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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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tratto da:
Guida del mondo 2007/2008. Il mondo visto dal Sud - Ed. EMI (Editrice Missionaria Italiana)

L’indipendenza dell’Algeria fu dichiarata il 5 luglio 1962 e prima della fine dell’anno si tennero le elezioni per l’Assemblea Costituente; Ahmed Ben Bella fu nominato primo ministro.

Nel giugno 1965 un Consiglio Rivoluzionario guidato da Houari Boumedienne assunse il potere e incarcerò Ben Bella. All’autogestione di Ben Bella si sostituiscono il centralismo, l’organizzazione e il potere statale. Houari Boumedienne morì nel dicembre 1978, dopo una lunga malattia. Nel 1976 fu approvata una nuova Costituzione e nel 1977 furono eletti i nuovi membri dell’Assemblea Nazionale che nominarono presidente il colonnello Chadli Bendjedid.

Il presidente algerino avviò una politica di distensione, liberando Ben Bella dal carcere. Bendjedid venne rieletto nel 1984.

Nell’ottobre 1988 cominciarono le proteste in varie città per la mancanza d’acqua e di generi di prima necessità, contestando la legittimità del FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) e dei militari. Tra i principali gruppi di agitazione popolare c’erano militanti musulmani fondamentalisti. Alcune moschee, soprattutto nei quartieri popolari, divennero sede di manifestazioni politiche.

Alcuni settori dell’islamismo integralista più radicale, influenzati dall’Iran, cominciarono a inviare combattenti volontari in Afghanistan per condurre la jihad o “guerra santa” contro il regime di Kabul appoggiato dall’URSS. In un clima di proteste e agitazioni, Bendjedid promulgò una nuova Costituzione che, verso la metà del 1989, introdusse una nuova forma di multipartitismo e mise fine al monopolio di potere del FLN.

Più di venti gruppi oppositori, tra cui gli islamici, manifestarono apertamente i propri punti di vista. Le organizzazioni più importanti furono il Fronte Islamico di Salvezza (FIS), la Lega della Da’wa Islamica, il Partito dell’Avanguardia Socialista (PAGS), comunista, e il Gruppo per la Cultura e la Democrazia (RdC), con una forte base cabila (minoranza etnica di origine berbera). Mouloud Hamrouche, dirigente dell’ala riformista, divenne primo ministro. Nelle prime elezioni multipartitiche dall’indipendenza dell’Algeria dalla Francia, nel 1962, il FIS ottenne un importante trionfo sul FLN.

Il governo di Mouloud Hamrouche si dimise nel 1991 nel mezzo dell’agitazione promossa dalle moschee. Nei primi giorni di giugno fu dichiarato lo stato d’assedio nel paese di fronte alle forti proteste degli agitatori del FIS, che esigevano elezioni presidenziali anticipate e la proclamazione di un nuovo stato islamico. Fu eletto nuovo primo ministro Sid Ahmed Ghozali, tecnico petrolifero (la principale ricchezza del paese), che era stato cancelliere del precedente governo. Le elezioni politiche e presidenziali furono anticipate entro la fine dell’anno e il FIS sospese la sua campagna di agitazione.

Il paese chiese prestiti al FMI per attutire le fluttuazioni del prezzo del petrolio. Ghozali propose riforme al Parlamento per assicurare la trasparenza del sistema elettorale, ma furono boicottate dalla maggioranza parlamentare del FLN. Tra tali riforme c’era la possibilità di abolire il diritto dell’uomo di votare in nome della moglie.

Nelle elezioni di dicembre 1991 l’astensionismo giunse al 40% dei 13 milioni di aventi diritto al voto. I risultati del primo turno per il rinnovamento di 430 seggi del Parlamento videro la vittoria del FIS, che ottenne 188 seggi. I settori antifondamentalisti, allarmati dalla vittoria del FIS e guidati dal centro operaio UGTA e dal FFS, convocarono 100 mila persone nel centro di Algeri. Vi parteciparono anche settori femminili, professionali e intellettuali.

Il presidente Chadli Bendjedid si dimise dietro forti pressioni di militari e politici timorosi di una vittoria del FIS e salì al potere un Alto Consiglio di sicurezza composto da tre militari e dal primo ministro. Poco dopo fu creato l’Alto Comitato di Stato, presieduto da Mohamed Boudiaf, leader dissidente del FLN. Immediatamente cominciarono gli arresti dei capi del FIS e furono annullati i risultati delle elezioni. In febbraio, l’Alto Comitato di Stato proclamò lo stato di emergenza in tutto il paese per un anno.

