Hanno dichiarato guerra alla pace
"Sembra che sia stata dichiarata guerra alla pace"! Entro queste drammatiche parole, Giovanni Paolo II ha sinteticamente compreso, il giorno di Pasqua (31 marzo), gli avvenimenti che stavano facendo precipitare la crisi in Medio Oriente.
La Terra santa, ha aggiunto il papa, sprofonda ancora una volta "nell'orrore e nella disperazione". "Ma la guerra nulla risolve, arreca soltanto più vasta sofferenza e morte, né servono ritorsioni o rappresaglie. La tragedia è davvero grande: nessuno può rimanere silenzioso e inerte, nessun responsabile politico o religioso! Alle denunce seguano atti concreti di solidarietà, che aiutino tutti a ritrovare il mutuo rispetto e il leale negoziato".
L'escalation si è avuta a partire dall'attentato terroristico contro civili israeliani a opera di un palestinese che si è fatto esplodere in un albergo a Netanya durante la Pasqua ebraica, uccidendo 22 persone (28 marzo). Poche ore dopo è iniziata l'operazione militare di Israele contro i territori palestinesi. Il 29 l'esercito israeliano ha occupato Ramallah, isolando e bombardando il quartier generale di Arafat, ritenuto da Sharon il mandante politico dei terroristi. L'esercito ha occupato le città autonome palestinesi di Qalqiliya, Betlemme, Tulkarem, Jenin e le zone di Beit Jala e Salfit e ha fatto irruzione in 18 campi profughi in Cisgiordania per cercare i covi dei terroristi. Ad Arafat prigioniero, Sharon ha concesso provocatoriamente la possibilità di lasciare Ramallah per andare in esilio; l'Egitto ha congelato i rapporti con Israele. Nel periodo compreso tra l'ultima settimana di marzo e la prima di aprile le vittime sono state ufficialmente 208 (146 palestinesi, 57 israeliane, 5 di altra nazionalità), 1.815 dall'inizio della seconda Intifada. I palestinesi arrestati con l'accusa di terrorismo sono stati sin qui 1.200.
Il 2 aprile, le truppe israeliane hanno circondato la basilica della Natività a Betlemme, occupata da 250 palestinesi armati. All'interno della basilica sono rimasti 35 frati francescani, 4 suore, 5 monaci greco ortodossi e 9 monaci armeni ortodossi.
L'asilo di fatto, non di diritto, che i palestinesi in fuga dal rastrellamento si sono presi, forzando un'entrata secondaria della basilica, ha reso precaria la situazione del luogo santo, minacciato dall'irruzione delle truppe israeliane. I membri delle tre comunità cristiane presenti nella basilica, già provati dalla mancanza di viveri, rischiano di trovarsi nel mezzo della battaglia.
Di fronte alle azioni di guerra, la Santa Sede si è mossa a più livelli: per via diplomatica, attraverso gli interventi e gli appelli della Chiesa locale, con le parole del papa.
Il 2 aprile, mons. Jean-Louis Tauran, segretario per i rapporti con gli stati, ha convocato gli ambasciatori presso la Santa Sede di Israele, Yosef Neville Lamdan, e degli USA, James Nicholson. Il 3 aprile, mons. Celestino Migliore, sotto-segretario per i rapporti con gli stati, ha ricevuto Mohamad Ali Mohamad, direttore dell'ufficio di rappresentanza della Lega degli Stati arabi presso la Santa Sede.
Ai diversi interlocutori i responsabili vaticani hanno ribadito la posizione della Santa Sede: "Condanna inequivoca del terrorismo, da qualsiasi parte esso provenga; riprovazione delle condizioni di ingiustizia e di umiliazione imposte al popolo palestinese, come pure delle rappresaglie e delle ritorsioni, le quali non fanno altro che accrescere il senso di frustrazione e di odio; rispetto delle Risoluzioni delle Nazioni Unite, da parte di tutti; proporzionalità nell'uso dei legittimi mezzi di difesa; dovere per le parti in conflitto di tutelare i luoghi sacri, molto significativi per le tre religioni monoteiste e patrimonio dell'intera umanità". I punti, resi noti attraverso un comunicato del portavoce Navarro-Valls, sono molto netti e precisi, sorvegliatissimi nel linguaggio, rispetto alle parole incaute e terribili usate il giorno prima da L'Osservatore romano, che aveva parlato di "un'aggressione che si fa sterminio".
