Il commercio internazionale delle armi
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE DELLE ARMI
(Una riflessione etica - Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace)
INDICE
INTRODUZIONE
Un fenomeno di vasta portata pag. 1
L'incertezza dei tempi presenti pag. 2
È in gioco la pace pag. 2
PRINCIPI ETICI GENERALI
No alla guerra pag. 3
Il diritto alla legittima difesa pag. 4
Il dovere di aiutare l'innocente pag. 4
Il principio della sufficienza pag. 4
Le armi non sono come gli altri beni pag. 4
RESPONSABILITÀ DEGLI STATI ESPORTATORI
Un'esportazione contestabile pag. 5
Interessi economici in gioco pag. 5
La competenza dello Stato
nella regolamentazione del fenomeno pag. 6
La responsabilità dell'industria degli armam. pag. 6
Il numero dei fabbricanti di armi
continua a crescere pag. 7
RESPONSABILITÀ DEGLI STATI DESTINATARI
Il primato dei bisogni delle popolazioni pag. 7
Perché importare armi? pag. 8
Ricevere armi impegna la responsabilità
dello Stato pag. 8
ALCUNE SITUAZIONI DIUFICILI
La fornitura di armi a regimi autoritari pag. 8
Governi riforniti fraudolentemente di armi pag. 9
La fornitura di armi agli Stati in conflitto pag. 9
La fornitura di armi a gruppi non statali pag. 9
VERSO LA REGOLAMENTAZIONE
INTERNAZIONALE DEL TRASFERIMENTO
Non basta controllare il trasferim. delle armi pag.10
Iniziative da sostenere pag.11
Verso strutture internazionali di pace pag.12
Fare opera di pace pag.13
INTRODUZIONE
Un fenomeno di vasta portata
1. In questi ultimi decenni del ventesimo secolo, sconvolgimenti di grande ampiezza
hanno
scosso il mondo nel campo politico. sociale ed economico. In seguito a queste
profonde e spesso
radicali trasformazioni, alcuni vecchi problemi sono riemersi con rinnovata
intensità. Tra questi, il
problema del trasferimento delle armi
Questo trasferimento ha conseguenze multiformi e spesso nefaste. Infatti. a
parte l'impiego
occasionale di armi chimiche. tutte le guerre scoppiate dopo il 1945 sono state
combattute con armi
convenzionali. Inoltre, il trasferimento delle armi comporta enormi interessi
commerciali che
esercitano notevole influenza sui governi. Esistono anche trafficanti di armi
che cercano soltanto di
arricchirsi e che talvolta allacciano legami con la criminalità organizzata
o con gruppi terroristici.
2. Nella maggior parte dei casi, il trasferimento delle armi avviene da uno
Stato a un altro.
Perciò la responsabilità prima della sua regolamentazione e del
suo controllo compete agli Stati.
Tuttavia, per quanto urgenti e indispensabili siano i mezzi nazionali di controllo,
essi rimangono
insufficienti, perché il fenomeno è, di sua natura, transnazionale.
Esistono trattati internazionali che
proibiscono il trasferimento delle armi biologiche, chimiche e nucleari 2, ma
non esistono
disposizioni simili che regolino il trasferimento delle armi classiche. I governi
e le organizzazioni
internazionali hanno preso coscienza di questa carenza da lungo tempo.
3. Non esiste una definizione accettata universalmente di ciò che si
intende esattamente con i
termini "trasferimento di armi", o "commercio di armi",
che rappresenta una delle modalità del
trasferimento. Nella loro accezione stretta, i due termini si applicano ai sistemi
di armi pesanti e alle
loro munizioni, ai vettori militari e ai pezzi di ricambio. lì trasferimento
di tecnologie a dupli ce uso,
cioè militare e civile nello stesso tempo. pone problemi nuovi, e così
pure la comunicazione delle conoscenze, cioè del "know how"
legato direttamente alla produzione, all'ammodernamento, al
funzionamento o alla riparazione di questi sistemi di armi. Un altro aspetto
importante, che spesso
passa sotto silenzio in questo quadro complesso, è quello degli accordi
di cooperazione che mettono a
disposizione dei paesi importatori specialisti incaricati dell'addestramento
del personale per l'uso e la
manutenzione dei moderni sistemi di armi
4. Poiché non tutte le armi sono commercializzate, negli ambienti internazionali
si parla
piuttosto del loro trasferimento. Infatti, gli Stati possono procurarsi armi
in molti modi, per esempio
sotto forma di aiuto militare, di dono. di scambio di beni, oppure attraverso
la modifica o
l'ammodernamento dei sistemi di armi che già possiedono o attraverso
la scappatoia della produzione
locale su licenza.
5. E difficile determinare l'ampiezza esatta del trasferimento delle armi a
causa della mancanza
di informazioni precise. Talvolta i governi invocano ragioni di sicurezza o
di concorrenza economica
per giustificare la loro reticenza nel fornire indicazioni dettagliate sulle
loro esportazioni o
importazioni di armi. Altre volte, il segreto è dovuto alla natura dubbia
o alla legalità contestabile di
certe transazioni. Perciò le cifre fornite dai governi, come pure le
valutazioni degli organismi specializzati,
sono viziate da un considerevole margine di errore. Queste cifre servono tuttavia
come utili
indicatori per identificare i principali fornitori e destinatari dei grandi
sistemi di armi e per
individuare le tendenze globali.
L'incertezza dei tempi presenti
6. lì crollo dei 1egimi totalitari nell'Europa orientale e centrale ha
fatto riaffiorare sentimenti
nazionalisti e antagonismi etnici latenti. Molto spesso sono scoppiati conflitti
armati che
intensificano tragicamente la domanda di armi. Tuttavia, la spinta violenta
del particolarismo
nazionale ed etnico non è circoscritta ad una regione geografica determinata,
ma è una triste
caratteristica dell'epoca attuale. In molte regioni del mondo, intere popolazioni
sono crudelmente
afflitte da guerre intestine, nelle quali sembra che le opposte fazioni possano
ottenere tutte le armi di
cui hanno bisogno, non soltanto per difendersi, ma anche per attaccare e contrattaccare,
in una
interminabile spirale di violenza. In certi casi, l'autorità politica
è venuta meno e, di conseguenza,
sorge la questione di sapere chi può e deve intervenire per proteggere
le vittime innocenti e per
mettere fine ai conflitti tra fazioni rivali.
7. ~ smantellamento del sistema dei blocchi in Europa ha anche aumentato la
quantità di armi
potenzialmente disponibili. da parte delle immense scorte di armi dell'Europa
orientale e centrale si è
riversata sul mercato, apertamente o clandestinamente, sovente a prezzi di svendita
e quasi
indiscriminatamente riguardo ai destinatari. lì Trattato sulla riduzione
delle forze convenzionali in
Europa (CEE), entrato in vigore nel 1992, aveva fissato i limiti massimi per
cinque categorie di armi
e aveva imposto la distruzione. o, in un numero limitato di casi, la riconversione
ad uso civile delle
armi la cui quantità superava questo limite massimo. Tuttavia, il meccanismo
di riduzione di queste
armi è stato appena avviato e occorreranno anni prima che sia di strutto
il materiale militare cui
mirava il Trattato CEE. Il controllo effettivo di questo processo e estremamente
difficile.
8. In molti Stati del mondo occidentale, la stagnazione economica e la tino
della minaccia di
guerra tra i due blocchi si sono tradotte in una riduzione della cifra di bilancio
destinata alle spese
militari. Ne è derivata una crisi nell'industria degli armamenti che
non ha fatto che intensificare le
pressioni economiche per vendere armi e cercare nuovi sbocchi alfine di conservar
e la capacità di
ricerca e di sviluppo e la vitalità dell'industria militare. Attraverso
queste vendite, alcuni paesi
dell'Europa orientale e centrale cercano di ottenere le divise forti di cui
hanno grandemente bisogno
per far fronte ai problemi sociali ed economici che li assillano. D'altra parte.
a partire dagli anni '60,
il numero dei produttori di armi è aumentato considerevolmente, soprattutto
nel Terzo Mondo. Ne è
derivato un aumento della competizione al quale attualmente tutti i produttori
devono far fronte.
9. In questi ultimi anni, sembra profilarsi una diminuzione globale del trasferimento
delle armi.
