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Guida del mondo 2005/2006. Il mondo visto dal Sud - Ed. EMI (Editrice Missionaria Italiana)
Dopo il colpo di stato che lo portò al potere nel 1971, Idi Amin Dada si proclamò presidente a vita.
Nel 1978 provocò un incidente diplomatico con la Tanzania annettendosi un’estesa zona settentrionale di questo paese. La guerra tra i due paesi fu fatale per Amin che, nell’aprile del 1979, fu obbligato a fuggire da Kampala dopo un’offensiva congiunta delle truppe della Tanzania e dei militanti dell’opposizione riuniti nel Fronte Nazionale di Liberazione dell’Uganda (FNLU).
Il nuovo potere era rappresentato dal Consiglio nazionale consultivo presieduto da Yusuf Lule, un professore universitario di tendenze conservatrici e privo di esperienza politica. Trascorsi appena 68 giorni, Lule fu sostituito da Godfrey Binaisa che dimostrò di non possedere l’abilità necessaria per conciliare le divergenze all’interno del suo movimento e nemmeno la capacità di tener testa al crescente prestigio di Milton Obote, il cui partito, il Congresso Popolare dell’Uganda (UPC), continuava a godere di molti consensi.
Il presidente mantenne il 1981 come data delle elezioni, ma al tempo stesso tentò di impedire a Obote di presentare la propria candidatura. Ciò causò una crisi che scoppiò nel maggio del 1980 quando l’esercito, con il pretesto di impedire manovre continuiste, obbligò Godfrey Binaisa a dimettersi, sostituendolo con una Commissione militare incaricata di far rispettare le scadenze elettorali e i principi di pluralità del movimento che aveva deposto Amin. Sotto la supervisione della commissione al comando del generale David Oyite Ojok, le elezioni si svolsero nel dicembre del 1980 e registrarono la schiacciante vittoria dell’UPC.
Il partito di Obote conquistò 73 dei 126 seggi del nuovo Parlamento. La legittimità delle elezioni fu messa in discussione, ma una commissione internazionale formata da 60 osservatori confermò che, data la realtà del paese, le elezioni avevano rispettato i requisiti minimi.
Obote si trovò a governare un paese in rovina: le miniere di rame non erano più in funzione ormai da anni e la corruzione e la speculazione erano generalizzate. Sebbene il governo avesse ottenuto ampi consensi alle elezioni, nel 1981 i gruppi conservatori sconfitti iniziarono una campagna di destabilizzazione che si trasformò poi in guerriglia. Obote autorizzò il ritorno dei commercianti asiatici, regolamentò la partecipazione del capitale straniero e cominciò a riorganizzare l’economia, combattendo in primo luogo la corruzione e la speculazione. Nonostante l’acuirsi della violenza politica, nel 1981 Obote richiese ed ottenne il ritiro delle truppe tanzaniane, di stanza in Uganda sin dalla sconfitta di Amin.
Nel 1983 Obote fu rieletto presidente e il numero di seggi del suo partito salì a 90 contro i 35 del Partito Democratico (PD).
Tra il 1981 e il luglio del 1985 il governo lanciò 16 grandi offensive militari contro le principali postazioni dell’Esercito di Resistenza Nazionale (NRA), braccio armato del Movimento di Resistenza Nazionale (NRM), fondato dall’ex presidente Yusuf Lule, morto nel gennaio del 1985, e diretto da Yoweri Museveni, contro il Fronte di Salvezza Nazionale dell’Uganda (UNRF), guidato dall’ex brigadiere Moses Ali, vecchio collaboratore di Amin e contro il Movimento Federale Democratico (EDEMU), del tenente colonnello George Nkawanga.
La guerra allontanò dalle proprie terre circa centomila persone. Nel 1981, nella provincia di Karamoja, migliaia di persone morirono di fame dopo che il governo ebbe represso il contrabbando di bestiame tra i pastori nomadi.