Nel marzo 1992 il FIS fu dichiarato illegale. Il governo di Ghozali sciolse circa 400 giunte comunali guidate da membri del FIS e il Tribunale supremo ne ratificò la dichiarazione di illegalità. A giugno, Boudiaf fu assassinato pubblicamente da una delle sue guardie del corpo mentre teneva un discorso. Il governo del primo ministro Belaid Abdelsalam decretò una serie di misure “antiterroristiche”, tra cui l’estensione della pena di morte a vari crimini.

Nel febbraio 1993, l’Alto Comitato di Stato prorogò lo stato d’emergenza a tempo indeterminato, impose il coprifuoco ad Algeri e in cinque province e sciolse tutte le associazioni collegate con il FIS. Dopo una lunga serie di trattative fallite, il governo elesse il ministro della Difesa, Lamine Zéroual, presidente del paese per tre anni.

In quello che fu l’inizio di una crescente divisione di tutte le forze politiche, la guerriglia fondamentalista si divise in Gruppo Islamico Armato (GIA) e Movimento Islamico Armato. In una delle loro azioni più spettacolari, i fondamentalisti resero possibile la fuga di mille detenuti dal carcere di massima sicurezza di Tazoult.

All’inizio del 1995, dopo essersi incontrati a Roma, il FIS, il FLN , il FFS e i fondamentalisti moderati di Hamas proposero al governo di mettere fine alla violenza, di liberare i prigionieri politici e dar vita a un governo di unità nazionale che avrebbe convocato le elezioni. Nonostante l’appoggio internazionale la proposta non fu accettata da Zéroual, che indisse le presidenziali per novembre.

Il FIS, il FLN e il FFS boicottarono le elezioni, che Zéroual vinse con il 61% dei voti, contro il 25% del moderato Mahfoud Nahnah. Nonostante la presenza di osservatori internazionali, permasero forti dubbi sulla trasparenza degli scrutini.

Nei primi mesi del 1996 il governo guidato da Zéroual ottenne importanti vittorie militari e proseguì il piano di aggiustamento strutturale previsto dal FMI, accentuando il crescente impoverimento di gran parte della classe media e dei settori più sfavoriti.

Con l’avvicinarsi delle elezioni politiche, nel giugno 1997, la violenza si accentuò. Le elezioni diedero la maggioranza relativa al partito governativo, che ottenne 155 dei 380 seggi. Il FIS, che aveva invitato a boicottare le elezioni, si dichiarò soddisfatto del tasso di astensioni che raggiunse il 34%.

Nell’agosto 1997 il leader del FIS, Abasi Madani, appena liberato, confermò la disponibilità del suo movimento a porre fine alla violenza attraverso il dialogo con il governo. Tuttavia il massacro di circa 300 persone in una piccola località a sud di Algeri, allontanò ancora una volta la possibilità di mettere fine al conflitto.

Il presidente si dimise e convocò nuove elezioni. Nell’aprile 1999 salì al potere Abdelaziz Bouteflika, che indisse subito un referendum per approvare una legge di riconciliazione. La risposta fu quasi totalmente positiva (98,6%) ed ebbe la partecipazione e l’appoggio del FIS. Il presidente annunciò un’amnistia generale per coloro che avessero consegnato le armi per prendere parte alla lotta politica legale, ma questa fu respinta dalla GIA e dal Gruppo Salafista per la predicazione e la lotta (GSPL).

Abdelkader Hachani, numero tre del FIS, fu assassinato in un quartiere integralista di Algeri nel novembre 1999. L’assassinio fu considerato un attacco al processo di pace da parte dei radicali islamici che si opponevano al dialogo con il governo di Hachani.

Il comportamento dell’esercito nel conflitto fu giudicato severamente dall’opinione pubblica e da parte della comunità internazionale in seguito alle rivelazioni del libro La sporca guerra di Habib Souaidia, colonnello in pensione ritiratosi a vivere in Francia. Il colonnello affermava che truppe algerine camuffate da ribelli parteciparono a massacri di civili negli anni ’90 e che l’esercito torturò dei militanti islamisti fino a ucciderli. Il governo di Bouteflika respinse gli appelli degli attivisti per i diritti umani che chiedevano indagini pubbliche ed esaurienti.

Nel febbraio 2001 Bouteflika, che un mese prima aveva promesso di usare il “pugno di ferro” contro i ribelli ancora attivi, fu pesantemente criticato per la sua incapacità di impedire i massacri perpetrati dal GIA.

In aprile durante una serie di massicce manifestazioni organizzate da leader berberi in cerca di riconoscimento sociale e culturale si verificarono scontri con le forze di sicurezza che lasciarono un saldo di 60 civili morti. Perciò il Raggruppamento per la Cultura e la Democrazia (RCD), composto per lo più da berberi cabili, si ritirò dal governo.

