Tunisia: rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani alla vigilia del Summit mondiale sulla società dell’informazione
Nel 2001, l’Unione internazionale delle comunicazioni, un’agenzia delle Nazioni unite, ha scelto la Tunisia come uno dei due paesi ospiti del Summit mondiale sulla società dell’informazione (Wsis). La prima parte del Summit si è tenuta a Ginevra, in Svizzera, dal 10 al 12 dicembre 2003; la seconda e conclusiva parte si terrà a Tunisi dal 16 al 18 novembre 2005.
Lo scopo del Summit è quello di promuovere un accesso equo e globale alle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni come potenziale strumento per lo scambio di notizie e di conoscenza, per la promozione dello sviluppo e della qualità della vita. Di conseguenza la scelta della Tunisia come paese ospite della parte più importante del Summit è stata e continua a essere altamente controversa. Le organizzazioni per i diritti umani, tunisine e internazionali, hanno fatto notare che il livello di libertà d’espressione e d’accesso alle informazioni in Tunisia è molto basso, e che coloro che si esprimono a favore delle riforme e di una maggior protezione dei diritti umani sono soggetti a persecuzioni e attacchi da parte delle autorità. Ad oggi il governo tunisino mantiene uno stretto controllo sull’informazione e sull’uso di internet, limita la libertà d’azione alle associazioni locali per i diritti umani e tiene in carcere centinaia di prigionieri politici, alcuni dei quali sono considerati da Amnesty International prigionieri di coscienza.
La speranza era che la scelta della Tunisia come paese ospite del Summit avrebbe spinto il governo tunisino a concedere maggiore libertà e ad allentare i suoi controlli sulla libertà di espressione e associazione, ma ciò non è successo. Al contrario, negli ultimi mesi è stato notato un irrigidimento dei controlli e un incremento degli attacchi ai difensori dei diritti umani, probabilmente per metterli a tacere in vista dal Summit.
La comunità internazionale non si è espressa sulla situazione dei diritti umani in Tunisia ed è rimasta in silenzio anche di fronte a violazioni gravi, in particolare quelle commesse dal governo in nome della sicurezza contro gli oppositori islamici. Gli accordi del 1998 tra Unione europea (Ue) e Tunisia prevedono il rispetto dei diritti umani e delle libertà politiche ma, sette anni dopo l’entrata in vigore di tali accordi, l’Unione europea non ha ancora fatto niente per fermare le continue violazioni dei diritti umani. Scegliendo come sede del Summit la Tunisia, l’Unione internazionale delle comunicazioni ha offerto al governo l’opportunità di presentare un’immagine positiva del paese al mondo esterno quando, in realtà, i difensori dei diritti umani e le altre voci che sostengono il cambiamento sono soggette a repressione e violenza da parte del governo, che nega proprio quei diritti e quelle libertà, di espressione e di informazione, che il Summit intende promuovere.
Nella prima parte del Summit, tenutasi nel dicembre 2003 a Ginevra, i governi e le organizzazioni partecipanti hanno firmato una Dichiarazione di principi in cui si afferma che il rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione sono fondamentali per la costruzione di una società dove l’accesso all’informazione, alle idee e alla conoscenza globale è garantito senza restrizioni.
La situazione tunisina resta in forte contrasto con questi principi, tanto più che, nel settembre 2005 l’Unione europea e 11 governi riuniti nel meeting per la fase preparatoria del Summit si sono trovati d’accordo nel produrre un documento in cui si richiama la Tunisia a sostenere “la libertà di opinione e di espressione, il diritto di avere opinioni senza interferenze e di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo senza limiti di frontiere”. Questo richiamo pare non abbia ancora avuto l’effetto desiderato, visto che le autorità tunisine non hanno preso alcuna misura per alleggerire le restrizioni alla libertà di espressione o allentare la pressione sui difensori dei diritti umani. Nelle ultime settimane non ci sono state riduzioni dei controlli e si teme che gli oppositori che vogliano sfruttare l’opportunità del Summit per protestare contro le violazioni dei diritti umani e chiedere maggiori libertà, rischieranno fortemente di subire attacchi o altri abusi da parte delle autorità.
