Discorsi dei Sommi Pontefici all'ONU
Discorsi dei Sommi Pontefici all'Assemblea dell'ONU
DISCORSO DI S. S. PAOLO VI ALL'ASSEMBLEA DELL'ONU - 4 ottobre 1965
Nel momento in cui prendiamo la parola davanti a questo consesso
unico al mondo, sentiamo il bisogno anzitutto di esprimere la Nostra profonda
gratitudine al signor Thant, vostro segretario generale, dell'invito ch'egli
Ci ha rivolto di visitare le Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario
della fondazione di questa istituzione mondiale per la pace e per la collaborazione
fra i popoli di tutta la terra.
Noi ringraziamo altresí il signor presidente dell'assemblea, on. Amintore
Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto per Noi parole
tanto cortesi.
Grazie anche a voi tutti, qui presenti, per la vostra buona accoglienza. A ciascuno
di voi il Nostro riverente e cordiale saluto. La vostra amicizia Ci ha invitato
e Ci ammette ora a questa riunione: e come amico Noi qui a voi Ci presentiamo.
Vi esprimiamo il Nostro cordiale omaggio personale e vi offriamo quello dell'intero
Concilio ecumenico Vaticano II, riunito in Roma, e qui rappresentato dai signori
cardinali che a questo scopo Ci accompagnano.
A loro nome, come da parte Nostra, rendiamo a voi tutti onore e salute!
Semplicità e grandezza di un incontro
Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande.
Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro
fratello, e fra voi, rappresentanti di stati sovrani, uno dei piú piccoli,
rivestito lui pure, se cosí vi piace considerarci, di una minuscola,
quasi simbolica sovranità temporale, quanto gli basta per essere libero
di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con
lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo.
Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere
con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare;
se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi
servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con
umiltà e amore.
Questa è la Nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, è
cosí semplice, che sembra irrilevante per questa assemblea, che tratta
sempre cose importantissime e difficilissime.
Ma Noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande.
Grande per Noi, grande per voi.
Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l'opinione che
voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatore
d'un messaggio per tutta l'umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome
personale e dell'intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei fratelli
cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente
di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d'essere anche loro interpreti.
Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la
lettera che gli è stata affidata: cosí Noi avvertiamo la fortuna
di questo, sia pur breve momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo
nel cuore da quasi venti secoli. Sí, voi ricordate: è da molto
tempo che siamo in cammino, e Noi portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo
qui l'epilogo d'un faticoso pellegrinaggio in cerca d'un colloquio con il mondo
intero, da quando Ci è stato comandato: "Andate e portate la buona
novella a tutte le nazioni". Ora siete voi, che rappresentate tutte le
nazioni.
Noi abbiamo per tutti voi un messaggio, sí, un messaggio felice, da consegnare
a ciascuno di voi.
Una ratifica morale e solenne
1. Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne
di questa altissima istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza
storica; Noi, quale "esperto in umanità", rechiamo a questa
organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi predecessori, quello di tutto
l'episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la
via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.
Dicendo questo Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei
morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace
del mondo; dei vivi, che a quelle sono sopravvissuti portando nei cuori la condanna
per coloro che tentassero di rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano
nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto
una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati,
dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita,
alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli guardano alle Nazioni
Unite come verso l'ultima speranza della concordia e della pace: Noi osiamo,
col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché
questo momento è grande anche per voi.
Gli uni e gli altri
2. Noi sappiamo che ne avete piena coscienza. Ascoltate allora la continuazione
del Nostro messaggio. Esso è rivolto completamente verso l'avvenire.
L'edificio, che avete costruito, non deve mai piú decadere, ma deve essere
perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà.
Voi segnate una tappa nello sviluppo dell'umanità, dalla quale non si
dovrà piú retrocedere, ma avanzare.
Al pluralismo degli stati, che non possono piú ignorarsi, voi offrite
una formula di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima
vi riconoscete e distinguete gli uni e gli altri. Voi non conferite certamente
l'esistenza agli stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato
dei popoli ogni singola nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo
valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana,
e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È già un grande
servizio alla causa dell'umanità, quello di ben definire e di onorare
i soggetti nazionali della comunità mondiale, e di classificarli in una
condizione di diritto, meritevole d'essere da tutti riconosciuta e rispettata,
dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale.
Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati
dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza,
non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall'inganno.
Cosí ha da essere. Lasciate che Noi Ci congratuliamo con voi, che avete
avuto la saggezza di aprire l'accesso a questa aula ai popoli giovani, agli
stati giunti da poco all'indipendenza e alla libertà nazionale; la loro
presenza è la prova dell'universalità e della magnanimità
che ispirano i principi di questa istituzione.
Cosí ha da essere; questo è il Nostro elogio e il Nostro augurio,
e, come vedete, Noi non li attribuiamo dal di fuori; Noi li caviamo dal di dentro,
dal genio stesso della vostra istituzione.
Gli uni con gli altri
3. Il vostro statuto va oltre; e con esso procede il Nostro messaggio. Voi esistete
e operate per unire le nazioni, per collegare gli stati; diciamo questa seconda
formula: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete un'associazione. Siete
un ponte fra i popoli. Siete una rete di rapporti fra gli stati. Staremmo per
dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale
ciò che la Nostra Chiesa Cattolica vuol essere nel campo spirituale:
unica e universale. Non v'è nulla di superiore sul piano naturale nella
costruzione ideologica dell'umanità. La vostra vocazione è quella
di affratellare non solo alcuni, ma tutti i popoli. Difficile impresa; ma questa
è l'impresa, la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di
giungere cosí, progressivamente, a instaurare un'autorità mondiale,
capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?
Anche a questo riguardo Noi ripetiamo il Nostro augurio: perseverate. Diremo
di piú: procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato,
e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto
di fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto
fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell'accordarla.
E voi, che avete la fortuna e l'onore di sedere in questo consesso della pacifica
convivenza, ascoltateCi: fate in modo che la reciproca fiducia, che qui vi unisce
e vi consente di operare cose buone e grandi, non sia mai insidiata o tradita.
Non l'uno sopra l'altro
4. La logica di questo augurio, che si può dire costituzionale per la
vostra organizzazione, Ci porta a integrarlo con altre formule. Ecco: che nessuno,
in quanto membro della vostra unione, sia superiore agli altri. Non l'uno sopra
l'altro. È la formula dell'uguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba
essere integrata dalla valutazione di altri fattori, che non sia la semplice
appartenenza a questa istituzione; ma anch'essa è costituzionale. Voi
non siete uguali, ma qui vi fate uguali. Può essere per parecchi di voi
atto di grande virtú; consentite che ve lo dica Colui che vi parla, il
rappresentante d'una religione, la quale opera la salvezza mediante l'umiltà
del suo Fondatore divino. Non si può essere fratelli, se non si è
umili. Ed è l'orgoglio, per inevitabile che possa sembrare, che provoca
le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo, dell'egoismo;
rompe cioè la fratellanza.
Mai piú gli uni contro gli altri
5. E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo,
Voi attendete da Noi questa parola, che non può non vestirsi di gravità
e di solennità: mai piú gli uni contro gli altri, mai, mai piú!
A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni
Unite; contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d'un grande
scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: "L'umanità
deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità".
Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione.
Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite
sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce,
con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non piú
la guerra, non piú la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti
dei popoli e dell'intera umanità!
Grazie a voi, gloria a voi, che da vent'anni per la pace lavorate, e che avete
perfino dato illustri vittime a questa santa causa. Grazie a voi, e gloria a
voi, per i conflitti che avete prevenuti e composti. I risultati dei vostri
sforzi in favore della pace, conseguiti fino a questi ultimi giorni, benché
non siano definitivi, meritano che Noi, osando farCi interpreti del mondo intero,
vi esprimiamo plauso e gratitudine.
Edificare la pace
Signori, voi avete compiuto e state compiendo un'opera grande: l'educazione
dell'umanità alla pace. L'ONU è la grande scuola per questa educazione.
Siamo nell'aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno
e diventa maestro nell'arte di costruire la pace. Quando voi uscite da quest'aula
il mondo guarda a voi come agli architetti, ai costruttori della pace.
E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l'equilibrio
delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere
della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in
principio, arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica
e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile
prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica,
quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini
di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già
segnate davanti a voi: la prima è quella del disarmo.
Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si
può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili specialmente,
che la scienza odierna vi ha dato, ancor prima che produrre vittime e rovine,
generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze
e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà
e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l'uomo rimane
l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi
della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali
siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale
senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i popoli
attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia interiore di questa
istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è da credere,
sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate
dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall'incubo, che deforma la
loro psicologia, della guerra sempre imminente.
Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il Nostro
invito, lanciato a tutti gli stati per la causa della pace, a Bombay, nello
scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei paesi in via di sviluppo una parte
almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti.
Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità
e di generosità.
Gli uni per gli altri
6. Dicendo queste parole Noi Ci accorgiamo di far eco ad un altro principio
costitutivo di questo organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo
qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli stati, ma si lavora altresí
con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non
vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie nazioni;
ma fate un passo molto piú avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode
e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei popoli. Qui
si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili
altissime ottengono l'appoggio concorde e ordinato da tutta la famiglia dei
popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell'Organizzazione
delle Nazioni Unite è il piú bello; è il suo volto umano
piú autentico; è l'ideale dell'umanità pellegrina nel tempo;
è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, Noi osiamo dire,
del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano
sulla terra; un riflesso, dove Noi scorgiamo il messaggio evangelico da celeste
farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un'eco della voce dei Nostri predecessori,
di quella specialmente di papa Giovanni XXIII, il cui messaggio di Pacem in
terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa.
Diritti e doveri dell'uomo
Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo,
la sua dignità, la sua libertà, e per prima, la libertà
religiosa. Ancora Noi sentiamo interpretata la sfera superiore della Nostra
sapienza, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto
della vita dell'uomo: e la vita dell'uomo è sacra: nessuno può
osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda
il grande problema della natalità, deve avere qui la sua piú alta
professione e la sua piú ragionevole difesa: voi dovete procurare di
far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell'umanità; non già
favorire un artificiale controllo delle nascite che fosse irrazionale, per diminuire
il numero dei commensali al banchetto della vita.
Ma non si tratta soltanto di nutrire gli affamati: bisogna inoltre assicurare
a ciascun uomo una vita conforme alla sua dignità. Ed è questo
che voi vi sforzate di fare. E non si adempie del resto sotto i Nostri occhi
anche per opera vostra l'insegna profetica che ben si addice a questa istituzione:
"forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci" (Is 2,4)?
Non state voi impiegando le prodigiose energie della terra e le invenzioni magnifiche
della scienza, non piú in strumenti di morte, ma in strumenti di vita
per la nuova èra dell'umanità?
