La S. Sede e il disarmo generale
Pontificia commissione "Iustitia et pax"
LA SANTA SEDE E IL DISARMO GENERALE
Parte prima
DISARMARE
I. LA CORSA AGLI ARMAMENTI
Una condanna senza riserve
La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione
di legittima difesa, è nella realtà un pericolo e un'ingiustizia
per la natura stessa delle armi moderne e per la situazione planetaria (paralisi
delle potenze nucleari: infatti non potendo scoppiare un conflitto globale per
accordi reciproci, i conflitti limitati si moltiplicano al di fuori della zona
di stabilità nucleare):
1. Un pericolo: sia d'impiego, totale o parziale, sia di minaccia,
poiché la dissuasione, spinta fino al ricatto, è presa come norma
dei rapporti verso le altre nazioni.
1992
2. Un'ingiustizia: Essa costituisce in realtà:
a) una violazione del diritto mediante il primato della forza: l'accumulazione
delle armi diviene il pretesto per la corsa ad aumentare la forza al potere;
b) un furto: i capitali astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte
delle armi costituiscono una vera distorsione dei fondi da parte dei "gerenti"
delle grandi nazioni o dei blocchi meglio favoriti.
La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature
militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (paesi in via di sviluppo;
emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un'aggressione
verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che si fa crimine: gli armamenti,
anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli
morire di fame. Si comprende perciò la condanna del Concilio Vaticano
II, fatta sua dal Sinodo del 1974: "La corsa agli armamenti è una
delle piaghe piú gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile
i poveri". "Ogni corsa estenuante agli armamenti diventa uno scandalo
intollerabile".
3. Un errore. Uno dei principali argomenti che generalmente si adducono per
giustificare la corsa agli armamenti è quello della crisi economica e
della disoccupazione che ne deriverebbe se si dovessero chiudere le fabbriche
e gli arsenali militari. Ciò sarebbe esatto se si trattasse di un mutamento
repentino. Al contrario invece le società industriali hanno prosperato,
nonostante le continue riconversioni. La riconversione delle fabbriche e dei
mercati militari in fabbriche ed in prodotti civili risultano possibili se ci
si preoccupa di una pianificazione graduale nel tempo. Questa sarebbe tanto
piú augurabile in quanto darebbe spazio ad impieghi che permetterebbero,
per esempio, di iniziare lavori in grande, richiesti dalla necessità
di salvaguardare l'ambiente.
4. Una colpa. Il rifiuto ad accettare la riconversione suddetta "si oppone
radicalmente allo spirito umano ed ancor piú allo spirito cristiano",
giacché non è ammissibile "che non si possa trovare un lavoro
per centinaia di migliaia di lavoratori se non adoperandoli per costruire strumenti
di morte".
5. Una pazzia. Questo sistema di relazioni internazionali, basato sulla paura,
sul pericolo, sull'ingiustizia, costituisce una specie di isterismo collettivo;
una pazzia che sarà giudicata dalla storia. È un controsenso,
perché è un mezzo non proporzionato al suo fine. La corsa agli
armamenti non garantisce la sicurezza.
a) Sul piano degli armamenti nucleari essa non dà una maggiore sicurezza
in quanto c'è già sovrabbondanza di strumenti (overkilling); essa
crea rischi supplementari, introducendo instabilità suscettibili a rompere
"l'equilibrio del terrore".
b) Per quanto riguarda gli armamenti di tipo classico, la loro proliferazione,
soprattutto nei paesi del "terzo mondo" (commercio delle armi), crea
squilibri regionali e, in tal modo, può essere generatrice di conflitti
oppure esca per quelli già in corso.
In ogni caso, sia che si tratti di armi nucleari o di armi di
tipo classico, di grandi o di piccole potenze, la corsa agli armamenti è
diventata un processo cumulativo, con una sua propria dinamica, indipendentemente
dai sentimenti di aggressività, che sfugge al controllo degli stati.
È una macchina impazzita.