I governi riuniti per il Wsis e gli organizzatori del Summit, hanno l’obbligo di assicurarsi che la loro presenza non sia motivo di ulteriori repressioni. Inoltre, dovrebbero cogliere l’opportunità del Summit per rendere chiara al governo tunisino l’entità della preoccupazione internazionale per le continue violazioni dei diritti nel paese e far pressione sulle autorità affinché avviino un processo di riforme in linea con i principi del Summit.
Le restrizioni alla libertà di espressione, all’accesso all’informazione e alla libertà di associazione e di assemblea non sono gli unici problemi legati ai diritti umani in Tunisia. Amnesty International è preoccupata per le detenzioni di lungo termine, in particolare attuate dalle forze di sicurezza, per le detenzioni dei sospetti in incommunicado e senza assistenza legale, che si protraggono oltre i limiti consentiti dalla legge, nonché per le torture e i maltrattamenti inflitti ai detenuti. Inoltre, molti prigionieri, soprattutto effettivi o presunti membri di un movimento islamico locale, sono stati giudicati e duramente puniti dopo processi iniqui. Molti di loro hanno ripetutamente portato avanti scioperi della fame per protestare contro le sentenze e i maltrattamenti continui subiti in prigione.
In questo rapporto Amnesty International (AI) pone l’attenzione sui continui fallimenti del governo tunisino nel sostenere la libertà di espressione e di associazione e i diritti collegati; sui continui attacchi e persecuzioni contro i difensori dei diritti umani che hanno il coraggio di combattere per i propri diritti e per quelli dei loro concittadini. È giunta l’ora che il governo riconosca il contributo che i difensori dei diritti umani recano alla società tunisina e prenda le misure necessarie per dare vero significato agli obblighi di sostenere e promuovere i diritti umani.
AI chiede al governo tunisino:
- il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri di coscienza e la fine dei processi iniqui;
- l’abrogazione o l’emendamento di tutte le leggi che prevedono il carcere per l’esercizio pacifico del diritto alla libertà di espressione;
- misure effettive per assicurare il diritto di tutti i tunisini alla libertà di espressione, compreso l’accesso all’informazione, come garantito dai trattati internazionali sui diritti umani, attraverso l’abrogazione delle leggi repressive e l’eliminazione delle restrizioni imposte per soffocare la libera espressione;
- l’abolizione degli impedimenti legali e non, che sono correntemente usati per prevenire la registrazione ufficiale delle organizzazioni per i diritti umani o in generale della società civile, impedimenti che contravvengono agli obblighi della Tunisia di garantire la libertà di associazione;
- la garanzia che tutte le accuse di tortura e maltrattamenti o di aggressioni fisiche o di altro genere nei confronti dei difensori dei diritti umani siano prontamente, accuratamente e imparzialmente investigate e che i responsabili degli abusi siano condotti davanti alla giustizia;
- un impegno a invitare in Tunisia prima della fine del 2006 il Rapporteur Speciale dell’Onu sulla tortura, il Rapporteur Speciale dell’Onu sulla promozione e protezione del diritto alla libertà di espressione e di opinione, e la Rappresentante Speciale del Segretario generale dell’Onu sui difensori dei diritti umani.
AI chiede ai governi partecipanti al Wsis:
- di impegnarsi per ottenere incontri ad alto livello con le autorità tunisine allo scopo di sottolineare le preoccupazioni per i continui arresti per motivi di opinione, per gli attacchi e le persecuzioni dei difensori dei diritti umani e per gli altri abusi in Tunisia, e al fine di chiede al governo un’azione effettiva per affrontare queste problematiche;
- di rendere chiaro al governo tunisino che, in quanto paese ospitante il Wsis, ha l’obbligo particolare di assicurare alti standard di osservanza del diritto alla libertà di espressione e all’accesso all’informazione, alla libertà di associazione e di assemblea;
- di invitare i difensori dei diritti umani tunisini a visitare i loro paesi con lo scopo di diffondere informazioni sulla situazione dei difensori dei diritti umani in Tunisia.