Noi sappiamo con quale crescente intensità ed efficacia l'Organizzazione
delle Nazioni Unite, e gli organismi mondiali che ne dipendono, lavorino per
fornire aiuto ai governi, che ne abbiano bisogno, al fine di accelerare il loro
progresso economico e sociale.
Noi sappiamo con quale ardore voi vi impegnate a vincere l'analfabetismo e a
diffondere la cultura nel mondo; a dare agli uomini un'adeguata e moderna assistenza
sanitaria, a mettere a servizio dell'uomo le meravigliose risorse della scienza,
della tecnica, dell'organizzazione: tutto questo è magnifico, e merita
l'encomio e l'appoggio di tutti, anche il Nostro.
Vorremmo anche Noi dare l'esempio, sebbene l'esiguità dei Nostri mezzi
Ci impedisca di farne apprezzare la rilevanza pratica e quantitativa: Noi pure
vogliamo dare alle Nostre istituzioni benefiche un nuovo sviluppo in favore
della fame e dei bisogni del mondo: è in questo modo, e non altrimenti,
che si costruisce la pace.
Edificare su principi spirituali
7. Una parola ancora, Signori, un'ultima parola: questo edificio, che state
costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrestri; sarebbe
un edificio costruito sulla sabbia; ma si regge, innanzitutto, sopra le nostre
coscienze. È venuto il momento della "conversione", della trasformazione
personale, del rinnovamento interiore. Dobbiamo abituarci a pensare in maniera
nuova l'uomo; in maniera nuova anche la vita in comune degli uomini; in maniera
nuova infine le vie della storia e i destini del mondo, secondo le parole di
s. Paolo: "rivestire l'uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia
e santità della verità" (Ef 4,23). È l'ora in cui
si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di
preghiera: ripensare, cioè, alla nostra storia, al nostro destino comune.
Mai come oggi, in un'epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario
l'appello alla coscienza morale dell'uomo! Il pericolo non viene né dal
progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere
molti dei gravi problemi che assillano l'umanità. Il pericolo vero sta
nell'uomo, padrone di sempre piú potenti strumenti, atti alla rovina
e alle piú alte conquiste!
In una parola, l'edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi
spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresí di illuminarlo
e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di
superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio
ignoto, di cui discorreva nell'areopago san Paolo agli ateniesi? Ignoto a loro,
che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti
uomini del nostro secolo?... Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la
rivelazione ineffabile, che Cristo di lui ci ha fatta, è il Dio vivente,
il Padre di tutti gli uomini.
4 ottobre 1965.
Paolo Pp. VI
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965),
I, nn. 395. 397.
In nome dell'uomo - Discorso di S. S. Giovanni Paolo II all'ONU -
2 ottobre 1979
Signor Presidente,
1. Desidero esprimere la mia gratitudine all'illustre assemblea generale delle
Nazioni Unite, alla quale mi è consentito oggi di partecipare e rivolgere
la parola. La mia riconoscenza va in primo luogo al signor segretario generale
dell'ONU, il dott. Kurt Waldheim, il quale già nell'autunno scorso -
poco dopo la mia elezione alla cattedra di san Pietro - mi rivolse l'invito
per questa visita, e, in seguito, lo rinnovò nello scorso maggio durante
il nostro incontro a Roma. Sin dall'inizio, ne fui molto onorato e profondamente
obbligato. Ed oggi, dinanzi ad una cosí eletta assemblea, desidero ringraziare
lei, signor presidente, che cosí gentilmente mi ha accolto e dato la
parola.
Motivo formale della visita
2. Il motivo formale del mio intervento odierno è indubbiamente il particolare
legame di cooperazione che unisce la sede apostolica all'Organizzazione delle
Nazioni Unite, come attesta la presenza stessa della missione permanente di
un osservatore della Santa Sede presso questa organizzazione. Tale legame, che
la santa sede tiene in grande considerazione, trova la ragione d'essere nella
sovranità di cui la Sede Apostolica è, da lungo volgere di secoli,
rivestita, sovranità che per l'ambito territoriale è circoscritta
al piccolo Stato della Città del Vaticano, ma che è motivata dalla
esigenza che ha il Papato di esercitare con piena libertà la sua missione,
e, per ogni suo possibile interlocutore, governo o organismo internazionale,
di trattare con esso indipendentemente da altre sovranità. Naturalmente,
la natura e i fini della missione spirituale propria della Sede Apostolica e
della chiesa fanno sí che la loro partecipazione ai compiti e alle attività
dell'ONU si differenzi profondamente da quella degli stati in quanto comunità
in senso politico-temporale.
Interesse della Sede Apostolica per l'ONU
3. La Sede Apostolica non soltanto tiene in grande conto la propria collaborazione
con l'ONU, ma fin dalla nascita dell'organizzazione ha sempre espresso la propria
stima e il proprio consenso per lo storico significato di questo supremo foro
della vita internazionale dell'umanità contemporanea. Essa non cessa
anche di appoggiare le sue funzioni ed iniziative, che hanno quale scopo la
pacifica convivenza e la collaborazione tra le nazioni. Ne abbiamo molte prove.
Negli oltre 30 anni di esistenza dell'ONU, messaggi ed encicliche pontificie,
documenti dell'episcopato cattolico, ed anche il Concilio Vaticano II le hanno
prestato grande attenzione. I pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI guardavano
con fiducia a questa importante istituzione, come a un eloquente e promettente
segno dei nostri tempi. Ed anche colui che ora vi parla, fin dai primi mesi
del proprio pontificato, ha espresso piú volte la stessa fiducia e convinzione
che nutrivano i suoi predecessori.
4. Questa fiducia e convinzione della sede apostolica, come dicevo, non risultano
da ragioni puramente politiche, ma dalla stessa natura religioso-morale della
missione della Chiesa Cattolica Romana. Questa, quale comunità universale
che raccoglie in sé fedeli appartenenti a quasi tutti i paesi e continenti,
nazioni, popoli, razze, lingue e culture, è interessata all'esistenza
ed all'attività dell'organizzazione, la quale - come deduciamo dal suo
nome - unisce e associa nazioni e stati. Unisce e associa, e non già
divide e contrappone: essa cerca le vie dell'intesa e della pacifica collaborazione,
tendendo con i mezzi disponibili e i metodi possibili, ad escludere la guerra,
la divisione, la reciproca distruzione in quella grande famiglia, che è
l'umanità contemporanea.
Motivo essenziale della visita
5. Questo è il motivo vero, il motivo essenziale della mia presenza tra
voi, e desidero esprimere gratitudine a cosí illustre assemblea, perché
ha preso in considerazione tale motivo, che può rendere, in qualche modo,
utile la mia presenza tra voi. Ha certamente un rilevante significato che tra
i rappresentanti degli stati, la cui ragion d'essere è la sovranità
dei poteri legati al territorio e alla popolazione, si trovi oggi anche il rappresentante
della Sede Apostolica e della Chiesa Cattolica. Questa chiesa è quella
di Gesú Cristo che, davanti al tribunale del giudice romano Pilato, dichiarò
di essere re, ma di un regno che non è di questo mondo (cf. Gv 18,36-37).
Interrogato poi sulla ragion d'essere del suo regno tra gli uomini, egli spiegò:
"Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere
testimonianza alla verità" (Gv 18,37). Trovandomi quindi dinanzi
ai rappresentanti degli stati, desidero non soltanto ringraziare, ma congratularmi
in modo particolare, perché l'invito a dare la voce al papa nella vostra
assemblea comprova che l'Organizzazione delle Nazioni Unite accetta e rispetta
la dimensione religioso-morale di quei problemi umani, dei quali la chiesa,
per il messaggio di verità e di amore che deve portare al mondo, si occupa.
Certamente, per le questioni che sono oggetto delle vostre funzioni e delle
vostre sollecitudini - attestate dal vastissimo e organico complesso di istituzioni
e di attività che fanno capo all'ONU o con essa collaborano, particolarmente
nel settori della cultura, della sanità, dell'alimentazione, del lavoro,
nell'uso pacifico dell'energia nucleare - è essenziale che ci incontriamo
in nome dell'uomo inteso nella sua integrità, in tutta la pienezza e
multiforme ricchezza della sua esistenza spirituale e materiale, come ho espresso
nell'enciclica Redemptor hominis, la prima del mio pontificato.
Ragion d'essere di ogni politica è il servizio dell'uomo
6. In questo momento, profittando della solenne occasione di un incontro con
i rappresentanti delle nazioni del globo, vorrei rivolgere un saluto soprattutto
a tutti gli uomini e le donne viventi sulla nostra terra. Ad ogni uomo, ad ogni
donna, senza eccezione alcuna. Ogni essere umano, infatti, che abita il nostro
pianeta, è membro di una società civile, di una nazione, numerose
delle quali sono qui rappresentate. Ognuno di voi, illustrissimi signore e signori,
è rappresentante di singoli stati: sistemi e strutture politiche, ma
soprattutto di determinate unità umane; voi tutti siete i rappresentanti
degli uomini, praticamente di quasi tutti gli uomini del globo; uomini concreti,
comunità e popoli, che vivono l'odierna fase della loro storia, ed insieme
sono inseriti nella storia di tutta l'umanità, con la loro soggettività
e dignità di persona umana, con una propria cultura, con esperienze e
aspirazioni, tensioni e sofferenze proprie, e con legittime aspettative. In
questo rapporto trova il suo perché tutta l'attività politica,
nazionale e internazionale, la quale - in ultima analisi - viene dall'uomo,
si esercita mediante l'uomo ed è per l'uomo. Se tale attività
si distacca da questa fondamentale relazione e finalità, se diventa,
in certo modo, fine a se stessa, essa perde gran parte della sua ragion d'essere.
Ancor piú,può diventare perfino sorgente di una specifica alienazione;
può diventare estranea all'uomo; può cadere in contraddizione
con l'umanità stessa. In realtà, ragion d'essere di ogni politica
è il servizio all'uomo, è l'adesione, piena di sollecitudine e
responsabilità, ai problemi ed ai compiti essenziali della sua esistenza
terrena, nella sua dimensione e portata sociale, dalla quale contemporaneamente
dipende anche il bene di ciascuna persona.
7. Mi scuso di parlare di questioni che a voi, illustrissimi signore e signori,
sono certamente evidenti. Ma non sembra inutile parlarne, perché ciò
che insidia piú spesso le attività umane è l'eventualità
che, nel compierle, si possano perdere di vista le verità piú
lampanti, i principi piú elementari.