La nuova configurazione politica Est-Ovest, la crisi economica, il debito estero
e una certa
saturazione del mercato sono i fattori che contribuiscono a questa evoluzione.
Tuttavia, nulla indica
che questo calo rappresenti una tendenza consolidata e duratura.
È in gioco la pace
10. Malgrado queste numerose incertezze e complessità, oggi si presentano
nuove opportunità per
affrontare direttamente il problema del trasferimento delle armi. Tra le altre,
in diverso parti del
mondo si manifesta una promettente tendenza verso l'instaurazione o il consolidamento
di regimi
democratici, e ciò crea una buona base per il rafforzamento di relazioni
pacifiche all'interno degli
Stati e per l'accrescimento della fiducia reciproca. Sembra anche che si stia
affermando uno spirito di
collaborazione tra gli Stati attraverso la creazione o il rafforzamento di raggruppamenti
di Stati a
livello regionale. Parallelamente e malgrado tutte le difficoltà che
ciò può comportare, i governi sono
più inclini a rivolgersi alle grandi organizzazioni internazionali per
affrontare insieme i problemi
internazionali con i quali devono cimentarsi.
11. Tuttavia, rimangono ancora enormi difficoltà per scongiurare questo
problema, perché ogni
trasferimento d'armi è, in un certo senso, unico. Esso avviene in un
contesto molto preciso: da tale
paese a tal altro, ognuno con proprie caratteristiche sociali, politiche ed
economi che. Perciò, non è
sufficiente esaminare il fenomeno semplicemente in termini di quantità
o di costi; devono
necessariamente essere presi in considerazione anche i fattori qualitativi.
12. Oggi, vi è un aumento dell'interesse in favore di un controllo internazionale
del trasferimento
delle armi, dovuto in parte al fatto che l'opinione pubblica si è fatta
più attenta. D'altra parte,
molteplici istanze regionali e internazionali sono investite della questione.
Bisogna saper approfittare
di questa congiuntura favorevole per regolamentare effettivamente questo fenomeno
e ridurlo
radicalmente. Infatti. il trasferimento delle armi pone gravi problemi morali
che è necessario
affrontare lucidamente.
PRINCIPI ETICI GENERALI
1. Nessun trasferimento di armi è moralmente indifferente.
Al contrario, ognuno chiama in causa
tutta una serie di interessi politici, strategici ed economici che talvolta
convergono, tal'altra
divergono, ma che comportano sempre conseguenze morali specifiche. La liceità
del trasferimento -
sia mediante la vendita e l'acquisto, che mediante qualsiasi altra modalità
- può essere valutata
soltanto prendendo in considerazione tutti i fattori che lo condizionano.
2. Ogni trasferimento deve, perciò, essere sottoposto a un giudizio rigoroso,
effettuato secondo
criteri morali ben precisi. Esistono tuttavia alcuni principi etici di ordine
generale che permettono di
fissare il quadro entro il quale si situano i criteri concernenti più
direttamente i paesi esportatori o
quelli destinatari. Questi principi generali si applicano a tutti, con tutte
le sfumature necessarie.
No alla guerra
3. Nel 1965, nel suo discorso all'Assemblea Generale della Organizzazione delle
Nazioni Unite,
Paolo VI, pienamente consapevole della gravità del suo Messaggio, ha
pronunciato queste parole:
Non gli uni contro gli altri, non più, non mai!... non più la
guerra, non più la guerra! La pace, la
pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità! 4
Disgraziatamente, malgrado questo appello, continuano le guerre, i conflitti
interni, le guerriglie,
le azioni terroristiche. Perciò, lunghi anni di lotte, sovente ignorate
o coperte dal silenzio, non hanno
fatto che confermare la validità di questo appello. Bisogna ripeterlo,
come Giovanni Paolo lì ha fatto
recentemente davanti all'orrore della guerra in Bosnia-Erzegovina5, e come non
cessa di fare di
fronte alle vittime di interessi nazionalistici, etnici o tribali, di fronte
ai rifugiati sballottati da una
parte all altra a capriccio dei combattimenti: non più la guerra, non
più la guerra.
La guerra non è la soluzione dei problemi politici, economici o sociali6:
"Nulla si risolve con la
guerra; tutto è anzi, dalla guerra seriamente compromesso"7 . La
guerra rappresenta, infatti, il
declino di tutta l'umanità 8.
4. D'altronde, gli stessi Stati hanno riconosciuto da molto tempo l'inutilità
della guerra e hanno
tentato, sfortunatamente senza successo, di interdire qualsiasi ricorso alle
armi per la soluzione dei
conflitti9. Di fronte alla ferocia dei combattimenti odierni, bisogna raddoppiare
urgentemente gli
sforzi per spezzare la logica della guerra. Tutti devono partecipare a questo
sforzo; tutti devono
pronunciare insieme questo no alla guerra; tutti i cittadini e tutti i governanti
sono tenuti ad
adoperarsi per evitare le guerre >. E sempre alla luce di questo no che si
deve valutare la moralità del
trasferimento delle armi.
Il diritto alla legittima difesa
5. In un mondo segnato dal male e dal peccato, esiste il diritto alla legittima
difesa mediante le
armi . Questo diritto può diventare un grave dovere per chi è
responsabile della vita di altri, del bene
comune della famiglia o della comunità civile 2 Soltanto questo diritto
può giustificare il possesso o
il trasferimento delle armi. Non è tuttavia un diritto assoluto; esso
è accompagnato dal dovere di fare
il possibile per ridurre al minimo, fino ad eliminarle, le cause della violenza.
6. C'è un'esigenza altrettanto grave: Il rispetto e lo sviluppo della
vita umana richiedono la pace>.
Per assicurare al proprio popolo questo bene della pace, lo Stato non può
accontentarsi di provvedere
alla propria difesa. Lo Stato, insieme con tutti i suoi cittadini, ha anche
l'obbligo imperioso di
adoperarsi per garantire le condizioni della pace, non soltanto sul proprio
territorio ma in tutto il
mondo 14.
Il dovere di aiutare l'innocente
7. Oggi comincia a definirsi un dovere permanente: quello di aiutare le vittime
innocenti che sono
incapaci di difendersi dalle terribili conseguenze dei conflitti, come la fame
e le malattie. Il mondo
attuale rimane paralizzato davanti alla sofferenza di migliaia di innocenti,
vittime di interessi ai quali
essi sovente sono estranei. Sono queste tragedie che fanno sorgere il problema
del dovere di
intervenire in favore di popolazioni che non hanno i mezzi per assicurarsi la
sussi stenza:
Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici,
i processi previsti dalle
convenzioni e dalle organizzazioni internazionali siano stati messi in atto,
e che, nonostante questo,
delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto
aggressore, gli Stati
non hanno più il "diritto all'indifferenza". Sembra proprio
che il loro dovere sia di disarmare questo
aggressore, se tutti gli altri mezzi si sono rivelati inefficaci. I principi
della sovranità degli Stati e
della non-ingerenza nei loro affari interni - che conservano tutto il loro valore
- non devono tuttavia
costituire un paravento dietro il quale si possa torturare e assassinare. E
di questo, infatti, che si
tratta. Certo, i giuristi dovranno studiare ancora questa nuova realtà
e definirne I contorni
8. Infatti, la definizione del diritto dei popoli a un'assistenza umanitaria
potrebbe condurre a una
nuova formulazione del concetto di sovranità. Senza ledere questo principio,
si deve trovare il modo
di poter difendere le persone. ovunque si trovino, contro i mali di cui esse
sono soltanto vittime
innocenti.
Il principio della sufficienza
9. Il fatto che lo Stato possa legittimamente possedere armi, e quindi, implicitamente,
trasferirle
o riceverle, comporta obblighi gravi. Ogni Stato deve infatti poter giustificare
ogni possesso o
acquisto di armi in nome del principio della sufficienza, in base al quale ogni
Stato può possedere
unicamente le armi necessarie per assicurare la propria legittima difesa. Questo
principio si oppone
all'accumulazione eccessiva di armi o alloro trasferimento indiscriminato.