Le elezioni generali erano fissate per dicembre 1985 e le previsioni davano per scontato un nuovo trionfo dell’UPC; ma nel luglio di quell’anno un colpo di stato guidato dal generale Bazilio Olara Okello mise fine al governo di Obote. Il generale Tito Okello fu nominato presidente ed annunciò nuove elezioni entro 6 mesi. Gli Okello, che appartengono all’etnia degli acholi, originaria del nord del paese, accusarono Obote, di origine langi, di “dominio tribale unilaterale”.
Dopo il colpo di stato, l’Esercito di Resistenza Nazionale intensificò la lotta armata fino ad occupare la capitale Kampala nel gennaio del 1986. Okello fu sconfitto dopo una sanguinosa lotta. Il 30 gennaio Yoweri Museveni, leader dell’NRA, assunse la presidenza e in marzo annunciò la caduta di Gulu, al nord, ultimo baluardo delle forze fedeli a Okello.
Museveni spettò il compito di ricostruire praticamente tutto il paese, che la serie di regimi autoritari aveva lasciato con un bilancio di quasi un milione di morti, due milioni di profughi, 600 mila feriti ed incalcolabili danni materiali.
Nel 1987 il debito estero dell’Uganda sfiorava i 1.200 milioni di dollari. Per risolvere questo problema Museveni ricorse al baratto con gli altri paesi dell’Africa. In questo modo si tentò la creazione di un’economia indipendente al di fuori del FMI. Ciò causò problemi con alcuni paesi dell’Occidente che non vedevano di buon occhio i rapporti dell’Uganda con Cuba e con la Libia. Gli Stati Uniti fecero pressione sulla Tanzania e sul Ruanda, facendo fallire due operazioni di baratto già concordate.
La pressione dell’opposizione e di alcuni organismi internazionali indusse il presidente Museveni, nel febbraio del 1993, ad autorizzare l’elezione di un’Assemblea costituente, che sarebbe divenuta operativa nel 1995, incaricata di studiare la bozza di una nuova Costituzione.
Nell’ambito di una politica mirante a ottenere l’appoggio dell’etnia baganda, Museveni autorizzò la restaurazione della monarchia. Nel corso della cerimonia di intronizzazione come kabaka del principe Ronald Muenda Mutebi, il 31 luglio, le autorità devolsero tutte le proprietà reali confiscate durante il governo di Obote.
Nel 1995 proseguì la polemica sul pluripartitismo. Museveni continuò a sostenere che, se fosse stata autorizzata la presenza di vari partiti si sarebbero aggravate le “divisioni tribali”.
Il 9 maggio 1996 Museveni fu rieletto con oltre il 75% dei voti e un’affluenza alle urne del 72,6%, sconfiggendo gli avversari Paul Semogerere e Muhammad Mayanja.
Le riforme economiche attuate da Museveni, grazie ai prestiti e agli aiuti finanziari dei suoi creditori internazionali, consentirono all’Uganda di situarsi al primo posto nel progetto di assistenza nei confronti di 20 paesi debitori elaborato dalla Banca Mondiale per il 1997. Tuttavia metà della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà e, secondo alcune stime, sarebbero stati necessari 24 milioni di dollari per risolvere il problema della fame nell’est del paese.
Verso la metà del 1998 l’esercito ugandese entrò nella vicina Repubblica Democratica del Congo (RDC) e si aggiunse alle forze ribelli in lotta contro il presidente Laurent Kabila. Il 18 ottobre 1999 il ministro della Difesa dell’Uganda, Stephen Kavuma, dichiarò a Kampala che le truppe ugandesi sarebbero rimaste nella RDC finché non fosse ristabilita la pace.
Il 12 novembre 1999, 70 giornalisti di testate sia indipendenti che di stato manifestarono nelle strade di Kampala denunciando di essere perseguitati dal governo che violava sistematicamente la libertà di espressione. Il 30 novembre, nella città tanzaniana di Arusha, i presidenti di Uganda, Kenya e Tanzania firmarono il trattato di fondazione dell’Unione Economica dell’Africa Orientale.
