Armi leggere a scuola di etica
Armi leggere a scuola di etica
La realtà dei conflitti si articola sia sul piano collettivo/globale,
sia su quello individuale.
L'arma leggera pone, sul piano etico, la questionedella dimensione del conflitto
a livello della singola persona e delle sue scelte etiche individuali e di come
esse, a loro volta, si articolino sul piano globale. Per questo intervento ho
scelto allora di riflettere sui contesti in cui si adoperano le armi leggere,
per provare a identificare i motivi per cui se ne fa uso e, di conseguenza,
se tale uso sia etico.
RIARMO E DISARMO VISTI DALL'ETICA
L'analisi diventa quella del conflitto e delle sue tipologie:
è decisivo capire e interpretare
le motivazioni per cui si decide di, si può, si è costretti ad
usare un'arma da fuoco. Possiamo
strutturare tale analisi in sette punti:
1. La competizione su bisogni e interessi (più o meno concreti):
i fattori economici;
2. La problematica connessa alla dimensione dell'alterità;
3. Dinamiche di esclusione e di relazione sociale;
4. Disagio esistenziale;
5. Induzione;
6. Criminalità organizzata;
7. Rinnovata accettabilità della violenza istituzionalizzata o di ordine
culturale: militarismo
e machismo. Il terrorismo.
I fattori economici
Il dato è evidente: per acquisire risorse che garantiscano
la sopravvivenza o il proprio benessere economico e non, gli esseri umani entrano
in competizione tra di loro. Se l'evoluzione in conflitto di tale competizione
non è gestita in modo adeguato, si entra nella sfera dell'esercizio della
violenza. In una società democratica, solidale e del diritto, i conflitti
sono regolamentati, gestiti, trasferiti su un
piano nonviolento: la funzione della legge è anche questa. La delega
dell'uso della violenza - che sia contenuta e controllata - alle forze di polizia,
è una delle conquiste più importanti dello Stato di diritto. Si
apre qui la questione del controllo di tale strumento, dal punto di vista politico
e sociale; il dato della crescente privatizzazione della difesa sociale è
motivo di preoccupazione (si pensi alla recente riforma
della legge sulla legittima difesa che estende il concetto alla proprietà
e ai beni) per la prospettiva di delega al singolo per la tutela della propria
sicurezza. Non si risolve il problema dei soggetti deboli - che comunque non
sono in grado di difendersi da soli - e si indebolisce il concetto di Stato
di diritto.
La prospettiva economica dell'incremento al consumo, nel quadro complessivo
della massimizzazione del profitto senza nessun controllo etico, è massiva.
Ciò conduce alla teorizzazione e alla pratica dell'induzione, nelle varie
dinamiche in cui ciò è possibile. In sostanza: ciò che
si produce si deve consumare e vendere, quindi si tratta di convincere che quella
merce va adoperata. Trattandosi di
armi, la prospettiva è quanto mai inquietante. La dimensione dell'alterità
L'altro può divenire oggetto di proiezione, sia individuale che collettiva,
di paure e pregiudizi di vario genere: è René Girard che ha
teorizzato la necessità del capro espiatorio (Il capro espiatorio, Adelphi)
per la funzionalità dei sistemi sociali. Essere "altro" dal
proprio contesto può scatenare conflitto verso di sé e verso il
contesto circostante. L'alterità viene intesa come presupposto di conflitto.
Si crea così la definizione del nemico, talvolta a prescindere dalla
reale volontà dell'altro di aggredire.
Sono le logiche degli attacchi preventivi. L'umano è al bivio tra affermazione
di sé, attraverso o contro l'altro. Lo strumento culturale, nella sua
migliore accezione, indica la necessità di realizzare la prima opzione,
pena lo smarrire il senso basilare della socialità e con esso quello
dell'identità. Conoscere
è vincere quella paura che, a tratti, in questa contemporaneità,
sembra l'unico orizzonte in cui definire la dimensione dell'alterità.