10. È evidente che spetta in primo luogo ai paesi importatori di armi
valutare con cura il motivo
del loro desiderio di acquistare armi. Gli obblighi derivanti dal principio
della sufficienza sono gravi
e restrittivi. Infatti, l'introduzione di nuove armi in una regione può
scatenare una corsa agli
armamenti nei paesi vicini o destabilizzare tutta la regione. Di conseguenza
nessuno Stato può
lecitamente, secondo i propri desideri, cercare di procurarsi qualsiasi tipo
o quantità di armi. Ogni
acquisto deve corrispondere al rigoroso criterio della sufficienza.
11. Ogni Stato esportatore di armi è perciò legittimamente autorizzato
- e talvolta obbligato - a
rifiutare a un altro Stato le armi che gli sembrano superare i limiti imposti
da questo principio. In un
campo così delicato come quello della difesa nazionale, è difficile,
per un paese esportatore,
giudicare se la fornitura di certi sistemi di armamento ecceda o no questi bisogni.
Queste difficoltà
non possono tuttavia dispensare dalla responsabilità di valutare tutti
gli elementi che vi sono
implicati prima di pronunciarsi in favore di una possibile fornitura.
Le armi non sono come gli altri beni
12. Le armi non sono mai assimilabili agli altri beni che possono essere scambiati
sul mercato
mondiale o interno. Certo, il possesso di armi può avere un effetto dissuasivo,
ma le armi hanno
anche un'altra finalità. Esiste, infatti, un rapporto stretto e indissociabile
tra le armi e la violenza. E
in ragione di questo rapporto che le armi non possono in nessun caso essere
trattate come sempli ci
beni commerciabili. Così pure, nessun interesse economico può
da solo giustificare la loro
produzione o il loro trasferimento: "Neanche qui la legge del profitto
può ritenersi suprema" ~.
13. Che il commercio delle armi coinvolga o no direttamente lo Stato, spetta
a lui il dovere di
vegliare che esso sia sottoposto a un controllo molto rigoroso. Infatti, è
innegabile che "la vendita
arbitraria di armi, soprattutto a paesi poveri, rappresenta uno degli attentati
più gravi alla pace".
II
RESPONSABILITÀ DEGLI STATI ESPORTATORI
Un'esportazione contestabile
1. Perché esportare armi? È il primo interrogativo che i responsabili
di ogni paese esportatore sono
tenuti a porsi, e a buon diritto. perché nessuno può permettersi
di considerare il commercio delle armi
come un elemento ordinario delle relazioni tra Stati. Al contrario, tutti i
responsabili devono
costantemente riesaminare le ragioni che vengono portate per giustificano.
2. Nessuno Stato esportatore di armi può rinunciare alla propria responsabilità
morale davanti agli
eventuali effetti negativi di questo commercio. I diversi organismi e le diverse
istanze interessati non
sono mai dispensati dal domandarsi perché si stanno impegnando in questo
commercio. E ogni volta
che si presenta l'eventualità di una fornitura, devono interrogarsi lucidamente:
Perché esportare tali
armi in tale paese? Nell'interesse di chi si effettua questo commercio? L'argomento
sovente invocato
- e cioè che, se uno Stato si rifiuta di fornire armi, un altro lo farà
al suo posto - è privo di qualsiasi
fondamento morale.
Interessi economici in gioco
3. Il problema della commercializzazione delle armi si pone oggi con un'acutezza
nuova perché, in
generale, sta calando la domanda di armi, diminuiscono gli effettivi degli eserciti
e le difficoltà
economiche inducono gli Stati a ridurre la cifra di bilancio destinata alle
spese militari. D'altra parte,
sono in gioco forti interessi economici, che non obbediscono sempre agli stessi
imperativi delle
esigenze politiche o strategiche. È necessario tuttavia resistere alle
pressioni economiche in favore
dell'aumento della vendita di armi. Questa vendita non può essere regolata
unicamente secondo le
leggi del mercato, perché è certo che la vendita di armi realizzata
unicamente in vista del profitto
incoraggia i belligeranti
Tra le ragioni che si invocano in favore di questo commercio figurano la necessità
di coprire i
costi elevati della produzione delle armi necessarie alla difesa nazionale o
l'importanza di conservare
un'industria forte e tecnologicamente avanzata in modo da poter far fronte a
qualsiasi minaccia
futura. Viene anche affermata con vigore la necessità di mantenere i
posti di lavoro. Queste
considerazioni, aggiunte alle motivazioni commerciali, possono incitare i responsabili
delle industrie
e i governanti ad adottare o a incoraggiare pratiche aggressive di commercializzazione
che
privilegino i fattori economici.
4. L'attuale necessità di una profonda trasformazione della configurazione
economica e politica
offre ai governi e all'industria degli armamenti un'occasione favorevole per
mettersi risolutamente
insieme e pianificare la riconversione, la diversificazione o la ristrutturazione
dell'industria militare.
La recente esperienza ha tuttavia rivelato come questa riorganizzazione sia
difficile. I necessari
adeguamenti possono giungere fino a provocare in qualche luogo considerevoli
squilibri economici e,
almeno a breve termine, dolorose soppressioni di posti di lavoro. Tuttavia,
queste difficoltà, per
quanto reali, non possono legittimare il mantenimento di un'industria degli
armamenti semplicemente
in nome dei rischi legati alle ristrutturazioni o in vista della salvaguardia
dei posti di lavoro. Se
prevarranno questi argomenti, le pressioni economiche per fare aumentare le
vendite di armi non
faranno che crescere.
5. Nello stesso tempo, i responsabili dell'industria devono tenere in considerazione
i problemi
umani provocati da queste trasformazioni. Così pure è chiamata
in causa la responsabilità dello Stato,
poiché esso è generalmente il primo acquirente delle armi prodotte
sul suo territorio. Gli unì e gli
altri, ognuno secondo la propria competenza. hanno il dovere di assicurare ai
lavoratori interessati
dai cambiamenti un riciclaggio professionale in vista del loro reinserimento
nel mondo del lavoro e
di prevedere un'assistenza sociale adeguata per coloro che ne hanno bisogno.
I paesi dell'Europa orientale e centrale devono affrontare problemi particolarmente
gravi per
quanto concerne la riconversione della loro industria militare. Essi possono
a buon diritto chiedere un
aiuto dall'estero per i loro sforzi di trasformazione industriale 19,
La competenza dello Stato
nella regolamentazione del fenomeno
6. La diminuzione delle pressioni economiche per la vendita delle armi permetterebbe
agli Stati
di affrontare la legittimità o la non legittimità dei trasferimenti
delle armi in un contesto politico.
Benché non possa mai essere ignorata la forza degli interessi economici,
ogni trasferimento di armi
deve essere strettamente sottoposto al controllo politico.
7. Precisamente perché è coinvolta la sua responsabilità,
è della più grande importanza che lo
Stato stabilisca un regime di controllo nazionale. D'altronde, la maggior parte
degli Stati esportatori
hanno già riconosciuto questa necessità e hanno agito di conseguenza.
Ma ciò non basta; è necessario
che i governi diano prova della loro volontà di fare rispettare le proprie
leggi e i propri regolamenti.
Per un governo sarebbe un'aberrazione morale il non vigilare sull'applicazione
delle leggi in vigore.
8. Tuttavia, una legislazione nazionale può essere più o meno
liberale, più o meno restrittiva.
Uno scambio sistematico tra gli Stati, soprattutto tra quelli di una certa regione,
potrebbe facilitare
l'armonizzazione di queste legislazioni24. D'altra parte, l'uniformità
delle leggi restrittive sarebbe
molto utile per porre fine allo sfruttamento dei regimi legislativi eterogenei
di cui i mercanti d'armi
approfittano per operare transazioni poco chiare e sovente illecite.
9. Per pronunciarsi con conoscenza di causa sul trasferimento delle armi, gli
organismi
governativi competenti hanno bisogno di informazioni precise sulla destinazione
finale delle armi,
sui bisogni di sicurezza dei paesi in questione e sul flusso di armi in corso
nella regione. Essi devono
anche dotarsi di mezzi efficaci per controllare questi dati. Anche il grande
pubblico ha diritto a
informazioni adeguate per valutare consapevolmente e far sentire meglio la propria
voce presso le
autorità competenti.