All'ambasciatore statunitense, cui mons. Tauran ha consegnato una lettera del papa per il presidente Bush, è stato chiesto un impegno effettivo degli USA in Medio Oriente. Come a dire: se il presidente Bush ritiene ancora di essere l'unico garante tra le due parti in conflitto, o comunque l'unico a cui il governo di Israele riconosce questa funzione, allora egli ha il dovere politico e morale di esercitare al meglio questo ruolo, senza indugiare ancora o concedere altro tempo a Sharon vista la spirale di morte che avvolge la Terra santa. Anche a seguito delle pressioni vaticane prenderà l'avvio la missione (poi fallita) del segretario di stato americano Powell.
Il giorno 4, il papa ha scritto al segretario di stato card. Sodano una lettera per una giornata di preghiera per la pace in Terra santa, fissata per domenica 7 aprile. "La drammatica situazione in cui versa la Terra Santa mi induce a rivolgere di nuovo un pressante appello a tutta la Chiesa, affinché si intensifichino le preghiere di tutti i credenti per quelle popolazioni ora dilaniate da forme di violenza inaudita. Proprio in questo periodo, nel quale il cuore dei cristiani si volge verso i luoghi dove il Signore Gesù ha patito, è morto ed è risorto, giungono notizie sempre più tragiche, che contribuiscono ad accrescere lo sgomento dell’opinione pubblica, suscitando l’impressione di una inarrestabile deriva di disumana efferatezza. Di fronte alla caparbia determinazione con cui, da una parte e dall’altra, si continua ad avanzare sulla strada della ritorsione e della vendetta, si apre di fronte all’animo angosciato dei credenti la prospettiva del ricorso alla preghiera accorata a quel Dio che, solo, può cambiare i cuori degli uomini, anche dei più ostinati". Il papa chiede al segretario di stato di farsi tramite presso le Chiese particolari di questo invito. "Possa così giungere – conclude il papa – a quella terra cara ai credenti delle tre religioni monoteiste un messaggio di pace stabile e duratura".
La domenica 7, un papa tremante si appella a Dio e alle fedi monoteistiche: "La pace è dono di Dio". E cita la maledizione biblica: "Il Creatore stesso ha scritto nel cuore degli uomini la legge del rispetto della vita: "Chi sparge il sangue dell'uomo / dall'uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio / Egli ha fatto l'uomo", è detto nella Genesi (9,6)". Poi aggiunge: "Quando tutt'intorno domina la logica spietata delle armi, solo Dio può ricondurre i cuori a pensieri di pace. Solo lui può dare le energie che sono necessarie per liberarsi dall'odio e dalla sete di vendetta e intraprendere il cammino della trattativa in vista dell'accordo e della pace. Come dimenticare che israeliani e palestinesi, seguendo l'esempio di Abramo, credono in un unico Dio?".
Nel frattempo cresce la preoccupazione vaticana, sollecitata anche dalle dichiarazioni dei vescovi locali sulla situazione a Betlemme. Israele rifiuta ogni soluzione concordata dell'assedio della basilica della Natività, tenendosi aperta anche l'ipotesi militare. Di fatto, Israele sembra porsi in una posizione di scontro aperto nei confronti dei cristiani in Oriente (in maggioranza arabi e palestinesi), e questi finiscono con l'essere sospinti a superare ogni distinzione tra fattore politico, etnico e religioso nel conflitto. D'altra parte, Israele non può riconoscere alle Chiese cristiane in Palestina il diritto d'asilo senza permettere che tutti i Luoghi santi vengano usati dai combattenti come zone sicure a partire dalle quali combattere; i palestinesi armati hanno di fatto creato un precedente pericoloso che mette a rischio i luoghi e le vite dei loro custodi, la Santa Sede non può permettere che i luoghi siano violati.
L'8 aprile la Segreteria di stato vaticana affida al direttore della sala stampa una nuova ferma dichiarazione per ribadire che "la Santa Sede considera una priorità assoluta il rispetto dello status quo dei Luoghi santi". "È da ricordare inoltre che, tanto l’Accordo fondamentale del 1993 tra la Santa Sede e lo Stato di Israele, quanto l’Accordo-base con l’Autorità palestinese del 2000 includono articoli che sanciscono il rispetto dello status quo dei Luoghi santi". Per sbloccare la situazione a Betlemme, la Santa Sede è tornata proporre (11 aprile) una commissione bilaterale, mentre i francescani hanno chiesto aiuti umanitari immediati per gli assediati.
Sul finire dell’inconcludente missione di pace di Powell (cui non è mancato il sostegno della Santa Sede, dell'Unione Europea e della Russia), mons. Tauran torna a proporre l'imposizione di una forza internazionale di pace: "per aiutare i contendenti ad abbandonare il linguaggio della guerra, riguadagnare fiducia reciproca e sedersi a negoziare. E' importante avere la presenza di una forza imparziale e amica".