Si dice spesso a proposito del disarmo che è "una causa logora",
"senza mordente" (per via dei numerosi suoi insuccessi; si è
persuasi che se ne parli da troppo tempo senza vederne risultati apprezzabili).
Ma non si potrebbe invece affermare che è proprio la causa degli armamenti
ad essere logora? Non è forse vero che è proprio il postulato
della corsa alle armi che conferisce ogni giorno piú la prova della sua
vetustà, del suo carattere anacronistico? Se si prende come norma di
successo o d'efficienza degli armamenti la pace che ne consegue, non si dovrebbe
parlare piuttosto di uno scacco?
La Chiesa condanna la corsa agli armamenti
Anche il Concilio è categorico sulla questione. Proscrive radicalmente
l'impiego delle armi di distruzione totale. Anzi, nei documenti tale impiego
incontra la piú esplicita "riprovazione" ivi menzionata.
"Questo sacrosanto Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale,
già pronunciate dai recenti sommi pontefici, dichiara: Ogni atto di guerra
che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste
regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità
e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato".
In quanto alla dissuasione, "se essa serve, in maniera certo inconsueta,
a distogliere eventuali avversari dal compiere atti di guerra" si può
vedere tutt'al piú in questo fatto "una tregua... che è stata
a noi concessa dall'alto"; insomma, una pausa di cui bisogna "approfittare"
e molto presto. Che, in questo campo, il tempo non lavora a nostro vantaggio.
"Le cause di guerra anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano
piuttosto di aggravarsi gradatamente... Anziché guarire veramente, nel
profondo, i dissensi tra i popoli, finiscono per contagiare anche altre parti
del mondo".
Non si può scorgere allora in questa competizione armata se non una formula
di transizione tra "l'antica schiavitú della guerra" e un nuovo
sistema, una soluzione nuova, nuove "vie per comporre in maniera piú
degna dell'uomo le nostre controversie".
In caso contrario, questa corsa folle mantiene in piedi una pace falsa, una
falsa sicurezza. Diviene un fine anziché un mezzo, come si illudeva di
essere. Instaura un disordine istituzionalizzato.
Costituisce una perversione della pace.
In ogni occasione, opportuna o meno, i cristiani, seguendo il Vicario di Cristo,
debbono denunciare questa preparazione scientifica dell'umanità alla
propria fine. Debbono ugualmente sensibilizzare l'opinione pubblica sui pericoli
sempre piú grandi che conseguono dalle prove nucleari (esplosioni), come
pure dal trasporto, dal deposito e dalla disseminazione delle armi atomiche.
"L'umanità... che si trova già in grave pericolo (pur avendo
compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico), sarà forse condotta
funestamente a quel giorno, in cui non altra pace potrà sperimentare
se non la pace di una terribile morte".
Si comprende quindi la severità della diagnosi. Agli occhi
della Chiesa la situazione presente di una sicurezza presunta deve essere condannata:
1. Nel nome della pace che la corsa agli armamenti non assicura. In particolare
quanto alle armi atomiche: Che siano proscritte "queste armi cosí
nefaste e cosí disonoranti" e "che sia proscritta... la terribile
arte che le sa fabbricare, moltiplicare, conservare per il terrore dei popoli...
Preghiamo affinché quel micidiale ordigno non abbia ucciso, cercandola,
anche la pace".
2. Nel nome della morale naturale e dell'ideale evangelico. La corsa agli armamenti
(alle armi ABC, ma anche alle armi convenzionali moderne), a causa della loro
capacità di distruzione scientifica, è contraria all'uomo e contraria
a Dio. Bisogna quindi bandire questa corsa folle, in nome della morale, per
due ragioni principali:
a) Quando non vi è piú nessuna proporzione tra il danno causato
ed i valori che si tenta di salvaguardare, "è meglio subire l'ingiustizia
che difendersi". Per lo meno, piuttosto che difendersi con tale mezzo.