Dovrebbe instaurarsi un dialogo nazionale su questo argomento. Tutti i cittadini,
in un modo o
nell'altro, sono interessati dal trasferimento delle armi; tutti sono responsabili
del bene comune del
loro paese. I membri del governo, i militari, coloro che sono impegnati nella
produzione e nella
vendita delle armi condividono questa stessa responsabilità con i loro
concittadini, ma ad un livello
più elevato a motivo della loro funzione. Il loro contributo al dialogo
è indispensabile per una
comprensione adeguata di questo complesso fenomeno.
10. La forma che assume il trasferimento delle armi è determinata dagli
usi e dalle politiche
nazionali degli Stati, sia esportatori che destinatari. I loro governi hanno
la responsabilità di
elaborare misure di controllo a livello internazionale. Se trascurano di istituire
mezzi di controllo a
livello nazionale, rischiano di indebolire l'impatto di ogni eventuale controllo
internazionale.
La responsabilità dell'industria degli armamenti
11. Lo Stato ha anche il dovere di vigilare perché l'industria degli
armamenti e gli agenti
incaricati di negoziare i contratti rispettino integralmente tutta la regolamentazione
concernente il
trasferimento delle armi. A loro volta, nell'ambito della loro competenza, i
produttori di armi sono
responsabili di ogni decisione concernente le modalità di questi trasferimenti.
12. Per questa industria e per coloro che vi lavorano è moralmente ingiustificabile
la
falsificazione dei certificati di destinazione finale o la dissimulazione, dietro
una facciata innocente,
della natura dei beni esportati allo scopo di sottrarli a] controllo. Questo
giudizio severo si applica
anche alle imprese che trasferiscono pezzi sciolti o merci a duplice uso quando
sanno che queste
hanno la probabilità di servire per scopi ostili. Lo stesso vale per
tutti coloro che aggirano senza
scrupoli gli embarghi legittimamente decretati.
Il numero dei fabbricanti di armi continua a crescere
13. Il numero dei paesi produttori di armi continua ad aumentare malgrado la
saturazione del
mercato. Infatti, alcuni paesi in via di sviluppo, che prima importavano armi,
hanno deciso di
fabbricarle sul posto e di inserirsi nel mercato mondiale degli armamenti. Questi
produttori di armi
generalmente offrono - in particolare agli altri paesi in via di sviluppo -
sia armi leggere, sia armi
tecnologicamente meno sofisticate a prezzi appetibili.
14. Alcuni si sentono spinti a ciò allo scopo di provvedere ai propri
bisogni di fronte a situazioni
regionali particolari. Per altri sono dominanti gli interessi commerciali o
le aspirazioni politiche,
mentre alcuni paesi, sottoposti a embarghi, sviluppano una industria propria
che alla lunga permette
loro di diventare esportatori di armi. Indipendentemente da questi motivi, rimane
l'interrogativo: Un
paese. qualunque esso sia, ha interesse, dal punto di vista politico, sociale
o economico, a entrare in
questo commercio? Gli sforzi di tutti gli Stati dovrebbero, al contrario, tendere
alla diminuzione della
produzione di armi e non alloro aumento.
III
RESPONSABILITÀ DEGLI STATI DESTINATARI
La responsabilità degli Stati destinatari. per quanto sia differente,
non è meno esigente di quella
degli Stati esportatori. Infatti, nessuno Stato riceve armi passivamente; esso
è sempre un agente
cosciente e attivo.
Il primato dei bisogni delle popolazioni
1. In ogni circostanza e in ogni luogo, il bene della popolazione ha la priorità
su ogni altro
interesse nazionale. Questo principio si applica anche all'impiego dei fondi
pubblici. Ora, in certi
paesi in via di sviluppo, le spese militari sono superiori a quelle per l'educazione
e la sanità messe
insieme: riflesso di un mondo dove altri interessi passano avanti ai legittimi
bisogni della persona
umana. Questo spreco delle risorse rischia di aumentare anche se la quantità
di armi acquistate
diminuisce, perché le armi moderne, sempre più sofisticate, raggiungono
anche prezzi sempre più
esorbitanti.
2. Ogni decisione di acquistare armi ha molteplici effetti che toccano il bene
della popolazione.
Per quali ragioni uno Stato vuole armarsi? In vista di che cosa? A quale prezzo
in risorse finanziarie
e umane? Quali sarebbero le conseguenze concrete per la popolazione se queste
armi venissero
utilizzate? Le risposte a questi interrogativi rivelano a qua] punto l'acquisto
di armi rischi di
indebolire l'insieme del tessuto sociale.
3. È triste tuttavia constatare che, sull'esempio dei paesi ricchi, i
paesi poveri sono sovente tentati
di impiegarle una parte troppo grande delle loro risorse nell'acquisto di ~tali1
armamenti, mentre
sono le condizioni elementari di alimentazione, di igiene, di alfabetizzazione
che fanno crudelmente
difetto, e risiede qui una sorgente enorme di sofferenze, di angoscia, di rancori,
e talvolta di
ribellione21.
Questa situazione è particolarmente tragica nelle società dove,
precisamente, la popolazione non
può soddisfare i propri bisogni fondamentali perché la guerra
ha distrutto gli stessi mezzi di
sostentamento22. Spetta ai paesi più ricchi dare l'esempio limitando
i loro acquisti di armi.
4. Alcuni paesi in via di sviluppo continuano a pagare un pesante prezzo per
avere cercato o
accettato l'aiuto straniero sotto forma di assistenza militare, che ha notevolmente
gonfiato il loro
debito estero. Sovente una parte sproporzionata dei costi sociali del rimborso
di questi debiti ricade
sui settori più deboli della società. Di fronte alla crescente
povertà di molte parti del mondo, è necessario
riesaminare il problema del debito estero, anche alla luce del trasferimento
delle armi e
dell'aiuto militare, per trovarvi soluzioni definitive 23,
Occorrerà, inoltre, agire sulle cause di indebitamento, legando la concessione
degli aiuti
all'assunzione da parte dei Governi del concreto impegno di ridurre spese eccessive
o inutili - il
pensiero va in particolare alle spese per gli armamenti - e di garantire che
le sovvenzioni giungano
effettivamente alle popolazioni bisognose 24,
Perché importare armi?
5. Perché importare armi? Certo, lo Stato ha il diritto, ed anche il
dovere, di difendere la propria
popolazione, se necessario per mezzo delle armi, tuttavia rispettando rigorosamente
il principio della
sufficienza. Ma la sicurezza di un paese non può ridursi alla capacità
di difendersi per mezzo
dell'accumulo di armi. Essa poggia anche sulla determinazione che lo Stato deve
avere di assicurare
al popolo un altro tipo di sicurezza: un nutrimento adeguato e abitazioni decenti,
l'accesso
all'educazione e alle cure sanitarie, la possibilità di un impiego e
il rispetto dei diritti umani. Il
benessere futuro dello Stato dipende molto più dallo sviluppo integrale
della sua popolazione che
dalle sue riserve di armi.
6. A questo riguardo, i piccoli Stati, come pure gli Stati che hanno acquisito
la loro indipendenza
di recente, potrebbero apportare un contributo decisivo ai rapporti pacifici
tra gli Stati, se
esaminassero insieme, a livello regionale o sottoregionale, la possibilità
di assicurare la propria
sicurezza attraverso mezzi diversi dalla moltiplicazione delle forze armate,
che comporta
inevitabilmente un aumento della domanda di armi. In modo particolare essi potrebbero
perseguire
un'integrazione economica accompagnata da accordi sulle questioni della sicurezza.
E sufficiente
considerare la tragedia di numerose regioni attualmente dilaniate da lotte feroci
per vedere l'urgenza
di questi tentativi, sì audaci, ma che potrebbero, d'altra parte, essere
accompagnati da garanzie inter -
nazionali.
7. Certi acquisti d'armi servono prima di tutto al prestigio personale di un
leader o di una classe
politica, e questa situazione già di per sé costituisce una minaccia
al bene del popolo. È facile passare
dal desiderio del prestigio personale a quello dell'egemonia regionale. Nessun
acquisto di armi
caratterizzato da tali motivi potrebbe essere legittimato. Lungi dall'essere
un segno di prestigio,
l'accumulazione di armi rappresenta sovente un segno di debolezza politica.