Mi sia permesso di augurare che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per il
suo carattere universale, non cessi mai di essere quel forum, quell'alta tribuna,
dalla quale si valutano, nella verità e nella giustizia, tutti i problemi
dell'uomo. In nome di questa ispirazione, per questo impulso storico fu firmata
il 26 giugno 1945, verso la fine della terribile seconda guerra mondiale, la
Carta delle Nazioni Unite e prese vita, il 24 ottobre successivo, la vostra
organizzazione. Poco dopo venne il fondamentale suo documento che fu la Dichiarazione
Universale dei diritti dell'uomo (10 dicembre 1948), dell'uomo come individuo
concreto e dell'uomo nel suo valore universale. Questo documento è una
pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano. Bisogna
misurare il progresso dell'umanità non solo col progresso della scienza
e della tecnica, dal quale risalta tutta la singolarità dell'uomo nei
confronti della natura, ma contemporaneamente e ancor piú col primato
dei valori spirituali e col progresso della vita morale. Proprio in questo campo
si manifesta il pieno dominio della ragione attraverso la verità nei
comportamenti della persona e della società, ed anche il dominio sulla
natura, e trionfa silenziosamente la coscienza umana, secondo l'antico detto:
"Il genere umano vive di tecnica e di ragione".
Proprio quando la tecnica, nell'unilaterale suo progresso, veniva diretta a
scopi bellici, di egemonie e di conquiste, perché l'uomo uccidesse l'uomo
e una nazione distruggesse l'altra privandola della libertà o del diritto
di esistere - e ho sempre davanti alla mia mente l'immagine della seconda guerra
mondiale, iniziata quarant'anni or sono, il 1 settembre 1939, con l'invasione
della Polonia, e finita il 9 maggio 1945 - proprio allora è sorta l'Organizzazione
delle Nazioni Unite. E tre anni dopo nacque il documento, che - come ho detto
- è da considerare una vera pietra miliare sulla via del progresso morale
dell'umanità; la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. Governi
e stati del mondo hanno capito che, se non vogliono aggredirsi e distruggersi
reciprocamente, debbono unirsi. La via reale, la via fondamentale che conduce
a questo, passa attraverso ciascun uomo, attraverso la definizione, il riconoscimento
ed il rispetto degli inalienabili diritti delle persone e delle comunità
dei popoli.
Nessuna ragione giustifica l'oppressione, la persecuzione, la tortura
8. Oggi, a quarant'anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, vorrei
richiamarmi all'insieme delle esperienze degli uomini e delle nazioni, vissute
da una generazione in buona parte ancora in vita. Non molto tempo fa, ho avuto
modo di ritornare a riflettere su alcune di quelle esperienze in uno dei luoghi
piú dolorosi e piú traboccanti di disprezzo per l'uomo e per i
suoi fondamentali diritti: il campo di sterminio di Oswiecim (Auschwitz), che
ho visitato durante il mio pellegrinaggio in Polonia, nel giugno scorso. Questo
luogo tristemente conosciuto, è, purtroppo, soltanto uno dei tanti sparsi
sul continente europeo. Anche il ricordo di uno solo dovrebbe costituire un
segnale di avvertimento sulle strade dell'umanità contemporanea per far
sparire una volta per sempre ogni genere di campi di concentramento in ogni
luogo della terra. E dovrebbe sparire per sempre, dalla vita delle nazioni e
degli stati, tutto ciò che - sotto forme anche diverse, cioè di
ogni genere di tortura e di oppressione, sia fisica sia morale, esercitata con
qualsiasi sistema, in qualunque terra - è la loro continuazione, fenomeno
ancor piú doloroso che si effettua col pretesto di "sicurezza"
interna e di necessità di conservare una pace apparente.
9. Gli illustri presenti mi perdoneranno tale ricordo: ma sarei infedele alla
storia del nostro secolo, non sarei onesto di fronte alla grande causa dell'uomo
che tutti desideriamo servire, se - provenendo da quel paese, sul cui vivo corpo
è stato costruito un tempo Oswiecim - io tacessi. Lo ricordo tuttavia,
illustrissimi e cari signore e signori, soprattutto al fine di dimostrare da
quali dolorose esperienze e sofferenze di milioni di persone è sorta
la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, che è stata posta
come ispirazione di base, come pietra angolare dell'organizzazione delle Nazioni
Unite. questa dichiarazione è costata milioni di nostri fratelli e sorelle
che l'hanno pagata con la propria sofferenza e sacrificio, provocati dall'abbrutimento
che aveva reso sorde e ottuse le coscienze umane dei loro oppressori e degli
artefici di un vero genocidio. Questo prezzo non può essere stato pagato
invano! La Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo - con tutto il corredo
di numerose dichiarazioni e convenzioni su aspetti importantissimi dei diritti
umani, a favore dell'infanzia, della donna, dell'uguaglianza tra le razze, e
particolarmente i due patti internazionali sui diritti economici, sociali e
culturali, e sui diritti civili e politici - deve rimanere nell'organizzazione
delle Nazioni Unite il valore di base con cui la coscienza dei suoi membri si
confronti e da cui attinga la sua ispirazione costante. Se le verità
e i principi contenuti in questo documento venissero dimenticati, trascurati,
perdendo la genuina evidenza di cui rifulgevano al momento della nascita dolorosa,
allora la nobile finalità dell'organizzazione delle Nazioni Unite potrebbe
trovarsi di fronte alla minaccia di una nuova rovina. Ciò avverrebbe
se sulla semplice e insieme forte eloquenza della Dichiarazione Universale dei
diritti dell'uomo prendesse decisamente il sopravvento un interesse, che si
definisce ingiustamente "politico", ma che significa spesso soltanto
guadagno e profitto unilaterale a danno di altri, oppure volontà di potenza
che non tiene conto delle esigenze altrui, tutto ciò quindi che, per
sua natura, è contrario allo spirito della dichiarazione. "L'interesse
politico" cosí inteso, perdonatemi, signori, porta disonore alla
nobile difficile missione che è propria del vostro servizi il bene delle
vostre nazioni e di tutta l'umanità. il grido di Paolo VI e la minaccia
degli armamenti.
Il grido di Paolo VI e la minaccia degli armamenti
10. Quattordici anni fa, parlava da questa tribuna il mio grande predecessore
papa Paolo VI. Egli ha allora pronunziato alcune parole memorabili che desidero
oggi ripetere: "Non piú la guerra, non piú! Mai piú
gli uni contro gli altri", e neppure "l'uno sopra l'altro", ma
sempre, in ogni occasione, "gli uni con gli altri".
Paolo VI è stato un instancabile servo della causa della pace. Anch'io
desidero seguirlo con tutte le mie forze e continuare tale suo servizio. La
Chiesa Cattolica, in tutti i luoghi della terra, proclama un messaggio di pace,
prega per la pace, educa l'uomo alla pace. Questa finalità è condivisa,
e per essa si impegnano anche rappresentanti e seguaci di altre chiese e comunità,
e di altre religioni del mondo. E questo lavoro, unito agli sforzi di tutti
gli uomini di buona volontà, porta certamente frutti. Tuttavia sempre
ci turbano i conflitti bellici che ogni tanto scoppiano. Quanto ringraziamo
il Signore quando ci riesce, con intervento diretto, di scongiurarne qualcuno,
come per esempio la tensione che minacciava l'anno scorso l'Argentina e il Cile.
Quanto auspico che anche nelle crisi del Medio Oriente ci si possa avvicinare
ad una soluzione. Mentre sono pronto ad apprezzare ogni passo o tentativo concreto
che si fa per la composizione del conflitto, ricordo che esso non avrebbe valore
se non rappresentasse davvero la "prima pietra" di una pace generale
e globale nella regione. Una pace che, non potendo non fondarsi sull'equo riconoscimento
dei diritti di tutti, non può non includere la considerazione e la giusta
soluzione del problema palestinese. Con esso è connesso anche quello
della tranquillità, della indipendenza e dell'integrità territoriale
del Libano nella formula che ne ha fatto esempio di pacifica e mutuamente fruttuosa
coesistenza di comunità distinte e che auspico sia mantenuta nel comune
interesse, pur con gli adeguamenti richiesti dagli sviluppi della situazione.
Auspico inoltre uno statuto speciale che, sotto garanzie internazionali - come
ebbe ad indicare il mio predecessore Paolo VI - assicuri il rispetto della particolare
natura di Gerusalemme, patrimonio sacro alla venerazione di milioni di credenti
delle tre grandi religioni monoteistiche, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam.
Non meno ci turbano le informazioni sullo sviluppo degli armamenti, che oltrepassano
mezzi e dimensioni di lotta e distruzione mai finora conosciuti. Anche qui,
incoraggiamo le decisioni e gli accordi che tendono a frenarne la corsa. Tuttavia
la minaccia della distruzione, il rischio che emerge perfino dall'accettare
certe "tranquillizzanti" informazioni, incombono gravemente sulla
vita dell'umanità contemporanea. Anche il resistere a proposte concrete
ed effettive di reale disarmo - come quelle che questa assemblea ha richiesto,
lo scorso anno, in una sessione speciale - testimonia che - con la volontà
di pace dichiarata da tutti e dai piú desiderata - coesiste, forse nascosto,
forse ipotetico, ma reale, il suo contrario e la sua negazione. I continui preparativi
alla guerra, di cui fa fede la produzione di armi sempre piú numerose,
piú potenti e sofisticate in vari paesi, testimoniano che si vuole essere
pronti alla guerra, ed essere pronti vuol dire essere in grado di provocarla,
vuol dire anche correre il rischio che in qualche momento, in qualche parte,
in qualche modo, qualcuno possa mettere in moto il terribile meccanismo di distruzione
generale.
Le cause e la genesi della pace e della guerra
11. È perciò necessario un continuo, anzi un ancor piú
energico sforzo, che tenda a liquidare le stesse possibilità di provocazioni
alla guerra, per rendere impossibili i cataclismi, agendo sugli atteggiamenti,
sulle convinzioni, sulle stesse intenzioni e aspirazioni dei governi e dei popoli.
Questo compito, sempre presente all'Organizzazione delle Nazioni Unite e alle
sue singole istituzioni, non può non essere di ogni società, di
ogni regime, di ogni governo. A questo compito serve certamente ogni iniziativa
che abbia come fine la cooperazione internazionale nel promuovere lo "sviluppo".
Come disse Paolo VI a conclusione della sua enciclica Populorum progressio:
"Se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non vorrebbe cooperarvi
con tutte le sue forze?". Tuttavia a questo compito deve servire anche
una costante riflessione e attività che tenda a scoprire le radici stesse
dell'odio, della distruzione, del disprezzo di tutto ciò che fa nascere
la tentazione della guerra non tanto nel cuore delle nazioni quanto nella determinazione
interiore dei sistemi che sono responsabili della storia di tutte le società
intere. In questo lavoro titanico - vero lavoro di costruzione del futuro pacifico
del nostro pianeta - l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha indubbiamente un
compito chiave e direttivo, per il quale non può non riportarsi ai giusti
ideali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Questa
dichiarazione ha infatti realmente colpito le molteplici e profonde radici della
guerra, perché lo spirito di guerra, nel suo primitivo e fondamentale
significato, spunta e matura là dove gli inalienabili diritti dell'uomo
vengono violati.
