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Guida del mondo 2005/2006. Il mondo visto dal Sud - Ed. EMI (Editrice Missionaria Italiana)
Durante
la prima guerra mondiale la Turchia si alleò con il Secondo Reich e con
l’impero austroungarico, condividendone poi la sconfitta. L’impero ottomano
si disintegrò e nella penisola arabica e nei Balcani sorsero molti piccoli
stati autocratici. Le minoranze etniche rimaste all’interno dei confini
turchi furono brutalmente represse. Nel 1915 circa 800.000 armeni morirono in un
episodio passato alla storia come “il primo genocidio del XX secolo”.
Nel
1923 Mustafà Kemal (“Atatürk”) proclamò la repubblica ed approvò
una nuova Costituzione. Il governo avviò un processo di rapida modernizzazione.
Dopo la morte di Atatürk, nel 1938, i militari mantennero la loro influenza
sulla politica turca.
Nel
1941 la Turchia firmò un patto di non aggressione con la Germania e cercò di
restare neutrale durante la guerra. Infine, nel febbraio del 1945, passò
dalla parte degli alleati.
L’espansione
sovietica spinse il paese a consolidare la sua alleanza con gli Stati Uniti,
che nel 1947 cominciarono a fornire aiuti militari ad Ankara. I nordamericani
costruirono grandi basi militari in territorio turco e lentamente la dottrina
militare nazionalista accolse il concetto di “sicurezza nazionale” del
Pentagono. Sotto l’influsso degli Stati Uniti, la Turchia adottò un sistema
pluripartitico e incentivò gli investimenti stranieri. Nel 1952 entrò nella
NATO.
L’intervento
militare turco a Cipro provocò la secessione dell’isola nel 1974 e
causò le dimissioni del primo ministro socialdemocratico Bulent Ecevit.
Nel
1980 Demirel il conservatore Soliman Demirel fu deposto dai militari e
sostituito dal generale Kenan Evren. Furono proibiti i sindacati e i partiti
politici e il governo turco fu accusato dall’estero di violazioni dei diritti
umani.
Nel
1983 una nuova Costituzione segnò l’inizio di un’apertura politica
studiata per placare le critiche provenienti dall’Europa occidentale. I
programmi del nuovo governo erano finalizzati ad ottenere l’ingresso nella
Comunità Economica Europea e diedero quindi un nuovo impulso alla
modernizzazione, distaccandosi dalle vecchie politiche nazionaliste ed
accettando il liberalismo economico.
Nel
1990 il governo si trovò a dover fronteggiare un crescente attivismo da parte
dei separatisti curdi nelle zone sudorientali del paese, dove operava fin dal
1984 il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK).
Quando,
nell’agosto del 1990, fu deciso l’embargo contro l’Iraq a seguito
dell’invasione del Kuwait, la Turchia impedì il transito sul suo territorio
del petrolio iracheno diretto nel Mediterraneo. Pur non inviando contingenti
propri, la Turchia mise però a disposizione i suoi aeroporti militari e
autorizzò le basi americane come piattaforme per i massicci bombardamenti
contro l’Iraq. L’opposizione criticò la decisione del governo in quanto
comprendeva che avrebbe avuto delle ripercussioni sui rapporti con un paese
vicino in una zona caratterizzata già da forti tensioni a causa
dell’indipendentismo curdo.
Ankara
temeva che una possibile indipendenza del Kurdistan iracheno avrebbe potuto
“contagiare” i curdi turchi. Il popolo curdo (19 milioni di persone) vive
sotto la giurisdizione di quattro paesi diversi (la Turchia, la Siria, l’Iran
e l’Iraq). Si tratta della minoranza etnica più consistente al mondo senza un
territorio che possa chiamare patria. Per decenni la Turchia portò avanti una
politica di annullamento culturale dei curdi, senza riconoscere loro il diritto
alla propria lingua e identità culturale.
