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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Piero Stefani

Il calvario di Betlemme

"Il Regno" n. 10 del 2002

Il sollievo generale suscitato dalla risoluzione della drammatica situazione creatasi attorno alla basilica della Natività a Betlemme è dovuta anche al fatto che per non pochi dei 35 giorni in cui si è prolungato l’assedio si era temuto, non senza fondamento, che la situazione potesse precipitare e che il paventato assalto delle truppe israeliane potesse trasformare in luogo di strage lo spazio memoriale della nascita di Gesù.

Nonostante l’esito positivo, l’episodio resterà, comunque, a lungo fonte di preoccupazione (cf. Regno-att. 8,2002,220); né va dimenticato che questa situazione, durata più di un mese, è stata contraddistinta, oltre che da condizioni di vita precarie da parte dei rinchiusi, anche dall’uccisione scaglionata di otto palestinesi a opera dei cecchini israeliani. Non va peraltro dimenticato che l’inizio della situazione non può essere letto in alcun modo, a differenza di quanto proposto da qualche voce palestinese, in analogia con l’ospitalità data da istituzioni cattoliche agli ebrei braccati dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. Infatti, quando il 2 aprile le truppe israeliane hanno circondato la basilica della Natività, al suo interno vi erano, accanto a 35 frati francescani, 4 suore, 5 monaci greco-ortodossi e 9 monaci armeni ortodossi, anche 250 palestinesi, in gran parte armati, che hanno goduto di un asilo di fatto, non di diritto, conseguenza dell’atto con cui si era forzata un’entrata secondaria della basilica. Da allora per cinque settimane il complesso, formato dalla basilica della Natività, dalla chiesa di S. Caterina e dai monasteri francescano, greco-ortodosso e armeno-ortodosso, si è trovato al centro dell’interesse internazionale.

L’internazionalizzazione del conflitto

La soluzione, raggiunta dopo laboriose trattative diplomatiche, che ha consentito la mattina del 10 maggio lo sgombero della basilica, ha comportato per 26 palestinesi il trasferimento obbligatorio a Gaza e per altri 13, considerati terroristi dalle autorità israeliane, il soggiorno provvisorio a Cipro in attesa, in base agli accordi presi all’interno dell’Unione Europea, di una loro (definitiva?) sistemazione in vari paesi europei. Questa soluzione segna, accanto alla detenzione sotto sorveglianza britannica e americana dei detenuti palestinesi responsabili dell’assassinio del ministro israeliano Zeevi e all’entrata dell’UE nel conflitto mediorientale, una nuova internazionalizzazione del conflitto israelo-palestinese. In questo senso quest’atto si presenta come una tappa di un processo che tenta di far uscire la crisi mediorientale dalla sua incomponibile veste di conflitto a due.

Mentre da tempo all’interno di questa crisi si erano percepite l’importanza cruciale e le risonanze universali legate a Gerusalemme (cf. Regno-att. 2,2002,52), fino al Natale scorso Betlemme sembrava, anche per la sua connotazione quasi esclusivamente cristiana,1 un riferimento meno drammaticamente centrale. Il primo segno che pure la basilica era destinata ad acquisire rilevanza nel contesto complessivo dell’attuale crisi è imputabile all’influsso indiretto suscitato dall’impedimento israeliano – rimosso anch’esso solo in queste ultime settimane – che precludeva ad Arafat ogni movimento al di fuori del suo quartier generale di Ramallah. A causa di questa misura, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese non ha potuto, a differenza del suo solito, assistere nel 2001 alla messa di mezzanotte.

La culla e la croce

Per quanto la congiuntura fosse in quel momento marcatamente diversa, nel discorso tenuto da Giovanni Paolo II nella basilica della Natività durante il suo pellegrinaggio giubilare in Terra santa nel marzo del 2000, vi è un passo che sembra suonare come una specie di premonizione. Esso dichiara che anche il luogo che ricorda la nascita di Gesù ha, per così dire, l’"obbligo spirituale" di non ignorare le tensioni e i travagli della storia umana. Nell’omelia pronunciata in quella occasione e che vedeva tra i sui ascoltatori anche Arafat, il papa, dopo aver ringraziato "i responsabili dell’Autorità palestinese che partecipano alla nostra celebrazione e si uniscono a noi nella preghiera per il benessere del popolo palestinese", trovò infatti degli accenti che collegavano la "spiritualità di Betlemme" a quella della croce: "Questo è un luogo che ha conosciuto il "giogo" e il "bastone". Quante volte si è udito in queste strade il grido degli innocenti. Anche la grande chiesa edificata sul luogo in cui è nato il Salvatore appare come una fortezza percossa dalle contese del tempo. La culla di Gesù sta sempre all’ombra della croce. Il silenzio e la povertà della nascita a Betlemme sono una cosa sola con il buio e il dolore della morte sul Calvario. La culla e la croce sono lo stesso mistero dell’amore che redime; il corpo che Maria ha posto nella mangiatoia è lo stesso corpo sacrificato sulla croce" (Regno-doc. 7,2000,204).

