Crocevia della pace
La Città e i Luoghi santi. Un intervento del card. Jean-Louis Tauran
Se si prende in considerazione l’interesse che la diplomazia della Santa Sede ha manifestato nei riguardi delle crisi che hanno segnato la vita dei popoli del Medio Oriente a partire dal 1948, non si può che constatare che la questione di Gerusalemme costituisce un caso particolare.
In effetti, quando si è trattato della guerra del Libano, del conflitto israelo-palestinese e delle guerre del Golfo, la Santa Sede ha agito quale conciliatrice e moderatrice. Nel caso di Gerusalemme, invece, essa è parte in causa, in quanto è in gioco:
– la sopravvivenza dei cristiani minoritari;
– la salvaguardia dei Luoghi santi;
– la convivenza fra ebrei, cristiani e musulmani.
Il fatto che ebrei, cristiani e musulmani abbiano le loro radici spirituali a Gerusalemme conferisce a quella città un valore simbolico, un carattere sacro, unico e universale. E la Santa Sede è arrivata alla convinzione che – per salvaguardare tale carattere sacro e unico – sia necessario elaborare uno statuto speciale per le parti più sacre della città (cioè i Luoghi santi delle tre religioni), internazionalmente garantito.
Il mio intento è di illustrarvi come siamo giunti a tale richiesta e in che cosa essa consiste.
Lo stato giuridico di Gerusalemme
Dall’inizio dell’era cristiana, Gerusalemme ha subito più di dieci dominazioni straniere. Dal 1517 al 1917 Gerusalemme e i Luoghi santi sono stati sotto il controllo dell’Impero ottomano. Il comportamento della Sublime porta, favorevole alle gerarchie greco-ortodosse, provocò tensioni fra le comunità greca e latina, sostenute rispettivamente dalla Russia e dalla Francia.
Così sorse l’accusa dei cattolici latini ai greco-ortodossi di avere violato i trattati del 1604 e del 1740 fra francesi e turchi, secondo cui spettavano ai latini il possesso del Santo sepolcro, la chiesa della Natività a Betlemme e la chiesa della Vergine.
Nel 1852 il sultanato ottomano decise d’imporre la pace religiosa con un decreto, lo Status quo, che divenne uno strumento legale di regolamentazione dei diritti di proprietà e di amministrazione dei Luoghi santi da parte dei gruppi cristiani presenti in Terra santa.
Dopo la prima guerra mondiale e la sconfitta dell’Impero ottomano, la Lega delle nazioni affidò alla Gran Bretagna il controllo della Palestina, nei termini definiti nella dichiarazione Balfour (2 novembre 1917): agli ebrei verrà facilitata l’immigrazione con l’acquisto di terreni, la realizzazione di opere pubbliche, la garanzia di assistenza e di servizi. Lo status di Gerusalemme e dei Luoghi santi divenne ancora una volta un punto di attrito. La Lega delle nazioni cercò di stabilire una Commissione per gli affari religiosi, ma non ci riuscì. La Gran Bretagna, potenza mandataria, divenne quindi arbitra e non trovò altra soluzione che ribadire a tutti la validità delle minuziose disposizioni dello Status quo del 1852, che doveva pertanto essere rispettato da tutti.
Nel 1937 la Palestine Royal Commission raccomandò la divisione della Palestina in uno stato arabo, in uno ebraico e in una zona affidata al controllo britannico, comprendente Gerusalemme, Betlemme e Giaffa.
Nella seduta del 29 novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò un piano per la divisione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico. È la famosa risoluzione n. 181, che stabilisce che «la città di Gerusalemme deve essere considerata come un corpus separatum sotto uno speciale regime internazionale e deve essere controllata dalle Nazioni Unite. Dovrà essere costituito un consiglio di amministrazione fiduciaria per sollevare le autorità amministrative locali da responsabilità che passeranno a carico delle Nazioni Unite».
Dopo lo scoppio della guerra in Palestina, nel maggio del 1948, Gerusalemme fu divisa tra giordani e israeliani. La città vecchia, con i suoi Luoghi santi, cadde sotto il controllo della Giordania, mentre la parte occidentale della città passò sotto il controllo di Israele.
Tenendo conto di questi cambiamenti e dell’opposizione dei giordani e degli israeliani al piano d’internazionalizzazione della città, nell’aprile 1950 il Consiglio di tutela dell’ONU propose un emendamento a quanto stabilito dalla risoluzione n. 181, e cioè che soltanto una piccola parte di Gerusalemme, quella che racchiudeva i principali Luoghi santi, avrebbe dovuto essere internazionalizzata sotto il controllo delle Nazioni Unite.
Quest’ultimo progetto fu respinto dalla IV e dalla V assemblea delle Nazioni Unite e, dopo il 1950, l’ONU accantonò la questione di Gerusalemme. Di conseguenza, le risoluzioni su un corpus separatum rimasero in vita ma non vennero mai applicate.
