Paolo VI all'Onu (1978)
LA SANTA SEDE E IL DISARMO
Paolo VI - 24 maggio 1978
Signor Presidente,
Signori rappresentanti degli stati membri delle Nazioni Unite,
In occasione della sessione speciale che l'Assemblea generale
delle Nazioni Unite ha deciso di consacrare al problema del disarmo, è
giunta a noi l'eco di un'attesa largamente diffusa: non ha la Santa Sede qualche
cosa da dire su un argomento di cosí bruciante attualità, e di
tanta e cosí vitale importanza per il futuro del mondo?
Senza esser membro della vostra organizzazione, la Santa Sede ne segue con la
massima attenzione e con profonda simpatia le molteplici attività e ne
condivide le preoccupazioni e le generose intenzioni. Non possiamo quindi restare
insensibili a simile attesa.
Cogliamo, pertanto, ben volentieri la possibilità che ci è data
di rivolgere ancora una volta la nostra parola all'Assemblea generale delle
Nazioni Unite, cosí come avemmo l'onore di farlo, di persona allora,
nell'ormai lontano ottobre del 1965. Si tratta infatti di una circostanza del
tutto eccezionale nella vita della vostra organizzazione e per l'umanità
intera.
1. Veniamo a voi, anche ora, nello spirito e con i sentimenti di quel primo
incontro, il cui ricordo è sempre vivo e gradito al nostro spirito. Ricevete
il nostro saluto, rispettoso e cordiale.
Veniamo a voi come rappresentanti di una Chiesa che raccoglie nel suo seno diverse
centinaia di milioni di persone sparse in ogni continente, ma con la consapevolezza
di essere, insieme, l'eco delle aspirazioni e delle speranze di altre centinaia
e centinaia di milioni di uomini, cristiani e non cristiani, credenti e non
credenti. Noi vorremmo raccoglierla come in un unico immenso coro, che si eleva
a Dio ed a quanti da Dio hanno ricevuto la responsabilità delle sorti
delle nazioni.
2. La nostra vuol essere anzitutto una parola di compiacimento
per aver risolto di affrontare decisamente, in questa sede, il problema del
disarmo. È un atto di coraggio e di saggezza. È la risposta ad
una esigenza gravissima ed urgente.
La nostra è altresí una parola di comprensione. Conosciamo le
eccezionali difficoltà che dovete affrontare e ci rendiamo ben conto
del peso delle vostre responsabilità, ma abbiamo fiducia nella serietà
e nella sincerità del vostro impegno.
La nostra parola vuole essere soprattutto - se ce lo permettete - una parola
di incoraggiamento.
Aspirazione alla pace
3. Se i popoli mostrano tanto interesse al tema del vostro dibattito
è perché giungere al disarmo è per essi, in primo luogo,
togliere alla guerra i suoi mezzi; la pace è il loro sogno, la loro piú
profonda aspirazione!
La volontà di pace è anche il motivo, nobile e profondo, che vi
ha spinto a questa assemblea. Ma, agli occhi degli uomini di Stato, il problema
del disarmo si presenta in forma ben piú articolata e complessa.
Posto di fronte alla situazione quale essa è, l'uomo di stato si chiede,
non senza ragione, se è giusto e possibile disconoscere ai membri della
comunità internazionale il diritto di provvedere essi stessi alla propria
legittima difesa, e quindi di assicurarsi i mezzi necessari a tale scopo.
Ed è forte la tentazione di domandarsi se la migliore possibile tutela
della pace non continui in realtà ad essere assicurata, fondamentalmente,
dal vecchio sistema dell'equilibrio delle forze fra i vari stati o gruppi di
stati. Una pace disarmata è sempre esposta al pericolo; la stessa debolezza
è incentivo ad attaccarla.
Su questa tela di fondo, si dice, si potranno e dovranno sviluppare collateralmente
gli sforzi intesi, da una parte, a perfezionare metodi e organismi diretti a
prevenire e risolvere pacificamente conflitti e contese e, dall'altra, a rendere
meno disumane le guerre che non si riesce ad evitare. Allo stesso tempo si potrà
e si dovrà cercare di diminuire i rispettivi arsenali di guerra, in modo
che, senza rompere gli equilibri esistenti, sia indebolita la tentazione di
far ricorso alle armi e siano alleggerite le enormi spese militari.
Questa sembra la via del realismo politico. Essa si richiama alla ragione e
all'esperienza. Andar oltre appare a molti tentativo inutile, forse pericoloso.
La corsa agli armamenti pone il problema in termini nuovi
4. Diremo subito che ogni progresso sostanziale per migliorare
i meccanismi di prevenzione dei conflitti, per eliminare armi particolarmente
pericolose e disumane, per abbassare i livelli degli arsenali e delle spese
militari, sarà da noi salutato come un risultato estremamente prezioso
e benefico.