Questa è una nuova visuale, profondamente attuale, piú profonda
e piú radicale, della causa della pace. È una visuale che vede
la genesi della guerra e, in certo senso, la sua sostanza nelle forme piú
complesse che promanano dall'ingiustizia, considerata sotto tutti i suoi vari
aspetti, la quale prima attenta ai diritti dell'uomo e per questo recide l'organicità
dell'ordine sociale, ripercuotendosi in seguito su tutto il sistema dei rapporti
internazionali. L'enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris sintetizza, nel
pensiero della chiesa, il giudizio piú vicino ai fondamentali ideali
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Bisogna conseguentemente basarsi su
di esso e attenervisi, con perseveranza e lealtà, per stabilire cioè
la vera "pace sulla terra".
La dignità della persona umana è il fondamento della giustizia
e della pace
12. Applicando questo criterio dobbiamo diligentemente esaminare quali tensioni
principali legate ai diritti inalienabili dell'uomo possano far vacillare la
costruzione di questa pace, che tutti desideriamo ardentemente, e che è
anche il fine essenziale degli sforzi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Non è facile, ma è indispensabile. Nell'intraprenderla ognuno
deve situarsi in una posizione del tutto oggettiva, essere guidato dalla sincerità,
dalla disponibilità nel riconoscere i propri pregiudizi od errori, e
perfino dalla disponibilità nel rinunciare a particolari interessi anche
politici. La pace è, infatti, un bene piú grande e piú
importante di ciascuno di essi. Sacrificando questi interessi alla causa della
pace, li serviamo in modo piú giusto. Nell'interesse politico "di
chi può mai essere una nuova guerra?".
Ogni analisi deve necessariamente partire dalle stesse premesse: che cioè
ogni essere umano possiede una dignità la quale, benché la persona
esista sempre in un contesto sociale e storico concreto, non potrà mai
essere sminuita, ferita o distrutta, ma al contrario dovrà essere rispettata
e protetta, se si vuole realmente costruire la pace.
I diritti fondamentali della persona e il primato dei valori spirituali
13. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e gli strumenti giuridici
sia a livello internazionale che nazionale, secondo un movimento che non ci
si può augurare se non progressivo e continuo, cercano di creare una
coscienza generale della dignità dell'uomo, e di definire almeno alcuni
dei diritti inalienabili dell'uomo. Mi sia permesso di enumerarne qualcuno tra
i piú importanti e universalmente riconosciuti: il diritto alla vita,
alla libertà e alla sicurezza della persona; il diritto all'alimentazione,
all'abbigliamento, all'alloggio, alla salute, al riposo e agli svaghi; il diritto
alla libertà di espressione, all'educazione e alla cultura; il diritto
alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e il diritto a
manifestare la propria religione, individualmente o in comune, tanto in privato
che in pubblico; il diritto di scegliere il proprio stato di vita, di fondare
una famiglia e di godere di tutte le condizioni necessarie alla vita familiare;
il diritto alla proprietà e al lavoro, a condizione eque di lavoro e
ad un giusto salario; il diritto di riunione e di associazione; il diritto alla
libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna; il diritto
alla nazionalità e alla residenza; il diritto alla partecipazione politica
e il diritto alla libera scelta del sistema politico del popolo al quale si
appartiene. L'insieme dei diritti dell'uomo corrisponde alla sostanza della
dignità dell'essere umano, inteso integralmente, e non ridotto a una
sola dimensione; essi si riferiscono alla soddisfazione dei bisogni essenziali
dell'uomo, all'esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con altre
persone; ma essi si riferiscono sempre e dovunque all'uomo, alla sua piena dimensione
umana.
14. L'uomo vive contemporaneamente nel mondo dei valori materiali e in quello
dei valori spirituali. Per l'uomo concreto che vive e spera, i bisogni, le libertà
e le relazioni con gli altri non corrispondono mai solamente all'una o all'altra
sfera di valori, ma appartengono ad ambedue le sfere. È lecito considerare
separatamente i beni materiali ed i beni spirituali, ma per meglio comprendere
che nell'uomo concreto essi sono inseparabili, e per vedere altresí che
ogni minaccia ai diritti umani, sia nell'ambito dei beni materiali che in quello
dei beni spirituali, è ugualmente pericolosa per la pace, perché
riguarda sempre l'uomo nella sua integrità. I miei illustri interlocutori
mi consentano di richiamare una regola costante della storia dell'uomo, già
implicitamente contenuta in tutto ciò che è stato ricordato a
proposito dei diritti dell'uomo e dello sviluppo integrale. Questa regola è
basata sulla relazione fra i valori spirituali e quelli materiali o economici.
In tale relazione, il primato spetta ai valori spirituali, per riguardo alla
natura stessa di questi valori come anche per motivi che riguardano il bene
dell'uomo. Il primato dei valori dello spirito definisce il significato proprio
ed il modo di servirsi dei beni terreni e materiali, e si trova per questo stesso
fatto alla base della giusta pace. Tale primato dei valori spirituali, d'altra
parte, influisce nel far sí che lo sviluppo materiale, tecnico e di civilizzazione
serva a ciò che costituisce l'uomo, cioè renda possibile il pieno
accesso alla verità, allo sviluppo morale, alla totale possibilità
di godere i beni della cultura di cui siamo eredi, e a moltiplicare tali beni
a mezzo della nostra creatività, Ecco, è facile costatare che
i beni materiali hanno una capacità non certo illimitata di soddisfare
i bisogni dell'uomo; in sé, non possono essere distribuiti facilmente
e, nel rapporto tra chi li possiede e ne gode e chi ne è privo, provocano
tensioni, dissidi, divisioni, che possono arrivare spesso alla lotta aperta.
I beni spirituali possono essere invece in godimento contemporaneo di molti,
senza limiti e senza diminuzione del bene stesso. Anzi, piú grande è
il numero degli uomini che partecipa ad un bene, piú se ne gode e ad
esso si attinge, piú quel bene dimostra il suo indistruttibile e immortale
valore. È una realtà confermata ad esempio dalle opere della creatività,
cioè del pensiero, della poesia, della musica, delle arti figurative,
frutti dello spirito dell'uomo.
15. Un'analisi critica della nostra civiltà contemporanea mette in luce
che essa, soprattutto durante l'ultimo secolo, ha contribuito, come mai prima,
allo sviluppo dei beni materiali, ma ha anche generato, in teoria e ancor piú
in pratica, una serie di atteggiamenti in cui, in misura piú o meno rivelante,
è diminuita la sensibilità per la dimensione spirituale dell'esistenza
umana, a causa di certe premesse per cui il senso della vita umana è
stato rapportato in prevalenza ai molteplici condizionamenti materiali e economici,
cioè alle esigenze della produzione, del mercato, del consumo, delle
accumulazioni di ricchezze, o della burocratizzazione con cui si cercano di
regolare i corrispondenti processi. E questo non è frutto anche dell'aver
subordinato l'uomo ad una sola concezione e sfera di valori?
La subordinazione ai beni materiali crea lo "stato di necessità"
per la guerra
16. Quale legame ha questa nostra considerazione con la causa della pace e della
guerra? Dato che, come abbiamo già detto in precedenza, i beni materiali,
per la stessa loro natura, sono origine di condizionamenti e di divisioni, la
lotta per conquistarli diventa inevitabile nella storia dell'uomo. Coltivando
questa unilaterale subordinazione umana ai soli beni materiali non saremo capaci
di superare tale stato di necessità. Potremo attenuarlo, scongiurarlo
nel caso particolare, ma non riusciremo ad eliminarlo in modo sistematico e
radicale, se non mettiamo in luce e in onore piú largamente, agli occhi
di ogni uomo, alla prospettiva di tutte le società la seconda dimensione
dei beni; la dimensione che non divide gli uomini, ma li fa comunicare tra loro,
li associa e li unisce.
Ritengo che il prologo famoso della Carta delle Nazioni Unite, in cui i popoli
delle Nazioni Unite, "decisi a salvare le future generazioni dal flagello
della guerra", riaffermavano solennemente "la fede nei diritti fondamentali
dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza
dei diritti degli uomini e delle donne, e delle nazioni grandi e piccole"
intende dare evidenza a tale dimensione.
Non si possono infatti combattere i germi della guerra in modo soltanto superficiale,
"sintomatico". Bisogna farlo in modo radicale, risalendo alle cause.
Se mi sono permesso di richiamare l'attenzione sulla dimensione dei beni spirituali,
l'ho fatto per sollecitudine per la causa della pace, che si costruisce con
l'unione degli uomini intorno a ciò che è al massimo, e piú
profondamente, umano, che eleva gli esseri umani al di sopra del mondo che li
circonda e decide della loro indistruttibile grandezza: indistruttibile nonostante
la morte alla quale ciascuno di questa terra è soggetto. Vorrei aggiungere
che la Chiesa Cattolica e, sento di poter dire, tutta la cristianità
vedono proprio in questo campo il loro compito particolare. Il concilio Vaticano
II aiutò a stabilire ciò che la fede cristiana ha in comune in
questa aspirazione con le diverse religioni non cristiane. La Chiesa è
quindi grata a tutti coloro che, nei confronti di tale sua missione, si comportano
con rispetto e benvolere, e non la ostacolano o la rendono difficile. L'analisi
della storia dell'uomo, in particolare nella sua epoca attuale, dimostra quanto
rilevante è il dovere di svelare piú pienamente la portata di
questi beni ai quali corrisponde la dimensione spirituale dell'esistenza umana.
Dimostra quanto importante è questo compito per la costruzione della
pace, e quanto grave sia ogni minaccia contro i diritti dell'uomo. La loro violazione,
anche nella condizione "di pace", è una forma di guerra contro
l'uomo. Sembra che esistano due principali minacce nel mondo contemporaneo,
che riguardano l'una e l'altra i diritti dell'uomo nell'ambito dei rapporti
internazionali e all'interno dei singoli stati o società.
La partecipazione di tutti allo sviluppo e alla produzione
17. Il primo genere di minaccia sistematica contro i diritti dell'uomo è
legato, in un senso globale, alla distribuzione dei beni materiali, spesso ingiusta
sia nelle singole società che nell'intero globo. È noto che questi
beni sono dati all'uomo non soltanto come ricchezze della natura, ma in maggior
parte vengono da lui goduti come frutto della sua molteplice attività,
dal piú semplice lavoro manuale e fisico, fino alle piú complicate
forme della produzione industriale, e alle ricerche e studi di specializzazione
altamente qualificati. Varie forme di disuguaglianza nel possesso dei beni materiali,
e nel godimento di essi si spiegano spesso con diverse cause e circostanze di
natura storica e culturale. Ma tali circostanze, se pur possono diminuire la
responsabilità morale dei contemporanei, non impediscono che le situazioni
di disuguaglianza siano contrassegnate dall'ingiustizia e dal danno sociale.
