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Guida del mondo 2005/2006. Il mondo visto dal Sud - Ed. EMI (Editrice Missionaria Italiana)
I
giapponesi concessero l’indipendenza alla Birmania il 1° agosto 1943,
ma presto iniziarono i disaccordi tra i giapponesi e l’ala socialista dei
“30 compagni”. Il 27 marzo 1945, il BIA (Esercito Indipendentista
Birmano) dichiarò guerra al Giappone e fu riconosciuto dai britannici come
Esercito Patriota Birmano. Il 30 maggio entrarono nuovamente vittoriosi a
Rangoon, questa volta a fianco degli inglesi. Aung San organizzò un
governo di transizione e nel 1947 fu redatta una Costituzione. Il 19
giugno un comando militare assassinò Aung San e vari collaboratori nel Palazzo.
U Nu assunse la carica di primo ministro e il 4 gennaio 1948 fu
proclamata l’indipendenza.
Il nuovo governo dovette affrontare la ribellione delle minoranze etniche, la presenza di forze militari del Kuomintang cinese e la lotta armata dell’esercito di Aung San, ribattezzato Organizzazione dei Volontari del Popolo e legato al Partito Comunista.
Il 2
maggio 1962 il generale Ne Win destituì U Nu, vincitore delle
elezioni del 1960, e nazionalizzò la banca, l’industria del riso – il 70%
delle divise straniere che entravano nel paese –, e il commercio, principalmente nelle mani degli indiani.
Nel 1972 una nuova Costituzione confermò il Partito del Programma Socialista della Birmania (BSPP), al potere, come unica organizzazione politica legale.
Il
deterioramento socioeconomico innescò proteste popolari e petizioni per la
democratizzazione nel 1987. In agosto, Ne Win ammise gli errori nella
linea economica degli ultimi 25 anni. Il congresso del BSPP nominò capo di
stato Sein Lwin, il che provocò una nuova ondata di proteste nella quale
centinaia di studenti e di monaci buddisti morirono per le strade. Lwin dovette
dimettersi 17 giorni dopo aver assunto il potere. Il suo sostituto, Maung
Maung, liberalizzò il regime.
Nel 1990, il governo cambiò il nome del paese in Unione di Myanmar – il nome Birmania si riferisce solo all’etnia maggioritaria – e abbandonò la
designazione di “socialista”.
Alle
elezioni del 1990, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) ottenne una
schiacciante vittoria con l’80% dei voti, mentre il governativo Partito
dell’Unità Nazionale (ex BSPP) conquistò solo 10 dei 485 seggi a disposizione. Il governo non convalidò il risultato delle elezioni, proibì le attività dell’opposizione, imprigionò o esiliò i suoi leader e represse le manifestazioni di piazza.
Al fine
di elaborare una nuova Costituzione, i militari costituirono una Convenzione
Nazionale nel gennaio del 1993. Alla fine dello stesso anno Amnesty
International denunciò l’incarcerazione di più di 1.550 oppositori, tra i
quali Suu Kuy premio Nobel per la Pace nel 1991.
Nel
luglio del 1995, Suu Kyi fu liberata dagli arresti domiciliari e convocò
il Consiglio per la Restaurazione della Legge dello Stato e dell’Ordine (SLORC)
per un colloquio. Lo SLORC rifiutò, incarcerò decine di dissidenti e mantenne
le proibizioni riguardanti i dibattiti politici.
All’inizio del 1996 la caduta di Manerplaw, il quartier generale della minoranza ribelle, rappresentò una grave sconfitta per l’opposizione, inoltre, il regime approvò una legge che proibiva le riunioni politiche dell’NLD e limitò la libertà di movimento di San Suu Kyi, vietandole persino l’uso del telefono.
Verso la fine del 1997 la giunta militare si sciolse e nominò al suo posto un
Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (SPDC).