Ma questo non basta ancora. La questione della guerra e della pace si pone oggi
in termini nuovi. Non che siano cambiati i principi. L'aggressione di uno stato
contro un altro era illecita ieri come lo è oggi. Anche allora un atto
di guerra mirante indiscriminatamente alla distruzione di intere città
o di vaste regioni e dei loro abitanti era un "delitto contro Dio e contro
la stessa umanità". E la guerra - mentre sono da onorare gli eroismi
di quanti in essa sacrificano anche la vita al servizio della patria o di altra
nobile causa - è sempre stata, in se stessa, un mezzo supremamente irrazionale
e moralmente inaccettabile per regolare i rapporti fra gli stati, salvo restando
il diritto della legittima difesa.
Ma oggi la guerra può disporre di mezzi che ne hanno "enormemente
accresciuto l'orrore e l'atrocità". La logica interna alla ricerca
degli equilibri di forze spinge ciascuna delle parti a procurare di assicurarsi
un qualche margine di superiorità, nel timore di venirsi a trovare in
situazioni di svantaggio. Questa logica, unita ai vertiginosi progressi dell'umanità
nei campi della scienza e della tecnica, ha portato alla scoperta di strumenti
sempre piú sofisticati e potenti di distruzione. Essi si sono andati
accumulando e in forza di un processo quasi autonomo, tendono continuamente
a scavalcarsi, quantitativamente e qualitativamente, con enorme dispendio di
mezzi e di uomini, sino a raggiungere, già oggi, un potenziale ampiamente
capace di annientare ogni vita sul pianeta.
Gli sviluppi dell'armamento nucleare sono un capitolo speciale, certo il piú
paradigmatico e impressionante, di questa ricerca di sicurezza nell'equilibrio
delle forze e della paura. Non si possono dimenticare i "progressi"
compiuti e che si possono compiere anche nel settore di altre armi di distruzione
di massa o tali da produrre effetti particolarmente lesivi, che si ritengono
quindi dotati di particolare forza di "dissuasione".
Ma se "l'equilibrio del terrore" è potuto e può ancora
servire per qualche tempo a evitare il peggio, pensare che la corsa agli armamenti
possa continuare cosí, indefinitamente, senza provocare una catastrofe,
sarebbe una tragica illusione.
Certo, il discorso riguarda soprattutto, almeno direttamente, le grandi potenze
con i blocchi che si stringono attorno ad esse; ma ben difficilmente gli altri
paesi potrebbero sentirsi non interessati.
L'umanità è quindi obbligata a rientrare in se stessa ed a chiedersi
dove sta andando o, meglio, precipitando; a chiedersi, soprattutto, se il punto
di partenza non sia profondamente erroneo e non debba essere, quindi, radicalmente
modificato.
I motivi per farlo - di ordine morale, di sicurezza, di interesse proprio e
generale - non mancano.
Ma è possibile trovare un sostitutivo alla sicurezza, sia pure tanto
insicura e dispendiosa, che ciascuno cerca di garantirsi procurandosi i mezzi
per la propria difesa?
Sostituire l'equilibrio della paura con l'equilibrio della fiducia
5. Pochi problemi appaiono oggi, come quello del disarmo, ineluttabili
e difficili. Pochi problemi rispondono tanto ai bisogni e all'attesa dei popoli
e sono cosí esposti, nello stesso tempo, a suscitare diffidenza, scetticismo,
scoraggiamenti. Pochi esigono, in chi li deve affrontare, una cosí profonda
carica ideale e un cosí acuto senso del reale. Suo luogo naturale sembra
essere la visione profetica, aperta alle speranze del futuro; oppure non può
essere veramente affrontato senza rimanere saldamente appoggiati sulla dura
concretezza del presente.
Occorre perciò uno sforzo straordinario di sapienza e di volontà
politica, da parte di tutti i membri della grande famiglia delle nazioni, per
conciliare esigenze che sembrano contrapporsi ed eliminarsi a vicenda.
Il problema del disarmo è, sostanzialmente, un problema di mutua fiducia.
Sarebbe dunque vano, in gran parte, cercare possibili soluzioni agli aspetti
tecnici del disarmo, se non si riuscisse a sanare alla radice la situazione
che serve da humus al proliferare degli armamenti.
Lo stesso terrore delle nuove armi rischia di essere inefficace nella misura
in cui non siano garantite, per altra via, la sicurezza degli stati e la soluzione
dei problemi che possono contrapporli su punti vitali per essi.
È indispensabile quindi, se si vuole - come è necessario - fare
passi sostanziali sulla via del disarmo, trovare il modo di sostituire"
l'equilibrio della paura" con "l'equilibrio della fiducia".