Difatti esiste sempre il diritto e il dovere di opporre una resistenza attiva,
benché senza violenza, alla oppressione ingiusta e ciò in nome
dei diritti e della dignità dell'uomo.
b) Quando armarsi non ha piú per fine, almeno per fine principale, la
difesa, ma l'aggressione, perde la sua ragione d'essere, la sua giustificazione,
la sua legittimità. Questo sta verificandosi proprio ora. La corsa agli
armamenti si è trasformata in una corsa ad aumentar forza al potere.
È già attualmente un mezzo per imporre alle nazioni piú
deboli, e persino ai blocchi antagonisti, il proprio dominio. È dunque
al servizio di un autentico imperialismo e di un neocolonialismo e permette
alle grandi potenze una nuova spartizione del mondo.
Non si tratta quindi piú soltanto di guerra fredda, ma di un'azione offensiva,
di un'aggressione e di un'oppressione inammissibili. "Né la potenza
bellica rende legittimo ogni suo uso militare o politico".
- La corsa agli armamenti costituisce una provocazione che spiega - sul piano psicologico, economico, sociale e politico - la comparsa e la moltiplicazione di un'altra competizione: la corsa ai piccoli armamenti. Il terrorismo, difatti, si presenta spesso come l'ultimo mezzo di difesa contro questo abuso di potere delle grandi nazioni e come una contestazione violenta della situazione d'ingiustizia creata o mantenuta mediante azioni o minacce da parte degli stati militarmente piú agguerriti.
- Questo impiego delle armi dominanti da parte delle nazioni industrializzate ha pure come effetto d'impegnare i paesi in via di sviluppo in una simile corsa agli armamenti. Una parte sempre maggiore del bilancio militare di certi paesi meno favoriti ritarda ancor piú la loro crescita economica. Il moltiplicarsi di regimi politici autoritari nel terzo mondo è nello stesso tempo la causa e l'effetto dell'aumento degli acquisti (e quindi delle vendite) di armi da parte delle potenze industrialmente sviluppate.
- Questo impiego delle risorse finanziarie per scopi militari determina, come contraccolpo, un rallentamento o una diminuzione d'aiuti ai paesi meno abbienti. Esso rende sempre piú difficile la riconversione piú e piú volte auspicata e richiesta da Paolo VI nel suo messaggio di Bombay, dalla Populorum progressio, come pure dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes: disarmare per sviluppare.
Ciò non avverrebbe piú se le nazioni che dispongono
di mezzi piú cospicui nel campo degli armamenti accettassero infine di
rallentare, e poi arrestare, questa corsa alle armi considerata come mezzo di
egemonia e non solo di protezione dei beni e delle vite dei loro cittadini.
L'appassionata esortazione di Paolo VI ai rappresentanti dei popoli della terra
nel suo discorso all'ONU, il 4 ottobre 1965, resta attuale e valida piú
che mai: "Lasciate cadere le armi dalle vostre mani!".
Pertanto, il dovere è altrettanto chiaro come la diagnosi:
- Bisogna fermare la corsa agli armamenti.
- Bisogna tradurre in atto la riduzione degli armamenti.
II. RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI
Inoltre, non è sufficiente limitarsi allo stato presente delle scorte
e delle forze armate. Bisogna anche iniziare un disarmo progressivo e controllato
in tutte le sue fasi, per garantirne la sicurezza.
Perché ridurre gli armamenti
La riduzione degli armamenti delinea un processo inverso alla corsa agli armamenti:
è nel contempo il segno e la causa di una diminuzione della paura e di
un ritorno alla fiducia.
Essa dà una maggiore credibilità alla interdizione della forza
nelle relazioni internazionali. Permette cosí di assicurare meglio il
rispetto del diritto internazionale, e di radicare la pace nella giustizia sia
nei rapporti tra le nazioni che all'interno di ognuna di esse.
Essa permette inoltre di garantire la sicurezza a migliori condizioni e di destinare
a scopi pacifici le nuove somme di danaro risparmiate in tale modo.
Come disarmare?
