CRIS
Regole per far funzionare la democrazia elettronica. Nuovi modi di comunicare, dalle web-tv ai blog militanti

La politica nella rete "Una costituzione per internet"

"Non un atto formale, ma una serie di essenziali scelte condivise"
23 luglio 2005 - Stefano Rodotà
Fonte: Repubblica

Dieci anni fa un politico americano allora in ascesa, Newt Gingrich, propose un "Contratto con l'America" che avrebbe di lì a poco ispirato iniziative simili dalle nostre parti. In quel contratto si materializzava uno dei sogni d'ogni populista: la cancellazione del Parlamento, il rapporto diretto tra il leader al vertice della piramide del potere e la massa dei cittadini. Si proponeva, infatti, di chiudere il Congresso degli Stati Uniti e di sostituirlo con un Congresso "virtuale". Tutti gli americani, grazie alle tecnologie elettroniche, avrebbero potuto votare direttamente le leggi, dando alla sovranità popolare la sua pienezza.

In questi anni è stato messo da parte questo pericoloso modello nel quale, dietro l'illusione della sovranità, si scorgeva il rischio d'una estrema manipolazione dei cittadini. La democrazia elettronica ha percorso altre strade. L'attenzione è stata rivolta alle nuove forme di distribuzione del potere, all'emersione di nuovi soggetti e di nuove forme della politica. È stata privilegiata la dimensione locale, facendo crescere l'efficienza amministrativa e creando così le condizioni concrete per tornare a riflettere sulla partecipazione dei cittadini senza nulla concedere a tentazioni plebiscitarie. Ci si muove su Internet, il maggior spazio pubblico che l'umanità abbia conosciuto. Ma lungo questa strada s'incontra un rifiorire della democrazia o quel Nuovo Medioevo che affascina studiosi come Manuel Castells, con l'immagine della Rete che si proietta su un mondo globale senza un centro, dove convivono poteri molteplici?

Un attento studioso di questi problemi, Carlo Formenti, ha messo in evidenza come Internet sia "un formidabile incubatore di forme di partecipazione dal basso della politica" che "hanno poco da spartire con quelle tradizionali della democrazia rappresentativa". Una rivoluzione, che ha dissolto vecchi legami sociali e politici; accelerato i fenomeni di deterritorializzazione; contribuito alla nascita di un mercato globale e di nuove forme di controllo dei soggetti che qui agiscono; determinato la nascita di comunità software free e open source "protagoniste di uno straordinario esperimento di socialismo informatico"; ispirato anche l'azione di governi, dall'India al Brasile.
Ma lo sguardo non può essere rivolto solo a questi promettenti sviluppi, trascurando altri fenomeni che, invece, insidiano la democrazia. Spesso ai cittadini viene promesso un futuro pieno di efficienza amministrativa e occultato un presente in cui si moltiplicano gli strumenti di un controllo sempre più invasivo e capillare. Sembra quasi che si stiano costruendo due mondi non comunicanti, e che l'e-government, l'amministrazione elettronica, possa evolversi senza tener conto della contemporanea compressione di diritti individuali e collettivi, motivata con esigenze di efficienza o di sicurezza.

La "resa democratica" delle tecnologie dev'essere misurata considerando l'insieme dei loro effetti sociali. Altrimenti pure l'efficienza può essere vittima della schizofrenia istituzionale.

La presenza del cittadino nei processi di e-government, utilizzando per via elettronica servizi offerti dal comune o intervenendo in procedure pubbliche, è sempre accompagnata da registrazioni dei suoi dati. Ma questi come saranno utilizzati?

Verranno cancellati, serviranno per costruire profili di cittadini attivi o liste di seccatori da tenere sotto controllo? Senza certezze su questo punto, si rischia di disincentivare la partecipazione proprio per allontanarne da sé le possibili conseguenze indesiderate. Non si può costruire una partecipazione separata da un rigoroso rispetto di tutti i diritti dei partecipanti. Non è possibile separare la questione dell'e-government da quella dell'e-democracy.