Applaudito per il suo ruolo di primo piano nella lotta dell’Africa contro l’Aids, Museveni fu l’anfitrione del Forum Africano per lo Sviluppo 2000, svoltosi ad Addis Abeba. Museveni riferì le statistiche allarmanti sull’epidemia nell’Africa Subsahariana, dove fino ad allora vi erano 25 milioni di persone sieropositive. Il tasso di infezione dell’Uganda era tra i più alti del mondo, ma per mezzo dell’informazione e di una campagna di stampa chiamata “Amare con attenzione” il governo ugandese riuscì a ridurre notevolmente l’epidemia.
Secondo quanto previsto dalla Costituzione del 1995, il 29 giugno 2000 si svolse il referendum sulla possibilità di realizzare il sistema pluripartitico. Nonostante il boicottaggio da parte dell’antiobotista Partito Democratico (PD) e di altre forze politiche, la formula della “democrazia senza partiti” difesa da Museveni durante la campagna referendaria fu sostenuta dall’ 80% dei votanti (il 50 % degli aventi diritto). Così l’Uganda sceglieva di proseguire indefinitamente con un sistema di governo insolito per il continente africano.
Amnesty International denunciò che in Uganda, come in altri paesi, gli omosessuali di ambo i sessi, i bisessuali e i transessuali erano particolarmente esposti a violazioni dei diritti umani.
Alle presidenziali del marzo 2001, Museveni venne rieletto con il 69,3% dei voti, mentre il suo concorrente più votato, con il 27,8%, fu Kizza Besigye, ex colonnello dell’NRM. Gli osservatori internazionali stimarono irregolare il 15% circa dei voti e affermarono che le elezioni si erano svolte in un clima di intimidazione. Il 12 maggio iniziò il suo nuovo mandato, valido fino al 2006, che secondo la Costituzione dovrebbe essere l’ultimo per Museveni.
Il 4 luglio 2001, Museveni incontrò a Dar es Salaam il nuovo presidente della RD Congo Joseph Kabila, figlio di Laurent Kabila. L’incontro bilaterale accelerò il ritiro dell’esercito ugandese dal Congo e l’interposizione di forze ONU lungo le linee del fronte.
Un rapporto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) dichiarò che la riforma economica guidata dal governo di Museveni aveva attratto investimenti dall’estero e contribuito alla crescita del paese. La riforma comprendeva la liberalizzazione del regime commerciale. Il PIL reale era cresciuto, fino al 2001, circa del 6% all’anno; il deficit fiscale si era ridotto e l’inflazione era calata.
Nel marzo 2002, l'Uganda firmò un accordo con il Sudan per combattere l'Esercito di Resistenza del Signore (LRA), un gruppo di fanatici guidato dal "profeta" Joseph Kony, che affermava di voler governare il paese secondo i Dieci Comandamenti. Il movimento dei ribelli, arroccato lungo il confine tra i due paesi, ricorreva al rapimento sistematico di migliaia di bambini ugandesi per raggiungere i propri scopi.
In ottobre 2002, l'escalation del conflitto con l'LRA obbligò l'esercito a evacuare oltre 400 mila cittadini dalla zona dei combattimenti. In dicembre, dopo cinque anni di negoziati, fu firmato un trattato di pace con il movimento ribelle Fronte di Salvezza Nazionale dell'Uganda (UNRF 2), costituito da ex soldati di Amin.
Nel maggio 2003, le ultime truppe ugandesi si ritirarono dalla RDC e decine di migliaia di cittadini cercarono asilo in Uganda. In agosto l'ex dittatore Idi Amin Dada morì in ospedale a Gidda, in Arabia Saudita.
Nel febbraio 2004 almeno 200 persone furono uccise dai ribelli dell'LRA in un campo profughi nel nord del paese. Il presidente si scusò per l'incapacità dell'esercito di prevenire il massacro a causa della mancanza di coordinamento.