I documenti del Magistero indicano un certo numero di criteri affinché
il disarmo sia nello stesso tempo giusto ed efficace.
Il disarmo deve essere inteso in maniera tale che la risultante sicurezza sia
per lo meno uguale a quella che è assicurata dalla situazione presente.
Il disarmo deve essere progressivo, poiché il passaggio da uno stato
all'altro deve essere subordinato alla verifica che gli obblighi contratti siano
stati rispettati.
Deve essere controllato con l'ausilio di sistemi di verifica internazionale,
atti a garantire il rispetto degli impegni assunti. "Tutti debbono alacremente
impegnarsi per far cessare finalmente la corsa agli armamenti, in maniera tale
che il disarmo incominci realmente e proceda non unilateralmente, s'intende,
ma con uguale ritmo da una parte e dall'altra, in base ad accordi comuni ed
assicurato da efficaci garanzie".
a) La storia di questi aggettivi e di altri (disarmo reciproco,
simultaneo, garantito istituzionalmente) è legata ad un contesto preciso,
contrassegnato dalla concezione della sovranità assoluta degli stati.
È ispirata da un'atmosfera di reciproca diffidenza, che comportava il
possesso delle armi e l'esercizio di una certa cautela.
Questa vigilanza trova ancora oggi la sua ragione d'essere. "Fin tanto
che l'uomo rimarrà l'essere debole, mutevole e persino cattivo come sovente
si mostra, le armi difensive saranno purtroppo necessarie".
"Quanta incoscienza si trova a volte nel cuore stesso di talune manifestazioni
che si dichiarano pacifiste! E quante menzogne e manovre dominatrici si nascondono
sotto determinate pretese di pace!". Questo richiamo di Paolo VI al realismo
si ricollega con l'affermazione del Vaticano II: "Fintantoché esisterà
il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale
competente, munita di forze efficaci... non si potrà negare ai governi
il diritto di una legittima difesa. I capi di stato... hanno dunque il dovere
di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati...".
Ma se la soppressione delle armi genera insicurezza, il loro possesso esagerato
ne genera un'altra, altrettanto grave. Non si tratta quindi di sopprimere, bensí
di ridurre.
b) Bisogna tuttavia attenersi letteralmente ai criteri tradizionali
del disarmo, indipendentemente dalla solidità della motivazione? L'insuccesso
del disarmo non è forse dovuto ad una ripetizione pura e semplice dei
criteri giuridici e politici del passato? Ad una specie di entità giuridica
immutabile che le potenze interessate tengono in serbo per ritardare la soluzione
di questa delicata questione?
La Chiesa, dal canto suo, può rimanere ferma alle sue raccomandazioni
ed al suo insegnamento tradizionale?
Non bisogna forse trovare altre soluzioni per uscire da questo circolo vizioso
e sfuggire al laccio della diffidenza?
Nel quarto di secolo trascorso dopo la seconda guerra mondiale, un certo numero
di riconciliazioni non ha forse messo in causa il postulato secondo cui la sicurezza
poggerebbe unicamente sulla potenza militare? Storici e politici non sono forse
restati sorpresi nel vedere che i motivi dei grandi scontri storici catastrofici
si riducevano a ben poca cosa, e come ugualmente è bastato un nonnulla
per mutare l'ostilità in collaborazione? Se la guerra è la congiunzione
di due paure, la pace non sarebbe forse il risultato di due atti di fiducia
ristabiliti o da ristabilire il piú presto possibile, prima di mettere
in moto il processo della "escalation" militare e al fine di limitarlo?
L'ora che viviamo non si presta forse a un tal genere di prospettiva?
I popoli che si abbandonano alla folle corsa degli armamenti, quantitativi e
qualitativi, non faranno forse come quei corridori dello stadio che terminano
sfiniti? Non è forse giunto il momento di scegliere la direzione opposta
e di trasformare la guerra o la minaccia nella conquista e mantenimento della
pace?
