Il negoziato su Gerusalemme
Il negoziato su Gerusalemme, previsto dagli Accordi di Oslo del 1993, "è importante che sia allargato, in modo ... che non trascuri nessun aspetto del problema". Le parti dovranno tener correttamente conto della dimensione sacra e universale della città: "ciò esige che ogni possibile soluzione sia presa con la partecipazione delle tre religioni, a livello locale e non solo locale" (e in qualche modo dell'intera comunità internazionale), giacché "una soluzione politica non potrà essere valida se non tiene conto... dei bisogni religiosi presenti nella città".
Così la Santa Sede, in un recente documento della II Sezione - Rapporti con gli stati della Segreteria di stato, sintetizza (c. III), dopo averne riassunto i fondamenti e le premesse, la propria posizione su Gerusalemme nell'ambito dei negoziati per la pace tra israeliani e palestinesi. Il testo è stato trasmesso alla "Conferenza su Gerusalemme" tenutasi lo scorso giugno a Beirut (cf. riquadro a p. 000): è dunque la prima, tempestiva dichiarazione pubblica vaticana sull'argomento dopo la vittoria della destra nelle elezioni israeliane (maggio 1996; cf. Regno-att. 12,1996,326).
(La Documentation catholique 78(1996) 2143, 4-18.8.1996, 732ss. Nostra traduzione dal francese).
Preambolo
1. L'art. 1, par. 2 dell'Accordo fondamentale tra la Santa Sede e lo Stato d'Israele, firmato il 30 dicembre 1993, riprende, se non in modo letterale, certamente nella sostanza, quanto dichiarava l'art. 24 del Trattato del Laterano tra lo stato italiano e la Santa Sede, firmato l'11 febbraio 1929. Nel suddetto art. 11, par. 2 dell'Accordo fondamentale, si legge in particolare che "La Santa Sede [...] è solennemente impegnata a rimanere estranea a qualsiasi conflitto puramente temporale; tale principio è valido in particolare per i territori disputati e le frontiere non definite" (Regno-doc. 3,1994,82).
Questa condizione ha sollevato numerose riserve, soprattutto in riferimento alla situazione di Gerusalemme. Tali riserve sono probabilmente dovute al fatto che poche persone hanno attribuito importanza alla prima parte dello stesso paragrafo dell'articolo in questione, dove si legge: "Fatto salvo in ogni caso il diritto a esercitare il proprio magistero morale e spirituale".
2. Lo stesso giorno della firma dell'Accordo, la Sala stampa della Santa Sede pubblicava una Dichiarazione ufficiale dettagliata, nella quale si spiegava, tra l'altro, il senso dell'art. 11, par. 2: la Santa Sede rimane estranea ai problemi territoriali per quanto concerne gli aspetti strettamente tecnici, ma non rinuncia peraltro alla sua missione e al suo diritto di esprimere un giudizio sulla dimensione morale che ciascuno di questi problemi necessariamente riveste.
3. La stessa Dichiarazione si riferiva esplicitamente al problema di Gerusalemme, affermando:
– le questioni relative alla città di Gerusalemme sono da tempo oggetto di preoccupazione per la Santa Sede;
– tali questioni non sono menzionate nell'Accordo in virtù del loro carattere internazionale e multilaterale, che non permette di risolverle mediante un Accordo che è, per definizione, bilaterale tra le due parti firmatarie;
– tali questioni rimangono importanti per la Santa Sede, che non ha cambiato la sua posizione... (posizione esposta poi dalla Dichiarazione in maniera sintetica).
I. Esame della questione
1. Esiste un problema territoriale di Gerusalemme, diventato più evidente e più intenso a partire dal 1967, quando una parte della città, comprendente la zona in cui si trova raggruppata la maggior parte dei Luoghi Santi delle tre religioni monoteiste, è stata conquistata militarmente e poi annessa.
La Santa Sede ha sempre chiesto che tale questione territoriale sia risolta in modo equo e per mezzo di negoziati. La Santa Sede, come dice l'articolo menzionato, non prende in considerazione la questioni dei metri quadrati o dei chilometri quadrati che sono oggetto del conflitto, ma afferma il diritto – che esercita – di esprimere il suo giudizio morale sulla situazione.
È evidente che ogni conflitto territoriale presenta degli aspetti etici, come per esempio il diritto delle comunità nazionali all'autodeterminazione, il diritto delle comunità a preservare la propria cultura, il diritto di tutti all'uguaglianza davanti alla legge e nella distribuzione delle risorse, il diritto a non essere oggetto di discriminazione per ragioni etiche o religiose, ecc.