Nel
settembre 2001 il capo dei servizi segreti, il colonnello Khin Nyunt, si
recò in Thailandia, dichiarando che il suo paese sarebbe uscito dal cosiddetto
“triangolo d’oro” (la frontiera comune tra Myanmar, Thailandia e Laos) entro il 2005. Nei primi mesi del 2001 le truppe thailandesi e birmane si erano scontrate lungo il confine in seguito a reciproche accuse di appoggio alle milizie shan, responsabili della produzione di droga. A maggio le tensioni si erano acuite per la crescente presenza sul lato thailandese del confine di truppe speciali statunitensi, il cui obiettivo dichiarato era addestrare l’esercito thailandese nella lotta al narcotraffico.
A
novembre il Myanmar ricevette in visita Jiang Zemin, il primo presidente
cinese a visitare il paese dopo l’insediamento della giunta militare. Nel
gennaio 2002 il governo annunciò la realizzazione di una centrale
nucleare con la collaborazione della Russia. Gli USA e l’Unione Europea
dichiararono di non essere disposti a revocare l’embargo economico finché non
vi fossero elementi sicuri ad attestare l’esistenza di un processo di
democratizzazione. Dopo 19 mesi di arresti domiciliari, il 6 maggio Suu Kyi fu
rimessa in libertà e le fu concesso di nuovo il diritto a partecipare
all’attività politica.
Nel
dicembre 2003 una risoluzione della Commissione per i Diritti Umani
condannò vigorosamente il perdurare delle esecuzioni, i rapporti sulle violenze
sessuali commesse da militari, il continuo uso della tortura, gli arresti per
motivi politici, la confisca delle terre e le violazioni dei diritti umani,
incluso l’uso di bambini per il servizio militare e il lavoro forzato.
Dopo
essere stato nominato primo ministro nell’agosto 2003, Khin Nyunt
annunciò una riforma della Costituzione in senso più liberale e il ripristino
della Convenzione Nazionale, sospesa dal 1996. Nyunt propose anche di stilare un piano per arrivare al ripristino della democrazia.
Dall’insurrezione nel 1998 al 2003 le autorità militari firmarono accordi per il cessate il fuoco con più di 20 gruppi armati ribelli legati alle varie minoranze etniche.
Nel
gennaio 2004 il governo raggiunse un accordo per la fine delle ostilità
con l’Unione Nazionale dei Karen (un gruppo guerrigliero che rappresenta il
gruppo etnico Karen). Nell’aprile 2004 Suu Kyi si trovava ancora in
“custodia protettiva” ma erano cresciute le speranze per il suo rilascio in
seguito all’impegno del governo a ricostituire l’ente preposto alla stesura
della Costituzione. Dopo 9 anni di sospensione, la Convenzione Nazionale si riunì nuovamente a maggio.
Nell'ottobre 2004, Khin Nyunt lasciò l'incarico di primo ministro per ragioni di salute e fu sostituito da Soe Win in qualità di nuovo premier.
In
dicembre, un maremoto devastò l’Asia del sud. Il cataclisma fece più
di 50 morti e una ventina di dispersi. La maggior parte dei morti apparteneva a
villaggi vicini al delta dell'Irrawaddy (a sud-est di Yangon). Le organizzazioni umanitarie dichiararono, però, che il numero delle vittime poteva essere di gran lunga maggiore, dal momento che il governo non comunica mai le cifre esatte delle vittime dopo disastri naturali come lo tsunami.
Nel 2006 la sede del Governo viene trasferita da Yangon a Pyinmana, nel cuore della giungla, e si chiamerà Nay Pyi Daw (“Il luogo destinato al re”). La decisione è stata presa dalla Giunta militare alla guida del paese, che motiva la scelta manifestando l’esigenza di una località più centrale. Molte sono state le polemiche e molti, soprattutto nei giornali stranieri, parlano di “desiderio della Giunta di rafforzare il suo controllo sulle minoranze etniche che vivono vicino alle frontiere”. Anche i paesi dell’ASEAN hanno espresso la loro preoccupazione per la decisione del regime birmano.
Dopo quindici anni di arresti domiciliari, il 13 novembre 2010, Aung San Suu Kyi è libera. Fu arrestata per la prima volta nel 1989 con l’accusa di costituire un «pericolo per lo stato» e da allora è stata più volte messa in semi-libertà, per essere però sempre arrestata di nuovo. Le sue prime parole dopo la liberazione sono state: «Ho tante cose da dirvi, non ci siamo visti per così tanto tempo».