Dinamiche di esclusione
Il rapporto tra esclusione sociale e violenza è rilevante,
ma c'è da annotare che interi sistemi culturali, sociali, persino legislativi,
sono fondati sulla prospettiva della violenza, la sua necessità, il suo
valore per l'affermazione di sé. Il soggetto escluso è spinto
o indotto all'uso della violenza; ma nel contempo
è pure oggetto di tale violenza, da parte degli altri soggetti disagiati
o dei sistemi repressivi. Si delinea una convergenza tra cultura negativa, e
stile di vita aggressivo: un dato non banale che prospetta un'alternativa proprio
nella dimensione pedagogica. Esiste una cultura della relazione armata, tessuta
quasi sempre con dinamiche di ordine preventivo: in fondo questa è la
logica che ha retto il mondo durante la fase storica della cosiddetta "guerra
fredda", e non soltanto allora. Il problema della sicurezza individuale,
così come dei sistemi, è un problema che assume talvolta connotati
di mito, di immaginario collettivo. In Italia, ad esempio, cala il numero dei
delitti particolarmente violenti come l'omicidio, ma aumenta il senso generale
di insicurezza. Da sottolineare, a riguardo, il ruolo - anche se non esclusivo
- giocato dai mezzi di comunicazione.
Disagio esistenziale
Cresce, secondo una dinamica impressionante, il numero dei delitti
intrafamiliari: il 600% negli ultimi cinque anni. La sensazione ricorrente è
quella che l'aggressività nei comportamenti sociali sia in aumento. Il
dato certo è il diffondersi del disagio psicologico, fino all'aumento
delle forme patologiche. La fragilità di alcuni diviene follia omicida,
non sempre prevedibile e preventivabile, e un'arma (da fuoco, in particolare)
consegna potenzialità distruttiva notevole a chi ha un disagio sufficiente
per impiegarla. Le motivazioni psicologiche alla violenza sono complesse: in
questa sede non vogliamo schematizzare presentando un elenco che rimandiamo
ad altra circostanza. Un elemento da sottolineare: si dà la morte per
esorcizzare la morte. Si tratta di un delirio di onnipotenza del far morire,
diventando come Dio non nell'atto di dare la vita ma nel toglierla. Questo è
uno dei tratti
distintivi della dinamica di potere (confronta Gesù e Pilato durante
la requisitoria sul litostrato nel Vangelo di Giovanni, cap. 18 e 19).
Induzione
Il peso dei fattori collettivi, e in particolare della loro amplificazione
mediatica nella genesi dei conflitti, è un'asserzione scontata. C'è
però da annotare che la virtualità dei sistemi di comunicazione
di massa rende la violenza meno avvertita, quindi più accettabile perché
disincarnata, astratta. L'uso delle armi
leggere nella fiction televisiva e cinematografica è insistito e senza
retroterra preciso sulle conseguenze, con una banalizzazione dell'uso di uno
strumento di morte impressionante. I giochi da video - non a caso la categoria
più popolare è detta "sparatutto" - virtualizzano l'esperienza
legata all'uso di un'arma leggera alleggerendola dell'impatto delle conseguenze
letali, concentrando il gesto violento fino all'essenza dello sparare, dove
quest'ultimo è forma di aggressività che gode della distanza da
chi viene colpito. Ricordiamo che tali sistemi virtuali vengono adoperati per
l'addestramento militare.
Criminalità organizzata
Ad essa si può ascrivere non solo l'uso ma anche il commercio illegale delle armi leggere, di cui detiene gran parte del controllo. Le mafie sono responsabili di vere e proprie guerre a bassa intensità, capaci di lasciare sul campo un numero elevato di vittime. Esse sono, inoltre, responsabili di una vera cultura della sopraffazione, che contempla anche un'educazione all'uso delle armi leggere.
Militarismo e machismo
La vita militare viene proposta con una campagna pubblicitaria
come se fosse una merce come un'altra. Lo stesso accade per azioni o partecipazioni
finanziarie ad aziende che producono armi. L'idea di "guerra umanitaria"
rischia di essere il cavallo di Troia per la reintroduzione del principio dell'accettabilità
della guerra, anche per altri scopi, magari sulla spinta di una campagna mediatica
che ne indica la necessità celando i veri motivi dietro scopi anche nobili.
Nella dinamica della relazione di genere persistono atteggiamenti maschilisti,
a cui addirittura si adeguano delle donne. L'autoreferenzialità del mondo
militare, rispetto agli strumenti di controllo democratico, è notevole
e preoccupante. Anche per la mancanza di sollecitazioni politiche, la notizia
che negli scontri di Nassirya il nostro contingente militare in Iraq ha sparato
e ucciso dei civili, non ha suscitato esplicitazione o giustificazioni di sorta.
