Giovanni Paolo II all'ONU (1988)
IL DISARMO PER LO SVILUPPO
Giovanni Paolo II - 31 maggio 1988
Signor Presidente,
signore e signori rappresentanti degli stati membri,
1. La terza sessione straordinaria dell'Assemblea generale dedicata
al disarmo, alla quale ho l'onore di indirizzare questo messaggio, si riunisce
in un momento in cui non pochi segni nella vita internazionale lasciano sperare
in una conclusione positiva degli sforzi intrapresi per progredire, in virtú
di un effettivo disarmo, sulla via della cooperazione e della pace.
La comunità internazionale appare comprensibilmente incerta, oggi, tra
l'inquietudine di fronte ai conflitti locali che si inaspriscono e la speranza
che in particolare è suscitata dalla determinazione delle due grandi
potenze dell'emisfero nord di giungere a nuovi accordi sul disarmo.
Ma il progetto di disarmo non raggiungerà il suo scopo se l'aspirazione
alla pace non sarà condivisa da tutte le nazioni e se esse stesse non
desidereranno impegnarsi tutte in un processo comune di riduzione delle tensioni
e delle minacce di guerra. La pace richiede, per sua stessa natura, un approfondimento
dei valori etici che forniscono la coesione ai rapporti tra i popoli e tra gli
stati. Perché la pace diventi realtà, è importante che
l'umanità faccia appello alle sue piú profonde e piú universali
risorse spirituali.
L'invito del vostro stimato segretario generale a rivolgermi alla vostra assemblea,
che segue quelli fatti al mio predecessore Paolo VI nel 1978 e a me nel 1982,
mostra d'altro canto l'importanza che voi attribuite a questi aspetti, in rapporto
ai quali la Santa Sede gode di un titolo universalmente riconosciuto per far
udire la sua voce.
È naturale che un tema come il disarmo, cosí intimamente legato
alla causa della pace, abbia da sempre attirato l'attenzione della Santa Sede.
I principi morali che la Chiesa attinge al Vangelo e che sono radicati nella
coscienza di tutti gli uomini, sono validi, ai suoi occhi, per tutte le comunità
umane e in tutte le circostanze. La pace è un bene al quale ogni essere
umano aspira, a prescindere dalle sue radici culturali e dal sistema sociale
cui appartiene.
Il fine del disarmo è la pace
2. Il disarmo non è fine a se stesso. Il fine è
la pace, di cui la sicurezza è uno dei fattori essenziali. Ebbene, l'evoluzione
dei rapporti internazionali, oggi, fa emergere che il disarmo è una condizione
essenziale, se non la prima, della sicurezza, perché apre la strada,
per un fenomeno di sinergia, al sorgere di altri fattori di stabilità
e di pace. Effettivamente, a nessuno sarà sfuggito che il tipo di sicurezza
su cui si poggia il nostro pianeta da diversi decenni - quello dell'equilibrio
del terrore attraverso la dissuasione nucleare -, è una sicurezza a troppo
alto rischio. Questa presa di coscienza deve spingere le nazioni a inaugurare
al piú presto una nuova fase dei loro rapporti, quella stessa a cui voi
lavorate in vista dell'eliminazione definitiva dello spettro di una guerra nucleare
e di ogni conflitto armato.
L'eliminazione progressiva, equilibrata e controllata delle armi di distruzione
di massa e lo stabilizzarsi dei sistemi di difesa dei diversi paesi al livello
piú basso possibile di armamenti, è un obiettivo sul quale bisognerà
che si ottenga il consenso necessario, come primo passo verso la crescita della
sicurezza.
3. La seconda sessione straordinaria dedicata al disarmo non poté
arrivare ai risultati attesi, in gran parte, sembra, a causa delle tensioni
allora esistenti nelle relazioni Est-Ovest. Il miglioramento, cui stiamo assistendo,
di queste stesse relazioni non può che ripercuotersi in maniera favorevole
sugli sforzi dell'intera comunità internazionale. La firma del trattato
di Washington nel dicembre scorso deve essere accolta come una grande novità,
soprattutto perché i contraenti stessi hanno dichiarato, come confermato
dal loro incontro al vertice in corso a Mosca, che si trattava solo dell'inizio,
e non di un punto d'arrivo, sulla strada del disarmo effettivo.
Se i negoziati tra le due superpotenze autorizzano a sperare, a breve scadenza,
nella conclusione di nuovi accordi di disarmo, questi successi non permettono
di dimenticare l'importanza di un approccio multilaterale complementare alla
questione del disarmo: al contrario, non fanno che sottolinearla. Questo approccio
ha il merito di intensificare gli sforzi in vista del disarmo sotto tre aspetti,
in quanto permette:
- di esaminare tutti gli aspetti interdipendenti del disarmo, non solo nucleare,
ma anche chimico e convenzionale;
- di impegnare tutte le nazioni perché si assumano le proprie responsabilità
nell'elaborare e applicare misure di disarmo;
- di rafforzare il consenso attorno ai principi etici da osservare e alla priorità
da dare a un'azione internazionale concreta.
Sebbene sia meno facile da gestire del negoziato bilaterale, soltanto il dialogo
multilaterale e globale permette di far emergere in tutta la sua complessità
la posta che nel disarmo è in gioco. Diventerà subito evidente
che, se il processo di disarmo ha come fine la sicurezza e la pace, esso non
può ignorare le cause profonde che condizionano la pace.
L'impegno per il disarmo non può dunque riguardare solo qualche paese
né concentrarsi su un solo tipo di armamenti. Deve mirare a far scomparire
tutte le minacce che pesano sulla sicurezza e sulla pace, a livello locale come
a livello mondiale.
