Giovanni Paolo II all'ONU (1982)
RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI EQUILIBRATA, SIMULTANEA, CONTROLLATA
Giovanni Paolo II - 7 giugno 1982
Signor Presidente,
signore e signori rappresentanti degli stati membri.
1. Nel giugno 1978, quando si riuní la prima sessione
straordinaria dell'assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo, il mio
predecessore, Papa Paolo VI, inviò ad essa un messaggio personale in
cui esprimeva le sue speranze nei risultati che ci si potevano attendere da
un tale sforzo di buona volontà e saggezza politica da parte della comunità
internazionale.
Quattro anni dopo eccovi riuniti nuovamente per chiedervi se queste attese siano
state, almeno in parte, corrisposte.
La risposta a tale domanda non sembra essere troppo rassicurante né troppo
incoraggiante. Un raffronto della situazione di quattro anni fa con quella odierna
in materia di disarmo permette di rilevare ben pochi miglioramenti. Alcuni pensano
addirittura che vi sia stato un peggioramento, almeno nel senso che le speranze
nate allora potrebbero oggi presentarsi come semplici illusioni. Questa constatazione
potrebbe facilmente indurre allo scoraggiamento e spingere i responsabili dei
destini del mondo a cercare altrove la soluzione dei problemi - particolari
o generali - che continuano a turbare la vita dei popoli.
Molti vedono in questi termini la situazione attuale. Cifre provenienti da fonti
diverse indicano un serio aumento delle spese militari, che si traduce in una
maggiore produzione di diversi tipi d'arma, cui, secondo alcuni istituti specializzati,
corrisponde una nuova spinta al commercio delle armi. I mezzi di informazione
hanno ultimamente concentrato gran parte della loro attenzione sulla ricerca
e l'uso su grande scala delle armi chimiche. D'altra parte sono comparse nuove
armi nucleari.
Davanti ad un'assemblea tanto competente non è necessario esporre quelle
cifre che proprio la vostra organizzazione ha pubblicato. Mi basterà,
a titolo indicativo, citare lo studio secondo cui il totale delle spese militari
del pianeta corrisponde ad una media di centodieci dollari per persona all'anno,
cifra che rappresenta, per molti abitanti di questo pianeta, il reddito di cui
dispongono per vivere nello stesso periodo.
Dinanzi ad un simile stato di cose, esprimo volentieri la mia soddisfazione
per il fatto che le Nazioni Unite si siano riproposte di affrontare il problema
del disarmo, e sono riconoscente della possibilità cortesemente offertami
di rivolgervi la parola in questa occasione.
Benché non sia membro della vostra organizzazione, la Santa Sede ha in
essa da qualche tempo una sua missione permanente di osservazione che le permette
di seguirne giornalmente le attività. Nessuno ignora quanto i miei predecessori
apprezzassero i vostri lavori. Ho avuto io stesso occasione, soprattutto durante
la mia visita alla sede dell'ONU, di far mie le loro parole di stima nei confronti
della vostra organizzazione. Come loro, comprendo le vostre difficoltà
e, pur formulando il voto che i vostri sforzi siano ricompensati da migliori
e piú importanti risultati, riconosco il vostro ruolo prezioso e insostituibile
al fine di garantire al mondo un futuro piú sereno e pacifico.
È la voce di uno che non ha interessi né poteri politici, né,
ancor meno, forza militare, quella che la vostra cortesia mi permette di far
risuonare nuovamente in quest'aula. Qui, dove praticamente convergono le voci
di tutte le nazioni, grandi e piccole, la mia parola reca in sé l'eco
della coscienza morale dell'umanità allo stato puro, se mi permettete
l'espressione. Non è accompagnata da preoccupazioni o interessi di altra
natura, che potrebbero velarne la testimonianza e renderla meno credibile.
Una coscienza illuminata e guidata dalla fede cristiana, indubbiamente, ma che
per questo non è meno profondamente umana, anzi, al contrario. Si tratta
dunque di una coscienza comune a tutti gli uomini di buona e sincera volontà.
La mia voce si fa l'eco delle angosce, delle aspirazioni, delle speranze e dei
timori di miliardi di uomini e donne che, da ogni latitudine, guardano alla
vostra assemblea domandandosi se ne verrà, come sperano, una qualche
luce rassicurante, o una nuova e preoccupante delusione. Senza averne ricevuto
da tutti il mandato, credo di potermi fare l'interprete fedele dei loro sentimenti
presso di voi.