Bisogna quindi prendere coscienza che le tensioni economiche esistenti nei singoli
paesi, nelle relazioni tra gli stati e perfino tra interi continenti, portano
insiti in se stesse elementi sostanziali che limitano o violano i diritti dell'uomo,
per esempio lo sfruttamento del lavoro, e i molteplici abusi della dignità
dell'uomo. Ne consegue che il criterio fondamentale secondo il quale si può
stabilire un confronto tra i sistemi socio-economico-politici non è,
e non può essere, il criterio di natura egemonico-imperialista, ma può,
anzi deve essere quello di natura umanistica, cioè la misura in cui ognuno
di essi sia veramente capace di ridurre, frenare ed eliminare al massimo le
varie forme di sfruttamento dell'uomo, e di assicurare all'uomo, mediante il
lavoro, non soltanto la giusta distribuzione dei beni materiali indispensabili,
ma anche una partecipazione corrispondente alla sua dignità, all'intero
processo di produzione e alla stessa vita sociale che, intorno a questo processo,
si viene formando. Non dimentichiamo che l'uomo, benché dipenda per vivere
dalle risorse del mondo materiale, non può esserne lo schiavo, ma il
signore. Le parole del libro della Genesi: "Riempite la terra soggiogatela"
(Gen 1,28) costituiscono in un certo senso una direttiva primaria ed essenziale
nel campo dell'economia e della politica del lavoro.
18. Certamente in questo campo l'umanità intera e le singole nazioni
hanno compiuto, durante l'ultimo secolo, un notevole progresso. Ma non mancano
mai in questo campo le minacce sistematiche e le violazioni dei diritti dell'uomo.
Sussistono spesso come fattori di turbamento le terribili disparità fra
gli uomini e i gruppi eccessivamente ricchi da una parte, e dall'altra la maggioranza
numerica dei poveri o addirittura dei miserabili, privi di nutrimento, di possibilità
di lavoro e di istruzione, condannati in gran numero alla fame e alle malattie.
Ma una certa preoccupazione è talvolta suscitata anche da una radicale
separazione del lavoro dalla proprietà, cioè dall'indifferenza
dell'uomo nei confronti dell'impresa di produzione alla quale lo leghi soltanto
un obbligo di lavoro, senza la convinzione di lavorare per un bene suo o per
se stesso.
È comunemente noto che l'abisso tra la minoranza degli eccessivamente
ricchi e la moltitudine dei miseri è un sintomo ben grave nella vita
di ogni società. Lo stesso bisogna ripetere, con insistenza ancora piú
forte, a proposito dell'abisso che divide singoli paesi e regioni del globo
terrestre. Può questa disparità grave, che contrappone aree di
sazietà ad aree di fame e di depressioni, essere colmata in altro modo
se non mediante una cooperazione coordinata di tutte le nazioni? A ciò
è necessaria anzitutto una unione ispirata ad una autentica prospettiva
di pace, Ma tutto dipenderà dal fatto se quei dislivelli e contrasti
nell'ambito del "possesso" dei beni, saranno ridotti sistematicamente
e con mezzi veramente efficaci; se spariranno dalla carta economica del nostro
globo le zone della fame, della denutrizione, della miseria, del sottosviluppo,
della malattia, dell'analfabetismo; e se la pacifica cooperazione non porrà
condizioni di sfruttamento, di dipendenza economica o politica, che sarebbero
soltanto una forma di neocolonialismo.
Le ingiustizie contro i diritti spirituali dell'uomo
19. Vorrei, ora, richiamare l'attenzione sulla seconda specie di minaccia sistematica,
di cui è oggetto, nel mondo contemporaneo, l'uomo nei suoi intangibili
diritti, e che costituisce, non meno della prima, un pericolo alla causa della
pace, ossia le diverse forme di ingiustizia nel campo dello spirito.
Si può infatti ferire l'uomo nella sua interiore relazione alla verità,
nella sua coscienza, nelle sue convinzioni piú personali, nella sua concezione
del mondo,
nella sua fede religiosa, cosí come nella sfera delle cosiddette
libertà civili nelle quali è decisiva l'eguaglianza di diritti
senza discriminazione a motivo di origine, razza, sesso, nazionalità,
confessione, convinzioni politiche e simili. L'eguaglianza di diritti vuol dire
l'esclusione delle diverse forme di privilegio degli uni e di discriminazione
degli altri, siano individui nati in una stessa nazione, siano uomini di diversa
storia, nazionalità, razza e pensiero. Lo sforzo della civilizzazione
tende da secoli in una direzione, dare cioè alla vita delle singole società
politiche una forma in cui possono essere pienamente garantiti i diritti obiettivi
dello spirito, della coscienza umana, della creatività umana, inclusa
la relazione dell'uomo con Dio. Eppure siamo sempre testimoni delle minacce
e violazioni che in questo campo ritornano, spesso senza possibilità
di ricorsi ad istanze superiori o di rimedi efficaci.
Accanto alla accettazione di formule legali che garantiscono come principio
le libertà dello spirito umano, per es. la libertà di pensiero,
di espressione, la libertà religiosa, la libertà di coscienza,
esiste spesso una strutturazione della vita sociale in cui l'esercizio di queste
libertà condanna l'uomo, se non nel senso formale almeno di fatto, a
divenire un cittadino di seconda o di terza categoria,a vedere compromesse le
proprie possibilità di promozione sociale, di carriera professionale,
o di accesso a certe responsabilità, e a perdere perfino la possibilità
di educare liberamente i propri figli. È questione di massima importanza
che, nella vita sociale interna ed in quella internazionale, tutti gli uomini
in ogni nazione e paese, in ogni regime o sistema politico, possano godere una
effettiva pienezza di diritti.
Soltanto una tale effettiva pienezza di diritti garantita ad ogni uomo senza
discriminazioni, può assicurare la pace alle stesse sue radici.
20. Per quanto riguarda la libertà religiosa, che a me, come papa, non
può non stare particolarmente a cuore, anche in relazione proprio alla
salvaguardia della pace, vorrei riportare qui, come contributo ideale al rispetto
della dimensione spirituale dell'uomo, alcuni principi contenuti nella dichiarazione
Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II: "A motivo della loro dignità,
tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotati cioè di ragione
e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità,
sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità,
in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire
alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo
le sue esigenze" (DH 2).
"Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto
in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente
verso Dio: i quali atti da un'autorità meramente umana non possono essere
ne comandati, né proibiti. Però la stessa natura sociale dell'essere
umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi
con altri in materia religiosa, professi la propria religione in modo comunitario"
(DH 3).
Queste parole toccano la sostanza del problema. Dimostrano anche in che modo
lo stesso confronto tra la concezione religiosa del mondo e quella agnostica
o anche ateistica, che è uno dei "segni dei tempi" della nostra
epoca, potrebbe conservare leali e rispettose dimensioni umane senza violare
gli essenziali diritti della coscienza di nessun uomo o donna che vivono sulla
terra.
Lo stesso rispetto della dignità umana sembra richiedere che, quando
sia discusso o stabilito, in vista di leggi nazionali o di convenzioni internazionali,
il giusto tenore dell'esercizio della libertà religiosa, siano coinvolte
anche le istituzioni, che per loro natura servono la vita religiosa. Trascurando
tale partecipazione, si rischia di imporre delle norme o delle restrizioni in
un campo tanto intimo della vita dell'uomo, che sono contrarie ai suoi veri
bisogni religiosi.
21. L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha proclamato l'anno 1979 l'anno del
fanciullo. Desidero quindi, in presenza dei rappresentanti qui riuniti di tante
nazioni del globo, esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i
bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle
presenti patrie terrestri. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può
pensare al proprio avvenire diversamente se non tramite l'immagine di queste
nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio
dei valori, dei doveri, delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono,
insieme con quello di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino,
ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito,
negli anni dell'infanzia e della giovinezza è la prima e fondamentale
verifica della relazione dell'uomo all'uomo.
E perciò, che cosa di piú si potrebbe augurare a ogni nazione
e a tutta l'umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore
futuro in cui il rispetto dei diritti dell'uomo diventi una piena realtà
nelle dimensioni del duemila che s'avvicina?
L'eredità che prepariamo agli uomini di domani
22. Ma in tale prospettiva dobbiamo chiederci se continuerà ad accumularsi
sul capo di questa nuova generazione di bambini la minaccia del comune sterminio
i cui mezzi si trovano nelle mani degli stati contemporanei, e particolarmente
delle maggiori potenze della terra. Dovranno forse ereditare da noi, come un
patrimonio indispensabile, la corsa agli armamenti? Con che cosa possiamo spiegare
questa corsa sfrenata?
Gli antichi solevano dire: "Se vuoi la pace prepara la guerra". Ma
la nostra epoca può credere ancora che la vertiginosa spirale degli armamenti
serva alla pace nel mondo? Adducendo la minaccia di un nemico potenziale si
pensa invece a riservarsi a propria volta un mezzo di minaccia per ottenere,
con l'aiuto del proprio arsenale di distruzione, il sopravvento? Anche qui è
la dimensione umana della pace che tende a svanire in favore di eventuali, sempre
nuovi, imperialismi.
Bisogna dunque augurare qui, in modo solenne, ai nostri bambini, ai bambini
di tutte le nazioni della terra che non si arrivi mai a tale punto. E per ciò
non cesso di supplicare ogni giorno Iddio che ci preservi, con la sua misericordia,
da un simile giorno terribile.
Augurio finale
23. Alla fine di questo discorso, desidero esprimere ancora una volta davanti
a tutti gli alti rappresentanti degli stati qui presenti un pensiero di stima
e di profondo amore per tutti i popoli, per tutte le nazioni della terra, per
tutte le comunità di uomini. Ognuna di esse ha la propria storia e cultura:
auguro che possano vivere e svilupparsi nella libertà e nella verità
della propria storia. Poiché tale è la misura del bene comune
di ognuna di esse. Auguro che ciascuno possa vivere e fortificarsi con la forza
morale di questa comunità, che forma i suoi membri come cittadini. Auguro
che le autorità statali, rispettando i giusti diritti di ciascun cittadino,
possano godere, per il bene comune, la fiducia di tutti. Auguro che tutte le
nazioni, anche le piú piccole, anche quelle che non ancora godono della
piena sovranità e quelle alle quali è stata forzatamente tolta,
possano ritrovarsi in piena uguaglianza con le altre nell'Organizzazione delle
Nazioni Unite. Auguro che l'Organizzazione delle Nazioni Unite rimanga sempre
il supremo foro della pace e della giustizia: autentica sede della libertà
dei popoli e degli uomini nella loro aspirazione a un futuro migliore.
2 ottobre 1979
Giovanni Paolo II
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1977-1979), VI, nn.
1722-1763.