Disarmo totale senza restrizioni
4. Deve essere adottato un piano di disarmo totale senza restrizioni,
con la volontà di passare per lo meno da una pericolosa situazione di
sovra-armamento offensivo a una situazione di equilibrio degli armamenti al
piú basso livello compatibile con la sicurezza comune.
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a) La prima decisione che si impone è evidentemente quella
di fermare la corsa agli armamenti. Questa esigenza riguarda tanto i produttori
quanto gli acquirenti di armi. Certo, fino a quando i vari paesi saranno obbligati
a dotarsi di mezzi di difesa adeguati a dissuadere da un'eventuale aggressione
o a respingerla, è inevitabile che li modernizzino o li rinnovino. Ma
al di là di questa soglia, ogni aumento o perfezionamento degli armamenti
ipotecherà la possibilità stessa di arrivare all'obiettivo desiderato,
e dunque deve essere decisamente evitato.
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b) Si tratta, piuttosto, di procedere alla riduzione equilibrata
o all'eliminazione delle armi esistenti. È quanto le due superpotenze
hanno dichiarato di voler fare, proponendosi di dimezzare i loro arsenali strategici.
Bisogna augurarsi che il movimento innescato possa affermarsi ed estendersi
a tutti i paesi, prendendo rapidamente in considerazione le minacce che gli
squilibri tattici, convenzionali e non, fanno ancora pesare.
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c) Le discussioni che si svolgono in seno alla conferenza per il disarmo a proposito dell'eliminazione delle armi chimiche hanno registrato un certo progresso, del quale non ci si può che augurare che sfoci in una nuova convenzione internazionale. Se c'è un settore in cui si impone un accordo internazionale, è proprio il settore di questo tipo di armi indegno dell'umanità. Il fatto che quest'arma sia potuta arrivare al livello recentemente utilizzato, mostra l'urgenza di ricerche piú avanzate per meglio precisare i metodi di controllo internazionale che garantiscano non solo che le armi chimiche non saranno piú prodotte, ma anche che i contingenti esistenti siano distrutti. È importante che tutti gli stati aderiscano ufficialmente, senza eccezioni, a una tale convenzione. Per tutti, la rinuncia alle armi chimiche, come d'altra parte alle armi batteriologiche e a tutte le armi di distruzione di massa, è in primo luogo una questione morale.
d) La minaccia costituita dal commercio delle armi, le cui nefaste
conseguenze si fanno sentire nelle guerre prolungate tra paesi in via di sviluppo,
non può qui essere passata sotto silenzio. Se il diritto è impotente
nella difesa dei paesi deboli, è compito della società internazionale,
in base alla Carta della vostra organizzazione, prendere misure appropriate
atte a prevenire potenziali aggressioni.
Nuova filosofia delle relazioni internazionali
5. Tutti gli sforzi internazionali di disarmo devono trarre efficacia
dai principi fondamentali della convivenza pacifica. È in questo senso
che, mentre guardavo con soddisfazione, il 1 gennaio 1985, alla ripresa dei
negoziati per il disarmo fra le due grandi potenze, suggerivo di dare vita a
una "nuova filosofia delle relazioni internazionali", che orientasse
l'azione in una doppia direzione:
- da una parte, invitare gli stati a rimettere in discussione i loro egoismi
nazionali e le loro ideologie espansionistiche, che li spingono ad auto-affermarsi
senza tenere conto della diversità e della paura degli altri;
- dall'altra parte farsi carico solidalmente delle condizioni profonde della
pace, che sono il rispetto dei diritti dell'uomo e lo sviluppo.
La riduzione e l'eliminazione delle armi non sono, in effetti, che il risultato
visibile di un altro, piú profondo processo di disarmo, quello delle
coscienze e dei cuori, secondo l'espressione già utilizzata dai miei
predecessori.
Peraltro, quasi nessuno dubita che al disarmo debba affiancarsi un'intensificazione
dello sforzo per lo sviluppo. La conferenza internazionale che si è tenuta
nel 1987 presso la sede della vostra organizzazione sul tema delle relazioni
tra il disarmo e lo sviluppo, ha avuto il risultato di costatare, tra l'altro,
che il disarmo effettivo può creare un nuovo clima favorevole ai trasferimenti
di risorse e di tecnologie verso i paesi in via di sviluppo. Trasferire capitali
e conoscenze che creano occupazione e migliorano le condizioni d'esistenza degli
uomini, rappresenta un contributo alla sicurezza piú efficace che non
il vendere armi.
Il disarmo per lo sviluppo è un problema di scelta etica e di volontà
politica concertata. Mi auguro vivamente che la comunità internazionale
faccia questa scelta, poiché il disarmo per lo sviluppo, comportando
la riduzione delle disparità tra il nord e il sud, indebolirebbe nello
stesso tempo una delle cause di squilibrio mondiale tra le piú cariche
di minacce per la pace.
6. La causa della pace richiede dunque oggi, in modo prioritario,
non tanto un di piú di conoscenze strategiche o tecnologiche, ma un di
piú di coscienza e di forza morale. Le piú alte tradizioni religiose
e filosofiche cui fanno riferimento i popoli che rappresentate, contengono sufficienti
risorse spirituali per dare impulso e coraggio a tutti coloro che non si stancano
di costruire e ricostruire la convivenza pacifica tra le nazioni. La "nuova
filosofia delle relazioni internazionali" a cui ho alluso, non è
sinonimo di utopia, ma è ispirata dal supremo realismo della solidarietà
e della speranza.
Dio benedica i vostri sforzi per assicurare al mondo la pace!
Dal Vaticano, 31 maggio 1988 . - Giovanni Paolo II
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1988-1989), XI, 698-713.