Particolarmente doloroso il dato di un numero elevatissimo di soldati-bambino.
Le armi leggere rendono possibile l'impiego anche di bambini in combattimento,
dato che il loro
peso è compatibile con i loro mezzi fisici. Una notazione sulle mine
antiuomo: la loro pericolosità, il modo indiscriminato con cui colpiscono,
il loro basso costo di produzione e impianto che si trasforma in alti costi
di sminamento, il lungo tempo di giacenza attiva, ne fanno uno strumento di
guerra purtroppo assai efficace e quindi diffuso e mortale.
ERMENEUTICA
Il principio etico di fondo del cristianesimo riguardo allo specifico
del conflitto tra esseri umani è l'affermazione del valore assoluto e
della conseguente tutela della vita umana:
il non uccidere assume un valore assoluto alla luce dell'evoluzione dell'agire
di Dio - o meglio, della sua comprensione da parte degli esseri umani al procedere
della Rivelazione - improntato al rispetto assoluto dell'esistere e alla prassi
di Gesù Cristo, vera icona del vivere la nonviolenza con efficacia. A
riguardo i testi biblici da citare sarebbero innumerevoli:
si possono trovare riferimenti utili nelle opere di Gustavo Gutierrez, "Il
Dio della vita" (Queriniana, Brescia) e di Giuseppe Barbaglio, "Un
Dio violento?" (Cittadella, Assisi). In riferimento all'agire di Gesù
di Nazareth, in un momento cruciale della propria esistenza, quello del suo
arresto nel Getsemani,
egli risponde con un secco "Basta!" a coloro che gli presentano, per
la sua difesa, delle spade (Lc 22,38), un basta ripetuto quando viene colpito
il servo del sommo sacerdote (22,51). La passione per la vita che innerva la
vita del Cristo trova il suo compimento nella sua Passione dolorosa ma incontra
la risposta della Risurrezione, con cui Dio si pone di fronte alle ingiustizie
umane, di cui la più grande è la privazione della vita. Legittima
difesa e tutela della vita L'etica cristiana si pone quindi la questione
sulle circostanze che possono costringere ad infrangere tale principio. Se ne
contemplano di fatto soltanto due. Esse sono: _
1) Il principio della legittima difesa.
Essa deve essere proporzionata e gravemente motivata. Non si può invocarla
per motivazioni legate esclusivamente alla paura o alla tutela dei propri mezzi
economici, se non in casi estremi. Il suo principio di fondo, applicato ai macroconflitti
tra nazioni, determina alcuni degli elementi della dottrina della guerra giusta:
la guerra è possibile solo per scopi difensivi, non può assumere
aspetti della vendetta, deve essere proporzionata al reale pericolo.
2) La tutela della vita dell'inerme e dell'innocente.
Ulteriore sviluppo di quanto sopra affermato: le armi siano destinate ai servizi
di polizia, sia locale che internazionale, per la protezione di coloro che corrono
il rischio di essere attaccati e non possiedano strumenti di difesa. La nonviolenza
evangelica può essere considerata un'esplicitazione diretta del principio
etico che abbiamo indicato in questa prospettiva di analisi del conflitto. A
riguardo annotiamo sommariamente che la prassi di Gesù Cristo rimanda
ad una visione della nonviolenza meno ingenua di quanto i suoi detrattori suppongano.
Il comandamento evangelico che indica il gesto di "porgere
l'altra guancia" (Mt 5,39) riceve la sua corretta esegesi quando Gesù
riceve lo schiaffo del servo del sommo sacerdote (Gv 18,22- 23) durante la sommaria
istruttoria a cui viene sottoposto. Egli non reagisce colpendo a sua volta,
ma cercando il dialogo, argomentando sull'ingiustizia subita: il conflitto non
è trasceso, almeno da parte sua. La prassi di Gesù di assoluta
nonviolenza nella difesa della propria esistenza diviene l'affermazione della
fede nel Padre e della sua giustizia, che trova il suo culmine nella Risurrezione.
Il ruolo della coscienza a riguardo dell'uso delle armi leggere è basilare,
proprio per l'accezione delle scelte individuali che sottolineavo sopra. La
"Lettera ai cappellani militari" e quella "Ai giudici" di
Lorenzo Milani e la Scuola di Barbiana sono testi basilari nella loro analisi
del conflitto in chiave storica e nella relazione con il dato personale.