AI chiede all’Ue:
- di istituire un sistema reale e trasparente, nel contesto degli Accordi di Associazione con la Tunisia, per facilitare un continuo monitoraggio della situazione e dello sviluppo dei diritti umani, nonché un’azione efficace da parte dell’Ue per assistere alla promozione e alla protezione dei diritti umani in Tunisia.
Libertà di espressione e di informazione
Da oltre un decennio, i tunisini vivono in un clima di repressione politica in cui i loro diritti alla libertà di espressione e di accesso ai mezzi di informazione sono gravemente violati. Il governo conserva uno stretto controllo sui media, stampa e televisione, e queste restrizioni sono state estese anche ad altre forme di comunicazione, in particolar modo su internet.
Ci fu un certo livello di liberalizzazione politica dopo che il presidente Zine al-Abidine Ben Ali salì al potere nel novembre del 1987, ma questa fase durò molto poco e da allora la storia del paese è stata contraddistinta da continui problemi relativi ai diritti umani. In particolare, si è cercato di controllare le attività dei gruppi islamici accusati di tentare di rovesciare il governo, invocando una serie di misure “antiterrorismo” che non tenevano in alcun conto i diritti umani fondamentali. Il governo inoltre ha usato sempre più il pugno di ferro con coloro che criticavano la sua politica o che chiedevano maggiore libertà, perseguitando o imprigionando tra gli altri studenti, attivisti e sindacalisti. Numerosi giornalisti sono stati arrestati o imprigionati, ai giornali è stato impedita la pubblicazione o le copie sono state sequestrate e gli oppositori sono stati incarcerati e condannati in seguito a processi iniqui. Alle associazioni per i diritti umani e agli organismi professionali che esprimevano posizioni critiche nei confronti del governo è stata negata la registrazione ufficiale e i loro dirigenti e associati sono stati oggetto di aggressioni, campagne denigratorie sui media controllati dallo Stato e altre forme di persecuzione.
La pressione delle autorità su chi esprime critiche sul governo è stata incessante sebbene da ormai più di un decennio il movimento islamista tunisino sia stato messo a tacere. Questo ha spostato l’attenzione delle autorità verso il “pericolo” rappresentato dai nuovi mezzi di comunicazione, principalmente verso la tecnologia dell’informazione e verso il potenziale di internet per diffondere e scambiare informazioni. Le autorità si sono mostrate estremamente diffidenti verso internet a causa dell’opportunità che offre di accedere a diversi punti di vista, a diverse opinioni e alle informazioni che il governo preferirebbe non condividere con i propri cittadini. Le autorità bloccano l’accesso ai siti web che pubblicano o sono sospettate di pubblicare informazioni critiche nei confronti del governo. Inoltre, chi pubblica articoli su internet non graditi al governo è passibile, secondo il Codice della stampa, di persecuzione e di incriminazione. Negli ultimi due anni il governo ha introdotto due nuove leggi che hanno l’effetto di incrementare ulteriormente le restrizioni e inasprire le pene contro gli oppositori del governo. Nel dicembre 2003, è entrata in vigore una nuova legge “anti-terrorismo” che contempla una definizione molto vasta di “terrorismo” e che viene usata per imprigionare persone che cercano di esercitare il diritto alla libertà di espressione.
Nel luglio 2004, il governo ha promulgato una legge sulla protezione dei dati personali che, secondo le autorità, dovrebbe proteggere la privacy. In pratica, invece, restringe ulteriormente l’accesso alle informazioni attraverso l’obbligo imposto a giornalisti, scrittori e organizzazioni non governative di richiedere l’autorizzazione prima di pubblicare qualsiasi informazione che potrebbe essere ritenuta un dato personale; ciò ha inevitabilmente un impatto negativo sulla libertà di stampa e riduce le possibilità che dei giornalisti, ad esempio, indaghino sulla corruzione o su altri misfatti delle autorità.