Nell’ottobre
del 1991 l’esercito turco, con l’appoggio dell’aviazione, invase la
parte settentrionale del territorio iracheno per attaccare le basi del PKK.
Fonti curde denunciarono bombardamenti ai danni della popolazione civile.
Alle
elezioni parlamentari del 20 ottobre vinse il Partito della Giusta Via (DYP) di
Soliman Demirel che ottenne il 27% dei voti e 178 dei 450 seggi. La scarsa
maggioranza ottenuta obbligò Demirel a cercare l’alleanza del Partito
Popolare Socialdemocratico di Erdal Inönü (SHP), il terzo partito del paese
con il 21% dei voti. Il Partito della Madre Patria (ANAP), che ottenne il 24%
dei consensi, annunciò che sarebbe passato all’opposizione.
Nel
marzo del 1992 il PKK, dichiarato illegale, annunciò la formazione di un
governo di guerra e di un’Assemblea nazionale nel territorio che reclama come
sede del Kurdistan, lo stato curdo che comprenderebbe parte della Turchia e
dell’Iraq. Pochi giorni dopo, in concomitanza con l’anno nuovo curdo, scoppiò
una rivolta popolare nelle province sudorientali e vi furono violenti scontri,
specialmente nella città di Cizre, tra i guerriglieri e le forze di sicurezza
turche. In aprile, dopo una visita a Damasco del ministro turco degli Interni
Ismet Sezgin, la Siria e la Turchia annunciarono un accordo per combattere le
“organizzazioni terroristiche” curde. Il governo siriano accettò di
chiudere i campi di addestramento del PKK e di effettuare controlli più
capillari nella zona di confine.
Nel
1992 il Consiglio d’Europa fece pressione sul governo turco affinché
riducesse la repressione contro la comunità curda. Le autorità turche
decretarono un’amnistia per 5 mila prigionieri politici ed
autorizzarono la circolazione dei quotidiani in lingua curda.
Nel
1993 il PKK decretò una tregua e propose di rinunciare alla pretesa di
formare uno stato indipendente in Kurdistan in cambio dell’avvio di negoziati
formali con il governo. Alla fine di maggio, visto l’atteggiamento evasivo del
governo, i guerriglieri dichiararono la “guerra totale” ad Ankara ed
iniziarono una serie di azioni in alcune città europee, soprattutto in
Germania, accusata di fornire appoggio militare alla Turchia.
Nel
1994 l’esercito turco estese l’offensiva, costringendo alla fuga gli
abitanti di centinaia di villaggi del Kurdistan turco e contemporaneamente
bombardando il Kurdistan iracheno per distruggere le basi del PKK.
La
crescita dei gruppi islamici in Turchia si evidenziò chiaramente nel 1995
in occasione delle elezioni di dicembre.
Il
1997 fu segnato dagli scontri tra il governo di Erbakan e l’opposizione
laica appoggiata dalle Forze armate. Il comando dell’esercito presentò delle
prove che dimostravano i legami del PP con le organizzazioni islamiche
dichiarate illegali dal governo precedente, affermando che erano più pericolose
dei separatisti curdi del PKK. Per decisione presidenziale, Erbakan fu
sostituito in giugno da Mesut Yilmaz e la Corte Costituzionale, massimo organo
giuridico turco, lo accusò di aver portato il paese “sull’orlo della guerra
civile e di aver cospirato contro il regime laico”.
In
settembre circa 20 mila soldati turchi e 100 carri armati attraversarono il
confine con l’Iraq in Kurdistan allo scopo di smantellare le basi militari del
PKK. Il contingente turco, con l’appoggio di curdi iracheni del Partito
Democratico del Kurdistan (KDP) accerchiarono le basi del PKK prossime al
confine con l’Iran.
Nell’aprile
1998 il più noto dei comandanti del PKK, Semdin Sakik, si consegnò nel nord
dell’Iraq alle forze del leader curdo iracheno Barzani, affermando che temeva
di essere eliminato dal leader del suo partito, Abdullah Ocalan. Sakik
era stato esonerato dal comando delle operazioni nel sud-est della Turchia,
nella regione dei monti di Tunceli.