Rispetto alla situazione territoriale di Gerusalemme, l'atteggiamento della Santa Sede corrisponde necessariamente a quello della comunità internazionale, che potrebbe essere riassunto come segue: la parte della città occupata militarmente nel 1967 e, successivamente, annessa e dichiarata capitale d'Israele, è un territorio occupato e tutte le misure israeliane che vanno al di là del potere di un belligerante occupante, secondo la legge internazionale, sono di conseguenza da considerare nulle e insussistenti. In particolare, questa posizione è stata espressa ed è tuttora espressa dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 478 del 20 agosto 1980, che dichiara la basic law israeliana su Gerusalemme "nulla e non valida", invitando i paesi che hanno la loro ambasciata nella città a trasferirla.
È noto che, quando la Santa Sede ha aperto la sua nunziatura presso lo Stato d'Israele, l'ha aperta a Tel Aviv, dove si trova attualmente la maggior parte delle ambasciate. È noto anche che è stata mantenuta la delegazione apostolica di Gerusalemme e della Palestina (aperta l'11 febbraio 1948, prima della costituzione dello Stato d'Israele).
2. Esiste, tuttavia, un altro aspetto di Gerusalemme che, nella prospettiva della Santa Sede, va ben al di là della semplice questione territoriale: si tratta della "dimensione religiosa" della città, del valore particolare che riveste per i credenti, ebrei, cristiani e musulmani che vi risiedono, e per i credenti, ebrei, cristiani e musulmani di tutto il mondo.
Si tratta di un valore che va considerato come avente un carattere mondiale e universale: Gerusalemme è un "bene di tutta l'umanità".
Da decenni, ancor prima dell'occupazione del 1967, la Santa Sede è costantemente attenta a questo aspetto e non ha mancato d'intervenire, insistendo sulla necessità di salvaguardarlo, attraverso una protezione appropriata dell'identità della Città Santa. Il contenuto di tale protezione e il carattere che deve assumere per poter rispondere correttamente ai suoi obiettivi saranno in seguito esposti al numero II.2.
a) In questa prospettiva, allo scopo di salvaguardare il carattere universale di una città che già allora veniva rivendicata da due popoli (il popolo arabo e quello ebraico) e considerata santa da tre religioni, la Santa Sede ha aderito alla proposta della sua internazionalizzazione territoriale, del "corpus separatum" chiesto dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 181 (II) del 29 novembre 1947. Allora, il "corpus separatum" era considerato dalla Santa Sede come una forma appropriata, uno strumento giuridico utile, al fine di evitare che Gerusalemme diventasse oggetto e zona di conflitto e potesse perdere parte della sua identità (come di fatto si è successivamente verificato e continua a verificarsi).
b) Nel corso degli anni seguenti, poiché l'internazionalizzazione si è rivelata in effetti irrealizzabile, la Santa Sede ha continuato a chiedere, soprattutto ma non solo attraverso gli interventi pubblici dei papi, la protezione dell'identità della Città Santa, facendo sempre notare la necessità di un impegno internazionale. A questo scopo ha dunque chiesto regolarmente la creazione di uno strumento giuridico internazionale appropriato: questo è il senso dell'espressione "statuto speciale internazionalmente garantito".
c) Con i ben noti avvenimenti del 1967 e con gli esiti che ne sono risultati, la sollecitudine della Santa Sede non si è mai smentita, è anzi diventata sempre più insistente: i testi relativi a queste affermazioni si possono trovare nella raccolta di documenti dovuta a mons. Edmond Farhat, Jérusalem dans les documents pontificaux, de 1887 à 1984, pubblicata a Roma nel 1987. Questa preziosa raccolta di documenti è stata poi tradotta in lingua araba e pubblicata in Libano.
Tra questi documenti, a titolo d'esempio, si potrebbero segnalare, in virtù del loro carattere esaustivo e della loro chiarezza:
– l'Allocuzione di papa Paolo VI ai cardinali e prelati della Curia romana, del 22 dicembre 1967 (Regno-doc. 2,1968,10ss);
– la Dichiarazione distribuita alle Nazioni Unite dall'Osservatore permanente della Santa Sede, del 3 dicembre 1979;
– l'articolo apparso sull'Osservatore romano del 30 giugno-1 luglio 1980.