Audiovisivi
Le autorità tunisine mantengono uno stretto controllo sui media, soffocando la libertà di stampa dei media indipendenti. Le trasmissioni radiofoniche e televisive non sono critiche verso la politica e praticamente non danno voce alle opposizioni politiche. Una larga parte del palinsesto è occupato dalle notizie sulle iniziative e le attività del presidente tunisino Ben Ali, mentre i rappresentanti locali dei movimenti per i diritti umani non vengono mai intervistati. Molti tunisini si rivolgono ai canali televisivi di altri paesi per ottenere l’accesso alle informazioni che non ricevono dai media locali e si ritiene che circa il 50% delle famiglie abbia accesso ai canali televisivi satellitari.
Negli ultimi anni, le autorità hanno fatto alcuni passi avanti verso l’apertura dei media audiovisivi locali, che precedentemente erano posseduti dallo Stato e tenuti sotto il suo controllo. Dalla fine del 2003, è stato dato il permesso di trasmettere a una tv e a due radio private, come prevedono i cambiamenti del Codice delle telecomunicazioni apportati nel 2001. Il nuovo canale privato, tuttavia, trasmette per lo più intrattenimento piuttosto che news e attualità o informazioni che potrebbero essere in disaccordo col governo.
I gruppi tunisini per i diritti e le organizzazioni internazionali per la libertà di espressione si lamentano del fatto che le licenze per le trasmissioni private vengono rilasciate attraverso un processo che manca di trasparenza. Almeno due persone che avevano richiesto la licenza per trasmettere nello stesso periodo non hanno ottenuto il riconoscimento o non hanno avuto risposta dalle autorità.
Il governo ha anche cercato di dissuadere i media privati ed esteri dal mandare in onda le opinioni dell’opposizione politica, in particolare nel periodo elettorale. Nel 2003, è stato emendato il Codice elettorale in modo tale da proibire l’uso di media privati e stranieri per chiedere voti agli elettori o chiedere di astenersi dal votare un candidato o una lista di candidati. Ogni violazione è punibile con una multa di più di 25.000 dinari tunisini (circa 19.000 dollari Usa). Ciò riduce assai l’opportunità per i candidati dell’opposizione di fare campagna elettorale.
La stampa
Nonostante le recenti promesse del presidente Ben Ali di estendere la libertà di stampa, la stampa tunisina resta fortemente uniforme nei contenuti e nei toni, pubblicizzando nient’altro che la linea ufficiale e non riportando le notizie relative alla situazione dei diritti umani diffuse dalle organizzazioni tunisine o internazionali. I giornali privati che, secondo le statistiche ufficiali rappresentano circa il 90% della stampa, non si distinguono da quelli ufficiali. Allo stesso tempo, però, le autorità hanno impedito la diffusione di una stampa critica, provvedendo alla distribuzione di questi giornali. Secondo il Codice della stampa coloro che vogliono pubblicare un giornale o un periodico devono registrarlo al ministero degli Interni, che dovrebbe automaticamente rilasciare una ricevuta. In realtà, tuttavia, le autorità hanno negato tali ricevute per parecchie pubblicazioni indipendenti, solitamente senza dare spiegazioni. Ciò implica che esse non possono essere stampate in Tunisia, perché alle tipografie viene richiesta la ricevuta rilasciata dal ministero degli Interni.
Tra i giornali ai quali è stata negata la ricevuta per la pubblicazione figurano: Kalima (“La parola”, una rivista edita da Sihem Ben Sedrine, portavoce del Consiglio nazionale per le libertà in Tunisia (Cnlt), Kaws el-Karama (“L’arco della dignità”), edito da Jalel Zoghlami, un famoso oppositore; La Maghrebine, edito dalla giornalista Noura Borsali; e Alternatives Citoyennes, edito da Nadia Omrane.