INDICAZIONI ETICHE
I fattori economici
Le armi non sono una merce come le altre: se ne dovrebbe regolamentare la produzione
e il commercio con grande severità, tenendo conto dei Paesi e dell'uso
a cui sono destinate. La disponibilità della merce favorisce il consumo:
è una delle leggi basilari dell'economia. Le armi leggere hanno un ruolo
significativo nel facilitare molte manifestazioni di violenza, aumentare il
rischio di nuovi conflitti e l'intensità di quelli in corso. Quelle armi
che escono dal controllo esercitato dagli
eserciti regolari, aumentano di pericolosità: chi detiene il controllo
degli arsenali ha per questo grandi responsabilità. La legislazione a
riguardo dovrebbe essere severissima: non si può ritenere accettabile
che si commerci armi leggere con regimi illiberali o senza avere il pieno controllo
di quanto si commercia. La prospettiva del disarmo è prioritaria ed urgente
non soltanto per l'osservanza del
principio del non uccidere ma anche sul piano dell'economia e della giustizia:
gli armamenti sottraggono risorse ai poveri (confronta il Magistero, tra molto
altro, di Benedetto XVI; in particolare il Messaggio per la Giornata Mondiale
della pace 2006 e il discorso alle delegazioni diplomatiche dello stesso anno).
Si può tranquillamente affermare che, in tal senso, le armi uccidono
molte volte, non solo direttamente e anche se non vengono adoperate. La dottrina
sociale della Chiesa ripete, a
più riprese, l'esigenza di un disarmo "generale, equilibrato e controllato",
fino a raggiungere il principio di sufficienza, cioè la quantità
minima di armi sufficiente alla legittima difesa della propria nazione. La questione
ambientale aggiunge urgenza alla necessità del disarmo: il fattore di
un tempo esiguo per i
cambiamenti necessari alla conservazione dell'ecosistema, rende ancora più
drammatica la
dimensione assurda delle risorse che vengono impiegate per armi e ricerca sul
militare (1 a 40 dollari è il rapporto degli investimenti tra ricerca
civile e militare: la ricaduta delle scoperte della seconda sulla prima sono
trascurabili). Su questo tema una notazione importante deve essere fatta sull'uso
dell'uranio impoverito per i proiettili e di altre sostanze nocive e tossiche
non solo nei sistemi d'arma, ma anche per la gestione di mezzi e strumenti.
Dinamiche di esclusione e di relazione sociale
Il principio del valore assoluto della vita umana fonda la necessità
di società in cui tutti siano messi in condizione di esprimere le proprie
migliori potenzialità, a tutti siano garantiti i diritti fondamentali,
da tutti si esigano i doveri corrispondenti, secondo quanto loro possibile.
In particolare è importante il diritto alla formazione culturale: il
riferimento alle proprie radici culturali è la speranza che si attenga
sempre alla tradizione positiva, quella che inclina alla ricerca della pace.
La sicurezza di una società si concretizza nel grado di integrazione
dei propri membri, secondo le logiche dell'interdipendenza e della necessità
dell'altro, nell'accoglienza che è espressione di reciprocità.
Socialmente ciò si traduce nell'esigenza di tornare a occupare gli spazi
urbani abitandoli in prospettiva valoriale. È così utopico ipotizzare
la possibilità di una polizia disarmata, con garanzie di legge, sul modello
della difesa popolare nonviolenta?
Disagio esistenziale
Una buona rete di relazioni aiuta chi vive un disagio psicologico:
consente soprattutto di prevenirlo e assisterlo. È importante aumentare
i controlli di legge su chi possiede armi leggere con regolare porto d'armi,
verificando progressivamente l'uso e la psicologia del soggetto. Chi vuole uccidere
- soprattutto per follia - forse lo farà comunque, ma con una arma leggera
lo farà più agevolmente,
si sentirà facilitato dalla dinamica della morte per arma da fuoco rispetto
a mezzi più cruenti. Bisogna operare e pensare contro la cultura di morte,
mostrare il legame tra uso delle armi leggere e sopraffazione, dolore, viltà;
valorizzare l'esperienza di chi le ha usate e si è pentito. La vera forza
è dare la vita e difenderla, non impedirla o toglierla.