Discorso di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II alla
L Assemblea Generale delle Nazioni unite - New York, 5 ottobre 1995
Signor Presidente,
Gentili Signore, Illustri Signori!
1. E' un onore per me prendere la parola in questa Assise dei
popoli, per celebrare con gli uomini e le donne di ogni Paese, razza, lingua,
cultura i cinquant'anni dell'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Sono pienamente cosciente che, indirizzandomi a questa distinta Assemblea, ho
l'opportunità di rivolgermi, in un certo senso, all'intera famiglia dei
popoli che vivono sulla terra. La mia parola, che vuol essere segno della stima
e dell'interesse della Sede Apostolica e della Chiesa Cattolica per questa Istituzione,
s'unisce volentieri alla voce di quanti vedono nell'ONU la speranza di un futuro
migliore per la società degli uomini.
Rivolgo un vivo ringraziamento, in primo luogo, al Segretario Generale, Dr.
Boutros Boutros-Ghali, per aver caldamente incoraggiato questa mia visita. Sono
poi grato a Lei, Signor Presidente, per il cordiale benvenuto con cui mi ha
accolto in questo altissimo Consesso. Saluto infine tutti voi, membri di questa
Assemblea Generale: vi sono riconoscente per la vostra presenza e per il vostro
gentile ascolto.
Sono oggi venuto tra voi col desiderio di offrire il mio contributo a quella
significativa meditazione sulla storia e sul ruolo di questa Organizzazione,
che non può non accompagnare e sostanziare la celebrazione dell'anniversario.
La Santa Sede, in forza della missione specificamente spirituale che la rende
sollecita del bene integrale di ogni essere umano, è stata sin dagli
inizi una convinta sostenitrice degli ideali e degli scopi dell'Organizzazione
delle Nazioni Unite. La finalità rispettiva e l'approccio operativo ovviamente
sono diversi, ma la comune preoccupazione per l'umana famiglia apre costantemente
davanti alla Chiesa ed all'ONU vaste aree di collaborazione. E' questa consapevolezza
che orienta ed anima la mia odierna riflessione: essa non si soffermerà
su specifiche questioni sociali, politiche od economiche, ma piuttosto sulle
conseguenze che gli straordinari cambiamenti intervenuti negli anni recenti
hanno per il presente ed il futuro dell'intera umanità.
Un comune patrimonio dell'umanità
2. Signore e Signori! Alle soglie di un nuovo millennio siamo
testimoni di una straordinaria e globale accelerazione di quella ricerca di
libertà che è una delle grandi dinamiche della storia dell'uomo.
Questo fenomeno non è limitato ad una singola parte del mondo, né
è l'espressione di una sola cultura. Al contrario, in ogni angolo della
terra uomini e donne, pur minacciati dalla violenza, hanno affrontato il rischio
della libertà, chiedendo che fosse loro riconosciuto uno spazio nella
vita sociale, politica ed economica a misura della loro dignità di persone
libere. Questa universale ricerca di libertà è davvero una delle
caratteristiche che contraddistinguono il nostro tempo.
Nella mia precedente visita alle Nazioni Unite, il 2 ottobre 1979, ebbi modo
di mettere in rilievo come la ricerca della libertà nel nostro tempo
abbia il suo fondamento in quei diritti universali di cui l'uomo gode per il
semplice fatto di essere tale. Fu proprio la barbarie registrata nei confronti
della dignità umana che portò l'Organizzazione delle Nazioni Unite
a formulare, appena tre anni dopo la sua costituzione, quella Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo che resta una delle più alte espressioni
della coscienza umana nel nostro tempo. In Asia ed in Africa, in America, in
Oceania ed in Europa, è a questa Dichiarazione che uomini e donne convinti
e coraggiosi si sono richiamati per dare forza alle rivendicazioni di una più
intensa partecipazione alla vita della società.
3. E' importante per noi comprendere ciò che potremmo chiamare la struttura
interiore di tale movimento mondiale. Proprio questo suo carattere planetario
ce ne offre una prima e fondamentale "cifra", confermando come vi
siano realmente dei diritti umani universali, radicati nella natura della persona,
nei quali si rispecchiano le esigenze obiettive e imprescindibili di una legge
morale universale. Ben lungi dall'essere affermazioni astratte, questi diritti
ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di ogni uomo
e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano anche che non viviamo in un mondo irrazionale
o privo di senso, ma che, al contrario vi è una logica morale che illumina
l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli.
Se vogliamo che un secolo di costrizione lasci spazio a un secolo di persuasione,
dobbiamo trovare la strada per discutere, con un linguaggio comprensibile e
comune, circa il futuro dell'uomo. La legge morale universale, scritta nel cuore
dell'uomo, è quella sorta di "grammatica" che serve al mondo
per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro.
Sotto tale profilo, è motivo di seria preoccupazione il fatto che oggi
alcuni neghino l'universalità dei diritti umani, così come negano
che vi sia una natura umana condivisa da tutti. Certo, non vi è un unico
modello di organizzazione politica ed economica della libertà umana,
poiché culture differenti ed esperienze storiche diverse danno origine,
in una società libera e responsabile, a differenti forme istituzionali.
Ma una cosa è affermare un legittimo pluralismo di "forme di libertà",
ed altra cosa è negare qualsiasi universalità o intelligibilità
alla natura dell'uomo o all'esperienza umana. Questa seconda prospettiva rende
estremamente difficile, se non addirittura impossibile, una politica internazionale
di persuasione.
Assumersi il rischio della libertà
4. Le dinamiche morali dell'universale ricerca della libertà
sono apparse chiaramente nell'Europa centrale ed orientale con le rivoluzioni
non violente del 1989. Quegli storici eventi, sviluppatisi in tempi e luoghi
determinati, hanno però offerto una lezione che va ben oltre i confini
di una specifica area geografica: le rivoluzioni non violente del 1989 hanno
dimostrato che la ricerca della libertà è un'esigenza insopprimibile,
che scaturisce dal riconoscimento dell'inestimabile dignità e valore
della persona umana, e non può non accompagnarsi all'impegno in suo favore.
Il totalitarismo moderno è stato, prima di ogni altra cosa, un assalto
alla dignità della persona, un assalto che è giunto persino alla
negazione del valore inviolabile della sua vita. Le rivoluzioni del 1989 sono
state rese possibili dall'impegno di uomini e donne coraggiosi, che s'ispiravano
ad una visione diversa e, in ultima analisi, più profonda e vigorosa:
la visione dell'uomo come persona intelligente e libera, depositaria di un mistero
che la trascende, dotata della capacità di riflettere e di scegliere
- e dunque capace di sapienza e di virtù. Decisiva, per la riuscita di
quelle rivoluzioni non violente, fu l'esperienza della solidarietà sociale:
di fronte a regimi sostenuti dalla forza della propaganda e del terrore, quella
solidarietà costituì il nucleo morale del "potere dei non
potenti", fu una primizia di speranza e resta un monito circa la possibilità
che l'uomo ha di seguire, nel suo cammino lungo la storia, la via delle più
nobili aspirazioni dello spirito umano.
Guardando oggi a quegli eventi da questo privilegiato osservatorio mondiale,
è impossibile non cogliere la coincidenza tra i valori che hanno ispirato
quei movimenti popolari di liberazione e molti degli impegni morali scritti
nella Carta delle Nazioni Unite: penso ad esempio all'impegno di "riaffermare
la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e valore della
persona umana"; come pure all'impegno di "promuovere il progresso
sociale e migliori condizioni di vita in una libertà più ampia"
(preamb.). I cinquantuno Stati che hanno fondato questa Organizzazione nel 1945
hanno veramente acceso una fiaccola, la cui luce può disperdere le tenebre
causate dalla tirannia - una luce che può indicare la via della libertà,
della pace e della solidarietà.
I diritti delle Nazioni
5. La ricerca della libertà nella seconda metà
del ventesimo secolo ha impegnato non soltanto gli individui ma anche le nazioni.
A cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale è importante
ricordare che quel conflitto venne combattuto a causa di violazioni dei diritti
delle nazioni. Molte di esse hanno tremendamente sofferto per la sola ragione
di essere considerate "altre". Crimini terribili furono commessi in
nome di dottrine infauste, che predicavano l'"inferiorità"
di alcune nazioni e culture. In un certo senso, si può dire che l'Organizzazione
delle Nazioni Unite nacque dalla convinzione che simili dottrine erano incompatibili
con la pace; e l'impegno della Carta di "salvare le future generazioni
dal flagello della guerra" (preamb.) implicava sicuramente l'impegno morale
di difendere ogni nazione e cultura da aggressioni ingiuste e violente.
Purtroppo, anche dopo la fine della seconda guerra mondiale i diritti delle
nazioni hanno continuato ad essere violati. Per fare solo alcuni esempi, gli
Stati Baltici ed ampi territori dell'Ucraina e della Bielorussia vennero assorbiti
dall'Unione Sovietica, come era già accaduto all'Armenia, all'Azerbajdzan
ed alla Georgia nel Caucaso. Contemporaneamente, le cosiddette "democrazie
popolari" dell'Europa centrale ed orientale persero di fatto la loro sovranità
e venne loro richiesto di sottomettersi alla volontà che dominava l'intero
blocco. Il risultato di questa divisione artificiale dell'Europa fu la "guerra
fredda", una situazione cioè di tensione internazionale in cui la
minaccia dell'olocausto nucleare rimaneva sospesa sulla testa dell'umanità.
Solo quando la libertà per le nazioni dell'Europa centrale ed orientale
venne ristabilita, la promessa di pace, che avrebbe dovuto arrivare con la fine
della guerra, cominciò a prendere forma reale per molte delle vittime
di quel conflitto.
6. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata nel 1948, ha
trattato in maniera eloquente dei diritti delle persone; ma non vi è
ancora un analogo accordo internazionale che affronti in modo adeguato i diritti
delle nazioni. Si tratta di una situazione che deve essere attentamente considerata,
per le urgenti questioni che solleva circa la giustizia e la libertà
nel mondo contemporaneo.
In realtà il problema del pieno riconoscimento dei diritti dei popoli
e delle nazioni si è presentato ripetutamente alla coscienza dell'umanità,
suscitando anche una notevole riflessione etico-giuridica. Penso al dibattito
svolto durante il Concilio di Costanza nel XV secolo, quando i rappresentanti
dell'Accademia di Cracovia, capeggiati da Pawel Wlodkowic, difesero coraggiosamente
il diritto all'esistenza ed all'autonomia di certe popolazioni europee. Anche
più nota è la riflessione avviata, in quella medesima epoca, dall'Università
di Salamanca nei confronti dei popoli del nuovo mondo. Nel nostro secolo, poi,
come non ricordare la parola profetica del mio predecessore Benedetto XV, che
nel corso della prima guerra mondiale ricordava a tutti che "le nazioni
non muoiono", e invitava "a ponderare con serena coscienza i diritti
e le giuste aspirazioni dei popoli" (Ai popoli ora belligeranti ed ai loro
capi, 28 luglio 1915)?