Ai giornalisti tunisini è richiesto di lavorare in circostanze veramente difficili stando attenti a non fare passi falsi contro le autorità. La censura è diffusa e sia i giornalisti che lavorano per i media statali, sia quelli dei media privati si sentono obbligati all’autocensura. Nel marzo del 2004, un gruppo di giornalisti ha coraggiosamente attirato l’attenzione su questo problema in una lettera aperta fatta circolare tra le organizzazioni della società civile e in ambienti governativi. La lettera esprimeva preoccupazione per quella che i giornalisti descrivono come eccessiva censura sui propri servizi fatta dai capi, dovuta alla pressione delle autorità statali.
Due mesi dopo la comparsa di questa lettera, circa 150 giornalisti hanno formato una nuova associazione professionale, il Sindacato dei giornalisti tunisini (Sit), un organismo indipendente dedicato alla difesa dei diritti dei giornalisti e alla promozione della libertà dei media. Sono stati immediatamente visti come una minaccia dal governo e sono stati messi sotto pressione da parte delle autorità. Le attività del Sit sono soggette a numerose restrizioni e il suo presidente, Lotfi Hajji, è stato ripetutamente convocato per interrogatori dal dipartimento della sicurezza del ministero degli Interni. In una di queste convocazioni, nell’agosto del 2005, è stato informato dalle autorità che il primo congresso del Sit che doveva tenersi in settembre, era stato vietato, senza spiegazioni. Alcune riviste periodiche e i giornalisti che vi lavorano hanno subito pressioni da parte delle autorità dopo aver pubblicato articoli recepiti come tentativi di destabilizzare l’ordine politico. Ad esempio, nel 2002, Hedi Yahmed è stato costretto alle dimissioni dalla redazione del settimanale Haqa’iq (“Realtà”), dopo aver scritto un articolo sulle condizioni nelle carceri, un argomento tabù per la stampa tunisina.
Secondo il Codice della stampa, le autorità hanno il diritto di stabilire le condizioni a cui devono sottostare i giornali stranieri e le altre pubblicazioni distribuite in Tunisia. Di fatto, il governo esercita sistematicamente la censura nei confronti delle pubblicazioni estere, impedendo la distribuzione di quotidiani come i francesi Libération e Le Monde e quelli in lingua araba Al-Qods al-Arabi e al-Hayat, quando contengano servizi critici sulla Tunisia. Di conseguenza il giornale al-Hayat (pubblicato a Londra) ha deciso di non mandare più copie in Tunisia a causa dell’alto livello di interferenza da parte delle autorità.
Diplomatici stranieri hanno paragonato questa esperienza di censura al vivere dietro un “dispositivo di sicurezza”. Dopo l’attacco bomba alla sinagoga di Djerba nell’aprile del 2002, in cui vennero uccise 19 persone, la maggior parte delle quali di nazionalità tedesca, le autorità tunisine hanno eliminato tutte le informazioni sull’evento per parecchi giorni. La stampa tunisina non ha pubblicato alcun servizio sulla strage e i giornali stranieri che riferivano dell’attentato non sono arrivati nelle edicole.
Libri e altre pubblicazioni
La distribuzione di libri e altre pubblicazioni stampate in Tunisia è soggetta allo stretto controllo delle autorità. Secondo il Codice della stampa, per stampare qualsiasi pubblicazione, questa deve essere approvata dalle autorità attraverso un procedimento chiamato “deposito legale” per il quale numerose copie della pubblicazione devono essere sottoposte a differenti autorità prima di essere stampate. Le pubblicazioni ritenute di contenuto contrario al governo, sui diritti umani o di natura politica, possono vedersi rifiutata la prova che attesta il deposito legale, oppure essere sequestrate all’editore dopo la stampa o ritirate dalle librerie dopo la distribuzione.
Nel maggio 2005, il presidente Ben Ali ha annunciato di voler porre fine al sistema del deposito legale in favore di una liberalizzazione delle regole di pubblicazione. In seguito, il numero delle restrizioni imposte dal deposito legale è diminuito nonostante il Codice della stampa non sia stato emendato. Tuttavia, il cambiamento è stato lieve poiché non è tanto la richiesta formale del deposito legale a risultare censoria quanto la natura arbitraria della sua applicazione.