Il
rifiuto di offrire asilo politico ad Abdullah Ocalan alla fine del 1998 e il suo
successivo arresto nel febbraio del 1999, mentre tentava di rifugiarsi
nell’ambasciata greca in Kenya, scatenò l’ira dei curdi in Europa che
protestarono per l’estradizione concessa alla Turchia. Manifestanti curdi
occuparono diverse ambasciate greche in Europa per protestare contro la
“consegna” del loro leader. Dopo un lungo processo, Ocalan fu condannato a
morte in giugno, nonostante avesse chiesto clemenza e suggerito che il suo
perdono da parte del tribunale avrebbe potuto aprire nuove intese politiche tra
i curdi e Ankara. La debolezza militare del PKK e la scelta di salvaguardare il
proprio leader fecero sì che in novembre la Corte d’Appello ratificasse la
pena di morte.
Le
elezioni dell’aprile 1999 diedero la maggioranza relativa al Partito della
Sinistra Democratica (PID), che ottenne il 22,3% dei voti e 136 seggi, superando
il Movimento Nazionalista, che ebbe il 18,1% dei voti e 129 seggi. Gli islamici
del PV giunsero terzi (15,5%), superando i partiti della Madre Patria (13,3%) e
del Giusto Cammino (12,1%).
Con
ampia maggioranza, il Parlamento approvò in giugno la creazione di un nuovo
governo che si impegnò a sconfiggere la guerriglia curda nel sud-est del paese.
La
sentenza di morte contro Ocalan fu sospesa nel gennaio 2000, in attesa del
verdetto della Corte Europea dei Diritti Umani. In febbraio, durante un
congresso, il PKK annunciò che avrebbe abbandonato la lotta armata, presentando
un progetto in sette punti per diventare partito politico.
Nell’ottobre
2000, più di mille prigionieri politici realizzarono uno sciopero della
fame, rivendicando lo scioglimento dei Tribunali di Sicurezza dello Stato e la
fine della repressione contro le famiglie dei detenuti e dell’oppressione
contro il popolo curdo. Il governo intraprese una campagna di contropropaganda e
di terrore su vasta scala, che diede luogo a detenzioni e torture di sostenitori
degli scioperanti, provocando centinaia di feriti. A sessanta giorni
dall’inizio dello sciopero, lo Stato assaltò simultaneamente 20 carceri e
uccise non meno di 30 persone, molte delle quali furono bruciate vive. Le
autorità, non riuscendo a piegare la resistenza con la carneficina, tentarono
di corrompere i detenuti con l’opzione di metterli in libertà. Molti vennero
liberati, ma quasi tutti entrarono nelle file del PKK.
Nell’ottobre
2001 il Parlamento adottò un nuovo pacchetto di riforme che includeva
l’abolizione della pena di morte, con l’eccezione delle situazioni di guerra
e degli atti di terrorismo. Nello stesso tempo autorizzò trasmissioni
radiotelevisive finalizzate a migliorare la possibilità di aderire all’UE,
mediante campagne di persuasione. Poco dopo, su richiesta dell’UE, cominciò
un dibattito per ammettere l’uso della lingua curda in trasmissioni
radiotelevisive.
Nell’aprile
2002, due anni dopo aver dichiarato la fine della lotta armata, il proscritto
PKK annunciò formalmente di aver scelto un nuovo nome – Congresso Curdo
per la Libertà e la Democrazia (KADEK) – e una nuova strategia,
manifestando il desiderio di iniziare una campagna pacifica per i diritti del
popolo curdo.
Nel
luglio 2003 il Parlamento approvò leggi in favore dei diritti dei curdi
e abolì la pena di morte. La condanna a morte di Ocalan fu commutata in
ergastolo. In settembre il Congresso Curdo per la Libertà e la Democrazia
(l’ex PKK) interruppe una tregua che durava dal 2001, sostenendo che le
autorità non applicavano le leggi sui diritti dei curdi.