Non voglio né posso entrare negli aspetti politici e tecnici del problema
del disarmo quale si presenta oggi, ma mi si permetterà di attirare la
vostra attenzione su qualche principio etico che è alla base di ogni
discussione e decisione auspicabile in tale ambito.
Il mondo ha bisogno di pace
2. Il mio punto di partenza si radica in una constatazione
unanimemente ammessa non solo dai vostri popoli, ma anche dai governi che presiedete
o rappresentate: il mondo desidera la pace, il mondo ha bisogno di pace.
Oggi rifiutare la pace non significa solo provocare le sofferenze e le perdite
che comporta - oggi piú di ieri - una guerra, pur limitata, ma potrebbe
significare anche la distruzione totale di intere regioni con la minaccia possibile
o probabile di catastrofi dalle dimensioni ancora piú vaste, addirittura
universali.
I responsabili della vita dei popoli sembrano impegnati soprattutto in una febbrile
ricerca delle vie politiche e delle soluzioni tecniche che permettano di "contenere"
gli effetti di eventuali conflitti. Pur dovendo riconoscere i limiti dei loro
sforzi in questo senso, persistono su questa strada, tanto è diffusa
la convinzione che a lungo termine le guerre siano inevitabili, e tanto, anche
e soprattutto, lo spettro di un possibile scontro militare tra i grandi campi
che dividono il mondo continua oggi ad assillare il destino dell'umanità.
Certo, nessuna potenza o nessun uomo di stato ammetterà mai di voler
progettare una guerra o prenderne l'iniziativa. Tuttavia la reciproca sfiducia
fa ritenere o temere che altri nutrano disegni o intenzioni del genere, cosicché
ciascuno sembra non prospettarsi altra soluzione possibile, se non necessaria,
che quella di preparare una forza difensiva sufficiente a rispondere ad un eventuale
attacco.
Il mondo ha bisogno di disarmo
3. Molti stimano, anche, che una tale preparazione costituisca
un cammino alla salvaguardia della pace, o almeno una via capace di ostacolare
nel modo migliore e piú efficace lo scatenamento di grandi conflitti
che potrebbero comportare il supremo olocausto dell'umanità e la distruzione
della civiltà che l'uomo ha conquistata laboriosamente nel corso dei
secoli.
Questa è ancora la "filosofia della pace", come si può
ben vedere, enunciata dal vecchio adagio Romano: "Se vuoi la pace, prepara
la guerra".
Tradotta in termini moderni questa "filosofia" ha assunto il nome
di "dissuasione" e ha preso la forma della ricerca di un "equilibrio
delle forze" che talora si è chiamato, non senza ragioni, "equilibrio
del terrore". Come ha osservato il mio predecessore Paolo VI: "La
logica interna alla ricerca degli equilibri di forze spinge ciascuna delle parti
a procurare di assicurarsi un qualche margine di superiorità, nel timore
di venirsi a trovare in situazioni di svantaggio" (Messaggio all'assemblea
generale dell'ONU, 24 maggio 1978: Insegnamenti di Paolo VI, XVI, 1978, §
452).
Cosí praticamente è facile la tentazione - e sempre presente il
pericolo - di vedere trasformarsi la ricerca di un equilibrio in ricerca di
una superiorità tale che rilanci in modo ancor piú pericoloso
la corsa agli armamenti.
Ecco la tendenza che di fatto sembra continuare a prevalere oggi, e forse in
modo ancor piú accentuato di prima. E voi vi siete proposti, come scopo
specifico di questa assemblea, di cercare in che modo sia possibile invertire
questa tendenza.
Questo obiettivo può apparire ancora "minimalista", per cosí
dire, ma riveste un'importanza fondamentale perché solo una simile inversione
può far sperare che l'umanità si metterà per la via che
conduce al fine tanto auspicato da tutti, anche se molti lo considerano sempre
un'utopia: un disarmo totale, reciproco e circondato da tali garanzie di controllo
effettivo, che sia in grado di dare a tutti la fiducia e la sicurezza necessarie.
Dunque questa seduta straordinaria riflette anche un'altra constatazione. Cosí
come la pace, il mondo desidera anche il disarmo. Il mondo ha bisogno del disarmo.
Del resto tutto il lavoro svolto nel comitato per il disarmo, in diverse commissioni
o sotto-commissioni o nell'ambito dei governi, cosí come l'attenzione
dell'opinione pubblica, testimoniano del peso attribuito attualmente al difficile
problema del disarmo.