8. Tutti gli Stati importatori, piccoli o grandi, devono anche riconoscere la
responsabilità che si
assumono introducendo armi nella loro regione. I loro interessi non sono gli
unici fattori che devono
essere presi in considerazione; è in gioco anche la stabilità
globale della regione. Allo stesso modo,
nessuno Stato importatore può permettersi di ignorare il fenomeno di
dipendenza che può derivare
dalla sua subordinazione al paese esportatore. Il trasferimento di armi, infatti,
può essere accompagnato
da condizioni che vanno contro la sua legittima aspirazione all'indipendenza.
9. Perché importare armi? Chi può dare una risposta a questo interrogativo
quando le autorità
dello Stato si rifiutano di darla? Nei regimi totalitari o autoritari, non è
facile trovare una risposta.
Tuttavia, ogni cittadino ha l'obbligo di promuovere, secondo le proprie possibilità,
il bene comune2>,
e perciò di vigilare sulle spese pubbliche del suo Governo, che, a sua
volta, gli deve rendere conto.
Se i cittadini sono ridotti al silenzio a livello nazionale, questo costituisce
già un segno eloquente di
malessere politico. Vi è infatti un rapporto tra la democrazia e la pace.
Ricevere armi impegna la responsabilità dello Stato
10. La responsabilità dello Stato non finisce quando, dopo matura riflessione,
lo stesso ha preso la
decisione di acquistare o di ricevere armi. Al contrario, esso si trova davanti
a nuovi obblighi, il
primo dei quali è quello di rispettare le esigenze che il paese esportatore
può aver gli imposto come
condizione della fornitura.
11. Tutte le armi ricevute e quelle fabbricate sul posto sotto licenza devono
rimanere sotto lo
stretto controllo dello Stato, che deve garantire che non saranno riesportate
nè rivendute illegalmente.
Uno Stato destinatario di armi non può rendersi complice di un altro
che cerca di armarsi
illegalmente o illecitamente.
V
ALCUNE SITUAZIONI DIUFICILI
Non si può negare che l'applicazione dei principi che devono reggere
il trasferimento delle armi si
scontra nella pratica con grandissime difficoltà. Le considerazioni che
seguono sono soltanto un
abbozzo di riflessione etica su alcune situazioni particolarmente spinose. Questa
riflessione deve
essere proseguita con tutti gli interessati.
La fornitura di armi a regimi autoritari
I. Una caratteristica comune ai regimi autoritari è che si mantengono
al potere grazie a forze di
polizia e di sicurezza interna molto bene equipaggiate di armi. Se l'industria
locale non è in grado di
soddisfare ai loro bisogni, cercano di procurarseli altrove. Qui entra in gioco
il rapporto tra il
trasferimento delle armi e la violazione dei diritti dell'uomo.
2. È difficile giustificare moralmente la fornitura di armi a regimi
autoritari. Infatti, ciò
equivarrebbe ad affermare che lo Stato è fine a se stesso e che il bene
del popolo non è il suo
obiettivo prioritario e fondamentale. Per contro, il rifiuto di fornire armi
può essere segno di una
disapprovazione del regime che non rispetta le norme riconosciute internazionalmente
in materia di
diritti umani.
Governi riforniti fraudolentemente di armi
3. Malgrado il rifiuto di uno o più Stati di fornire loro le armi, alcuni
Governi poco scrupolosi
possono ricorrere a vie traverse per procurarsi pressoché tutto l'armamento
desiderato. Talvolta, essi "comprano" la collaborazione di persone
all'interno dell'industria
degli armamenti o degli organi governativi competenti. Dissimulando le loro
intenzioni, essi arrivano
persino a fabbricarsi armi partendo da beni di duplice uso, da elementi elettronici
o da pezzi staccati
o di ricambio acquistati da fonti differenti. Oppure si rivolgono a Stati disposti
a rivendere
illegalmente armi importate legalmente. Esistono anche commercianti d'armi che
operano fuori della
legalità, sempre pronti a offrire i loro servizi, poiché il loro
unico scopo è quello di fornire una scelta
di armi a chi è in grado di pagarle. Ciò è reso ancora
più facile dal fatto che, in questi ultimi anni,
l'offerta di armi è superiore alla domanda 26
4. Ci sono molti modi per aggirare le restrizioni e gli embarghi, perché
l'efficacia di queste
misure dipende dalla volontà di osservarle da parte degli Stati e dell'industria
degli armamenti. Ma è
anche vero che la mancanza di armonizzazione dei mezzi di controllo favorisce
le infrazioni: avviene
che un trasferimento che è illegale in uno Stato è permesso in
un altro. È nell'interesse di tutti che gli
Stati lavorino insieme per eliminare ogni aggiramento delle loro legislazioni
nazionali, ma è anche
importante elaborare norme e direttive internazionali costrittive, munite di
sanzioni per la loro
inosservanza, al fine di bloccare, nella misura del possibile, queste transazioni
illegali e dannose per
la pace.
La fornitura di armi agli Stati in conflitto
5. La decisione di fornire o di rifiutare armi agli Stati in conflitto è
gravida di conseguenze,
perché può influenzare l'esito stesso del conflitto. Lo Stato
ha certamente il diritto di possedere i
mezzi necessari alla propria difesa. Tuttavia non si deve fare nulla che rischi
di prolungare un
conflitto. Perciò vi è una presunzione morale contro
la fornitura di armi ai belligeranti; soltanto ragioni molto gravi possono giustificare
una deroga a
questa presunzione.
6. Evidentemente non è sufficiente bloccare il trasferimento delle armi
ai belligeranti per far
cessare un conflitto. Bisogna fare di tutto perché gli interessati depongano
le armi e intavolino il
dialogo con una determinazione risoluta di eliminare le cause del conflitto
e trovare altri mezzi per
dirimere le controverste.
La fornitura di armi a gruppi non statali
7. Anche gruppi non statali che, per diverse ragioni, contestano l'ordine stabilito
riescono a
procurarsi armi, spesso per vie traverse e talvolta con l'aiuto di alcuni Stati.
La natura,
l'organizzazione, gli obiettivi e persino la legittimità di questi gruppi
sono talmente diversi che
diventa difficile qualsiasi giudizio rapido in questa materia. Anche le armi
che questi gruppi scelgono
sono diverse. Alcuni si accontentano di armi individuali e di esplosivi, facili
da nascondere o da
trasportare. Altri ricorrono ad armi sempre più sofisticate, come lanciarazzi
mobili. Tuttavia tutti
hanno l'intenzione di utilizzare le armi di cui dispongono.
8. È urgente trovare un mezzo efficace per interrompere il flusso d'armi
destinato ai gruppi
terroristici o criminali. Una misura indispensabile sarebbe che ogni Stato imponesse
uno stretto
controllo sulla vendita delle armi leggere e individuali sul proprio territorio.
La limitazione
dell'acquisto ditali armi non sarebbe certamente lesivo del diritto della persona.
È anche giunto il momento che la comunità internazionale si interessi
effettivamente di questo
problema e che lo integri nelle sue considerazioni sul fenomeno globale del
trasferimento delle armi.
Il fatto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia già sollevato
il problema27 è un segno
che essa riconosce il pericolo di questa diffusa disponibilità di armi
leggere e individuali.
9. Rimane un problema: È sempre illecito fornire armi a un gruppo non
statale?
Tradizionalmente, il diritto di ricorrere alla forza è riservato allo
Stato e ciò presuppone che il
governo in questione abbia una legittimità morale e politica. Ma sovente
i gruppi non statali che
cercano di procurarsi armi contestano questa legittimità.
Una fondamentale scelta morale sarebbe già fatta se non rimanesse aperta
la possibilità di mettere
in questione la legittimità di un regime e se soltanto lo Stato fosse
abilitato a ricevere armi. D'altra
parte, ogni politica che mettesse sullo stesso piano gli Stati e i gruppi non
statali condurrebbe al caos.
Lo Stato ha dunque un vantaggio presunto sui gruppi non statali per quanto riguarda
il trasferimento
delle armi.
Tuttavia, rimane aperta la possibilità che un regime al potere possa
essere nel t0rt028. Di fronte a
ogni decisione se fornire o no armi a un gruppo che si oppone a un tale regime,
bisogna saper
distinguere tra una lotta legittima nei suoi scopi e nei suoi mezzi e il terrorismo
puro e semplice.
