Strumenti di animazione

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Piero Stefani

Israele-OLP: l'accordo più grande

"Il Regno" n. 18 del 1995

La Dichiarazione di principi firmata a Washington il 13 settembre 1993 tra Israele e OLP, oltre a segnare una svolta irreversibile tra le due parti fino ad allora apertamente nemiche, prevedeva tutta una serie di futuri adempimenti articolati in quattro fasi (cf. Regno-att., 18,1993,527; Regno-doc., 19,1993,640). Una prima tappa è stata conseguita con l'Accordo su Gaza e Gerico del 14 maggio 1994 (cf. Regno-doc., 11,1994,38; Regno-att., 12,1994,357). Da allora in poi però le originarie scadenze sono state tutte dilazionate, segno evidente dell'esistenza di difficoltà ancora non appianate. Come si è già avuto modo di notare (cf. Regno-att., 20,1994,616) le vicende mediorientali degli ultimi periodi in relazione al processo di pace possono apparire una specie di ripresa della linea politica un tempo chiamata dal "passo dopo passo". Infatti ogni progresso compiuto non risolve mai del tutto le questioni aperte tra i due firmatari e si affretta a prevedere ulteriori scadenze rinviando in avanti la soluzione di un certo numero di problemi.

Data però la puntata davvero decisiva fatta sul tavolo della pace da un lato dalla leadership laburista di Rabin e Peres e dall'altro da quella palestinese di Arafat, entrambe esposte all'attacco dei rispettivi fieri oppositori interni, nessuna dilazione può giungere davvero fino alle calende greche. Ecco perciò che periodicamente occorre pervenire, attraverso estenuanti trattative, a compiere un ulteriore passo in avanti. È quanto è successo a Taba nel settembre scorso, dove la stretta finale delle trattative si è protratta letteralmente fino al limite delle forze, infatti dopo sei giorni e sei notti ininterrotte di colloqui il capo della delegazione palestinese, Abu Ala, ha dovuto essere ricoverato in ospedale in seguito a collasso. I ritmi abnormi con cui è stata condotta la trattativa hanno del resto indotto qualche osservatore a interrogarsi sul grado di lucidità con cui alla fine le due stremate parti sono giunte a siglare l'accordo.

Il trattato concluso a Taba e firmato, nella consueta solenne coreografia, a Washington il 28 settembre u.s. è ancora più minuzioso del solito estendendosi per ben 460 pagine. Nella sua redazione un ruolo di primo piano è stato svolto dal giovane esponente israeliano Uri Savir; mentre per superare un arduo punto morto pare che sia risultata decisiva una lunga serie di telefonate notturne compiute dal diplomatico americano Dennis Ross, ulteriore conferma del ruolo insostituibile ricoperto dagli Stati Uniti per far progredire (e finanziare) la pace mediorientale.

Tra autonomia e indipendenza
Ogni passo compiuto sulla via della pace Israele OLP si inscrive nella visione di fondo secondo cui quella concessa ai palestinesi è qualcosa di più di un'autonomia e qualcosa di meno dell'indipendenza. Si tratta però, come è facile comprendere, di un confine alquanto fluttuante, cosicché qualcuno (e non solo da parte palestinese) giudica ogni passo compiuto come un'avvicinamento alla meta finale dell'ineluttabile indipendenza palestinese, mentre altri negano tuttora la possibilità di pervenire a un simile esito. A conferma di ciò basta porre a confronto tra loro due dichiarazioni rilasciate da membri dello stesso governo israeliano; da un lato il ministro dell'Ambiente, Yossi Said, ha infatti detto: "Prima o poi da questi accordi maturerà uno stato palestinese", dall'altro il ministero degli esteri Shimon Peres, in un'intervista rilasciata alla Cbs, ha liquidato questa stessa prospettiva come un puro sogno, aggiungendo di sapere che "Arafat è anche convinto che la vera soluzione è in una struttura giordano-palestinese" ciò che "consentirebbe ai palestinesi di unirsi e a noi di mantenere smilitarizzate quelle zone importanti per la nostra sicurezza". Quella qui proposta da Peres appare così come un'ulteriore variante del suo vecchio sogno (si ha voglia di chiamarlo proprio così) dell'"opzione giordana" (cf. Regno-att., 20,1994,616).

Per quanto alta possa essere l'incertezza sugli esiti futuri resta chiaro che la scelta strategica di fondo compiuta dal governo laburista sta nel tentativo di salvaguardare l'originaria connotazione ebraica dello stato d'Israele. Questa particolarità può continuare a darsi solo se non ci si trova costretti a tener sotto controllo un numero assai elevato e crescente di palestinesi, eventualità quest'ultima che sarebbe inevitabilmente prevalsa se avesse vinto l'opzione di destra della "grande Israele"; quest'ultima soluzione dal punto di vista meramente territoriale avrebbe anche potuto avere la parvenza di garantire maggiormente il carattere ebraico dello stato, ma l'avrebbe potuto fare assai meno dal punto di vista, più importante, della popolazione.

I punti salienti presenti nel recente accordo si possono ricondurre in sostanza in tre ambiti. Il primo riguarda il ripiegamento delle truppe (un punto su cui, tra l'altro, sono già emerse valutazioni diverse in relazione alle scadenze con cui si deve effettuare la dislocazione delle truppe). In base a esso l'esercito israeliano si ritirerà dalle città di Jenin, Nablus, Inkerem, Qalqilya, Ramallah, Betlemme e da altri 450 cittadine o villaggi. Le forze israeliane continueranno a garantire la sicurezza dei coloni insediati a Hebron (che con i suoi 120.000 abitanti è una vera e propria città palestinese). Il secondo ambito riguarda le elezioni da effettuarsi 22 giorni dopo il ridispiegamento delle truppe israeliane. I palestinesi eleggeranno, per un mandato di cinque anni, 82 membri del consiglio di autonomia, dotato di poteri sia esecutivi che legislativi, in concomitanza di ciò verrà eletto direttamente anche il presidente dell'organo esecutivo. Il terzo ambito riguarda la giurisdizione, esso prevede la suddivisione del territorio cisgiordano in tre aree: la A, che comprende la principali città per un'estensione territoriale di 5878 km2 (il 20% della Cisgiordania), sarà sotto il pieno controllo palestinese; nella B, composta da cittadine e villaggi palestinesi estesi per il 68% della Cisgiordania, Israele si riserva l'ultima parola in materia di ordine pubblico e di lotta contro il terrorismo; la C, che comprende zone popolate ma di grande importanza strategica, continuerà a essere sotto il pieno controllo dell'esercito israeliano.

Ovviamente in queste trattative non si è fatto alcun cenno al difficilissimo nodo di Gerusalemme. Le originarie scansioni prevedevano del resto di iniziarne a discutere solo a partire dal '96, ma nessuno certo si stupirà se ci si dovesse trovare, anche in questo caso, di fronte a un'ulteriore dilazione.


articolo tratto da Il Regno logo


Footer

A cura di Caritas Italiana (tel. +39 06 66177001 - fax +39 06 66177602 - e-mail comunicazione@caritasitaliana.it) e Pax Christi (tel. +39 055 2020375 - fax +39 055 2020608 - e-mail info@paxchristi.it)