La convocazione stessa di questa assemblea racchiude un giudizio: le nazioni
del mondo sono già troppo armate e troppo impegnate in politiche che
rafforzano questa tendenza. Implicitamente questo giudizio esprime la convinzione
che una tale tendenza sia erronea e che le nazioni del mondo che hanno imboccato
questa strada devono ripensare la loro posizione.
Ma la situazione è complessa e entrano in gioco numerosi valori, di cui
alcuni del piú alto livello. Si possono esprimere punti di vista divergenti.
Bisogna dunque affrontare i problemi con realismo e onestà.
Per questo in primo luogo prego Dio perché vi conceda la forza di spirito
e la buona volontà richieste per compiere il vostro lavoro e fare avanzare
nella misura del possibile la causa della pace, scopo ultimo di tutti i vostri
sforzi durante questa sessione straordinaria. La mia parola è dunque
parola di incoraggiamento e di speranza. Incoraggiamento a non lasciare che
le vostre energie siano indebolite dalla complessità dei problemi o dai
fallimenti del passato e del presente. Parola di speranza perché sappiamo
che solo gli uomini capaci di speranza sono in grado di avanzare pazientemente
e tenacemente verso i fini degni dei migliori sforzi e verso il bene di tutti.
La Santa Sede e la pace
4. Forse nessun problema tocca tanti aspetti della condizione
umana quanto quello degli armamenti e del disarmo. Esso comporta aspetti scientifici
e tecnici, aspetti sociali e economici. Include anche gravi questioni di natura
politica che concernono i rapporti tra stati e tra popoli. I nostri sistemi
mondiali di armamento influenzano inoltre in gran parte gli sviluppi culturali.
A coronamento del tutto intervengono le questioni spirituali che riguardano
l'identità stessa dell'uomo e le sue scelte per il futuro e per le generazioni
avvenire. Offrendovi le mie riflessioni ho presenti tutte queste dimensioni
tecniche, scientifiche, sociali, economiche, politiche e soprattutto etiche,
culturali e spirituali.
5. Dalla fine della seconda guerra mondiale e gli inizi dell'era
atomica, la Santa Sede e la Chiesa cattolica hanno assunto una posizione molto
netta. La Chiesa ha cercato continuamente di contribuire alla pace e di costruire
un mondo in cui non si debba ricorrere alla guerra per risolvere le divergenze.
Ha incoraggiato il mantenimento di un clima internazionale di reciproca fiducia
e cooperazione. Ha appoggiato le strutture suscettibili di garantire la pace.
Ha ricordato gli effetti disastrosi della guerra. Man mano che aumentavano i
mezzi di distruzione e di morte, ha segnalato i pericoli che cosí si
correvano e, oltre ai danni immediati, ha indicato i valori da promuovere per
sviluppare la cooperazione, la reciproca fiducia, la fraternità e la
pace.
Già nel 1946 il mio predecessore, Papa Pio XII, si era riferito alla
"potenza dei nuovi mezzi di distruzione" che riconduceva il problema
del disarmo al centro delle discussioni internazionali con tratti completamente
nuovi (Messaggio al collegio dei cardinali, 24.12.1946).
I papi successivi e il Concilio Vaticano II hanno proseguito la riflessione
adattandola al contesto dei nuovi armamenti e del controllo degli stessi. Se
gli uomini si rivolgessero a questo compito con buona volontà e se nel
loro cuore e nei loro progetti avessero la pace come obiettivo, potrebbero essere
trovate misure adeguate, elaborate strutture appropriate per assicurare ad ogni
popolo la legittima sicurezza nel reciproco rispetto e nella pace, e cosí
gli arsenali della paura e della minaccia diverrebbero superflui. L'insegnamento
della Chiesa cattolica è dunque chiaro e coerente. Deplora la corsa agli
armamenti, chiede a tutti almeno una loro progressiva riduzione, reciproca e
verificabile, cosí come anche maggiori precauzioni contro possibili errori
nell'uso delle armi nucleari. Allo stesso tempo la Chiesa reclama per ogni nazione
il rispetto dell'indipendenza, libertà e legittima sicurezza.
Desidero assicurarvi circa la costante preoccupazione della Chiesa, e circa
gli sforzi che non mancherà mai di produrre finché gli armamenti
non saranno del tutto controllati, la sicurezza di tutte le nazioni garantita,
e finché i cuori degli uomini non saranno guadagnati alle scelte etiche
capaci di garantire una pace durevole.