L’atteggiamento della Santa Sede
In tale contesto, la Santa Sede ha appoggiato il piano di internazionalizzazione e le sue richieste sono state formulate prima con l’enciclica In multiplicibus curis del 1948, dove Pio XII invoca la necessità di garanzie internazionali per assicurare «sia il libero accesso ai Luoghi santi in tutta la Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto delle tradizioni religiose e di costume» (EE 6/62), e poi nella Redemptoris nostris del 1949, nella quale leggiamo che è «di fondamentale importanza che sia garantita la debita protezione e immunità a tutti i luoghi santi della Palestina, non solo a Gerusalemme, ma anche in altre città e villaggi» (EE 6/673). Come si vede, l’appoggio della Santa Sede all’internazionalizzazione nasceva anche dalla preoccupazione del papa per i Luoghi santi, di fronte ai danni subiti durante la guerra arabo-israeliana del 1948, nonché dalla sorte delle istituzioni cattoliche.
Con la guerra del 1967, il papa Paolo VI cominciò a mutare l’atteggiamento della Santa Sede nei confronti di Gerusalemme. Nel suo discorso alla curia romana del 22 dicembre 1967, il papa distingue due aspetti della questione: i Luoghi santi delle tre grandi religioni, per i quali devono essere tutelati la libertà di culto, il rispetto, la conservazione e l’accesso con immunità speciali mediante uno statuto proprio internazionalmente tutelato; e il secondo aspetto, ossia i diritti religiosi e civili dei membri di tutte le comunità presenti su tutto il territorio della Palestina. Si riconosce l’influsso del concilio Vaticano II che, in tale questione, spinge Paolo VI a porre su uno stesso piano le tre comunità di credenti in Gerusalemme: ebrea, cristiana e musulmana.
A seguito della guerra del 1967, si assisté a una progressiva giudeizzazione di Gerusalemme, che preoccupò molto la Santa Sede nella misura in cui il carattere peculiare della città e i diritti delle comunità minoritarie venivano a poco a poco minacciati. Tutta la preoccupazione della Santa Sede venne esposta nell’esortazione apostolica Nobis in animo del 1974, dove Paolo VI espose i legami esistenti fra la Terra santa e i cristiani di tutto il mondo e auspicò che ebrei, cristiani e musulmani, godendo degli stessi diritti, potessero camminare insieme e fare della Terra santa «un coefficiente di concordia e di pace» (EE 5/180). Il papa ribadì pure la necessità di trovare uno statuto giuridico per i Luoghi santi delle tre religioni, evitando di rendere questi ultimi semplicemente dei musei.
È interessante notare l’evoluzione della posizione della Santa Sede: in una prima fase, con Pio XII essa appoggia il piano delle Nazioni Unite per l’internazionalizzazione della città di Gerusalemme, chiedendo il libero accesso ai Luoghi santi per i pellegrini; nella seconda fase, con Paolo VI, essa insiste perché lo statuto speciale viga per i Luoghi santi e affinché le tre maggiori religioni monoteiste godano degli stessi diritti. Si è passati dai luoghi alle persone, all’accento sugli aspetti politici a quello sugli aspetti spirituali.
Tre sono i fattori che possono spiegare questa evoluzione:
– l’idea di un regime internazionale per Gerusalemme è stata superata dal conflitto arabo-israeliano e dal disinteresse internazionale;
– l’annessione, da parte del governo israeliano, e la giudeizzazione di Gerusalemme hanno reso urgente un intervento internazionale;
– è apparso necessario conciliare gli interessi dei pellegrini (accesso ai Luoghi santi) e quelli religiosi e civili dei credenti residenti in Terra santa.
Il pontificato di Giovanni Paolo II
Una nuova fase dell’atteggiamento della Santa Sede verso Gerusalemme viene alla luce nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II Redemptionis anno del 20 aprile 1984. Il testo ribadisce e affina la posizione dell’esortazione di Paolo VI Nobis in animo nei riguardi di Gerusalemme.
Il pontefice esorta a non risparmiare gli sforzi per tutelare il carattere «sacro, unico e ineguagliabile della città. Non solamente i monumenti o i Luoghi santi, ma tutto l’insieme della Gerusalemme storica e l’esistenza delle comunità religiose, la loro situazione, il loro futuro, non possono che essere oggetto di interesse e di sollecitudine da parte di tutti» (EV 9/779). Giovanni Paolo II precisa: è necessario trovare «una soluzione concreta e giusta che permetterebbe ai diversi interessi e aspirazioni di essere raggiunti in modo armonioso e stabile e di essere protetti in maniera adeguata ed efficace da uno statuto speciale internazionalmente garantito, in modo che nessuna delle parti possa rimetterlo in questione» (EV 9/780).
Ma la novità del documento risiede nella visione che il papa ha della città di Gerusalemme. Secondo il papa, Gerusalemme con le sue varie comunità dovrebbe divenire il fulcro di una possibile soluzione della controversia israeliano-palestinese. Gerusalemme, città della pace, dovrebbe essere elemento di unione e di pacificazione fra arabi e israeliani, tra ebrei, cristiani e musulmani.