Molte restrizioni hanno impedito la distribuzione di pubblicazioni di attivisti per i diritti umani, oppositori politici e critici del governo, anche quando le opere non contenevano critiche esplicite o dirette al governo tunisino, lasciando così intendere che le autorità vogliono usare la censura anche per ostacolare lo sviluppo di alcune organizzazioni. Ad esempio, un manuale di educazione ai diritti umani sviluppato congiuntamente dalla Sezione tunisina e da quella norvegese di AI è stato bloccato per 5 anni non appena uscito dalla tipografia.
Simili censure colpiscono libri e altre pubblicazioni stampate fuori dalla Tunisia, che vengono sequestrate alla dogana o non hanno ricevuto il deposito legale nel paese, per impedirne la pubblicazione in Tunisia. In particolare, i lavori di esiliati tunisini che criticano il governo o quelli dei commentatori stranieri e gli scritti di alcuni pensatori islamici moderni non si trovano nelle librerie tunisine. Il permesso di stampare localmente libri del genere è generalmente rifiutato dalle autorità.
Internet
A causa delle restrizioni sulla stampa, molti tunisini hanno cominciato a usare internet per diffondere sia i loro commenti e opinioni politiche che informazioni indipendenti su temi di economia, politica e diritti umani. Alcuni quotidiani e riviste vietate in Tunisia, come Kalima e Alternatives Citoyennes, sono regolarmente pubblicati su internet e molti gruppi che si occupano di diritti umani stanno sempre più utilizzando siti e forum di discussione per attirare l'attenzione sugli abusi in Tunisia. Ma c'è sempre un grande rischio. Le restrizioni sull’uso di internet non sono meno severe di quelle relative alla stampa e chi usa internet per distribuire informazioni che sarebbero altrimenti censurate, rischia di essere incriminato e arrestato. La produzione, la fornitura, la condivisione e la registrazione di informazioni su internet sono soggette al Codice della stampa e a un decreto ministeriale del 1997 , cui si aggiungono altre misure punitive. L'incriminazione, nell’aprile 2002, di Zouheir Yahyaoui, per “aver diffuso false informazioni" e "aver abusato delle linee di telecomunicazione" ha dato un chiaro segnale: il governo non tollera i dissidenti che usano mezzi informatici. Yahyaoui, che aveva creato Tunezine, un sito di notizie alternative con un forum di discussione, era stato imprigionato intorno alla metà del 2001 per aver pubblicato sul suo sito una lettera aperta al presidente Ben Ali di un'ex magistrato che lamentava la mancanza d'indipendenza giudiziaria in Tunisia. Yahyaoui, considerato come prigioniero di coscienza, è stato torturato in detenzione prima del processo e ha scontato un anno e mezzo in carcere. Nel marzo 2005, è morto per un attacco cardiaco a soli 36 anni di età.
Un altro caso riguarda la giornalista e insegnante Néziha Rejiba, condannata nel novembre 2003 per aver pubblicato sulla rivista on line Kalima una lettera aperta al ministro dell'Educazione, dove criticava il sistema di educazione del paese e annunciava le proprie dimissioni dopo 34 anni di insegnamento.
Come conseguenza, i siti indipendenti sono sempre più ospitati fuori da paese, benché coloro che continuano a postare contenuti critici dalla Tunisia sono costantemente sotto pericolo.
Le autorità tunisine censurano sistematicamente internet poiché viene usato come mezzo di comunicazione contro il governo dentro e fuori dalla Tunisia. Il governo tunisino nega di censurare internet, eccetto per i siti che contengono informazioni per "terroristi" o che possono ledere alla sicurezza nazionale.