Nel
novembre 2003 un’autobomba esplose presso una sinagoga a Istanbul, uccidendo
25 persone e ferendone altre 200. Due giorni dopo, attacchi coordinati al
consolato britannico e a una banca inglese uccisero altre 25 persone ad Ankara.
In precedenza nella capitale, nel gennaio 2002, due persone erano rimaste uccise
in un apparente attacco suicida a una loggia massonica.
Nel
febbraio 2004 il Consiglio d’Europa presentò ad Ankara un progetto per
l’effettiva applicazione dei diritti dei curdi, basato su un rapporto di
Amnesty International che accusava le autorità turche di più di 30.000
omicidi, migliaia di “sparizioni”, torture, violenze sessuali contro le
donne ecc.
Inoltre,
il Consiglio d’Europa chiese al governo di ratificare lo Statuto di Roma della
Corte Penale Internazionale, di limitare il numero di militari nel Consiglio
Nazionale di Sicurezza – che controlla le istituzioni governative – e di
sciogliere i “tribunali speciali di sicurezza” accusati di violazioni dei
diritti umani. Il Consiglio chiese poi alla Turchia di negoziare pronte
riparazioni per gli abusi contro la popolazione greca a Cipro.
Nel
dicembre 2004 il Parlamento europeo si è espresso a favore dell'allargamento
dell'Unione Europea alla Turchia.
Nel gennaio 2005 un comitato di funzionari sudafricani e tedeschi giunge in Turchia per investigare su violazioni dei diritti umani e sulla detenzione del leader del popolo kurdo, Abdullah Ocalan. Il comitato ha dichiarato che l’isolamento attuato nei confronti di Ocalan costituisce una “tortura permanente” e che intende lavorare affinché abbia fine. Il comitato ha reso nota una dichiarazione sulle proprie attività, nell’Ufficio di Istanbul dell’IHD. I membri del comitato provengono da organizzazioni non governative e istituzioni africane ed europee, e sono: il legale Essa Moosa, Johannen Moses Jacobens, Rolf Gossern, Helde Schneider, Samuel Jordan, Joel Dutto, il docente universitario Norman Paech. Ha partecipato alla conferenza stampa anche il Presidente dell’IHD di Istanbul, Eren Keskin.
La Corte Europea dei Diritti Umani emana il 12 maggio la sua decisione riguardo al ricorso giudiziario in appello presentato da Abdullah Öcalan, leader ribelle kurdo attualmente in carcere. Lo ha annunciato oggi la stessa Corte. Il ricorso di Öcalan è volto a contestare le condizioni di detenzione a cui è sottoposto in una prigione turca situata sulla remota isola di Imrali. Il legale di Öcalan ha sostenuto che il suo cliente è sottoposto a “tortura psicologica” e che soffre di asma e altre malattie a causa dell’umidità del carcere in cui si trova.
Nell’ottobre 2005 una delegazione del Parlamento Europeo, inviata in Turchia per verificarne i progressi nel campo dei diritti umani, rinviene sconvolgenti relazioni riguardo a omicidi e mutilazioni. Queste scoperte giungono una settimana dopo l’apertura delle trattative a Bruxelles sull’ingresso della Turchia nell’UE, e mettono in luce l’entità dei progressi che il Paese a predominanza musulmana deve ancora compiere per poter aspirare a entrare nell’Unione Europea.
Nel febbraio 2006, nel settimo anniversario della cattura di Abdullah Öcalan, numerose manifestazioni hanno luogo in Turchia. In molte città curde i negozi sono stati chiusi e i ragazzi non si sono recati a scuola; alcune persone hanno anche attuato uno sciopero della fame e molte si sono vestiti di nero. In particolare ad Hakkari, &_#350;emdinli e Y&_#369;ksekova la gente ha attuato una forma di boicottaggio, rifiutandosi di uscire in strada.