È ciò, praticamente, possibile? E in quale misura? Un primo passo
consiste, certo, nel cercare di migliorare con buona fede e buona volontà
l'atmosfera e la realtà dei rapporti internazionali, specialmente tra
le grandi potenze e i blocchi di stati. In tal modo potranno diminuire i timori
e i sospetti che oggi li dividono e sarà piú facile fidarsi della
reale volontà di pace reciproca. Si tratta di uno sforzo lungo e complicato,
ma che noi vorremmo incoraggiare con tutte le nostre forze.
La distensione, intesa nel suo senso genuino, basata cioè su una comprovata
volontà di mutuo rispetto, è condizione all'avvio di un vero processo
di disarmo. A loro volta, misure di disarmo equilibrato e opportunamente controllato
aiutano la distensione a progredire e ad affermarsi.
Ma la situazione internazionale è troppo esposta alle mutazioni e ai
possibili capricci di volontà "tragicamente libere". Una solida
fiducia internazionale suppone, dunque, anche l'esistenza di strutture oggettivamente
atte a garantire per vie pacifiche la sicurezza e il rispetto o il riconoscimento
del buon diritto di tutti contro la possibile cattiva volontà da parte
di qualcuno; un ordine internazionale, cioè, che sia sufficiente a dare
a tutti quanto oggi ciascuno cerca di assicurarsi mediante il possesso e la
minaccia, quando non l'impiego, delle armi.
Ma non si rischia di cadere, cosí, nell'utopia? Crediamo di poter e di
dover rispondere decisamente: No. Si tratta, certo, di un compito estremamente
arduo, ma non inaccessibile alla tenacia e alla saggezza di uomini consapevoli
delle proprie responsabilità di fronte all'umanità e alla storia:
ma soprattutto davanti a Dio. È necessaria quindi una superiore coscienza
religiosa. Anche quanti non hanno Dio come punto di riferimento possono e debbono
riconoscere le esigenze fondamentali della legge morale che Dio ha scritto nel
cuore degli uomini e che deve regolare i loro mutui rapporti sulla base della
verità, della giustizia, dell'amore.
Mentre gli orizzonti dell'uomo si ampliano smisuratamente oltre i confini del
nostro pianeta, ci rifiutiamo di credere che egli - animato da tale coscienza
- non sia capace, sia pure a costo di enormi sforzi ed anche di ragionevoli
sacrifici di antichi concetti che continuano a dividere fra loro popoli e nazioni,
di esorcizzare il demone della guerra, che minaccia di distruggerlo.
Alcune priorità nella strategia della pace e del disarmo
6. Nel far nostri e nel manifestare nuovamente a voi il voto e
le ansie di un'umanità desiderosa e bisognosa di pace, siamo consapevoli
che il cammino che deve portare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale
capace di eliminare le guerre e le loro cause, e di render quindi inutili le
armi, non potrà, in ogni caso, esser breve come noi lo vorremmo.
Sarà quindi indispensabile studiare e portar avanti, intanto, una strategia
- progressiva ma quasi impaziente, bilanciata ma coraggiosa - della pace e del
disarmo, con l'occhio e la volontà fissi sullo scopo ultimo del disarmo
generale e completo.
Non abbiamo competenza o autorità per indicare a voi le linee, i metodi
e i meccanismi di una simile strategia, che presuppone in ogni caso la messa
a punto di sistemi internazionali di controllo sicuri ed efficaci. Crediamo
però che vi è un comune accordo con voi sulla necessità
di stabilire alcune priorità nello sforzo inteso a bloccare la corsa
agli armamenti ed a ridurre il peso di quelli esistenti:
a) L'armamento nucleare occupa certamente il primo posto: è la minaccia piú paurosa che grava sull'umanità. Mentre apprezziamo altamente le iniziative prese sinora in questo settore, non possiamo che incoraggiare tutti, e in particolare i paesi che ne hanno maggiore responsabilità, a continuarle ed ampliarle, avendo come scopo finale l'eliminazione totale dell'arsenale atomico. Nello stesso tempo si dovrà trovare il modo di rendere accessibili a tutti i popoli le incalcolabili risorse dell'energia nucleare per il loro uso pacifico.
b) Seguono nell'ordine le armi di distruzione di massa, già esistenti o possibili, come quelle chimiche, radiologiche o di altro genere e di quelle ad effetto indiscriminato o, per usare un'espressione già assai crudele, eccessivamente e non necessariamente crudele.
c) Una menzione va fatta anche del commercio delle armi convenzionali,
che sono, per cosí dire, il principale nutrimento delle guerre locali
o limitate. Di fronte all'immensità della catastrofe che significherebbe
per il mondo od interi continenti una guerra combattuta ricorrendo all'intero
arsenale delle armi strategiche e di altro genere, tali conflitti possono apparire
di minore importanza, se non trascurabili.
Ma le distruzioni e le sofferenze che essi causano alle popolazioni investite
non sono inferiori a quelle causate, su ben altra scala, da un conflitto generale.