Ecco la vocazione di Gerusalemme: «È mia convinzione che l’identità religiosa della città e in particolare la comune tradizione di fede monoteistica possano appianare la via e promuovere l’armonia fra tutti quelli che variamente sentono la città santa come propria» (EV 9/780).
All’inizio dell’anno 1996, allorquando si parlava dell’avvio di negoziati sullo statuto definitivo dei territori sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese e sulla città di Gerusalemme, indirizzandosi ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, il papa non esitò ad affermare che non ci può essere pace in Medio Oriente senza una soluzione equa al problema particolare di Gerusalemme: «La dimensione religiosa e universale della città santa esige il coinvolgimento di tutta la comunità internazionale, affinché essa conservi la sua specificità e rimanga una realtà viva. I Luoghi santi cari alle tre religioni monoteiste sono senza dubbio importanti per i credenti, ma perderebbero molto del loro significato se non fossero circondati in modo permanente da comunità vive di ebrei, di cristiani e di musulmani, che godano di un’autentica libertà di coscienza e di religione e possano sviluppare la loro attività di carattere religioso, educativo e sociale. Auspico che la comunità internazionale offra ai partner politici più direttamente coinvolti in questo problema gli strumenti giuridici e diplomatici atti a garantire che Gerusalemme, unica e santa, sia veramente un crocevia di pace» (n. 2; Regno-doc. 3,1996,65).
Il problema politico e quello religioso
Parlando della città di Gerusalemme, la Santa Sede distingue due questioni. Il problema territoriale – cioè sapere se Gerusalemme debba essere la capitale di uno stato, o di due stati, o di una confederazione ecc. – è un problema politico che deve essere risolto dalle due parti in conflitto. La seconda questione è quella che riguarda i Luoghi santi delle tre religioni: questo è un problema religioso e va considerato separatamente dal primo.
I santuari delle tre religioni possono essere considerati in realtà come patrimonio di tutta l’umanità, nella misura in cui i credenti che a essi si riferiscono sono sparsi nel mondo intero.
Gerusalemme ha un significato religioso ed è chiamata perciò Città santa. È necessario quindi conservare il suo carattere sacro e unico. Inoltre, per la Santa Sede, essa è chiamata a diventare un centro d’incontro e di riconciliazione tra credenti delle tre grandi religioni monoteiste, poste su un piano di parità, senza che nessuna di loro si senta subordinata alle altre.
Il problema di Gerusalemme, quindi, sarà risolto con l’elaborazione di uno statuto giuridico che permetta di conservare intatti i Luoghi santi, e d’altra parte, quando saranno date garanzie giuridiche alle comunità religiose, circa la loro esistenza, oggi e domani.
Per la Santa Sede, tali garanzie giuridiche debbono avere un carattere internazionale: per un verso, conferire a essere un carattere di stabilità e per un altro verso perché il coinvolgimento di tutta la comunità internazionale nella salvaguardia della città esprime il senso universale di Gerusalemme. Ovviamente non si parla della città intera, ma della sua parte più sacra, quella che racchiude i santuari delle tre religioni, cioè la città intra muros.
Naturalmente la Santa Sede non ha da proporre soluzioni tecniche e lascia ai giuristi la cura di elaborare un tale statuto.
Il significato religioso della Città santa e l’idea che la questione di Gerusalemme sia condizione previa per la pace in Medio Oriente sono due punti sottolineati più volte da Giovanni Paolo II.
Per essere più brevi, tre sono le preoccupazioni della Santa Sede:
1) la salvaguardia del carattere sacro di Gerusalemme;
2) la sopravvivenza delle comunità religiose e in particolare della comunità cattolica;
3) la pace in Terra santa.
Vi sono pochissimi altri casi nella storia del diritto internazionale, in cui religione e politica siano così strettamene intessute. I papi sono stati consapevoli che Gerusalemme offre un’immagine di tre mondi e che nessuna delle tre religioni monoteiste deve vantare una piena egemonia sulla città. Ciò che si deve evitare è che questa città santa diventi un museo di pietre e di santuari per la visita dei pellegrini. Per le Chiese cristiane, in particolare, è preoccupante il fenomeno dell’emigrazione dei cristiani: per noi i santuari sono e debbono essere immersi in comunità viventi con le proprie scuole, gli ospedali, artigianato ecc.
Se, a seguito di un lento ma continuo esodo, le comunità cristiane dovessero scomparire, Gerusalemme diventerebbe come il Colosseo a Roma. E se siamo qui, è proprio per evitare questa sciagura!
Jean-Louis Tauran, già segretario della Santa Sede per i rapporti con gli stati, il card. Tauran è attualmente archivista e bibliotecario della Santa Sede. L’intervento qui riprodotto compare sul vol. Nel Suo Nome. Conflitti, riconoscimento, convivenza delle religioni, «I libri de Il Regno», EDB, Bologna 2005, 225-229.