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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Bruno Segre

La pace degli uccisi. Forum delle famiglie delle vittime

"Il Regno" n. 4 del 2001

Ytzhak Frankenthal è un cittadino israeliano di mezza età che milita da sempre fra i sostenitori della pace nel Vicino Oriente. Per lui, ebreo osservante, padre di cinque figli, l'impegno in questa direzione non è mai venuto meno, neppure dopo la morte violenta di un suo figlio di diciannove anni. Era il 1994. Arik stava prestando il servizio di leva. Un gruppo di guerriglieri di Hamas, l'organizzazione armata dei fondamentalisti islamici, lo sequestrò mentre faceva l'autostop per ritornare a casa dalla sua base militare. Nel corso della cattura i rapitori si finsero ebrei. Prima di passarlo per le armi, gli fecero ascoltare – estrema beffa – un nastro con canzoni ebraiche.

Chiedere pace, non vendetta

Scartata d'idea di chiedere vendetta, il padre scrisse una lettera a Yitzhak Rabin, il primo ministro in carica a quell'epoca, per dirgli che con i palestinesi era indispensabile raggiungere un accordo, e che la morte di suo figlio andava addebitata al fatto che sino ad allora non erano stati compiuti passi che puntassero con sufficiente decisione alla pace. Il tono di questa lettera dovette essere tanto convincente e commovente che il primo ministro – candidato al Nobel per la pace – chiese a Frankenthal di accompagnarlo a Oslo per assistere alla cerimonia di conferimento del premio.

Nel frattempo Frankenthal, un veterano della guerra dello Yom Kippur (1973), stava dandosi da fare per costituire e organizzare un gruppo di genitori di giovani vittime del conflitto, che fossero nondimeno disposti a sostenere pubblicamente e in modo attivo il processo di pace. "Consultai i giornali degli ultimi anni – ricorda Frankenthal – per trovare i nomi dei ragazzi morti in occasione di scontri a fuoco, di missioni suicide, uccisi da bombe o dilaniati dall'esplosione di autobus. Individuate alcune centinaia di famiglie in lutto, scrissi a ciascuna una lettera nella quale, dopo avere richiamato le circostanze della scomparsa di mio figlio, sottolineavo che, se volevamo vedere troncata la cruenta spirale della violenza, occorreva che favorissimo la nascita di uno Stato palestinese".

Così, un nucleo abbastanza consistente di genitori israeliani in lutto si ritrovò a dare vita a un'organizzazione che, con il nome di "Forum delle famiglie", presentava la singolarissima caratteristica di essere aperta anche ai genitori di ragazzi palestinesi morti in scontri armati con gli israeliani. Il Forum, cui hanno finora aderito centocinquanta genitori israeliani e centoventi palestinesi (oltre a un ristretto numero di drusi), costituisce un gruppo di pressione con connotati assolutamente originali. I suoi membri non possiedono uffici, non dispongono di un vero e proprio budget né propongono alle opinioni pubbliche del Vicino Oriente finalità politiche particolari, fatta eccezione per lo specifico obiettivo di attuare e promuovere la riconciliazione.

L'impegno attivo del Forum delle famiglie trova espressione in un ampio ventaglio di iniziative che comprendono: una riunione generale mensile dei suoi membri; conferenze aperte al pubblico e, in particolare, a quei settori del pubblico che si palesano più ostili a prospettive di pacificazione, tanto in Israele quanto in Palestina; visite e incontri con gli studenti d'ogni ordine e grado.

Morti per sempre senza la pace

Mohammed Najiv, residente a Beit Lahiya, un villaggio nella striscia di Gaza, è uno dei membri palestinesi del Forum. Suo figlio, Ashraf, morì nel 1996 in uno scontro a fuoco con soldati israeliani. "Nulla al mondo riuscirà a restituirmi il figliolo – dichiara Najiv – ma è importante che ci incontriamo poiché dobbiamo trovare insieme, palestinesi e israeliani, una strada che porti alla pace".

Roni Hirshenson è uno dei genitori israeliani che hanno risposto alla lettera di Frankenthal. Uomo tranquillo, perse cinque anni fa un figlio diciannovenne, Amir, ferito a morte da un attentatore suicida a uno svincolo autostradale presso il quale, ogni domenica, molte reclute erano solite darsi convegno prima di rientrare ai rispettivi reparti. "Amir – afferma il padre – aveva sempre caldeggiato il processo di pace, proprio come me".

Tragicamente questa stessa famiglia è stata di nuovo investita in tempi recenti dalla spirale della violenza. Nelle fasi iniziali della cosiddetta Intifada di al-Aqsa, Elad Hirshenson, di diciannove anni, si è tolto la vita in seguito alla morte di David, il suo migliore amico, ucciso mentre stava presidiando nella striscia di Gaza un avamposto nei pressi dell'insediamento ebraico di Netzarim. "Durante le visite che abbiamo fatto alle famiglie palestinesi – dichiara Roni Hirshenson – ci eravamo resi conto che una ripresa esplosiva dell'intifada si sarebbe prodotta qualora i colloqui di pace non avessero fatto registrare progressi significativi. Allorché morì David, mio figlio fu colto dalla disperazione. Nel messaggio che ci ha lasciato prima di suicidarsi, affermava di non voler più vivere in un paese i cui figli appaiono destinati a una morte senza scopo".