10. Giovanni Paolo Il è ritornato a più riprese su ciò
che aveva dichiarato a Drogheda, in Irlanda,
all'inizio del suo pontificato:
,Aggiungo oggi la mia voce a quella di Paolo VI e degli altri miei Predecessori,
alle voci dei vostri
Capi religiosi, alle voci di tutti gli uomini e le donne ragionevoli, e proclamo,
con la convinzione
della mia fede in Cristo e con la coscienza della mia missione, che la violenza
è un male, che la
violenza è inaccettabile come soluzione dei problemi, che la violenza
è indegna dell'uomo. La
violenza è una menzogna, perché va contro la verità della
nostra fede, la verità della nostra
umanità. La violenza distrugge ciò che essa vorrebbe difendere:
la dignità, la vita, la libertà degli
esseri 24 umani
11. Esistono mezzi non violenti per regolare le controversie. Il dialogo, il
negoziato, la
mediazione, l'arbitraggio o la pressione popolare da molto tempo hanno dato
prova della loro capacità
di ristabilire o di ottenere giustizia. L'efficacia di questi mezzi suppone
tuttavia, da parte degli
interessati, un vero spirito di dialogo, un'apertura verso l'altro e un desiderio
di stabilire una pace
fondata sulla giustizia.
Molti cambiamenti politici di vasta portata sono stati recentemente ottenuti
mediante mezzi
pacifici che perciò non sono affatto utopistici. I Governi, con il sostegno
dell'opinione pubblica,
devono convincersi della necessità di utilizzare tali mezzi per evitare
conflitti o per mettervi fine il
più rapidamente possibile. Così pure, la comunità internazionale
deve impegnarsi seriamente alla
ricerca di mezzi efficaci e costrittivi per prevenire qualsiasi lotta armata.
V
VERSO LA REGOLAMENTAZIONE INTERNAZIONALE DEL TRASFERIMENTO
DELLE ARMI
Non basta controllare il trasferimento delle armi
1. Ogni regolamentazione del trasferimento delle armi, per quanto rigorosa sia,
rimarrà senza
effetto duraturo se gli Stati non stabiliranno le condizioni politiche e sociali
che permettano una
riduzione radicale di questi trasferimenti. Bisogna lavorare effettivamente
per aumentare i rapporti di
fiducia tra gli Stati e ciò faciliterà lo sviluppo di un regime
internazionale di regolamentazione dei
trasferimenti di armi. Si tratta di rendere inaccettabile ogni guerra e di raddrizzare
gli interessi
economici o sociali distorti. Il mezzo più efficace, che richiederà
l'impegno risoluto e concorde di
tutti, sarà quello di dare la priorità allo sviluppo integrale
dell'uomo e della comunità umana.
Deve essere ben chiaro ad ognuno che ciò che è in gioco è
la vita stessa dei popoli poveri, è la
pace civile nei paesi in via di sviluppo, ed è la pace del mondo 30
2. lì principio direttivo determinante di qualsiasi regolamentazione
del commercio delle armi è
la ricerca di un mondo più rispettoso della dignità dell'uomo.
Tutti - compresi i governanti e i
responsabili dell'industria degli armamenti - devono impegnarsi al raggiungimento
di questo scopo.
L'opinione pubblica ha un ruolo particolare da svolgere: quello di essere la
forza dinamica che
talvolta sostiene e talvolta precede l'elaborazione di programmi e di regolamentazioni
governative.
Iniziative da sostenere
3. La consapevolezza delle conseguenze nefaste e dannose del trasferimento delle
armi è
aumentata notevolmente in questi ultimi anni. Attualmente, molti organismi internazionali
e regionali
sono investiti del problema. Bisogna sperare che le loro iniziative, appena
all'inizio, imbocchino
strade concrete ed efficaci. Questa dinamica attuale, per quanto fragile possa
essere, va incoraggiata
e intensificata. Non bisogna perdere lo slancio.
4. Nel luglio 1991, i sette paesi più industrializzati del mondo (G-7)
hanno riconosciuto
l'importanza del contributo che essi possono dare allo sforzo per ridurre i
pericoli provenienti dal
trasferimento delle armi classiche". I cinque membri permanenti del Consiglio
di Sicurezza, che sono
tra i primi esportatori di armi convenzionali, hanno avviato colloqui per elaborare
principi direttivi
comuni in materia 32 Queste discussioni devono essere allargate per includere
altri paesi fornitori ed
anche Stati destinatari 33. in vista dell'adozione di norme internazionali legalmente
obbliganti e
soggette a rigorose misure di verifica.
5. Senza attendere l'elaborazione di un tale codice di comportamento, gli organismi
competenti
potrebbero iniziare negoziati per limitare radicalmente o, meglio, interdire
totalmente, i trasferimenti
di alcune categorie di armi. Un punto di partenza potrebbe essere l'interdizione
del trasferimento
delle armi che hanno effetti traumatici eccessivi e perciò sono soggette
alle leggi umanitarie >~. Tra
queste, una particolare attenzione è dovuta alle mine disseminate che
infliggono alle popolazioni ci -
vili danni inaccettabili anche molto tempo dopo la cessazione delle ostilità".
Inoltre, i terreni minati
rimangono spesso a lungo inutilizzati sia a causa del pericolo di esplosioni
sia a causa dei costi
elevati del loro sminamento.
6. ~ mancanza di dati sufficientemente affidabili e universali riguardo alla
estensione reale dei
trasferimenti di armi impedisce di conoscere a fondo le dimensioni del fenomeno,
mentre la
mancanza di un sistema standardizzato di informazione rende difficile qualsiasi
paragone tra i dati
forniti. Tuttavia, tali informazioni costituiscono la premessa per qualsiasi
regolamentazione internazionale
efficace: questa esige un clima di fiducia tra gli Stati che può fondarsi
soltanto su
conoscenze esatte.
Per tentare di colmare questa lacuna, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
nel 1991, ha
chiesto al Segretario Generale di istituire "un Registro universale e non-discriminatorio
delle armi
classiche che includesse dati sui trasferimenti internazionali di armi e informazioni
fornite dagli Stati
Membri sulle loro dotazioni militari, sui loro acquisti legati alla produzione
nazionale e sulla loro
politica in materia"
La portata del Registro è attualmente molto limitata, ma è già
previsto il suo allargamento >~.
Questo Registro ha uno scopo molto specifico: creare la fiducia e aumentare
la trasparenza3~. Esso
non è costrittivo e perciò la sua riuscita dipende dalla volontà
degli Stati di fornire con precisione le
informazioni richieste.
7. Secondo un'altra raccomandazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
gli Stati sono
invitati ad accordare un'attenzione prioritaria alla eliminazione del commercio
illecito di tutti i tipi di
armi e di materiale militare, commercio legato ai conflitti, alle attività
mercenarie, al terrorismo, alla
criminalità organizzata, al traffico di droga e ad altre attività
destabilizzanti >39.
Questo commercio illecito non può essere arginato senza la ferma determinazione
di tutti - i
governanti, l'industria degli armamenti e coloro che hanno accesso a Importanti
depositi di armi - di
rifiutare le armi ai protagonisti della violenza. Non deve essere risparmiato
nessuno sforzo per
bloccare questo trasferimento nefasto.
Ogni misura, per quanto minima, per bloccare la libera circolazione delle armi
perderà gran parte
della sua efficacia finché esisteranno importanti depositi di armi non
ben sorvegliati e mezzi
finanziari, di provenienza spesso dubbiosa, sufficienti per acquistarle. L'istituzione
di misure di
sorveglianza e di controllo a livello regionale, almeno per i depositi di armi
destinati alla distruzione,
potrebbe essere un mezzo per assicurarsi che non cadano in mano di altri. Nello
stesso modo, una più
grande trasparenza nei trasferimenti dei fondi internazionali aiuterebbe a bloccare
i fondi destinati
all'acquisto di armi.
