé e i profeti".3
Ma l'instancabile attività di ba' al chazon, per Bruno Hussar, non si sarebbe conclusa qui: tanto che l'ultimo suo quarto di secolo è stato interamente occupato dal tentativo di escogitare un modo attraverso il quale ebrei e cristiani e musulmani, così profondamente divisi dalla pesantezza della storia e dai pregiudizi reciproci, potessero comunicare in una forma di vita associata, in una comunità, fedeli ciascuno alla propria fede e alle proprie tradizioni, e pienamente rispettosi di quelle altrui.
Scuola di pace
Oggi quel sogno si è trasformato nei volti compresi degli adulti, nelle lacrime spuntate dagli occhi dei bimbi che cantavano la stessa canzone dedicata a quel nonno acquisito quando aveva compiuto non 80 anni ma "quattro volte vent'anni", nel guaito del suo cane che ha accompagnato sotto la pioggia quella bara piena di fiori al piccolo cimitero affacciato sulla valle di Ayalon, dai tempi della Bibbia teatro di guerre sanguinose: abitanti tutti di Nevé Shalom – Waahat as-Salaam, l'oasi di pace che deve il proprio nome a un versetto di Isaia (32,18) e la propria fondazione alla tenacia profetica di padre Bruno e di Anne Le Meignen. Educatori della "scuola per la pace", che mirano ad abbattere mediante seminari e sedute di psicologia di gruppo i muri reciproci della paura e dell'ignoranza tra arabi ed ebrei, insegnanti della "scuola del villaggio", la prima in Israele dove i bambini delle due etnie sono avviati insieme all'approfondimento di entrambe le lingue, amici e rappresentanti delle diverse associazioni di "Amici di Nevé Shalom – Waahat as-Salaam" sparse nel mondo, l'hanno salutato per l'ultima volta alla sua maniera, narrando storie sulla sua vita e pregando insieme, col Kaddish ebraico e la Fatiha coranica e l'Apocalisse neotestamentaria, ciascuno nel proprio idioma e col proprio stile. Credo, però, che Bruno avrà gradito ancor più, se possibile, quella sosta di meditazione di pochi minuti sotto l'ampia cupola bianca di Dumia ("silenzio" in ebraico), l'estremo suo dono e sogno, ideato nella consapevolezza che è necessaria oggi una fase propedeutica tra stella di David e croce e mezzaluna, la preparazione di un terreno su cui, un giorno, si svolgerà l'incontro vero e proprio, a caro prezzo.
"Per te il silenzio profondo (dumia) è lode, o Dio", amava pregare padre Bruno ripetendo l'incipit del salmo 65: almeno in attesa di quel giorno escatologico in cui parlavano i profeti e Gesù: "La mia casa sarà chiamata Casa di preghiera per tutte le genti" (Is 56,7; Mc 11,17). Giorno che lui, ba' al chazon, sperimenta già ora in pienezza.
1 B. Hussar, Quando la nube si alzava..., Marietti, Genova, 1983, 137.
2 Dall'introduzione a R. Fabris, L'olivo buono, Morcelliana, Brescia 1995.
3 Hussar, Quando la nube, 107.