Il disarmo non è una realtà distinta, un "qualcosa"
di separato. Fa parte invece di un insieme. Non c'è dubbio che deve essere
considerato in sé e per sé, con metodi propri, in una preoccupazione
di chiarezza scientifica, giuridica, politica e spirituale. Postula e richiede
tecniche, discipline, uomini preparati. Ad ogni istante però deve essere
visto e attuato in intimo legame con le due altre grandi realtà del mondo
odierno: lo sviluppo e l'organizzazione della società internazionale.
Disarmare, sviluppare, istituzionalizzare: un solo ed identico problema, una
sola ed identica soluzione.
Parte seconda
SOSTITUIRE LA GUERRA
I. LA PACE MEDIANTE IL DIRITTO
Disarmare significa perciò fermarsi e ridurre. Ma anche
e soprattutto trasferire. Non si distrugge se non ciò che si sostituisce.
Si tratta di trasformare, almeno in larghissima parte, la sicurezza nazionale
e i suoi strumenti militari, fin qui legati alla volontà di ogni governo,
nella sicurezza internazionale.
Questo avverrà se si fa ricorso fiducioso al diritto, come già
avviene per gli affari che riguardano la vita interna di ogni paese civile.
1 - Una struttura mondiale: l'ONU e il disarmo
L'enciclica Pacem in terris insiste molto sull'inderogabile necessità
"di poteri pubblici, aventi autorità su piano mondiale". La
costituzione Gaudium et spes riprende parola per parola lo stesso concetto:
"Un'autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale
sia dotata di efficaci poteri per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza
della giustizia e rispetto dei diritti".
Il Concilio assegna a questa istituzione indispensabile una funzione che deve
essere sostenuta da un'illuminata opinione pubblica:" Preparare quel tempo,
nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si possa interdire del tutto qualsiasi
ricorso alla guerra".
Il Sinodo dei vescovi dell'ottobre 1971 è ancora piú
esplicito. Fa il nome dell'organizzazione esistente, dicendo chiaro quello che
da essa ci si attende: "Le Nazioni Unite - che in ragione del proprio fine
devono promuovere la partecipazione di tutte le nazioni - e gli organismi internazionali
siano sostenuti, in quanto costituiscono una prima forma di sistema avente una
certa capacità di frenare la corsa agli armamenti, di dissuadere il traffico
delle armi, di favorire il disarmo, di risolvere i conflitti con i mezzi pacifici
dell'azione legale, dell'arbitrato e della polizia internazionale. È
assolutamente necessario che i conflitti tra le nazioni non siano risolti attraverso
la guerra, ma siano trovate per essi altre soluzioni che siano conformi alla
natura umana".
Paolo VI è altrettanto esplicito: "Noi crediamo nell'ONU. abbiamo
fiducia nelle sue possibilità di estendere il dominio della pace e il
regno del diritto nel nostro mondo esagitato, siamo pronti ad accordargli tutto
il nostro appoggio morale. Sacra è la causa della pace e del diritto.
Gli ostacoli che essa incontra non devono far scoraggiare quelli che ad essa
dedicano le loro energie; che provengano da circostanze avverse o dalla malizia
degli uomini, essi possono e debbono essere sormontati". Molti altri testi
potrebbero essere addotti in appoggio dell'asserto.
2 - Convenzioni ed accordi bilaterali e multilaterali
Per agire nel campo del diritto non bisogna attendere tuttavia che siano creati
"poteri pubblici aventi autorità su piano mondiale". Gli ultimi
tre papi hanno molto scritto e parlato su questo argomento.
Il 30 giugno 1964, il cardinale Cicognani, segretario di stato, in una lettera
indirizzata al signor Houari Souiah, delegato algerino alla Conferenza per la
denuclearizzazione del Mediterraneo, scriveva: "La Santa Sede ha incoraggiato
vivamente le iniziative del disarmo, soprattutto quelle che si propongono di
prevenire il pericolo atomico, e fa voti che l'umanità giunga a premunirsene...
mediante un accordo sincero e generale, che solo può rendere efficaci
tali sforzi... Il Santo Padre fa voti che questo appello sia ascoltato da tutti
i responsabili del destino delle nazioni...".