Analizzando in concreto il modo in cui le tecnologie influenzano l'agire politico, vale la pena di tornare al 1999, a Seattle, al tempo e al luogo del debutto del movimento no-global. L'organizzazione di quella manifestazione capostipite non sarebbe stata possibile senza Internet. Ma si poté cogliere il senso di quella preparazione, avvenuta nello spazio virtuale, solo quando persone reali si ritrovarono in spazi reali, nelle strade e nelle piazze di quella lontana città degli Stati Uniti, che apparve per un momento come il centro del mondo perché le immagini di quelle giornate raggiungevano ogni angolo della terra attraverso la "vecchia" televisione. Si tratta di un modello, che vede l'integrazione di luoghi e mezzi diversi, e non la cancellazione dei vecchi media ad opera dei nuovi. Siamo di fronte a sperimentazioni che muovono piuttosto dal basso, integrano tecnologie e modalità d'azione differenziate, e sollecitano più la partecipazione che il puro fatto della decisione.
Un altro esempio. Durante l'ultima campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, Internet è stato utilizzato per il finanziamento dei candidati attraverso una miriade di piccole donazioni, tanto che nel giugno 2004 i fondi così raccolti erano diventati la prima fonte di finanziamento per John Kerry. Si può partire da qui per curare una delle crescenti distorsioni della democrazia, la dipendenza dei candidati dei grandi finanziatori, che così diventano i veri padroni della politica?

Ma l'iniziativa di uno dei candidati democratici alle primarie, l'ex-governatore del Vermont Howard Dean, ha fatto emergere una nuova "strategia elettronica", al centro della quale non si colloca semplicemente il sito del candidato. Compaiono altri strumenti: una WebTv, un blogforamerica animato dal candidato e dai suoi collaboratori, il Dean Wireless (una lista di diffusione soprattutto attraverso gli Sms). E questi mezzi vengono integrati con siti, liste di indirizzi e-mail e di telefonia cellulare, blogs militanti, dando vita ad un vero metanetwork, il Meetup.

Si determina così un mutamento della natura del sito, non più semplice "vetrina" del candidato. Si dà luogo ad una interazione continua, con la costruzione progressiva di una piattaforma politica attraverso una molteplicità di contributi provenienti dall'intera platea degli interlocutori. Siamo di fronte alla "versione politica dell'open source": non un modello imposto, ma reattivo, che via via si configura secondo le caratteristiche del "popolo" che lo frequenta.

Ma sono emerse anche debolezze di questa strategia. Dean si è così descritto alla rivista Wired: "Se faccio un discorso che non piace ai "Bloggers", la volta dopo cambio il discorso". In questo modo non veniva tanto accentuato il profilo del candidato "creato" da Internet. Si prospettava un modello dal quale sembra trasparire la ricerca del consenso ad ogni costo, alimentando dubbi sulla capacità del candidato di mettere a punto un programma autonomo e coerente.
Questo processo, tuttavia, non si esaurisce nello spazio di Internet. Ne innesca un altro, quello degli "house meeting", delle riunioni "fisiche" in bar e ristoranti, con la presenza dei sostenitori del candidato anche nelle case di chi, magari raggiunto via Internet, accetta di organizzare un incontro per discutere di problemi politici: una miriade di contatti diretti che replicano nel mondo "reale" la stessa logica della rete.

La novità profonda, allora, va colta anche nel significato diverso che luoghi tradizionali e tecniche abituali assumono per il fatto d'essere collocati in una struttura diversa, orizzontale e non verticale, in una rete di rapporti che dà rilievo ad ogni partecipante. Il diffondersi della possibilità di essere "ovunque", e di poterlo fare senza dover seguire indicazioni provenienti dall'alto, mette in discussione l'idea di una politica fatta di spazi chiusi, di luoghi deputati accessibili solo attraverso procedure selettive.

L'"ubiquità" delle persone modifica i processi sociali, politici, economici, della conoscenza. Siamo di fronte a forme inedite di creazione di spazi pubblici, di "espaces citoyen", che non portano naturalmente impresso il marchio della democrazia, ma sicuramente possono ribaltare gerarchie e liberare da vincoli impropri, con effetti immediati di rafforzamento dell'eguaglianza. Si avviano così processi di inclusione in una sfera pubblica rinnovata, e diversa da quella che conoscevamo, oggi rappresentata da Internet, grande metafora di tutte le potenzialità nascenti, di quel "Power of us" appena descritto da Business Week, e che proprio per ciò dev'essere al riparo dal rischio di censure e impieghi soltanto commerciali.

Alla democrazia elettronica serve una "Costituzione per Internet", che vuol dire non un atto formale, ma consapevolezza condivisa di essenziali regole comuni. Solo così è possibile sfuggire all'ambigua seduzione di un Nuovo Medioevo, dove la prospettazione di molteplici poteri in Rete non può velare una realtà dove la prevalenza di un potere sull'altro torna ad essere affidato alla sola regola della forza.

Note: http://www.repubblica.it/2005/g/sezioni/scienza_e_tecnologia/rodotarete/rodotarete/rodotarete.html