6. Vengo ora alla discussione che vi occupa, riguardo alla
quale si deve in primo luogo riconoscere che nessuna componente degli affari
internazionali può essere considerata a sé, separatamente dai
molteplici interessi delle nazioni. Tuttavia una cosa è riconoscere l'interdipendenza
dei problemi, altra cosa sfruttarli per trarne partito su di un altro piano.
Gli armamenti, le armi nucleari e il disarmo sono troppo importanti in se stessi
e per il mondo perché divengano parte di una strategia che ne sfrutti
l'importanza a favore di un uomo politico o di altri interessi.
Non resta che il negoziato
7. È dunque importante considerare attentamente con
la prudenza e l'obiettività che meritano tutte le proposte serie che
mirano a contribuire al disarmo reale e a creare un migliore clima. Anche passi
minimi hanno un valore che trascende il loro aspetto materiale e tecnico. Quale
che sia l'ambito considerato, oggi abbiamo bisogno di nuove prospettive e di
disponibilità ad un ascolto rispettoso e ad un attento accoglimento delle
indicazioni oneste di tutti coloro che si occupano con responsabilità
di affari tanto controversi.
A tale proposito si presenta quello che chiamerei il problema della retorica.
Un ambito tanto teso e gravido di tanti inevitabili pericoli non può
prestarsi a divenire occasione di alcun discorso forzato, di alcuna posizione
provocatrice. Il compiacersi nella retorica, in un vocabolario acceso e appassionato,
in minacce velate e in contro-minacce e manovre sleali non può che esacerbare
la difficoltà dei problemi che richiedono un esame sobrio e attento.
D'altra parte i governi e i loro responsabili non possono condurre gli affari
di stato in modo indipendente dai desideri dei loro popoli. La storia delle
civiltà ci offre esempi spaventosi di quel che accade quando si tenta
una simile esperienza. Ora, i timori e le preoccupazioni di numerosi gruppi
in diverse parti del mondo rivelano che le persone sono sempre piú spaventate
del pensiero di quel che succederebbe se degli irresponsabili scatenassero una
guerra nucleare.
Cosí, un po' dovunque, si sono sviluppati dei movimenti per la pace.
In numerosi paesi questi movimenti, divenuti estremamente popolari, sono sostenuti
da una parte crescente di cittadini, di diversa estrazione sociale, di ogni
età e di varia formazione, specialmente da giovani. Le basi ideologiche
di questi movimenti sono molteplici. I loro progetti, le loro proposte, le loro
politiche variano grandemente e spesso possono prestare il fianco a strumentalizzazioni
di parte. Ma, al di là delle divergenze di forma, vi è un desiderio
di pace profondo e sincero.
Perciò non posso non associarmi al vostro progetto di appello all'opinione
pubblica per far nascere una vera coscienza universale sui terribili rischi
della guerra, una consapevolezza che dovrebbe comportare, a sua volta, un generalizzato
spirito di pace.
8. Nelle condizioni attuali, una dissuasione fondata sull'equilibrio
- non certo concepito come un fine in se stesso, ma come una tappa sulla via
del disarmo progressivo - può ancora essere considerata come moralmente
accettabile.
Tuttavia, per assicurare la pace, è indispensabile non accontentarsi
del minimo, che è sempre minacciato dal pericolo reale di esplodere.
Che fare allora? In mancanza di un'autorità soprannazionale quale era
stata già auspicata dal Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem
in terris e che si era sperato di trovare nell'Organizzazione delle Nazioni
Unite, l'unica soluzione realistica davanti alla minaccia della guerra resta
ancora il negoziato. Qui vorrei ricordarvi una parola di s. Agostino che già
altre volte ho citato: "Uccidete la guerra con le parole della trattativa,
ma non uccidete gli uomini con la spada". Anche oggi riaffermo davanti
a voi la mia fiducia nella forza di trattative leali per arrivare a soluzioni
giuste ed eque. Tali trattative richiedono pazienza e costanza e devono tendere
precisamente ad una riduzione degli armamenti equilibrata, simultanea e controllata
internazionalmente.