7. Oggi, il problema delle nazionalità si colloca in un nuovo orizzonte
mondiale, caratterizzato da una forte "mobilità", che rende
gli stessi confini etnico-culturali dei vari popoli sempre meno marcati, sotto
la spinta di molteplici dinamismi come le migrazioni, i mass media, e la mondializzazione
dell'economia. Eppure, proprio in questo orizzonte di universalità vediamo
riemergere con forza l'istanza dei particolarismi etnico-culturali, quasi come
un bisogno prorompente di identità e di sopravvivenza, una sorta di contrappeso
alle tendenze omologanti. E' un dato che non va sottovalutato, quasi fosse semplice
residuo del passato; esso chiede piuttosto di essere decifrato, per una riflessione
approfondita sul piano antropologico ed etico-giuridico.
Questa tensione tra particolare ed universale, infatti, si può considerare
immanente all'essere umano. In forza della comunanza di natura, gli uomini sono
spinti a sentirsi, quali sono, membri di un'unica grande famiglia. Ma per la
concreta storicità di questa stessa natura, essi sono necessariamente
legati in modo più intenso a particolari gruppi umani; innanzitutto la
famiglia, poi i vari gruppi di appartenenza, fino all'insieme del rispettivo
gruppo etnico-culturale, che non a caso, indicato col termine "nazione",
evoca il "nascere", mentre, additato col termine "patria"
("fatherland"), richiama la realtà della stessa famiglia. La
condizione umana è posta così tra questi due poli - l'universalità
e la particolarità - in tensione vitale tra loro; una tensione inevitabile,
ma singolarmente feconda, se vissuta con sereno equilibrio.
8. E' su questo fondamento antropologico che poggiano anche i "diritti
delle nazioni", che altro non sono se non i "diritti umani" colti
a questo specifico livello della vita comunitaria. Una riflessione su questi
diritti è certo non facile, tenuto conto della difficoltà di definire
il concetto stesso di "nazione", che non si identifica a priori e
necessariamente con lo Stato. E' tuttavia una riflessione improrogabile, se
si vogliono evitare gli errori del passato, e provvedere a un giusto ordine
mondiale.
Presupposto degli altri diritti di una nazione è certamente il suo diritto
all'esistenza: nessuno, dunque - né uno Stato, né un'altra nazione,
né un'organizzazione internazionale - è mai legittimato a ritenere
che una singola nazione non sia degna di esistere. Questo fondamentale diritto
all'esistenza non necessariamente esige una sovranità statuale, essendo
possibili diverse forme di aggregazione giuridica tra differenti nazioni, come
ad esempio capita negli Stati federali, nelle Confederazioni, o in Stati caratterizzati
da larghe autonomie regionali. Possono esserci circostanze storiche in cui aggregazioni
diverse dalla singola sovranità statuale possono risultare persino consigliabili,
ma a patto che ciò avvenga in un clima di vera libertà, garantita
dall'esercizio dell'autodeterminazione dei popoli. Il diritto all'esistenza
implica naturalmente, per ogni nazione, anche il diritto alla propria lingua
e cultura, mediante le quali un popolo esprime e promuove quella che direi la
sua originaria "sovranità" spirituale. La storia dimostra che
in circostanze estreme (come quelle che si sono viste nella terra in cui sono
nato), è proprio la sua stessa cultura che permette ad una nazione di
sopravvivere alla perdita della propria indipendenza politica ed economica.
Ogni nazione ha conseguentemente anche diritto di modellare la propria vita
secondo le proprie tradizioni, escludendo, naturalmente, ogni violazione dei
diritti umani fondamentali e, in particolare, l'oppressione delle minoranze.
Ogni nazione ha il diritto di costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni
più giovani un'appropriata educazione.
Ma se i "diritti della nazione" esprimono le vitali esigenze della
"particolarità", non è meno importante sottolineare
le esigenze dell'universalità, espresse attraverso una forte coscienza
dei doveri che le nazioni hanno nei confronti delle altre e dell'intera umanità.
Primo fra tutti è certamente il dovere di vivere in atteggiamento di
pace, di rispetto e di solidarietà con le altre nazioni. In tal modo
l'esercizio dei diritti delle nazioni, bilanciato dall'affermazione e dalla
pratica dei doveri, promuove un fecondo "scambio di doni", che rafforza
l'unità tra tutti gli uomini.
Il rispetto delle differenze
9. Nei trascorsi diciassette anni, durante i miei pellegrinaggi
pastorali tra le comunità della Chiesa cattolica, ho potuto entrare in
dialogo con la ricca diversità di nazioni e di culture d'ogni parte del
mondo. Purtroppo, il mondo deve ancora imparare a convivere con la diversità,
come i recenti eventi nei Balcani e nell'Africa centrale ci hanno dolorosamente
ricordato. La realtà della "differenza" e la peculiarità
dell'"altro" possono talvolta essere sentite come un peso, o addirittura
come una minaccia. Amplificata da risentimenti di carattere storico ed esacerbata
dalle manipolazioni di personaggi senza scrupoli, la paura della "differenza"
può condurre alla negazione dell'umanità stessa dell'"altro",
con il risultato che le persone entrano in una spirale di violenza dalla quale
nessuno - nemmeno i bambini - viene risparmiato. Situazioni di questo genere
sono oggi a noi ben note, ed il mio cuore e le mie preghiere si rivolgono in
questo istante in modo speciale alle sofferenze delle martoriate popolazioni
della Bosnia Erzegovina.
Per amara esperienza, pertanto, noi sappiamo che la paura della "differenza",
specialmente quando si esprime mediante un angusto ed escludente nazionalismo
che nega qualsiasi diritto all'"altro", può condurre ad un
vero incubo di violenza e di terrore. E tuttavia, se ci sforziamo di valutare
le cose con obiettività, noi siamo in grado di vedere che, al di là
di tutte le differenze che contraddistinguono gli individui e i popoli, c'è
una fondamentale comunanza, dato che le varie culture non sono in realtà
che modi diversi di affrontare la questione del significato dell'esistenza personale.
E proprio qui possiamo identificare una fonte del rispetto che è dovuto
ad ogni cultura e ad ogni nazione: qualsiasi cultura è uno sforzo di
riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo
di dare espressione alla dimensione trascendente della vita umana. Il cuore
di ogni cultura è costituito dal suo approccio al più grande dei
misteri: il mistero di Dio.
10. Pertanto, il nostro rispetto per la cultura degli altri è radicato
nel nostro rispetto per il tentativo che ogni comunità compie per dare
risposta al problema della vita umana. In tale contesto ci è possibile
constatare quanto importante sia preservare il diritto fondamentale alla libertà
di religione e alla libertà di coscienza, quali pilastri essenziali della
struttura dei diritti umani e fondamento di ogni società realmente libera.
A nessuno è permesso di soffocare tali diritti usando il potere coercitivo
per imporre una risposta al mistero dell'uomo.
Estraniarsi dalla realtà della diversità - o, peggio, tentare
di estinguere quella diversità - significa precludersi la possibilità
di sondare le profondità del mistero della vita umana. La verità
sull'uomo è l'immutabile criterio con cui tutte le culture vengono giudicate;
ma ogni cultura ha qualcosa da insegnare circa l'una dimensione o l'altra di
quella complessa verità. Pertanto la "differenza", che alcuni
trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso,
la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell'esistenza
umana.
11. In tale contesto occorre chiarire il divario essenziale tra una insana forma
di nazionalismo, che predica il disprezzo per le altre nazioni o culture, ed
il patriottismo, che è invece il giusto amore per il proprio paese d'origine.
Un vero patriottismo non cerca mai di promuovere il bene della propria nazione
a discapito di altre. Ciò infatti finirebbe per recare danno anche alla
propria nazione, producendo effetti deleteri sia per l'aggressore che per la
vittima. Il nazionalismo, specie nelle sue espressioni più radicali,
è pertanto in antitesi col vero patriottismo, ed oggi dobbiamo adoperarci
per far sì che il nazionalismo esasperato non continui a riproporre in
forme nuove le aberrazioni del totalitarismo. E' impegno che vale, ovviamente,
anche quando si assumesse, quale fondamento del nazionalismo, lo stesso principio
religioso, come purtroppo avviene in certe manifestazioni del cosiddetto "fondamentalismo".
Libertà e verità morale
12. Signore e Signori! La libertà è la misura della
dignità e della grandezza dell'uomo. Vivere la libertà che individui
e popoli ricercano, è una grande sfida per la crescita spirituale dell'uomo
e per la vitalità morale delle nazioni. La questione fondamentale, che
tutti oggi dobbiamo affrontare, è quella dell'uso responsabile della
libertà, sia nella sua dimensione personale che in quella sociale. Occorre
dunque che la nostra riflessione si porti sulla questione della struttura morale
della libertà, che è l'architettura interiore della cultura della
libertà.
La libertà non è semplicemente assenza di tirannia o di oppressione,
né è licenza di fare tutto ciò che si vuole. La libertà
possiede una "logica" interna che la qualifica e la nobilita: essa
è ordinata alla verità e si realizza nella ricerca e nell'attuazione
della verità. Staccata dalla verità della persona umana, essa
scade, nella vita individuale, in licenza e, nella vita politica, nell'arbitrio
dei più forti e in arroganza del potere. Perciò, lungi dall'essere
una limitazione o una minaccia alla libertà, il riferimento alla verità
sull'uomo, - verità universalmente conoscibile attraverso la legge morale
inscritta nel cuore di ciascuno - è, in realtà, la garanzia del
futuro della libertà.
13. In questa luce si capisce come l'utilitarismo, dottrina che definisce la
moralità non in base a ciò che è buono ma in base a ciò
che reca vantaggio, sia una minaccia alla libertà degli individui e delle
nazioni, ed impedisca la costruzione di una vera cultura della libertà.
Esso ha risvolti politici spesso devastanti, perché ispira un nazionalismo
aggressivo, in base al quale il soggiogare, ad esempio, una nazione più
piccola o più debole è contrabbandato come un bene solo perché
risponde agli interessi nazionali. Non meno gravi sono gli esiti dell'utilitarismo
economico, che spinge i paesi più forti a condizionare e a sfruttare
i più deboli.