Anche se nel dicembre 2004 fu annunciato il cessate il fuoco fra il governo e i ribelli dell'LRA, nel gennaio 2005 Museveni affermò che avrebbe ripreso la guerra nel nord, adducendo che l'LRA aveva rifiutato la tregua.
Il 1 gennaio 2005 il Presidente Yoweri Museveni dichiara di riprendere la guerra contro i ribelli del Lord’s Resistance Army (LRA), sperando vivamente che un unilaterale “cessate il fuoco” e i primi colloqui faccia a faccia in 10 anni tra il Governo e i ribelli, nel novembre 2004, possano portare alla pace dopo 19 anni di conflitto nel nord del paese. Le organizzazioni della società civile e la Comunità internazionale fanno pressione sul Governo per la riapertura delle trattative di pace.La firma dell’Accordo Generale di Pace tra il Governo sudanese di Khartoum e il Movimento di Liberazione del sud Sudan (Sudan People's Liberation Movement/Army, SPLM/A) riaccende la speranza che la pace in sud Sudan possa aiutare a risolvere la guerra nel nord Uganda, dal momento che il leader del LRA - Joseph Kony - ha basi nel sud Sudan. Il leader del SPLM/A - John Gararng de Mabior - dichiara che gli appartenenti al LRA saranno “considerati come nemici di tutto il Sudan”.
L’UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) dichiara che sono ormai 15.000 gli sfollati provenienti dal terrirorio orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e che hanno oltrepassato il confine del nord ovest dell’ Uganda. I rifugiati stanno scappando dai combattimenti tra i miliziani Mayi-Mayi e i ribelli congolesi dalla regione Ituri, un distretto nel nord est della RDC, che è stato il teatro di guerra negli ultimi anni. Almeno 10.000 rifugiati ritornano in Congo alla fine di gennaio.
Ad aprile la Corte Internazionale di Giustizia (CGI), con sede a L’Aja, inizia le audizioni relative al procedimento iniziato su denuncia della Repubblica Democratica del Congo che accusa l’Uganda di aver invaso il proprio territorio e di aver compiuto violazioni dei diritti umani. La RDC sta cercando di ricevere una “compensazione rispetto a tutti quei saccheggi, distruzione, e rimozione della proprietà” (minerali e altre risorse) perpetrati dall’Uganda che ribatte, sostenendo che l’invasione del territorio congolese sarebbe stata dovuta ad esigenze di natura difensiva, in quanto i ribelli si erano rifugiati nella vicina RDC.
A luglio gli ugandesi, chiamati al voto per il referendum nazionale, votano in maniera schiacciante per l’abrogazione del divieto di una doppia decade di mandato per i partiti politici. L’opposizione boicotta gli exit-pool, affermando che non potrebbe essere mai data una giustificazione al fatto di mettere al voto un diritto fondamentale quale quello della libertà di associazione.
Il 10 ottobre 2005 muore a Johannesburg (Sudafrica) Milton Obote, Primo Ministro dal 1962 al 1966 e Presidente dal 1966 al 1971 e dal 1980 al 1985. Il 27 luglio di quell’anno fu deposto da uno dei suoi comandanti (Bazilio Okello), ma, dopo pochi mesi di quasi anarchia, prese il potere l’attuale Presidente Museveni (29 gennaio 1986). Dopo una settimana dalla morte di Obote, Museveni accetta di riportare il feretro in Uganda onorandolo con funerali di Stato.
La Corte Penale Internazionale emette 5 mandati di arresto per i capi del LRA, tra cui Kony e Otti (oltre a Odhiambo, Ongwen e Lukwiya), responsabili di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il fatto è stato diversamente valutato dalla Comunità internazionale. L’Unione Europea apprezza gli sforzi per mettere fine all’impunità, ma i leader del nord affermano che è l’ultimo segnale per seppellire il già fragile processo di pace.