Volendo essere ancor piú precisi, sembra che l'evoluzione in corso porti
verso una crescente interdipendenza dei tipi di armamenti. Come è possibile,
in tali condizioni, prevedere una riduzione equilibrata, se le trattative non
coinvolgono tutto l'insieme delle armi? A questo riguardo, la continuazione
dello studio di un "Programma globale di disarmo", che la vostra organizzazione
ha già intrapreso, potrebbe facilitare il necessario coordinamento delle
varie istanze e raggiungere risultati piú veri, equi ed efficaci.
La politica degli equilibri non basta
9. In realtà, le armi nucleari non sono gli unici mezzi
di guerra e di distruzione. La produzione e la vendita di armi convenzionali
attraverso il mondo costituiscono un fenomeno effettivamente allarmante e, come
sembra, in piena espansione. Dei negoziati sul disarmo non potrebbero essere
completi se ignorassero che l'80 per cento delle spese per le armi riguarda
armi convenzionali. D'altra parte, sembra che il loro traffico si sviluppi a
ritmo crescente e si orienti di preferenza verso i paesi in via di sviluppo.
Ogni passo fatto e ogni iniziativa intrapresa per limitare tale produzione e
traffico e per sottoporli a controllo sempre piú effettivo, costituisce
un contributo significativo alla causa della pace.
Avvenimenti recenti hanno confermato la potenza distruttiva delle armi convenzionali
e le deplorevoli condizioni cui si condannano gli stati tentati di farvi ricorso
per dirimere le loro controversie.
10. Ma la considerazione degli aspetti quantitativi degli armamenti,
tanto nucleari che convenzionali, non basta. Si deve porre un'attenzione del
tutto speciale al loro perfezionamento perseguito grazie a nuove tecnologie,
le piú avanzate: infatti questa è proprio una delle dimensioni
essenziali della corsa agli armamenti.
Ignorarlo significherebbe lasciarsi illudere e offrire solo inganni agli uomini
bramosi di pace.
La ricerca e la tecnologia devono essere sempre poste al servizio dell'uomo.
Ai giorni nostri troppo frequentemente se ne usa ed abusa per altri fini. Rivolgendomi
il 2 giugno 1980 agli uomini di scienza e di cultura dell'assemblea dell'UNESCO,
ho ampiamente sviluppato questo tema. Mi sia permesso anche oggi di suggerire
che una percentuale non indifferente dei fondi stanziati per la tecnologia e
la scienza degli armamenti sia destinata allo sviluppo dei meccanismi e dispositivi
che garantiscono la vita e il benessere degli uomini.
11. Nel suo discorso all'Organizzazione delle Nazioni Unite,
il 4 ottobre 1965, Papa Paolo VI proclamò una profonda verità,
quando disse: "La pace non si costruisce solo per mezzo della politica
e dell'equilibrio delle forze e degli interessi. Ma essa si costruisce con lo
spirito, le idee, le opere della pace". I frutti dello Spirito, le idee,
i frutti della cultura e le forze creatrici dei popoli sono finalizzate alla
condivisione. Le strategie della pace che rimanessero a livello tecnico e scientifico,
che stabilissero degli equilibri e la verifica di controlli, non potrebbero
garantire una pace vera, se non nella misura in cui fossero stabiliti e rafforzati
i legami tra i popoli. Stabilite dei legami che uniscano i popoli insieme. Datevi
gli strumenti che conducano i popoli a condividere le loro culture e i loro
valori. Abbandonate tutti gli interessi meschini che mettono una nazione alla
mercé di un'altra sul piano economico, sociale o politico.
In questo stesso spirito i lavori di esperti qualificati che mettono in rilievo
il rapporto tra disarmo e sviluppo meritano di essere studiati e posti in atto.
Non è una cosa nuova prospettare un transfert di risorse finanziarie
investite nello sviluppo degli armamenti verso lo sviluppo dei popoli, ma non
per questo l'idea perde senso, e la Santa Sede l'ha fatto propria da tempo.
Ogni risoluzione dell'Assemblea generale in questa direzione riceverebbe dovunque
l'approvazione e l'appoggio degli uomini e delle donne di buona volontà.
Lo stabilirsi di legami tra i popoli significa la riscoperta e la riaffermazione
di tutti i valori che rafforzano la pace e che uniscono i popoli in armonia;
significa anche il rinnovamento di quanto di meglio c'è nel cuore dell'uomo
che è alla ricerca del bene altrui nella fraternità e nell'amore.