Poiché il ruolo da protagonisti dei berberi durante la guerra d’indipendenza era stato minimizzato dalla maggioritaria comunità araba, in agosto decine di migliaia di berberi si riunirono nella valle Summam, nel cuore della Cabilia, per commemorare la loro partecipazione alla storia dell’indipendenza. I berberi bloccarono le strade, impedendo alle delegazioni governative di avvicinarsi.

Nel mese di marzo del 2002 Bouteflika annunciò che la lingua berbera, il tamazight, sarebbe diventata lingua ufficiale.

I berberi boicottarono le elezioni politiche di maggio rivendicando la propria identità culturale e chiedendo migliori condizioni sociali e maggiori opportunità occupazionali.

Durante i festeggiamenti del 40° anniversario dell’indipendenza dalla Francia un attentato in un mercato vicino alla capitale provocò la morte di 30 persone. Le autorità attribuirono il gesto a gruppi di integralisti islamici.

Nel maggio 2003 vennero annunciati tre giorni di lutto nazionale per commemorare le 1100 vittime di un terremoto che provocò anche 7000 feriti.

Il governo Bouteflika annunciò l’approvazione della Legge di Riconciliazione Civile rilasciando, nel mese di luglio, i due principali leader del FIS Abassi Madani e Ali Belhadj, in prigione sin dal 1991. A maggio fu nominato primo ministro Ahmed Ouyahia, esponente del Raggruppamento Nazionale per la Democrazia (RND).

A settembre migliaia di soldati e di membri delle milizie paramilitari filogovernative attaccarono il GSPL sulle montagne di Babor nella provincia di Setif, mentre a novembre l’esercito regolare arrestò il leader del GIA Rachid Abou Tourab a Saoula.

Durante la cerimonia di insediamento Bouteflika, rieletto nell’aprile del 2004, promise di impegnarsi totalmente a favore della riconciliazione nazionale.

Nel gennaio 2005 il governo annunciò che il leader della GIA, Nourredine Boudiafi, era stato arrestato e che il suo vice era morto. Le autorità dichiararono così che la GIA era stata virtualmente smantellata. Nello stesso mese, il governo giunse a un accordo con i leader berberi. Nell’agosto 2005 il Governo algerino pubblica il testo della “Carta per la pace e la riconciliazione nazionale”.Gli algerini vengono chiamati alle urne per l’approvare il documento. I punti fondamentali della Carta comprendono l’estensione dell’amnistia ai membri dei gruppi armati che volontariamente si arrendano e consegnino le armi (l’amnistia era già stata proposta dalla Civil Harmony Law nel 1999), il risarcimento alle famiglie dei civili scomparsi durante la guerra (circa 6000), la proposta di cancellare ogni processo legale contro i terroristi che si sono arresi prima del 13/01/2000 (con delle eccezioni già previste dalla Civil Harmony Law ), il rifiuto del ruolo politico del FIS, colpevole di aver strumentalizzato l’Islam e l’aiuto alle famiglie dei terroristi. Il Governo ricorda alla popolazione che la responsabilità degli atti terroristici è personale, quindi le famiglie dei terroristi non devono pagare per i reati che non hanno commesso.

Nel settembre si svolge il Referendum per la riconciliazione. I cittadini vengono chiamati alle urne per esprimere il proprio parere in merito alla possibilità di ristabilire la pace nel paese attuando una politica di riconciliazione tra le varie parti in guerra. Il referendum è stato approvato con la maggioranza del 99% anche se l’astensione è stata molto alta. I responsabili delle sparizioni rimangono impuniti e le famiglie riceveranno degli aiuti economici. Il Governo in sostanza chiede ai propri cittadini di rinunciare ad alcuni diritti per ristabilire equilibrio ed armonia all’interno del paese.

Il 1 marzo 2006 entra in vigore la Carta per la Pace. I terroristi hanno sei mesi di tempo per arrendersi. L’amnistia prevista dal documento si rivolge anche agli estremisti detenuti che hanno deposto le armi entro il 1999. Sono esclusi dalla grazia gli estremisti coinvolti in stupri, massacri collettivi o attentati in luoghi pubblici. Nel corso del mese di marzo 2006 entra in vigore un decreto presidenziale che prevede l’insegnamento obbligatorio dell’arabo in tutte le scuole sia pubbliche che private.Molti istituti privati francofoni sono stati chiusi.

L’11 aprile 2007 Algeri fu scossa da una serie di attentati suicidi, con 23 morti e 162 feriti. Gli attentati vennero rivendicati dalla nuova sigla “Al Qaeda nel Maghreb”. Poche settimane dopo i militari algerini uccisero Samir Saioud, considerato il “numero due” di questa organizzazione terroristica.

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