Tre anni dopo, il 27 agosto 1967, Paolo VI precisava come egli
avesse approvato il trattato di Ginevra sulla non proliferazione nucleare "senza
alcun sottinteso politico" perché segnava "un primo passo"
e instaurava "un episodio di concordia e di collaborazione internazionali,
senza le quali è impossibile sperare sicurezza e pace nel mondo".
Il 24 giugno 1968, il Santo Padre ritornava sulla stessa idea. Si rallegrava
che le Nazioni Unite avessero approvato "il testo di un accordo internazionale,
inteso a por fine alla proliferazione delle armi atomiche e ad arrestare la
corsa agli armamenti nucleari". Risultato ancora imperfetto, ma "primo
passo" su una strada che dovrebbe condurre "fino al bando totale delle
armi nucleari e al disarmo generale e completo".
3 - Creazione d'istituzioni consacrate al disarmo
Infine, questi accordi e queste convenzioni dovrebbero sfociare nella creazione
d'istituzioni nuove, specificamente consacrate al disarmo. Esse costituirebbero
elementi base a favore dell'esigenza mondiale di arbitrato e di polizia internazionale,
impazientemente attesa (organizzazioni regionali).
II. LA VOLONTÀ POLITICA
Leggi e convenzioni resteranno lettera morta se non sono animate dall'interno da una volontà politica, accompagnata da una strategia di pace.
A. "Si tratta di far uso non di armi militari, anche se giustificate
dalla difesa del diritto e della civiltà, ma di armi politiche... per
promuovere l'unione dei popoli".
Un anno piú tardi, il Santo Padre riprende la stessa idea, davanti allo
stesso uditorio: "Non è forse desiderio generale dell'umanità
e suo profondo interesse che i rapporti puramente militari si trasformino sempre
piú in rapporti civili?".
1. Questo compito spetta naturalmente e innanzitutto ai governanti. Giovanni
XXIII li "scongiura a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un
corso ragionevole ed umano". Il Concilio fa proprio l'appello del Papa:
"I vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare
i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare,
davanti a Dio e davanti all'umanità intera, l'enorme peso della loro
responsabilità".
2. Lo stesso testo afferma ancora che: "I reggitori dei popoli... dipendono
in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini...; di qui
l'estrema urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e
di un nuovo orientamento dell'opinione pubblica". Il tecnicismo dei problemi
della sicurezza nazionale e dell'esercizio dell'autorità, causati dalla
"socializzazione" dell'esistenza, fa sorgere il rischio che il potere
si isoli dal popolo. Facilmente i governi si troverebbero chiusi nei loro propri
determinismi e spinti, loro malgrado, a non piú volere né potere
attuare il disarmo, se la pressione dei rispettivi popoli non li obbligasse
a rimettere in causa i postulati ereditari della difesa armata o superarmata.
3. Soltanto il buon senso e la pressione dell'opinione pubblica possono impedire
che si creino due storie parallele e spesso contraddittorie: quella della civiltà
e quella delle tecniche militari o civili disumanizzate.
La funzione delle formazioni politiche (partiti al potere o d'opposizione, stampa
influente sull'opinione pubblica, ecc.) dovrebbe essere determinante per orientare
la politica estera dei loro governi in un senso pacifico.
4. In questo accordo generale delle nazioni, mediante cui "si potrà
interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra", gli scienziati occupano
un posto importante. Paolo VI lancia loro un appello appassionato od urgente:
"Che l'umanità possa riprender coscienza! Che sappia trovare in
se stessa, nei suoi capi, nelle sue guide, la forza e la saggezza per respingere
con orrore l'uso malefico della scienza distruttrice! Che domandi piuttosto
alla scienza il segreto di migliorare se stessa".
In special modo il disarmo non è soltanto un affare di buona volontà.
