Il muro di separazione
Lo scorso 26 agosto, i dieci capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme hanno sottoscritto questa dichiarazione (che pubblichiamo in una nostra traduzione dall’inglese) a proposito del «muro» di circa 350 chilometri che il governo israeliano sta costruendo attorno ai territori palestinesi, con finalità di difesa dagli attacchi terroristici. I firmatari sono Michel Sabbah (patriarca latino), Torkom II (patriarca armeno), Giulio Battistelli (custode di Terra santa), Anba Abraham (arcivescovo copto), Swerios Malki Murad (arcivescovo siro), Abba Cuostos (arcivescovo etiope), Riah Abu El-Assal (arcivescovo anglicano), Munib A. Younan (vescovo evangelico-luterano), Mtanious Haddad (esarca greco-cattolico) e Butros Malki (vescovo siro-cattolico).
Noi, capi delle Chiese che sono in Gerusalemme, dichiariamo la nostra determinazione a fare tutto ciò che è in nostro potere a favore dell’opera di pace in questa Terra santa: una pace che abbia a cuore il bene di ogni abitante di questa Terra, israeliano o palestinese, perché garanzia di sicurezza, giustizia, libertà, indipendenza e dignità umana.
Nessun dubbio sulla nostra totale avversione nei confronti della violenza, da chiunque sia perpetrata. La pace si costituirà solo quando sarà stata sradicata tutta la violenza, da entrambe le parti. Se da un lato riteniamo che l’attuale Roadmap verso la pace possa portare risultati positivi, dall’altro crediamo che il «muro di separazione» costituisca un grave ostacolo. Per entrambe le nazioni, il muro produrrà un senso di isolamento. Inoltre per molti palestinesi esso significa essere privati della terra (circa il 10% in più di quella sottratta dall’occupazione del 1967), del sostentamento, della sovranità nazionale e della vita familiare. L’occupazione rimane la causa di fondo del conflitto e del perdurare della sofferenza in Terra santa.
Si prenda, ad esempio, il muro di separazione che è stato progettato intorno a Betlemme, che per noi cristiani è il luogo di nascita di Gesù Cristo, il principe della pace. Le conseguenze saranno devastanti per la comunità cristiana: non ultimo, a causa dell’impatto psicologico sulla vita quotidiana. La comunità sarà isolata, essendole negati l’accesso alla terra e la libertà di movimento. Le visite dei pellegrini ne risulteranno ulteriormente scoraggiate.
Facciamo appello a entrambe le autorità – israeliane e palestinesi – e ai popoli amanti della pace, in tutto il mondo (i quali dovrebbero sollecitamente mobilitarsi presso i loro leader, sia politici sia religiosi), perché si impegnino con tutte le forze a rimuovere questo impedimento a una pace complessiva e duratura.
Gerusalemme, 26 agosto 2003
(seguono le firme autografe)