Col Kiiza Besigye, leader dell’opposizione (ed ex medico di Museveni), ritorna a casa dopo 4 anni di auto-esilio forzato in Sudafrica. Besigye, che ha perso contro Museveni nelle elezioni presidenziali del 2001, è scelto come candidato per il principale partito di opposizione Forum per il Cambiamento Democratico.
A novembre la polizia arresta Besigye con l’accusa di tradimento e stupro. E’ stato incarcerato in quanto, secondo fonti del Governo, sarebbe la guida di un esercito armato (il People’s Redemption Army) di stanza nella Repubblica Democratica del Congo, collegato al LRA. A Besigye è stata negata la libertà provvisoria e in aggiunta è stato accusato dalla Corte militare di terrorismo e detenzione illegale di armi. Il suo arresto ha causato violenti scontri a Kampala, provocando inoltre critiche a livello locale e internazionale sul trattamento del caso da parte del Governo. Il processo inizierà il 19 dicembre 2005, davanti alla Corte Costituzionale, presieduta dal giudice John Bosco Katutsi. Nonostante la sua detenzione, l’imputato ha deciso, sfidando il presidente Museveni, di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali che si terranno il 23 febbraio 2006. Sei sono i candidati ufficiali: Yoweri Museveni, Kizza Besigye, John Sebaana Kizito (attuale sindaco di Kampala e leader del Partito democratico), Miria Kalule Obote (l’unica donna candidata e rappresentante dell’Uganda People's Congress), Al-Haji Ntege Sebaagala (uno dei candidati indipendenti insieme a un esponente della comunità islamica), Bwanka Abedi. Queste sono le prime elezioni presidenziali in cui si presentano più candidati.
Il Consiglio dell'Unione Europea - esprimendo preoccupazione per l'arresto del leader del principale partito di opposizione ugandese, Kizza Besigye e di altri 22 oppositori - ha chiesto che il processo venga celebrato rispettando i diritti fondamentali dell’imputato. Il Parlamento britannico, ha chiesto al Governo Blair di prendere posizione al riguardo, tramite il Ministro degli Esteri, Jack Straw.
Il 19 dicembre 2005 la Corte Internazionale di Giustizia condanna, con sentenza definitiva, l’Uganda per l’invasione del Congo e per i crimini di guerra commessi nel periodo 1998-2003. Il risarcimento si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di dollari US.
22 dicembre 2005 – La Gran Bretagna taglia altri 15 milioni di sterline (26,4 milioni di dollari US) destinati all’assistenza umanitaria in Uganda. Misure simili sono state prese durante tutto l’arco dell’anno, da Irlanda, Olanda, Norvegia e Svezia - impegnati nei programmi di cooperazione internazionale - a causa dell’insufficiente l’impegno del Governo a compiere una sostanziale riforma democratica.
Nel gennaio 2006 il centro studi International Crisis Group pubblica un rapporto in cui sostiene che elementi dell'esercito sudanese continuano ad aiutare e proteggere i guerriglieri ugandesi dell'Lra (Esercito di Resistenza del Signore), nonostante il processo di pace in corso, avviato con la nascita del nuovo Governo di unità nazionale.. Si calcola che oltre 100 mila persone siano rimaste uccise in vent'anni di conflitto tra Esercito ugandese e Lra.
La Corte Costituzionale rigetta la richiesta della Corte Marziale di processare - con l’accusa di terrorismo - Besigye e altri 22 imputati. La competenza rimane alla Suprema Corte.
A febbraio il giudice John Bosco Katutsi, incaricato di presiedere il processo, per tradimento, a carico del leader dell'opposizione Kizza Besigye, abbandona il caso dopo che da più parti avevano tentato di influenzarlo. Il giurista ha descritto la situazione in maniera molto negativa, sostenendo la necessità che un giudice sia al di sopra di ogni sospetto. Si tratta del secondo giudice che rinuncia ad esaminare il caso di Kizza Besigye, sul quale ricadono quattro gravi accuse di corruzione e tradimento.