II. Precisazioni su alcuni concetti
1. È importante fare osservare che, nella presentazione delle sue richieste, la Santa Sede ha sempre insistito anche su un'altra questione che, nelle condizioni particolari di Gerusalemme, è considerata d'importanza fondamentale, proprio in relazione alla salvaguardia dell'identità della Città Santa: Gerusalemme è santa a pari livello per tre religioni – ebraismo, cristianesimo e islam –; in altri termini, certe rivendicazioni unilaterali, in nome dell'una o dell'altra religione, o in nome di precedenze storiche o ancora di preponderanze numeriche, non sono accettabili. Gerusalemme è una realtà unica, universale perché santa, nel suo insieme e per le tre religioni.
Questo è stato fortemente sottolineato nella lettera apostolica di sua santità papa Giovanni Paolo II Redemptionis anno, del 20 aprile 1984. In questa lettera si legge: "Per gli ebrei essa è oggetto di vivo amore e di perenne richiamo, ricca di numerose impronte e memorie, fin dal tempo di David che la scelse come capitale e di Salomone che vi edificò il Tempio. Da allora essi guardano si può dire ogni giorno a essa e la indicano come simbolo della loro nazione".
"A essa i cristiani guardano con religiosa e gelosa affezione, perché là tante volte è risuonata la parola di Cristo, là si sono svolti i grandi eventi della redenzione, cioè la passione, morte e risurrezione del Signore. A Gerusalemme è sorta la prima comunità cristiana e vi si è mantenuta nei secoli, anche in mezzo a difficoltà, una presenza ecclesiale continua".
"Anche i musulmani chiamano Gerusalemme "la santa" con un profondo attaccamento che risale alle origini dell'islam ed è motivato da luoghi privilegiati di pellegrinaggio e da una presenza più che millenaria e quasi ininterrotta" (EV 9/777).
2. A questo punto appare importante e fondamentale spiegare anche ciò che la Santa Sede intende con l'espressione "salvaguardare l'identità" di Gerusalemme o ciò che intende con "garanzie". Secondo la Santa Sede,
– devono essere preservate le caratteristiche storiche e materiali della città, le sue caratteristiche religiose e culturali – forse oggi sarebbe meglio dire che devono essere rimesse in sesto o difese quelle che esistono ancora;
– deve essere tutelata la parità dei diritti e di trattamento per i membri appartenenti alle tre comunità religiose che ci vivono, nella libertà delle attività spirituali, culturali, civili ed economiche;
– devono essere preservati i Luoghi Santi che vi si trovano, con la tutela dei diritti relativi alla libertà di religione, culto e accesso, per gli abitanti e per i pellegrini, della Terra Santa e di tutto il mondo.
Si tratta, in sostanza, di preservare e di valorizzare l'identità della Città Santa, in maniera globale e in tutti i suoi aspetti: non si ritiene sufficiente, per esempio, la semplice "extra-territorialità" dei Luoghi Santi, con la garanzia che i pellegrini possano accedervi liberamente; l'identità della città comporta una dimensione sacra che non è semplicemente quella dei luoghi o dei monumenti considerati individualmente, senza alcun legame con le loro rispettive comunità. È una dimensione sacra che ingloba l'insieme dei luoghi e delle comunità.
III. La situazione dopo gli Accordi di Oslo tra israeliani e palestinesi
Gli Accordi di Oslo prevedono che, nel quadro della seconda fase, vale a dire del negoziato sullo statuto permanente, si debbano affrontare alcuni problemi particolarmente delicati e difficili, tra i quali quello di Gerusalemme. In questa prospettiva, la Santa Sede, mantenendo fermamente la sua posizione nonché le richieste che ne derivano, ritiene di poter formulare le considerazioni seguenti:
1. Si prevedono dei negoziati; questa promessa e questa previsione costituiscono un fatto di per sé già positivo, benché minimo. Di fronte a questo, la Santa Sede può solo auspicare che la volontà espressa dalle parti politiche più direttamente interessate diventi realtà.
La Santa Sede è disposta a offrire il suo sostegno in questo senso, secondo i mezzi e le caratteristiche che le sono propri.
2. Come previsto, i negoziati dovrebbero già ammettere la partecipazione dei sostenitori del processo di pace e, secondo le dichiarazioni raccolte nel corso degli ultimi mesi, altre parti potrebbero essere invitate a offrire il loro contributo.
Per la Santa Sede, è importante che il tavolo dei negoziati sia allargato, in modo da ottenere un negoziato di per sé equo e che non trascuri nessun aspetto del problema.
3. È essenziale che le parti interessate dal negoziato tengano conto in maniera corretta e giusta della dimensione sacra e universale della città: ciò esige che ogni possibile soluzione sia presa con la partecipazione delle tre religioni, a livello locale e non solo locale, e che la comunità internazionale sia in qualche modo parte in causa.