Dopo le esequie del più giovane dei figlioli Hirshenson, Yitzhak Frankenthal ha indirizzato agli abitanti di Netzarim una lettera aperta, nella quale censurava in termini grevi e amari la pervicacia con cui essi pretendono di mantenersi abbarbicati al loro insediamento, situato nel cuore stesso di un territorio palestinese qual è Gaza. "Ogni individuo sano di mente si rende conto che Netzarim sarà uno degli insediamenti che andranno evacuati non appena tra noi e i palestinesi verrà raggiunta la pace", scrive Frankenthal. "In nome della divina misericordia, perché mai volete continuare a vivere ad abitare questo luogo maledetto, al quale tante vite umane sono già state sacrificate? Dove sta l'amore che avete per i vostri figlioli, se poi mettete a rischio le loro esistenze?". La lettera, chiaramente tesa a mettere in guardia la pubblica opinione dai pericoli impliciti nell'insediamento di duecentomila ebrei in Cisgiordania e a Gaza, è stata diffusa dal popolare quotidiano Yedioth Ahronoth, suscitando reazioni di particolare risonanza in tutti i settori del mondo politico.

Del resto, alle famiglie dei ragazzi che trovano la morte sotto le armi si suole dedicare in Israele una speciale considerazione, poiché si tratta di persone che alla collettività nazionale hanno già offerto il tributo più prezioso.

Nessuna identificazione politica

A partire dal 3 dicembre 2000, i genitori in lutto di parte israeliana hanno trascorso quarantacinque giorni in una gigantesca tecnostruttura (la "Tenda della pace") issata a Tel Aviv nell'ampio spazio antistante il municipio, cioè nella centralissima piazza Rabin, dedicata appunto alla memoria del Primo ministro ivi assassinato. Questi genitori non solo hanno intrapreso lo sciopero della fame ma, ispirati da un'inesauribile creatività, hanno anche collocato nella piazza in ordine sparso trecento sagome umane di cartone, a simboleggiare le circa trecento vittime (palestinesi e israeliane) che le violenze in atto avevano sino ad allora fatto registrare. Inoltre, nel pieno della recente campagna elettorale in Israele, e in una fase quanto mai delicata e drammatica dei rapporti tra Israele, la Palestina e il resto del mondo arabo, si sono adoperati allo stremo per richiamare l'attenzione degli statisti e della pubblica opinione – nel Vicino Oriente e nel mondo intero – sulla necessità di conseguire la pace, avviando una molteplicità di iniziative e facendo ricorso alle forme più variegate di comunicazione.

Nell'arco di un mese e mezzo, Yitzhak Frankenthal e i suoi amici non hanno lasciato passare giorno senza intrattenere rapporti a vari livelli con il Governo israeliano e con l'Autorità palestinese. Nel corso di un'udienza richiesta al Presidente dello Stato d'Israele, gli hanno suggerito di non interferire con le iniziative del Primo ministro Barak a favore della pace. Hanno avuto modo di discutere di persona con Barak numerose volte; a Gaza, dove hanno incontrato Arafat per circa due ore, si sono mantenuti quotidianamente in contatto con i genitori palestinesi in lutto, visitandoli nelle loro abitazioni e ricevendoli a loro volta sotto la "Tenda della pace". I cittadini israeliani che hanno raggiunto la Tenda per sottoscrivere una petizione a sostegno del processo di pace sono stati diverse migliaia.

Per tutta la durata della campagna per l'elezione del primo ministro, i genitori del Forum si sono astenuti dall'appoggiare l'uno o l'altro candidato. "Non ci preoccupa di vedere eletto questo o quel personaggio. – ha dichiarato Frankenthal – L'unico esito che ci interessa è la pace".

"Come Associazione – ha detto ancora – anche dopo le elezioni continueremo a batterci per la pace, a denunziare le follie della guerra e a lamentare lo spreco di vite umane perpetrato ignobilmente da entrambe le parti in conflitto. Riteniamo che il lavoro di promozione della pace costituisca per noi un dovere, e non già un privilegio. V'è chi ci accusa di usare strumentalmente il lutto. Accettiamo quest'accusa con animo tranquillo: è vero, facciamo un uso strumentale del lutto, ma soltanto perché intendiamo evitare lutti ulteriori. I nostri cari li abbiamo persi a causa della mancanza di pace e perciò consideriamo nostro dovere lavorare per portare la pace. Dedichiamo molta attenzione alle modalità con le quali ci rapportiamo agli "altri", siamo rispettosi dei diritti umani e desideriamo che lo Stato d'Israele rappresenti un luogo per il quale valga la pena di vivere e che, dopo la morte dei nostri figli, ritorni a essere un luogo per il quale valga la pena di morire".

articolo tratto da Il Regno logo

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