Le preoccupazioni della Santa Sede per la situazione creatasi nel complesso della basilica sono sempre state vivissime. La manifestazione più esplicita di tale atteggiamento si è avuta sia in numerose espressioni verbali del papa sia nell’invio, ai primi di maggio, in Israele del card. Roger Etchegaray in qualità di inviato speciale della Santa Sede. L’azione diplomatica vaticana più che essere risolutiva, ha in realtà svolto una funzione di supporto alle iniziative diplomatiche internazionali già allora in corso. In ogni caso, si è trattato di una presenza significativa, che accoglie in parte (o quantomeno non esclude) le offerte di mediazione che erano giunte dalla Segreteria di stato vaticana fin dai primi giorni dell’occupazione della basilica.

In data 8 maggio, giorno in cui ulteriori ostacoli si erano aggiunti sulla strada di un accordo considerato ormai imminente, il card. Etchegaray, in una dichiarazione, Affermava che la situazione in cui si trova la basilica diviene "come un test della volontà comune dei leader dei due popoli di pervenire a una pace vera su tutta la Terra santa". Egli aggiungeva poi che bisogna essere sul posto per rendersi conto della "congerie di sospetto, di disprezzo e di vendetta che si accumula sullo scosceso cammino della pace".

Sullo sfondo di queste accorate dichiarazioni, si comprende il tono di intima partecipazione che pervade l’omelia pronunciata dal card. Etchegaray domenica 12 maggio a Betlemme nella chiesa di Santa Caterina "ad Navitatem", durante la prima messa celebrata dopo la liberazione della basilica: "A Betlemme oggi, come la notte di Natale di duemila anni fa, Dio fatto uomo viene a dare un nuovo inizio alla "pace sulla terra"… sulla Terra santa. Il luogo santo della nascita di Gesù ha appena conosciuto un lungo Calvario ed ecco la mattina di pasqua (...) Questa messa esprime in tutto il suo splendore pasquale la pienezza di un’eucaristia di lode, di espiazione e di riconciliazione. Essa ci deve aiutare a scoprire meglio le vere radici della pace, quelle che si prolungano fino al cuore dell’uomo riconciliato con Dio(...) Betlemme un nome che riecheggia costantemente di tutti i suoi armonici di tenerezza divina, di fraternità umana, di pace universale. Betlemme è la prima città santa di cui ho appreso il nome sulle ginocchia di mia madre che mi raccontava della nascita di Gesù Cristo nella grotta di Betlemme (...) La pace tra gli uomini, la pace tra i popoli, essa non può nascere e crescere se non esiste dapprima in ciascun uomo, in ciascun popolo. Occorre ora vedere al di là di Betlemme e abbracciare con un solo sguardo la Terra santa. Il felice esito che festeggiamo deve stimolare la pace su tutta la terra di Cristo. Tutto per la giustizia, tutto nel dialogo, nulla con la violenza. Il cammino è ben scosceso e lungo. La porta che si apre a questo cammino è ancora più stretta della piccola porta di questa basilica della Natività. Quante rovine da sgombrare, materiali e soprattutto morali! Noi tutti dobbiamo perdonarci gli uni gli altri. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. La misericordia di Dio scende sempre più in basso di quanto non cada la miseria dell’uomo".

La felice, quanto provvisoria, soluzione del caso della basilica della Natività assume in tal modo una duplice valenza: si presenta come una specie di "caparra pasquale" sull’ancora lungo e impervio cammino della pace ed è un richiamo al senso più profondo e originario del messaggio cristiano, mai dimentico della centralità della croce.

1 Non va trascurato il fatto che il 40% dei 100.000 abitanti di Betlemme sia cristiana, mentre nel complesso della popolazione palestinese la presenza cristiana non supera il 2%.


articolo tratto da Il Regno logo

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