4. In realtà, le due dimensioni, territoriale e religiosa, metodologicamente separate per poterne dibattere in modo appropriato e completo, s'intersecano e mettono chiaramente in evidenza che una soluzione politica non potrà essere valida se non tiene conto in maniera profonda e giusta dei bisogni religiosi presenti nella città, come la Santa Sede ha più volte sottolineato. Si tratta di necessità di carattere storico, ma che sono quanto mai attuali, e relative soprattutto al rispetto integrale del più fondamentale dei diritti umani, il diritto alla libertà di religione e di coscienza.
IV. Conclusioni
I patriarchi e gli altri rappresentanti religiosi cristiani di Gerusalemme hanno resa pubblica, il 14 novembre 1994, una Dichiarazione al termine della quale hanno scritto: "...È perciò necessario che venga accordato a Gerusalemme uno statuto speciale che permetta a Gerusalemme di non essere penalizzata da leggi imposte a seguito di ostilità o di guerre, ma di essere, invece, una città aperta che si pone al di sopra dei problemi politici locali, regionali o mondiali. Tale statuto, stabilito in comune dalle autorità politiche e religiose locali, dovrebbe inoltre essere garantito dalla comunità internazionale" (Regno-doc. 1,1995,21).
Questa richiesta dei rappresentanti religiosi cristiani di Gerusalemme riflette in sostanza quello che la Santa Sede chiede da anni e che è stato ripreso, anche se con un linguaggio un po' differente, da sua santità papa Giovanni Paolo II, il 13 gennaio scorso, nel suo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (n. 2; Regno-doc. 3,1996,65).
1. Dopo aver detto: "Voglia Dio aiutare israeliani e palestinesi a vivere finalmente gli uni a fianco degli altri, in pace, nella stima reciproca e in una collaborazione sincera!", il santo padre ha aggiunto: "... Ma consentitemi di confidarvi che questa speranza si potrebbe rivelare effimera, se non venisse data una soluzione equa e adeguata al problema particolare di Gerusalemme" (il problema globale – politico, territoriale, religioso, demografico, ecc. – di Gerusalemme esiste ed è fondamentale).
2. Il papa ha proseguito dicendo: "La dimensione religiosa e universale della Città Santa esige il coinvolgimento da parte di tutta la comunità internazionale affinché essa conservi la sua specificità e rimanga una realtà viva" (il papa chiede un impegno di carattere internazionale per salvaguardare l'identità di Gerusalemme soprattutto dai punti di vista "religioso" e "culturale", che ne fanno un "bene d'interesse mondiale"). Il papa ha poi precisato che "I Luoghi Santi, cari alle tre religioni monoteiste, sono senza dubbio importanti per i credenti, ma perderebbero molto del loro significato se non fossero circondati in modo permanente da comunità vive di ebrei, di cristiani e di musulmani, che godano di un'autentica libertà di coscienza e di religione, e possano sviluppare le loro attività di carattere religioso, educativo e sociale".
3. E, riferendosi ai negoziati previsti, che dovrebbero tener conto della questione globale, il papa ha dichiarato: "Auspico che la comunità internazionale offra ai partner politici più direttamente coinvolti in questo problema gli strumenti giuridici e diplomatici atti a garantire che Gerusalemme, unica e santa, sia veramente un "crocevia di pace"" (il papa chiede uno strumento internazionale e un aiuto internazionale per salvaguardare il valore autentico che Gerusalemme costituisce, a favore sia degli israeliani sia dei palestinesi e a beneficio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani).
È certamente un appello che il papa rivolge alla buona volontà e al senso di giustizia delle personalità politiche della regione e del mondo; è un appello che rivolge ai credenti ed è una preghiera che innalza al Dio delle tre religioni, che ha voluto onorare questa regione con la sua presenza in modo particolare, affinché l'umanità accolga e comprenda il suo messaggio di fratellanza e di pace, e vi contribuisca con il suo sostegno.
Gli stessi concetti sono contenuti in due paragrafi della Lettera apostolica Redemptionis anno, già citata: "Gerusalemme accoglie comunità vive di credenti, la cui presenza è segno e fonte di speranza per le genti che in tutte le parti del mondo guardano alla Città Santa come a un proprio patrimonio spirituale e un segno di pace e di armonia".
"Sì, perché nella sua qualità di patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono immensamente cara, e in quella di punto d’incontro, agli occhi della fede, tra la trascendenza infinita di Dio e la realtà dell'essere creato, Gerusalemme assurge a simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la famiglia umana" (EV 9/777).
Città del Vaticano, maggio 1996