Sovente queste due forme di utilitarismo vanno di pari passo, ed è un
fenomeno che ha largamente caratterizzato le relazioni tra il "Nord"
e il "Sud" del mondo. Per le nazioni in via di sviluppo il raggiungimento
dell'indipendenza politica è stato troppo spesso accompagnato da una
situazione pratica di dipendenza economica da altri Paesi. Si deve sottolineare
che, in alcuni casi, le aree in via di sviluppo hanno sofferto addirittura un
regresso tale che alcuni Stati mancano dei mezzi per sopperire ai bisogni essenziali
dei loro popoli. Simili situazioni offendono la coscienza dell'umanità
e pongono una formidabile sfida morale all'umana famiglia. Affrontare questa
sfida ovviamente richiede dei cambiamenti sia nelle nazioni in via di sviluppo
che in quelle economicamente più progredite. Se le prime sapranno offrire
sicure garanzie di corretta gestione delle risorse e degli aiuti, nonché
di rispetto dei diritti umani, sostituendo dove occorra, forme di governo ingiuste,
corrotte o autoritarie con altre di tipo partecipativo e democratico, non è
forse vero che libereranno in questo modo le energie civili ed economiche migliori
della propria gente? E i paesi già sviluppati, da parte loro, non dovranno
forse maturare, in questa prospettiva, atteggiamenti sottratti a logiche puramente
utilitaristiche e improntati a sentimenti di maggiore giustizia e solidarietà?
Sì, illustri Signore e Signori! E' necessario che sulla scena economica
internazionale si imponga un'etica della solidarietà, se si vuole che
la partecipazione, la crescita economica, ed una giusta distribuzione dei beni
possano caratterizzare il futuro dell'umanità. La cooperazione internazionale,
invocata dalla Carta delle Nazioni Unite "per risolvere problemi internazionali
di carattere economico, sociale, culturale o umanitario" (art. 1,3), non
può essere pensata esclusivamente in termini di aiuto e di assistenza,
o addirittura mirando ai vantaggi di ritorno per le risorse messe a disposizione.
Quando milioni di persone soffrono la povertà -che significa fame, malnutrizione,
malattia, analfabetismo e degrado- dobbiamo non solo ricordare a noi stessi
che nessuno ha il diritto di sfruttare l'altro per il proprio tornaconto, ma
anche e soprattutto riaffermare il nostro impegno a quella solidarietà
che consente ad altri di vivere, nelle concrete circostanze economiche e politiche,
quella creatività che è una caratteristica distintiva della persona
umana e che rende possibile la ricchezza delle nazioni.
Le Nazioni Unite e il futuro della libertà
14. Di fronte a queste enormi sfide, come non riconoscere il
ruolo che spetta all'Organizzazione delle Nazioni Unite? A cinquant'anni dalla
sua istituzione, se ne vede ancor più la necessità, ma si vede
anche meglio, in base all'esperienza compiuta, che l'efficacia di questo massimo
strumento di sintesi e coordinamento della vita internazionale dipende dalla
cultura e dall'etica internazionale che esso sottende ed esprime. Occorre che
l'Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stadio
freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, in cui
tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza
di essere, per così dire, una "famiglia di nazioni". Il concetto
di "famiglia" evoca immediatamente qualcosa che va al di là
dei semplici rapporti funzionali o della sola convergenza di interessi. La famiglia
è, per sua natura, una comunità fondata sulla fiducia reciproca,
sul sostegno vicendevole, sul rispetto sincero. In un'autentica famiglia non
c'è il dominio dei forti; al contrario, i membri più deboli sono,
proprio per la loro debolezza, doppiamente accolti e serviti.
Sono questi, trasposti al livello della "famiglia delle nazioni",
i sentimenti che devono intessere, prima ancora del semplice diritto, le relazioni
fra i popoli. L'ONU ha il compito storico, forse epocale, di favorire questo
salto di qualità della vita internazionale, non solo fungendo da centro
di efficace mediazione per la soluzione dei conflitti, ma anche promuovendo
quei valori, quegli atteggiamenti e quelle concrete iniziative di solidarietà
che si rivelano capaci di elevare i rapporti tra le nazioni dal livello "organizzativo"
a quello, per così dire, "organico", dalla semplice "esistenza
con" alla "esistenza per" gli altri, in un fecondo scambio di
doni, vantaggioso innanzitutto per le nazioni più deboli, ma in definitiva
foriero di benessere per tutti.
15. Solo a questa condizione si avrà il superamento non soltanto delle
"guerre guerreggiate", ma anche delle "guerre fredde"; non
solo l'eguaglianza di diritto tra tutti i popoli, ma anche la loro attiva partecipazione
alla costruzione di un futuro migliore; non solo il rispetto delle singole identità
culturali, ma la loro piena valorizzazione, come ricchezza comune del patrimonio
culturale dell'umanità. Non è forse questo l'ideale additato dalla
Carta delle Nazioni Unite, quando pone a fondamento dell'Organizzazione "il
principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri" (art.2,1),
o quando la impegna a "sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli,
fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione"
(art. 1,2)? E' questa la strada maestra che chiede di essere percorsa fino in
fondo, anche con opportune modifiche, se necessario, del modello operativo delle
Nazioni Unite, per tener conto di quanto è avvenuto in questo mezzo secolo,
con l'affacciarsi di tanti nuovi popoli all'esperienza della libertà
nella legittima aspirazione ad "essere" e "contare" di più.
Non sembri, tutto questo, un'utopia irrealizzabile. E' l'ora di una nuova speranza,
che ci chiede di togliere l'ipoteca paralizzante del cinismo dal futuro della
politica e della vita degli uomini. Ci invita a questo proprio l'anniversario
che stiamo celebrando, riconsegnandoci, con l'idea delle "nazioni unite",
un'idea che parla eloquentemente di mutua fiducia, di sicurezza e di solidarietà.
Ispirati dall'esempio di quanti si sono assunti il rischio della libertà,
potremmo noi non accogliere anche il rischio della solidarietà, e pertanto
il rischio della pace?
Oltre la paura: la civiltà dell'amore
16. Uno dei maggiori paradossi del nostro tempo è che
l'uomo, il quale ha iniziato il periodo che chiamiamo della "modernità"
con una fiduciosa asserzione della propria "maturità" ed "autonomia",
si avvicina alla fine del secolo ventesimo timoroso di se stesso, impaurito
da ciò che egli stesso è in grado di fare, impaurito dal futuro.
In realtà, la seconda metà del secolo ventesimo ha visto il fenomeno
senza precedenti di un'umanità incerta riguardo alla possibilità
stessa di un futuro, data la minaccia della guerra nucleare. Quel pericolo,
grazie a Dio, sembra essersi allontanato, - ed occorre rimuovere con fermezza,
a livello universale, quanto lo può riavvicinare, se non riattivare -
ma rimane tuttavia la paura per il futuro e del futuro.
Perché il millennio ormai alle porte possa essere testimone di una nuova
fioritura dello spirito umano, favorita da un'autentica cultura della libertà,
l'umanità deve apprendere a vincere la paura. Dobbiamo imparare a non
avere paura, riconquistando uno spirito di speranza e di fiducia. La speranza
non è fatuo ottimismo, dettato dall'ingenua fiducia che il futuro sia
necessariamente migliore del passato. Speranza e fiducia sono la premessa di
una responsabile operosità e trovano alimento nell'intimo santuario della
coscienza, là dove "l'uomo si trova solo con Dio" (Cost. past.
Gaudium et spes, 16), e per ciò stesso intuisce di non essere solo tra
gli enigmi dell'esistenza, perché accompagnato dall'amore del Creatore!
Speranza e fiducia potrebbero sembrare argomenti che vanno oltre gli scopi delle
Nazioni Unite. In realtà non è così, poiché le azioni
politiche delle nazioni, argomento principale delle preoccupazioni della vostra
Organizzazione, chiamano sempre in causa anche la dimensione trascendente e
spirituale dell'esperienza umana, e non potrebbero ignorarla senza recar danno
alla causa dell'uomo e della libertà umana. Tutto ciò che sminuisce
l'uomo reca danno alla causa della libertà. Per ricuperare la nostra
speranza e la nostra fiducia al termine di questo secolo di sofferenze, dobbiamo
riguadagnare la visione di quell'orizzonte trascendente di possibilità
al quale tende lo spirito umano.
17. Come cristiano, poi, non posso non testimoniare che la mia speranza e la
mia fiducia si fondano su Gesù Cristo, i cui duemila anni dalla nascita
saranno celebrati all'alba del nuovo millennio. Noi cristiani crediamo che,
nella sua Morte e Risurrezione, sono stati pienamente rivelati l'amore di Dio
e la sua sollecitudine per tutta la creazione. Gesù Cristo è per
noi Dio fatto uomo, calato nella storia dell'umanità. Proprio per questo
la speranza cristiana nei confronti del mondo e del suo futuro si estende ad
ogni persona umana: nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco
nel cuore dei cristiani. La fede in Cristo non ci spinge all'intolleranza, al
contrario ci obbliga a intrattenere con gli altri uomini un dialogo rispettoso.
L'amore per Cristo non ci sottrae all'interesse per gli altri, ma piuttosto
ci invita a preoccuparci di loro, senza escludere nessuno, e privilegiando semmai
i più deboli e sofferenti. Pertanto, mentre ci avviciniamo al bimillenario
della nascita di Cristo, la Chiesa altro non domanda che di poter proporre rispettosamente
questo messaggio della salvezza, e di poter promuovere in spirito di carità
e di servizio, la solidarietà dell'intera famiglia umana.
Signore e Signori! Sono di fronte a voi, come il mio predecessore Papa Paolo
VI esattamente trent'anni fa, non come uno che ha potere temporale - sono sue
parole - né come un leader religioso che invoca speciali privilegi per
la sua comunità. Sono qui davanti a voi come un testimone: un testimone
della dignità dell'uomo, un testimone di speranza, un testimone della
convinzione che il destino di ogni nazione riposa nelle mani di una misericordiosa
Provvidenza.
18. Dobbiamo vincere la nostra paura del futuro. Ma non potremo vincerla del
tutto, se non insieme. La "risposta" a quella paura non è la
coercizione, né la repressione o l'imposizione di un unico "modello"
sociale al mondo intero. La risposta alla paura che offusca l'esistenza umana
al termine del secolo ventesimo è lo sforzo comune per costruire la civiltà
dell'amore, fondata sui valori universali della pace, della solidarietà,
della giustizia e della libertà. E l'"anima" della civiltà
dell'amore è la cultura della libertà: la libertà degli
individui e delle nazioni, vissuta in una solidarietà e responsabilità
oblative.
Non dobbiamo avere timore del futuro. Non dobbiamo avere paura dell'uomo. Non
è un caso che noi ci troviamo qui. Ogni singola persona è stata
creata ad "immagine e somiglianza" di Colui che è l'origine
di tutto ciò che esiste. Abbiamo in noi la capacità di sapienza
e di virtù. Con tali doni, e con l'aiuto della grazia di Dio, possiamo
costruire nel secolo che sta per giungere e per il prossimo millennio una civiltà
degna della persona umana, una vera cultura della libertà. Possiamo e
dobbiamo farlo! E, facendolo, potremo renderci conto che le lacrime di questo
secolo hanno preparato il terreno ad una nuova primavera dello spirito umano.