Joseph Kony, il sanguinario leader ugandese dell'Esercito di Resistenza del Signore (Lra), si è rifugiato nella Repubblica democratica del Congo, dopo che l'esercito ugandese gli ha dato la caccia sconfinando anche in Sudan. Gli iniziali attacchi dei militari di Kampala sono iniziati giovedì scorso vicino alla città di Juba, nel sud del Sudan. Secondo un portavoce dell'Esercito sudanese, nella notte di venerdì, Kony ha attraversato il fiume Nilo per riparare nella Repubblica democratica del Congo, dove potrebbe ricongiungersi con il suo vice Vincent Otti, ritenuto responsabile dell'uccisione di 8 soldati Onu, due settimane fa nell'est del paese. Le autorità ugandesi temono che i ribelli dell'Esercito di Kony stiano si stiano preparando anuove violenze in vista delle elezioni ugandesi del 23 febbraio prossimo. Kony, che si è autoproclamato un profeta dando vita a un proprio culto, da due decenni lotta contro il governo di Kampala ed è responsabile di numerosi atti di violenza che negli ultimi vent'anni hanno causato, si calcola, almeno un milione e seicentomila sfollati. E' ricercato dal Tribunale Iinternazionale dell'Aia per crimini di guerra.
L'Osservatorio Internazionale sui Diritti Umani denuncia l'illiberalità e la non trasparenza delle elezioni che si terranno in Uganda la prossima settimana. Il gruppo di pressione parla di scorrettezze verso l'opposizione, ma il Governo rifiuta le accuse. Il rivale principale del presidente Yoweri Museveni, che compete per la prima volta 20 anni dopo aver preso il potere, è Kizza Besigye. Il Governo definisce il rapporto dell'osservatorio come un tentativo di influenzare i risultati delle elezioni.
Il 23 febbraio 2006 si tengono in Uganda le prime elezioni presidenziali e parlamentari dopo 26 anni. A contendersi la carica di capo dello Stato ci sono cinque candidati, tra cui l'attuale presidente Yoweri Museveni e il suo più agguerrito rivale, Kizza Besigye. Secondo i sondaggi d'opinione, Museveni è favorito, ma non è chiaro se riuscirà ad ottenere il 50 per cento dei voti necessario a evitare il ballottaggio. Circa 10.4 milioni di persone sono chiamate a scegliere anche i membri del Parlamento. I risultati dovrebbero conoscersi entro sabato prossimo. Almeno 12.000 soldati sono stati inviati a presidiare circa 20.000 seggi elettorali.
L'opposizione ugandese del Forum per il Cambiamento Democratico (Fdc), guidato da Kizza Besigye, denuncia brogli e irregolarità alle elezioni presidenziali e parlamentari svoltesi ieri. Accusa rigettata dal partito di governo del presidente Yoweri Museveni e in contrasto con le dichiarazioni degli osservatori internazionali che parlano di voto regolare. Intanto lo spoglio delle schede è in corso: i risultati sono attesi per sabato sera.
Il 27 Febbraio prima uscita pubblica del riconfermato presidente ugandese Yoweri Museweni. Museweni è stato rieletto per la terza volta alle elezioni svoltesi sabato scorso con oltre il 59 percento dei consensi, mentre il suo avversario Kiiza Besigye ha ottenuto il 37 percento. Parlando in pubblico, per la prima volta dopo le elezioni, Museweni ha invitato l'opposizione ad accettare il risultato delle urne e ad impegnarsi per i prossimi cinque anni. Il maggiore partito di opposizione aveva denunciato molte irregolarità e brogli durante le operazioni di voto, ma per gli osservatori della Ue, le elezioni possono considerarsi in linea di massima regolari, malgrado si siano riscontrati alcuni episodi non molto chiari.