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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Francesca Lozito

Padre Pizzaballa: rischiare la pace

Fonte: "Il Regno" n. 10 del 2006

Appena rientrato in Terra santa, dopo un viaggio in Italia, ha potuto assistere alla netta vittoria alle elezioni politiche in Palestina del movimento «verde» di Hamas. Un terremoto politico con lunghe ripercussioni. Padre Pierbattista Pizzaballa, francescano, ha quarant’anni, viene da Bergamo e dal maggio del 2004 è il padre custode di Terra santa: dal 1342 i francescani hanno la giurisdizione sulla basilica del Santo Sepolcro, e sui principali santuari di queste terre in cui i cristiani si fanno pellegrini. P. Pizzaballa invita i pellegrini, soprattutto gli italiani, a «continuare a venire in Terra santa». Ed è convinto che il dialogo che porta alla pace sia un «rischio» che corrono le persone più semplici e anonime, segni di speranza in mezzo alla complessità dei problemi.

– Prima delle consultazioni elettorali c’erano già dei segnali che Hamas sarebbe uscita vincitrice alla tornata elettorale?

«Sì, c’erano già segnali, alle amministrative Hamas aveva avuto dei buonissimi risultati. Tutti si aspettavano una buona affermazione, ma nessuno un risultato così definitivo, un buon margine sì, ma non la maggioranza assoluta».

– Qual è stata la reazione immediata dell’opinione pubblica?

«Di stupore e choc. Certo, nel mondo palestinese non più di tanto, perché naturalmente li hanno votati. Nel mondo israeliano è stato senza dubbio uno choc che influirà in maniera pesante sulle possibilità di dialogo. Per quanto riguarda gli sviluppi politici, Hamas sta mandando segnali di tranquillità. Nei giorni scorsi ho incontrato una loro delegazione. Ci hanno subito detto che non intendono sconvolgere la vita del paese né instaurare la sharia. C’è ancora molta paura nei loro confronti perché non sono un semplice partito, ma un movimento ben identificato».

– Padre Pizzaballa, questo periodo politico è segnato in Israele dalla malattia di Sharon, che ha contribuito ad aumentare le incertezze.

«Qui ormai di Sharon non se ne parla proprio più, si sa che è un periodo finito. Olmert è entrato subito bene nella vita amministrativa e governativa. Dopo uno sbandamento iniziale dovuto alla malattia di Sharon la vita politica è tornata dunque alla normalità».

– Normalità segnata anche dalle elezioni politiche che hanno sancito la vittoria di Kadima, formazione lasciata in eredità da Sharon a Ehud Olmert. E che oggi guida Israele attraverso una «strana» alleanza.

«Non abbiamo percepito la coalizione di governo come una "strana alleanza", non c’è stato scalpore. La prima urgenza che avvertiamo è quella della pace, quindi, abbiamo accolto positivamente il discorso del primo ministro che ha parlato della possibilità di un accordo definitivo ma anche procedurale».

– Certo, più che pensare alla pace, la prima urgenza per i palestinesi oggi sembra essere maggiormente quella di uscire da una situazione di povertà che rischia di diventare esplosiva, in conseguenza anche della negazione degli aiuti europei – fondamentali – a seguito della vittoria politica di Hamas.

«L’autorità palestinese si regge sugli aiuti ed è gravissimo che vengano a mancare. Si deve trovare una soluzione e non sta a me dire come. Ma la comunità internazionale deve trovare un modo per aiutare la Palestina. Il disagio è percepibile. Da gennaio tutti i dipendenti pubblici (circa 200.000 persone) non ricevono più lo stipendio».

– Nella sua prima intervista dopo essere diventato padre custode lei ha parlato della necessità di «recuperare la libertà nei confronti di tutti e senza pregiudizi per nessuno» (Asianews 28.5.2004). Un atteggiamento che se da una parte può sembrare rischioso, soprattutto in questo momento, dall’altra appare affascinante.

«Di libertà purtroppo se ne parla troppo poco ed è invece un elemento fondamentale. Non si può comprendere questo contesto politico, culturale e sociale in modo nuovo se non s’nteriorizza il concetto di libertà che nasce dalla fede».

– Lei è stato in Italia di recente per presentare il nuovo Centro edizioni Terra santa che è sorto a Milano (a pochi passi dall’Arco della pace, ndr) e il rinnovo delle vostre riviste Terrasanta ed Eco di Terrasanta.

«I pellegrini devono essere informati sui luoghi che vanno a visitare, che cosa sono e che storia hanno, poi è importante conoscere questa terra non solo dal punto di vista del conflitto, dell’attualità politica, perché essa è ricchissima di tradizioni e di fedi che meritano di essere conosciute e quando il pellegrino viene qui si auspica che incontri tale realtà».

– Un contesto in cui i cristiani sono però una minoranza. Secondo lei i cristiani in Israele sono presi di mira?

«Come ovunque ci sia una minoranza sono sotto pressione; poi in questo paese ogni cosa acquista un valore religioso, perché la religione, oltre a essere un motivo di unità, lo è anche di divisione, quindi dicono il vero quelli che affermano che i cristiani in quanto tali sono sotto pressione, ma dicono la verità anche quanti affermano che essi si trovano in questa situazione perché minoranza. Sembra banale ma è così».

– Lei ha parlato dell’importanza della presenza di un piccolo gruppo di cristiani ebrei e più in generale del fatto che c’è una curiosità nel mondo israeliano nei confronti dell’universo cristiano, per loro pressoché sconosciuto.

«Sì, si tratta di poche centinaia di persone, poiché il 99,9% dei cristiani è arabo-palestinese. E ci sono molti ebrei che vogliono conoscere meglio il cristianesimo. Sono appena tornato da un convegno sul turismo in Israele, in cui gran parte dell’attenzione era dedicata al pellegrinaggio cristiano – indubbiamente anche una risorsa economica – che mi ha confermato ancora una volta il bisogno di comunicare di più e di conoscere in maniera ancora più approfondita questa realtà».

– Quali sono le domande più frequenti che gli ebrei le pongono?

«Dipende dal livello degli incontri. Si va dalle questioni più personali alle domande sui segni della nostra fede, fino alle discussioni più affascinanti e profonde su alcuni brani del Vangelo e del Nuovo Testamento».

articolo tratto da Il Regno logo

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