Non s'improvvisa. Esigerà sacrifici, come quando si distrugge un vecchio
edificio per far posto ad uno nuovo. La riconversione delle industrie e del
commercio delle armi, in particolare, è competenza dei tecnici. Essa
esige "consultazioni... coraggiosamente e instancabilmente condotte".
5. Si richiedono inoltre tecniche industriali ed economiche, ma anche tecniche
politiche. Che "le assemblee piú alte e qualificate considerino
a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità
politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla
sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti".
B. Per i responsabili del bene pubblico, a tutti i livelli, si
tratta dunque di elaborare una strategia del disarmo e della pace scientificamente
fondata su analisi oggettive e complete, atte per se stesse ad assicurare la
sua credibilità.
Al momento presente, per rendere credibile ogni parola o messaggio sul disarmo
e metterlo in consonanza con i "segni dei tempi", sembra che sia necessario:
1. da un lato, riconoscere la difficoltà crescente di certe formule o
programmi, quali "il disarmo per lo sviluppo":
a) a causa dell'intensificazione dell'aiuto militare che fa prevedere la crescita
di sistemi politici autoritari nel terzo mondo;
b) a causa dell'aumento dei quadri di polizia e degli apparati di sicurezza
interna, giustificati dalla lotta contro il terrorismo, il quale tende oggi
ad istituzionalizzarsi in una guerra civile larvata.
2. dall'altro lato, avanzare qualche proposta che sia nel senso dell'aspirazione
contemporanea ad una politica di disarmo, per esempio:
a) il consolidamento della funzione della polizia internazionale dell'ONU;
b) l'istituzionalizzazione, su scala internazionale, delle misure di polizia
contro il terrorismo, diminuendo o evitando di creare un dualismo tra le forze
armate, durante questo decennio;
c) l'accesso dei paesi sottosviluppati ai negoziati sul disarmo, come "partners"
di eventuali processi di "de-escalation";
d) si suggerisce inoltre, per scoraggiare la tendenza alla corsa agli armamenti:
l'interdizione d'accesso al "diritto di prelevamento" (drawing rights)
per le nazioni sottosviluppate che aumentano il loro bilancio militare; ed invece,
l'accesso prioritario ai finanziamenti internazionali per quei paesi che riducono
le loro spese militari a scopi sociali; l'inversione, per un'utilizzazione pacifica,
delle entrate dei brevetti d'armamento per costituire fondi per lo sviluppo,
ecc.
C. Una "strategia del disarmo" non può restringersi a puri
criteri d'efficienza o di rendimento. Essa deve appoggiarsi su una visione etica,
culturale e spirituale. Postula per gli anni venturi una riflessione approfondita
da parte dei filosofi e dei teologi, in modo speciale della nozione di "legittima
difesa", del concetto di "nazione", di "sovranità
nazionale", troppo spesso concepita nei termini di un'autarchia assoluta,
ecc.
Essa avrà anche bisogno di "profeti" - a patto che siano autentici
- di grandi voci, di "araldi" e di galvanizzatori di folle, di "mistici",
nel senso ampio e nel senso preciso della parola, per trascinare e mobilitare
le energie e il loro potenziale di unità, di dialogo e di cooperazione.
2024
Insomma, il disarmo ha per fondamento e per motore la "fiducia reciproca".
Non si può sostituire il ricorso alla guerra se non mediante "una
dinamica di pace".
Il disarmo delle armi esige, come condizione prima, non la soppressione, ma
la sublimazione degli istinti guerrieri dell'uomo (cacciatore, saccheggiatore,
dominatore) in una serie di impegni al servizio della costruzione virile della
pace.
Bisogna trovare succedanei alla guerra, proponendo altre guerre da vincere.
Il disarmo non può essere disgiunto dagli altri obiettivi di unità,
di giustizia, di concordia e di sviluppo di tutta la "famiglia umana".
La vittoria del disarmo non è altro che la vittoria della pace. La sua
unica possibilità di riuscita consiste nell'inserirsi nel grande disegno,
nella "storia nuova" dell'umanità.
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1974-1976), V, nn. 1990-2024.