E l'aggravio delle spese in armamenti può soffocare l'economia di paesi
spesso ancora sulla via dello sviluppo. Senza contare, poi, il pericolo che,
in un mondo divenuto ormai piccolo e nel quale i differenti interessi si intersecano
e si contrastano, un conflitto locale possa a poco a poco provocare incendi
assai piú vasti.
Una grande speranza
7. La corsa agli armamenti è motivo di scandalo; alla prospettiva
del disarmo è legata una grande speranza. Lo scandalo riguarda la impressionante
sproporzione fra le risorse, di denaro e di intelligenza, impegnate al servizio
della morte e quelle consacrate al servizio della vita. La speranza è
che, diminuendo le spese militari, una parte sostanziale delle immense risorse
che esse oggi assorbono possa essere impiegata in un ampio piano di sviluppo
mondiale.
Noi condividiamo lo scandalo, facciamo nostra la speranza.
Nell'aula stessa che ora vi raccoglie ci permettemmo di rinnovare, il 4 ottobre
1965, l'invito lanciato a tutti gli stati, in occasione del nostro viaggio a
Bombay nel dicembre precedente, "di devolvere a beneficio dei paesi in
via di sviluppo una parte almeno delle economie che si possono realizzare con
la riduzione degli armamenti".
Ripetiamo ora, con ancor maggiore forza e insistenza, questo appello, invitando
tutti allo studio e all'attuazione di un piano organico, nel quadro dei programmi
per la lotta contro le sperequazioni, il sottosviluppo, la fame, le malattie,
l'analfabetismo nel mondo. Lo richiedono ragioni di giustizia. Lo consigliano
ragioni di interesse generale: perché il progresso di ciascuno dei membri
della grande famiglia umana gioverà al progresso di tutti e servirà
a stabilire piú solidamente la pace nel mondo.
Tre imperativi
8. Disarmo, nuovo ordine mondiale, sviluppo: tre imperativi inseparabilmente
collegati e che presuppongono essenzialmente un rinnovamento della mentalità
pubblica. Noi conosciamo e comprendiamo le difficoltà che essi presentano.
Ma vogliamo e dobbiamo fortemente richiamare alla vostra coscienza di uomini
responsabili delle sorti dell'umanità i motivi gravissimi per i quali
è necessario trovare il modo di vincerle. Non separatevi senza aver posto
le basi e dato l'avvio alla soluzione del problema per il quale vi siete riuniti.
Domani potrebbe essere troppo tardi.
Ma voi potete chiederci: la Santa Sede, per parte sua, che cosa può e
che cosa vuole fare per aiutare in questo immenso sforzo comune per il disarmo
e per la pace? La domanda è legittima. Essa ci pone, a nostra volta,
davanti alle nostre responsabilità, di fronte alle quali le possibilità
sono purtroppo assai inferiori alla volontà.
La Santa Sede non è una potenza, né ha un potere politico. In
un solenne trattato, essa ha dichiarato che "vuole rimanere e rimarrà
estranea alle competizioni temporali fra gli stati e ai congressi internazionali
indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde
appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la
sua potestà morale e spirituale" (Trattato Lateranense, art. 24).
Partecipi dei vostri problemi, consapevoli delle vostre difficoltà, forti
della nostra stessa debolezza, con tutta semplicità vi diciamo; se mai
crediate che la Santa Sede possa esser di aiuto per superare ostacoli che si
frappongano sul cammino della pace, essa non si schermirà dietro la ragione
della propria a-temporalità, non si tirerà indietro per evitare
la responsabilità che un intervento, desiderato e richiesto, può
comportare, Troppo stima la pace, troppo la ama!
In ogni caso noi continueremo a proclamare ben alto, senza stancarci, senza
scoraggiarci, il dovere della pace, i principi che ne regolano il dinamismo,
i mezzi per conquistarla e difenderla, rinunciando alle armi che minacciano
di ucciderla mentre pretendono di servirla.
Conoscendo la forza di un'opinione pubblica che sia alimentata da solide convinzioni
ideali radicate nella coscienza, noi continueremo a cooperare per educare vigorosamente
la nuova umanità alla pace, per ricordare che non potrà esservi
disarmo delle armi se non vi sarà disarmo dei cuori. Continueremo a pregare
per la pace. Frutto della buona volontà degli uomini, ma esposta continuamente
a pericoli che la buona volontà non sempre riesce a superare, la pace
è sempre apparsa all'umanità soprattutto come un dono di Dio.
A lui noi la chiederemo: donaci la pace. E a lui chiederemo di guidare i vostri
lavori, perché i loro risultati, immediati e futuri, non abbiano a deludere
la speranza dei popoli.
Dal Vaticano, 24 maggio 1978. Paolo Pp. VI
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1977-1979), VI, 791-819