Dal 1999 al 2001 AI ha effettuato frequenti test dimostrando che i siti contenenti informazioni critiche verso il governo, compresi siti di notizie internazionali, erano inaccessibili agli utenti internet in Tunisia. Chi prova ad accedervi riceve un messaggio standard in cui si dice che il server è danneggiato, che la rete è malfunzionante o che il sito non esiste. Tra questi siti figurano quello dell’Onu e dei suoi organismi per i diritti umani, così come quello delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Inoltre, nel 2005 il Tunisia Monitoring Group (Tmg) ha svolto ulteriori test nel corso di una sua visita nel paese, verificando che circa 20 siti erano sistematicamente indisponibili in Tunisia, eccezion fatta per i provider che operano via satellite. Alcuni dei siti vietati sono stati creati da oppositori politici, altri da organizzazioni e attivisti dei diritti umani . Il Tmg ha trovato alcuni siti accessibili ma teme che la loro disponibilità sia stata solo temporanea e limitata al periodo della visita.
Mentre censura internet, il governo fa attenzione a trasmettere un'immagine positiva della Tunisia come un paese dove i diritti umani sono rispettati , attraverso lo sviluppo di pubbliche relazioni con Ong legate al governo. Per esempio, nel 1998 è stato creato un sito chiamato amnesty-tunisia.org, con lo scopo di trasmettere un'immagine altamente positiva dei diritti umani in Tunisia mentre il sito ufficiale di AI era inaccessibile agli per utenti tunisini. Il governo ha negato qualsiasi collegamento con coloro che hanno creato il sito falso.
Nell’aprile 2005, le autorità hanno arrestato e condannato a tre anni e mezzo l'avvocato e noto difensore dei diritti umani Mohammed Abbou, per aver pubblicato su internet articoli critici nei confronti del governo. È stato accusato, sulla base del Codice penale (art. 121-122) e di vari articoli del Codice della stampa, di aver avuto un comportamento troppo violento nei riguardi di un altro avvocato, benché i testimoni che avevano assistito all'incidente avessero dichiarato che le accuse erano infondate e non vi fosse alcuna prova eccetto un certificato medico non firmato.
La reale ragione dell’arresto di Abbou, attivista di alcune organizzazioni per i diritti umani tunisine, risiede nelle sue manifeste critiche al governo tunisino per avere invitato il primo ministro israeliano Ariel Sharon a partecipare al Wsis. Abbou ha anche usato internet per condannare l'uso della tortura in Tunisia all’indomani delle rivelazioni sulle torture perpetrate dai militari statunitensi sui prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib.
Il processo di Abbou è stato seguito da osservatori internazionali e ha suscitato le proteste di avvocati tunisini e attivisti della società civile. I manifestanti sono stati molestati dalla polizia e picchiati da ufficiali in borghese. Egli è attualmente detenuto a El-Kef, a 200 chilometri da Tunisi, dove risiede la sua famiglia. Ai suoi avvocati è stato più volte impedito l'accesso alla prigione. AI lo considera un prigioniero di coscienza e continua a chiedere il suo immediato e incondizionato rilascio.
Le restrizioni a danno dei difensori dei diritti umani
I controlli del governo sulla libertà di espressione e associazione colpiscono in maniera particolarmente dura i difensori dei diritti umani, le cui attività sono severamente limitate, in contrasto con gli obblighi assunti dal governo sulla base dei trattati internazionali sui diritti umani, come la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura e la Dichiarazione dell’Onu sui difensori dei diritti umani.
Per operare legalmente, le Ong devono registrarsi formalmente presso le autorità statali, ma tale registrazione è stata negata ad alcune importanti organizzazioni indipendenti sui diritti umani. Queste includono la Cnlt, il Centro tunisino per l'indipendenza giudiziaria, l'Associazione internazionale di supporto ai prigionieri politici e l'Associazione contro tortura in Tunisia. Poiché non sono legalmente riconosciute, queste organizzazioni non possono richiedere autorizzazioni per eventi pubblici o per finanziamenti e le loro attività possono essere considerate reato. Non avendo nessun riconoscimento legale. è impedito loro l'accesso al Wsis. Solo tre organizzazioni nazionali indipendenti sui diritti umani potranno parteciparvi: la Lega tunisina dei diritti umani, l'Associazione tunisina delle donne democratiche e la Sezione Tunisina di AI.