Similmente, è necessario che cessi l'anomalia per cui alcuni Stati operano
controlli rigorosi sul
trasferimento delle armi pesanti senza preoccuparsi molto della vendita delle
armi leggere e
individuali. lì problema della quasi libera circolazione di queste armi
deve fin d'ora diventare parte
integrante di qualsiasi considerazione sul commercio di armi
8. Altre organizzazioni governative internazionali stanno studiando l'effetto
dell'acquisto delle
armi sull'economia dei paesi destinatari, spesso del Terzo Mondo41. Queste stesse
organizzazioni
offrono a questi paesi la lo-ro competenza per aiutarli a rivedere le loro priorità
di bilancio, lasciando
ai governi stessi qualsiasi decisione in materia. Benché tale approccio
sia da incoraggiare, esso corre
il rischio di essere considerato come discriminatorio. Per assicurarne meglio
il successo, bisognerebbe
che gli Stati esportatori dessero prova della loro volontà di diminuire
le loro vendite.
9. Nessuna di queste iniziative internazionali appena iniziate - e ve ne sono
anche altre42 - ha
carattere obbligatorio. Tutte dipendono per la loro realizzazione dalla volontà
politica di ciascun
governo. Sfortunatamente, e malgrado le dichiarazioni d'intenti contrarie43>,
una grande quantità di
armi sofisticate continua a essere trasferita verso alcune regioni fortemente
instabili. Così pure, sono
stati fatti tentativi per aprire nuovi mercati. Tuttavia, non si devono sottovalutare
queste prime
iniziative. Al contrario, bisogna fare uno sforzo concertato per consolidarle
fino a che non si giunga a
formare un sistema integrato di misure sempre più restrittive. Le organizzazioni
non governative,
molte delle quali si interessano alla limitazione e alla eliminazione dei trasferimenti
di armi, possono
contribuire grandemente a questo sforzo, non soltanto sostenendolo ma anche
anticipandolo con
proprie iniziative e mediante il loro ruolo educativo sull'opinione pubblica.
Verso strutture internazionali di pace
10. Attualmente, spetta a ciascuno Stato assicurare la difesa del proprio t
erritorio. Perciò la
limitazione dei trasferimenti di armi è inseparabile da un problema più
vasto: come garantire in un
altro modo la sicurezza necessaria alla pace?
Affinché tutti possano godere del bene comune della pace, la Santa sede
ha riconosciut o da lungo
tempo la necessità di poteri pubblici aventi competenza mondiale istituiti
"di comune accordo e non
imposti con la forza"44. Fintantoché esisterà il pericolo
della guerra, questa autorità dovrà essere
munita di forze sufficienti45>. Benché questa autorità non
esista ancora. si possono già constatare
alcuni elementi precursori 46
11. Gli appelli di aiuto sempre più numerosi e pressanti lanciati al
Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite fanno parte di questa tendenza verso il riconoscimento dell'importanza
di misure
collettive per il mantenimento o il ristabilimento della pace. A misura che
si delinea più nettamente il
campo di azione delle forze di pace delle Nazioni Unite - ed è necessario
e urgente determinarlo
meglio - si dovrà accordare un'attenzione sistematica alle possibili
modalità di interventi preventivi.
Non c'è dubbio, infatti, che sia meglio prevenire i conflitti che cercare
di farli cessare. Per fermare la
spirale della violenza, bisognerebbe preconizzare, tra gli altri. il ricorso
obbligatorio e tempestivo a
negoziati o a mediazioni. A questo scopo, potrebbero essere rafforzati i poteri
della Corte di Giustizia
Internazionale e potrebbero essere rese costrittive le sue decisioni concernenti
le controversie tra
Stati e popoli.
Rimane da chiedersi come mettere fine ai conflitti interni là dove l'autorità
pubblica si è dissolta.
Sarebbe necessario che le istanze internazionali riflettessero sui limiti, in
simili casi, della sovranità
dello Stato quando è venuta meno la sua legittima autorità e su
ciò che si può fare per ristabilire
questa autorità mediante mezzi democratici.
12. In tutti i continenti esistono organizzazioni regionali. La loro finalità
potrebbe essere allargata
in funzione dei bisogni specifici della regione, per inglobare tutto ciò
che concerne il mantenimento
della pace. Questa progressiva istituzione di sistemi regionali o sottoregionali
di cooperazione e di
sicurezza potrebbe costituire una solida base per misure simili a livello internazionale.
La garanzia
della sicurezza a livello regionale - e non bisogna trascurare la sicurezza
politica e sociale - dovrebbe
condurre a una riduzione delle armi e quindi del loro trasferimento. Questo
risultato avrebbe
necessariamente ripercussioni a livello internazionale.
13. Esiste ormai un numero considerevole di trattati, di convenzioni e di accordi
internazionali e
regionali sul disarmo, muniti di rigorose misure di verifica. Messi in rapporto
organico gli uni con gli
altri, potrebbero diventare parte integrante di un sistema di sicurezza internazionale
che ora è
soltanto in germe, ma la cui necessità si 47 fa sempre più sentire
Fare opera di pace
14. Nel mondo
d'oggi, è urgente che l'insieme degli Stati affrontino
direttamente e risolutamente
il problema della regolamentazione del trasferimento delle armi. Ogni sforzo
di cooperazione tra gli
Stati deve necessariamente prendere in considerazione vari ambiti, perché
la sicurezza, finora
assicurata dalle armi, non si riduce unicamente ai concetti militari.
15. È in gioco lo sviluppo integrale di tutti i popoli:
Occorre riconoscere che l'arresto degli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva
riduzione e, a
maggiore ragione. la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso
tempo non si
procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli
spiriti, adoprandosi
sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua
volta, che al criterio della
pace che si regge sull'equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio
che la vera pace si può
costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di
un obiettivo che può essere
conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è
desideratissimo, ed è della più alta utilità
48
16. È in questo contesto che deve inserirsi ogni sforzo per la regolamentazione
rigorosa e la
diminuzione radicale del trasferimento delle armi convenzionali. Il problema
è complesso, e alcuni
potrebbero sentirsi paralizzati davanti alla sua ampiezza. Tuttavia, tutti senza
eccezioni sono chiamati
a costruire la pace. Tutti, perciò, devono portare il loro contributo,
anche se minimo, perché ne
va della pace.
Roma, l maggio 1994.
ROGER Card. ETcHEGARAY
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e delta Pace
MARTIN Mons. DIARMUIO Segretario
N O T E
In questo documemo, i termini trasfenniento delle armi e conrmarcio de/le armi.
quando non sana ulìeriormente
qualificati. indica -no il trasferimento o il commercio delle armi cosiddette
classiche o convenzionali e i loro sistemi.
Perciò non viene preso in considerazione il problema delle armi di distruzione
di massa inucleari. biologiche e chimiche)
e la loro possibile proliferazione.
- Cfr. Trattato sulla non-proliferazione delle armi nucleari t19681:
Convenzione sulla interdizione della preparazione. fabbricazione e stoccaggio
delle anni batteriologiche ibiologiche>
o a base di tossine e sulla loro distruzione (1972): Convenzione sulla interdizione
della preparazione. fabbricazione,
stoccaggio e impiego delle anni chimiche e sulla loro distruzion e (1993).
'Cfr tra gli altri: Nazioni Unite, Etode sorles moyens defacoriser /0 troospareilce
des transte'rs internatioaoox
d'armcs classiques, Dacoment A/46/301, 9 septembre 1991, n. lo-I I.
4 ottobre 1965. Acta Apostolicae Sedis, 57 ti 965>. p. 881: Al/ocazione di
Sua Saittitò Pooto t~l a/i 'Assemblea
Generale della C>rganizazione delle )\a-ioni t~tiìe, n. 5: cfr Inscgrìooterttl
di Paolo VI, III. 1965, pp,- 519-520, Libreria
Editrice Vaticana.
Messaggio al Signor Boutros-Ghali, Segretario Generale dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite, 1 marzo 1993:
L'Ossen'atore Romano. 13marzo 1993,p. 1.
0Giovanni Paolo Il, Discorso ai Presoli della Conferenza Episcopale dei Vescovi
di rito latino della regione araba, 1<
ottobre 1990, n. 4:
Insegnamenti di Giovanni Paolo Il, XIII, 2, 1990, p. 799,
Giovanni Paolo lì, Messaggio per la Giornata Wondial" della Pace,
10gennaio 1993, o. 4,
0Giovanni Paola Il, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, 12gennaio 1991, n.
7: Insegnamenti di Giovanni Paolo Il, XIV, 1,1991, n. 90.
ad essa quale strumento di politica nazionale nei loro rapporti reciproci"
(Articolo 1), La Carta delle Nazioni Unite del
26giugno 1945 afferma solennemente che scopo dell'organizzazione è di
"preservare le generazioni future dal flagella
della guerra " iPreambolo).