Induzione
Un controllo sociopolitico sui media - in particolare la pubblicità - si articola con le indicazioni di un progetto educativo più ampio, di proposta di una cultura di vita, capace di indicare alternative ai modelli violenti di consumo, relazione, esistenza. Un minore non può essere lasciato solo di fronte alla manifestazione mediatica (e non) della violenza: censurare non serve più di tanto, ma gli adulti non possono rinunciare a un controllo educativo nei confronti dei più giovani. Di certo, il tasso di rappresentazione della violenza sta crescendo in modo preoccupante. Le tesi consuete a commento (e giustificazione) di ciò, sono la necessità di rappresentare per esorcizzare, dal momento che una società violenta non può che produrre manifestazioni artistiche che registrino tale violenza, e l'impossibilità di determinare con esattezza che rapporto ci sia tra questa rappresentazione e un'induzione diretta di comportamenti violenti.
Criminalità organizzata
Combattere le mafie è contrastare un grande potere di educazione
alla violenza; una violenza sociale ma anche fattiva. Il numero di omicidi per
mafia è in constante crescita. Colpire gli interessi delle mafie significa,
tra l'altro, porre un limite significativo al commercio illegale delle armi
leggere. Rinnovata accettabilità della violenza I progetti formativi
alla pace non sono esclusivamente "contro" ma soprattutto "a
favore", perché vogliono diffondere le problematiche atte a promuovere
una buona qualità della vita. La critica al militarismo - irrinunciabile
per una realtà come Pax Christi - non è rivolta
alle persone per le quali non possiamo non avere un profondo rispetto, ma alle
logiche, alle mentalità, alle opinioni, alle manifestazioni culturali.
Si tratta di mettere i fautori della logica della necessità dell'intervento
armato, del libero possesso delle armi leggere, dell'accettabilità del
connubio tra impresa e sistema militare per la liberalizzazione del commercio
degli armamenti in chiave neoliberista, di fronte al dato del dolore che concretizza
il grande lutto della guerra. Il mestiere delle armi può essere considerato
necessario (non è chiaramente la nostra opinione), ma raramente ha dato
occasione di far trasparire la nobiltà d'animo di chi lo pratica. Gli
armamenti sottraggono risorse
non solo ai poveri, ma al complesso delle realtà sociali in cui si investe
molto per la difesa\offesa,
sottraendole ai settori educativi, della sanità, della cura della persona
in genere. Questo sbilanciamento pone una pregiudiziale negativa contro il futuro
di ogni collettività, in particolare
dei Paesi impoveriti. I programmi di aiuto allo sviluppo - adesso a un livello
di carenza vergognoso - vanno potenziati, controllati nell'efficacia, anche
per impedire che le risorse destinate siano male utilizzate dalle eventuali
oligarchie locali. L'idea di barattare progetti di cooperazione contro disarmo
è - a mio modesto parere - da perseguire.
CONCLUSIONI
Il sogno di Isaia 2,4: spade e lance cambiati in aratri e falci,
resta il grande orizzonte della nostra azione per il disarmo. L'utopia possibile
di un mondo pacificato si sostiene nella prospettiva, fondante per il cristianesimo,
della risurrezione. Essa risuona come affermazione della forza della cultura
della vita contro la cultura della morte. Tradurre ciò in pensiero laico
è il grande impegno culturale della Chiesa nei confronti della propria
contemporaneità.
Due storie: Stanley Tookie Williams e Clarence Ray Allen (Running Bear), giustiziati
entrambi in California. Il primo aveva convertito la scelta giovanile dell'uso
della violenza, convincendo molti a fare altrettanto; la logica della pena di
morte come vendetta finisce col negare il significato rieducativo
della pena, eliminando anche coloro che sarebbero (in una logica utilitaristica
che non è nostra) più utili da vivi. L'altro è stato giustiziato
a 76 anni, gravemente malato. Allen ha lasciato una poesia di commiato dalla
vita, che riportiamo con una riflessione sulle assonanze con il "Voi cercate
Gesù Nazareno. È risorto, non è qui" del vangelo di
Marco.
Dalle logiche di morte si può uscire. La realtà della risurrezione
chiede di uscire dalle contingenze del possibile in cui il mondo pare condannarci
all'impotenza, per affermare l'impossibile di cui siamo capaci nell'operare
di Dio.
Andrea Bigalli - luglio 2006