In ogni modo, anche una registrazione ufficiale e un riconoscimento legale non forniscono garanzie di operare liberamente fuori da interferenze governative, come evidenziato dall’esperienza dell'Istituto arabo per i diritti umani, un organismo regionale con sede a Tunisi, le cui attività sono spesso limitate dalle autorità, come nel caso del congelamento delle loro riserve economiche per le leggi "antiterrorismo" del 2003.
Le organizzazioni registrate legalmente devono innanzitutto ottenere un’autorizzazione ufficiale per svolgere incontri ed eventi pubblici; se l’iniziativa riguarda la situazione dei diritti umani, l’autorizzazione viene sovente negata. Le dimostrazioni vengono spesso impedite o represse dalla polizia.
Recentemente, la Ltdh è stata bersaglio di numerosi attacchi da parte delle autorità. A settembre 2005, le è stato impedito di tenere il suo VI Congresso nazionale. Due giorni prima di questo evento 22 soci, considerati vicini alle autorità, avevano dichiarato di essere stati ingiustamente allontanati dal comitato esecutivo dell'organizzazione. Ciò ha causato l'intervento del tribunale e il blocco del congresso. Questa, in ogni modo, è solo l'ultima di una serie di azioni contro la Ltdh. Nel novembre 2000, a causa di una denuncia contro quattro membri della Ltdh, considerati vicini alle autorità, il governo aveva sospeso l'esecutivo appena eletto assumendo il controllo degli uffici dell’organizzazione. Nel 2004 le autorità hanno impedito che la Ltdh ottenesse la seconda rata di un finanziamento della Commissione europea per iniziative europee per la democrazia e per i diritti umani, impedendo all'organizzazione di ritirare il finanziamento dalla banca.
Le attività dei difensori dei diritti umani sono soggette ad altri controlli, alcuni dei quali sono contro la legge. Nei casi estremi, questi includono aggressioni e assalti da parte della polizia o di uomini in borghese, che fanno parte delle forze di sicurezza o agiscono per loro conto. Molti di questi attacchi sono stati effettuati negli ultimi anni, spesso con lo scopo di intimidire e punire i difensori dei diritti umani. Nel marzo 2005, l'avvocatessa e attivista dei diritti umani Radhia Nasraoui è stata aggredita in strada da alcuni poliziotti nel corso di una manifestazione indetta per protestare contro l'invito ad Ariel Sharon a prendere parte al Wsis. Un esponente dell’Altt ha subito la rottura del naso, ferite sulla fronte e numerosi lividi. Nessuna azione è stata intrapresa per individuare i responsabili.
Alcuni attivisti per i diritti umani hanno riconosciuto gli assalitori come persone che li sorvegliavano fuori casa o al posto di lavoro. Ad ogni modo, secondo le informazioni di AI, nessuna indagine è stata portata avanti dalle autorità su questo ed altri attacchi contro i difensori dei diritti umani, lasciando questi abusi nell’impunità.
Le intimidazioni contro i difensori dei diritti umani comprendono la sorveglianza da parte della polizia della casa, o del luogo di lavoro, della famiglia e degli amici, il controllo della posta, del telefono e del fax, nonché campagne di diffamazione sui media controllati dallo Stato. Per esempio, nel marzo 2005 alcuni quotidiani hanno pubblicato una serie di articoli che descrivevano Sihem Ben Sedrine, la portavoce della Cnlt, come una prostituta che faceva gli interessi dei governi degli Stati Uniti d'America e di Israele. Altre campagne di diffamazione contro i difensori dei diritti umani hanno visto la pubblicazione di fotografie compromettenti, fotomontaggi, insulti e offese.
Hina Jilani, la Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni unite sui difensori dei diritti umani, non ha ottenuto il permesso di tornare in Tunisia dopo aver denunciato, al termine di una sua visita ufficiale nel paese all’inizio del 2002, che le autorità non proteggevano i difensori dei diritti umani. Quando, nel marzo 2005, le Ong tunisine l'hanno invitata a partecipare a un seminario sui diritti umani, le autorità hanno rilasciato il visto in ritardo per non premetterle di partire.
14.11.2005