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2308 e Concilio Vaticano 11, Costituzione
pastorale Gaodiom Cr spes, 79-82.
Costituzione pastorale Gaodiom et spes. 79.
2Catechismo de/la Chiesa Cattolica. n, 2265.
Giovanni Paolo Il, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, 16gennaio 1993. n.
13. L'Ossen'atore Romano, 17 gennaio 1993, p. 7. Si veda anche: Discorso alla
Conferenza Internazionale sulla
Nutn~zione organizzata dalla FAO e dal OMS, 5 dicembre 1992, n. 3: L'Osseriatore
Romano, 6 dicembre 1992, pp. 4-5.
0Giovanni Paolo 11, Discorso al mondo del lavoro, Verona 17 aprile 1988, n.
6: Insegnamenti di Giovanni Paolo 11,
Xl, 1, 1988, p. 940.
Card.Agosti no Casaroli, Intervento alla celebrazione della Giornata Mondia1"
per la Pace, promossa
dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO>
presso la Sede delle Nazioni Unite a
Vienna, 6 marzo 1986, n. 3c: Attivltà della Santa Sede 1986, Libreria
Editrice Vaticana, 1987, p. 191.
Mondiale e alcune banche regionali per lo
Dichiarazione del 31 gennaio 1992 hanno affermato la loro volontà di
collaborare vicendevolmente per stabilire efficaci
meccanismi nazionali,
Giovanni Paolo 11, Discorso al Corpo diplomatica accreditato presso la Santa
Sede, 14gennaio 1984, n. 5:
Insegnamenti di Giovanai Paolo 11, VII, 1,1984, p. 76.
~
-
degli armamenti raccomanda che gli Stati si interessino più da vicino
delle attività dei commercianti d'armi (Documento
A/C.1/47/7, n. 31,23 ottobre1992).
Cfr. Risoluzione A/4613611 del 6 dicembre 1991 e Risoluzione A/48/75E del 16
dicembre 1993.
'
conocida: AAS 29 (1937>, pp, 208-209.
-~Giovanni Paolo Il, Omelia presso Drogheda, Irlanda, 29 settembre 1979, n.
9: Insegnamenti di Giovanni Paolo 1/,
11,2, 1979, p. 428.
Paolo VI. Enciclica Populorum progressio, 1967, n. 55.
Dichiarazione sul trasferimento delle armi convenzionali, 16 lu glio 1991,n,
16.
Cir. Comunicato Finale del 9 luglio 1991 e quello pubblicato a conclusione della
riunione del 18ottobre 1991.
Il 31 gennaio 1992, i membri del Consiglio di Sicurezza hanno sottolineato la
necessità per tutti gli Stati membri
delle Nazioni Unite di evitare l'eccessivo e destabilizzante accumulo e trasferimento
di ar mi )Cfr. Dichiarazione Finale
della riunione del vertice del Consiglio di Sicurezza) -
'~Cfr. Convenzione sull'interdizione o la limitazione dell'impiego di alcune
armi convenzionali che possono essere
considerate come produttrici di traumi eccessivi o di effetti indiscriminati,
e Protocolli I, Il e 111 entrati in vigore il 2
dicembre 1983. Nello stesso modo, si patrebbe pensare di interdire la produzione
di nuovi tipi di armi, come alcune armi
laser che accecano l'avversario in maniera permanente.
~ll 16dicembre 1993, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato, senza
votazione, la Risoluzione
A/48/75K, che chiede la proclamazione di una moratoria nella esportazione di
mine antruomo. Essa chiede anche che
tutti gli Stati si accordino per realizzare una tale moratoria e che il Segretario
Generale prepari un rapporto da presentare
all'Assemblea Generale. Duesto rapporto deve suggerire, tra l'altro, le misure
da prendere a questo rignardo.
Risoluzione A/46136L, 9dicembre 1991, n. 7. Cfr. anche la Risoluzione A/47152L
del 15 dicembre 1992 e la
Decisione 47/419 adottata senza votazione il medesimo giorno e la Risoluzione
A148/75E del 16 dicembre 1993.
Cfr. Rapporto sul Registro delle armi convenzionali, A/471342, 14 agosto 1992.
Sezione lì.
Tra gli altri sforzi compiuti dalle Nazioni Unite per intensificare la trasparenza
sulle questioni connesse, vedi le
Direttive e raccomandazioni per un'informazione obiettiva sulle questioni militari,
elaborate dalla Commissione per il
Disarmo delle Nazioni Unite e sottoposte alla 47~ Assemblea generale )cfr. Documento
A/47/42, 9giugno 1992) e i lavori
iniziati nel 1992 dalla Conferenza per il Disarmo sui problemi della trasparenza
(cfr. Documento A/47/27 delle Nazioni
Unite, del 23 settembre 1992, Sezione 111,1, e il Documento CD/1222 della Conferenza
sul Disarmo del 24settembre
1993).
~Risoluzione A/46/36H, 6dicembre 1991 e Risoluzioni A/48/75F e A/48/75H del
16 dicembre 1993.
~La Sottocommissione per la lotta contro le misure discriminatorie e per la
protezione delle minoranze ha chiesto che
il trasferiment o delle armi individuali sia incluso nel registro, vista la
loro utilizzazione in violazione dei diritti
dell'uomo icfr. Risoluzione 1992/39, adottata senza votazione il 28 agosto 1992,
nel documento dell'ECOSOC
E/CN.4/Sub.2/1992/L.22/Add. 7 del 31 agosto 1992).
Per esempio, il Fondo Monetario lnternazionale ha condotto alcuni studi sui
costi economici globali delle spese
militari al fine di sensibilizzare l'opinione sul loro rapporto con lo sviluppo
e le spese sociali. Esso ha anche incoraggiato
i paesi, sia industrializzati che in via di sviluppo, a considerare il loro
margine di disponibilità e a ridurre di conseguenza
le loro spese militari per reimpiegare in usi produttivi le ri
.~orsc rese così disponibili. Duesti sforzi sono stati ratificati e i
ncoraggiati dal Comitato Interinale dei Governatori
del Fondo Monetario Internazionale nell 'ottobre 1991.
Cfr. - tra gli altri, il problema del trasferimento delle tecnologie avanzate
aventi applicazioni militari che la
Commissione per il Disarma delle Nazioni Unite attualmente ha allo studio. La
Commissione delle Comunità Europee sta
esaminando le conseguenze delle riduzioni delle spese militari e della riconversione
dell'industria della difesa.
L'Organizzazione degli Stati Americani ha previsto di iniziare la di~cussione
sulla prolificazione delle armi nucleari e
convenzionali.
tra le altre, la Dichiarazione dei G-7 del 16 luglio 1991 sui trasferimenti
di armi e il Comunicato emesso a
conclusione della riunione dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza
il 18 ottobre
1991.
~~Cfr. Giovanni XXIII, Enciclica Pacem in terris, Duarta parte.
Concilio Vaticano Il, Costituzione pastorale Gaudium et spes.
79.4.
La Carta delle Nazioni Unite, articolo 47, 1,istituisce un ComitaIo di Stato
Maggiore dell'esercito incaricato di
consigliare il Consiglio di Sicurezza sull'utilizzazione e il comando delle
forze che ogni Stato membro dovrà mettere a
disposizione delle Nazioni Unite, e sulla regolamentazione degli armamenti.
Tuttavia questo Comitato non è ancora
operativo, e il Consiglio di Sicurezza non dispone di forze proprie, anche se
alcuni governi ne mettono a sua
disposizione. Il Capito-lo 7, articoli 39-44, della Carta dichiara specificamente
che il Consiglio di Sicurezza ha la facoltà
di decidere un'azione militare in caso di fallimento di tutti i metodi pacifici
di regolamentazione dei conflitti.
La CSCE, nella sua riunione del 9-10 luglio 1992. ha deciso precisamente di
studiare il modo di armonizzare gli
obblighi derivanti dai diversi strumenti di disarmo tDocumento delle Nazioni
Unite A147/361/-S/24370, Sezione V,
Annesso>.
Giovanni XXIII, Enciclica Pacem in terri5, Terza parte.