Una lotta su due fronti
12. Vorrei aggiungere un'ultima considerazione: la produzione
e il possesso di armi sono la conseguenza di una crisi etica che rode la società
in tutte le sue dimensioni, politica, sociale e economica.
La pace, ho ripetuto piú volte, è il risultato del rispetto dei
principi etici. Il vero disarmo, quello che garantirà la pace tra i popoli,
non giungerà che con il risolversi di questa crisi etica.
Cosí che se gli sforzi per la riduzione degli armamenti, poi del disarmo
totale, non saranno accompagnati, in parallelo, da un riordino etico, saranno
votati fin dall'inizio allo scacco.
Tentare di rimettere a posto il nostro mondo, eliminarne la confusione degli
spiriti, prodotta dalla sola ricerca degli interessi e dei privilegi o dalla
difesa di pretese ideologiche, questo è il compito affatto prioritario
se si vuole giungere ad un progresso nella lotta per il disarmo. Altrimenti
ci si contenterà di apparenze.
La vera causa della nostra insicurezza si trova infatti in una crisi profonda
dell'umanità. Vale la pena di creare, tramite la sensibilizzazione delle
coscienze all'assurdità della guerra, le condizioni materiali e spirituali
che diminuiranno le stridenti ineguaglianze e che ridaranno a tutti un minimo
di libertà di spirito.
La coabitazione di garantiti e non-garantiti non può piú essere
sopportata in un mondo in cui la comunicazione è tanto rapida quanto
generalizzata, senza che nasca il risentimento e si volga in violenza. Del resto
anche lo spirito ha i suoi diritti primordiali e inalienabili; giustamente li
rivendica nei paesi in cui gli manca lo spazio bastante a vivere in serenità
secondo le sue convinzioni.
Invito tutti i combattenti per la pace a impegnarsi in questa lotta per l'eliminazione
delle vere cause dell'insicurezza degli uomini, di cui la terribile corsa agli
armamenti è uno degli effetti.
13. Invertire la tendenza della corsa agli armamenti significa
condurre una lotta parallela su due fronti: da una parte una lotta immediata
e urgente dei governi per ridurre progressivamente e in modo uguale le armi,
d'altra parte una lotta piú paziente, ma non meno necessaria, a livello
della coscienza dei popoli per por mano alla causa etica della insicurezza generatrice
di violenza, cioè le disuguaglianze materiali e spirituali del nostro
mondo.
Senza pregiudizi di sorta, uniamo tutte le nostre forze razionali e spirituali,
di uomini di Stato, di cittadini, di responsabili religiosi, per uccidere la
violenza e l'odio e cercare i sentieri della pace.
La pace è lo scopo supremo dell'attività delle Nazioni Unite.
Deve essere quello di ogni uomo di buona volontà. Sfortunatamente ancora
ai nostri giorni tristi realtà oscurano l'orizzonte della vita internazionale
e causano tante sofferenze, distruzioni e preoccupazioni, che potrebbero far
perdere all'umanità qualsiasi speranza di essere capace di controllare
il proprio avvenire nella concordia e collaborazione dei popoli. Malgrado il
dolore che pervade la mia anima, mi sento autorizzato, anzi, obbligato a riaffermare
solennemente davanti a voi cosí come davanti al modo quel che i miei
predecessori cosí come io stesso abbiamo spesso ripetuto in nome della
coscienza, della morale, dell'umanità e di Dio:
- La pace non è un'utopia né un ideale inaccessibile né
un sogno irrealizzabile;
- La guerra non è una calamità inevitabile;
- La pace è possibile;
- E perché possibile, la pace è un dovere. Un dovere grave. Una
responsabilità suprema.
La pace è certo difficile; esige molta buona volontà, saggezza,
tenacia. Ma l'uomo può e deve far prevalere la forza della ragione sulle
ragioni della forza.
La mia ultima parola è dunque ancora una volta una parola di incoraggiamento
e di esortazione. E dato che la pace, affidata alla responsabilità degli
uomini, resta tuttavia dono di Dio, essa si risolve anche in preghiera a colui
che tiene nelle sue mani il destino dei popoli.
Vi ringrazio dell'attività che svolgete per far progredire la causa del
disarmo: disarmo dei congegni di morte e disarmo degli spiriti.
Che Dio benedica i vostri sforzi.
E che questa assemblea possa passare alla storia come segno di consolazione
e di speranza.
Dal Vaticano, 7 giugno 1982. - Giovanni Paolo II
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1982-1983), VIII, 198-226.